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TIPOLOGIE DI DANNO E DI RESPONSABILITA’

Nel documento UNIVERSITA DEGLI STUDI DI PALERMO (pagine 150-156)

IL DANNO DA PRODOTTO

2. TIPOLOGIE DI DANNO E DI RESPONSABILITA’

Prima di scendere nell’analisi dettagliata dei punti summenzionati – che dev’essere condotta alla luce dei precedenti giurisprudenziali italiani ed europei che si sono susseguiti negli ultimi decenni – s’impone una premessa di carattere teorico, diretta a classificare i tipi di danno e di responsabilità che vengono in rilievo nell’ambito del tema trattato.

Innanzitutto, occorre distinguere, nell’ambito delle forme di responsabilità penale legate all’attività produttiva, tra responsabilità per il tipo di produzione e responsabilità per le modalità di produzione110.

La prima, è la responsabilità per la specie di attività produttiva complessivamente considerata, ed essa ha a che fare con quei settori della produzione che presentano un elevatissimo grado di pericolosità, sia all’interno che all’esterno dell’azienda.

Viene qui in rilievo il problema dell’individuazione dell’area del

110 Questa distinzione è stata operata per la prima volta nella dottrina italiana da FRANCO BRICOLA, Responsabilità penale per il tipo e il modo di produzione, in La responsabilità dell’impresa per i danni all’ambiente e ai consumatori, Milano, 1978, 75.

rischio consentito, cioè di tutte quelle attività intrinsecamente pericolose, che vengono tuttavia consentite in quanto ritenute indispensabili alla vita sociale in seguito ad un bilanciamento tra l’interesse della società allo svolgimento di determinate attività e l’esigenza di proteggere beni giuridici suscettibili di lesione per effetto dello svolgimento di codeste attività, posto che una tutela assoluta dei beni giuridici rischierebbe di compromettere la stessa

“vitalità” dei sistemi sociali. “Il rischio consentito, pertanto, ripudiando l’idea di una tutela “rigida” e a tutto campo, ritaglia, con approccio “realistico”, l’orbita delle eccezioni alla regola della astensione da ogni attività pericolosa111”. Siffatto bilanciamento di interessi – necessario per “autorizzare” lo svolgimento dell’attività pericolosa – richiede però che si disponga di conoscenze sufficienti per poter dominare il rischio, e quindi di un bagaglio nomologico sufficientemente ampio che consenta di ricostruire quali potrebbero essere le conseguenze dannose dello svolgimento dell’attività pericolosa si da poterle eliminare o quantomeno ridurle mediante l’impiego di opportune regole cautelari. Qualora non si disponga di conoscenze causali

111PIERGALLINI, cit. , 42.

tali da spiegare un numero sufficiente di eventi lesivi, il rischio sarebbe da qualificare come obiettivamente “fuori controllo” e di conseguenza dovrebbe configurarsi un generale obbligo di astenersi dallo svolgimento dell’attività produttiva, pena il concretarsi di una responsabilità per il tipo di produzione.

E’ appena il caso di ricordare come tutti i processi di

“destabilizzazione” del senso di sicurezza che caratterizzano la società del rischio traggono per l’appunto origine dalla impossibilità di governare il medesimo per mezzo di regole cautelari a causa delle difficoltà nella ricostruzione dei modelli di spiegazione causale. Ciò si riflette su quel giudizio di bilanciamento che sta a monte della responsabilità per il tipo di produzione: se in un panorama fatto da meccanismi di causazione multipla, interazioni, web of causations e logica fuzzy diventa sempre più difficile comprendere quali potrebbero essere le conseguenze di attività pericolose, come si fa a governarle neutralizzando i rischi e di conseguenza autorizzarne il compimento?

La responsabilità per le modalità della produzione si muove invece nell’ambito di attività consentite e pone il

problema della garanzia della sicurezza interna ed esterna dell’attività produttiva. Questo tipo di responsabilità coinvolge attività produttive che hanno già superato positivamente quel bilanciamento di interessi sopra esposto e la cui pericolosità attiene non al tipo di produzione, ma alle concrete modalità di svolgimento del processo produttivo. In questo ambito, il rispetto di regole cautelari scritte consente di neutralizzare il rischio e far si che la produzione si svolga in sicurezza e che il prodotto finale sia sicuro per i consumatori.

Anche qui però il problema sta a monte, nel momento della formalizzazione delle regole cautelari. Se il bagaglio di conoscenze nomologiche si fa insufficiente o impreciso, come si fa a stabilire che il rispetto di quella misura cautelare farà si che i lavoratori e l’ambiente non subiscano alcun danno dal processo produttivo e che il consumatore potrà utilizzare in tutta sicurezza il prodotto finale?

La seconda distinzione che occorre fare attiene all’origine del danno subito dai consumatori, quindi alla tipologia dei difetti del prodotto (PIERGALLINI). Bisogna distinguere tra:

a) difetti di costruzione, che colpiscono l’intera serie prodotta e possono dipendere da errata progettazione o scelta dei materiali o dalle tecniche di produzione ovvero da insufficiente sperimentazione. “E’ una categoria di difetti dotata di rilevante potenzialità lesiva a causa dell’intrinseca capacità di proliferazione del danno che accompagna la vita del prodotto112”;

b) difetti di fabbricazione (in senso stretto), che colpiscono uno o più elementi di una serie altrimenti immune da vizi e dipendono generalmente da difetti tipici dei sistemi produttivi (quali defaillance di una macchina o errori dell’operatore) e comportano un rischio la cui frequenza è statisticamente calcolabile e quindi generalmente prevedibile;

c) difetti da informazione, derivanti dalla messa in circolazione di un prodotto in sé non difettoso ma non accompagnato da adeguate istruzioni circa il modo di impiego.

Talvolta una corretta informazione può sopperire a difetti di costruzione del prodotto, sicché una tempestiva integrazione delle

112PIERGALLINI, cit. , 47, con riferimenti al caso (trattato dalle Corti americane) Bridgestone – Firestone.

avvertenze d’uso può impedire che l’evento di danno si concretizzi, ma non sempre ciò può mandare esente da responsabilità il produttore, qualora egli affidi all’informazione il compito di neutralizzare i rischi esonerando sé stesso da un’opera di progettazione e costruzione più sicura. Al dovere di informare i consumatori è collegato poi l’obbligo di “seguire il prodotto”

dopo l’immissione nel commercio.

d) difetti da rischio di sviluppo, sono quelli che, al momento della produzione e immissione in commercio del prodotto, non possono essere riconosciuti in base allo stato della tecnica. I danni che ne derivano sono di conseguenza inevitabili e imprevedibili.

Nel documento UNIVERSITA DEGLI STUDI DI PALERMO (pagine 150-156)