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La community: luci e ombre del vivere e lavorare sulla

pochi anni di vita?

4.3 La community: luci e ombre del vivere e lavorare sulla

piattaforma.

Abbiamo più volte evidenziato come la risorsa più importante per una piattaforma sia rappresentata dal proprio network e come ogni persona

appartenente al network sia produttrice di dati; dati, dati e ancora dati, su questo è basata l’economia della rivoluzione digitale e di conseguenza l’economia delle piattaforme. Capitalizzare sulla raccolta, sull’analisi e sulla diffusione di dati è la strada maestra verso il successo per le compagnie dei primi anni duemila e la forma della piattaforma snella ne è l’interprete più adeguato. Twitch non è diversa dalle altre piattaforme, in una duplice accezione, per un verso positiva e per un altro invece più negativa. Nelle parole pronunciate dal suo CEO ad un recente Ted Talks61 , “ogni canale su Twitch può essere visto come un falò intorno al quale le

persone si raccolgono per parlare e condividere idee, opinioni e informazioni” e si spinge persino ad affermare che “la piattaforma sia nata con l’intento di trovare una forma di intrattenimento che mettesse in comunicazione il pubblico con il creatore di contenuti, differenziandosi dalla comunicazione unidirezionale diffusasi grazie ai precedenti mezzi di comunicazione di massa”.

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Parallelamente, la sua fortuna da un punto di vista economico deriva largamente dalla capacità di utilizzare i dati che raccoglie.

Se diamo un’occhiata alla Privacy Policy62 di Twitch riusciamo ad estrarre alcune

informazioni interessanti sul trattamento dei dati personali degli utenti:

1) Twitch raccoglie tre tipologie di dati: (a) dati comunicati dall’utente → ad esempio nome, indirizzo e-mail, numero di telefono, dati per la

fatturazione, voce e immagine; (b) dati raccolti in modo automatico → informazioni raccolte da Twitch per mezzo di cookie o altre tecnologie, sono ad esempio l’indirizzo IP, tipo di software o sistema utilizzato, varie sull’utilizzo dei servizi del sito; (c) informazioni ricavate da altre fonti → informazioni acquisite da terzi a cui l’utente ha autorizzato l’accesso da parte di Twitch, ad esempio Facebook o altri social media.

2) Twitch individua varie modalità di utilizzo dei dati personali: (a) si fa notare subito l’enfasi posta sull’uso dei dati personali descritto da Twitch come metodo per migliorare la user experience e la distribuzione di

contenuti che gli utenti possano ritenere rilevanti e interessanti; niente di non etico o illegale, ma che appare quantomeno retorico se si considera

l’importanza che tali aspetti assumono con riguardo al business model di questo tipo di società; (b) si elencano i casi in cui Twitch comunica

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informazioni personali degli utenti con fornitori di servizi che lavorano per suo conto, ad esempio per hosting, manutenzione, sicurezza, ma anche a società controllate o che sono controllate dallo stesso soggetto che controlla Twitch, ovvero Amazon, in questo modo implicando che i dati raccolti siano attivamente utilizzati da Amazon e dalle altre società media-oriented da essa controllate (Goodreads, IMDb, Audible); (c) viene descritto il modo in cui Twitch condivide le informazioni raccolte con servizi o siti di terze parti e viene chiarito che la privacy policy di Twitch non si applica e che quindi la società non è responsabile per l’uso dei dati fatto da altre

compagnie; infine (d) si descrive il modo in cui sono regolate le interazioni con gli inserzionisti e i provider di analytics, e si fa notare il caso in cui essi utilizzino tecnologie proprietarie per misurare l’efficacia degli annunci; per cui tale privacy policy non viene applicata.

Tale documento indica quindi che la piattaforma estrare ed utilizza dati per ottimizzare i propri servizi, inclusi la pubblicità e la profilazione degli utenti. Emergono inoltre privilegi nelle relazioni con società affiliate e una chiara impronta alla condivisione con servizi di terze parti: in questo emerge senza ombra di dubbio la centralità dell’estrazione di dati nel business model di Twitch, ma emerge anche come i dettagli e le modalità specifiche di relazione con altre compagnie siano in generale nascoste agli utenti.

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Quest’ultima constatazione rappresenta la critica prevalente dei detrattori della cosiddetta user commodification. Con questo termine si individua una generale tendenza, da parte delle società protagoniste del capitalismo digitale, alla mercificazione dei propri utenti; nella maggior parte dei casi i servizi vengono offerti gratuitamente perché l’oggetto dello scambio economico diventa il

consumatore stesso, che con i suoi comportamenti fornisce dati e informazioni da rivendere, solitamente a società pubblicitarie. Se si utilizza questa prospettiva e si pone il focus su questa tipologia di processi, la già citata retorica user-centric di Twitch viene messa a dura prova e anzi, emerge nettamente come l’azione della piattaforma abbia sviluppato una duplice “vocazione” all’utilizzo di entrambe le categorie dei propri utenti a fini reddituali. In sostanza Twitch offre o facilita l’attività degli streamer come suo servizio primario e conseguentemente vende l’attenzione degli spettatori agli inserzionisti pubblicitari; inoltre estrae dati sia dalle attività di visione dei viewer che dalle attività di streaming degli streamer e usa questi dati per migliorare i suoi servizi e quelli di Amazon, oltre a venderli potenzialmente a terze parti, come ad esempio alle società che a vario titolo fanno parte dell’industria dei videogiochi. Se appare evidente la commodification degli spettatori a fini pubblicitari, ad un occhio soltanto poco più attento si manifesta la stessa tendenza nei confronti degli streamer. I creators su Twitch danno vita ai “programmi” che compongono il “palinsesto” e attraggono l’attenzione degli spettatori; la piattaforma non deve quindi pagare per la creazione o la produzione

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di nessun contenuto e può capitalizzare sul lavoro svolto da altri. Inoltre

riuscendo ad estrarre ed analizzare dati e insights da queste attività è in grado di instaurare rapporti commerciali con sviluppatori di giochi, case di produzione e altri attori del settore, offrendo informazioni preziosissime e difficilmente

rintracciabili altrove, rafforzando la propria posizione all’interno della “filiera”.

Questa situazione appare perfettamente in linea con quanto già discusso nel paragrafo 3.8 sui risvolti riguardanti la vita lavorativa degli individui e si può arrivare a constatare che le pratiche usate da Twitch siano indice di sfruttamento e di appropriazione di sforzi altrui. Seppure sia vero che quelli che potremmo chiamare lavoratori creativi sperimentano in genere condizioni meno gravi rispetto ai lavoratori manuali, ciò non toglie che tali situazioni dovrebbero essere limitate e combattute, nella direzione di un loro superamento.

La prima caratteristica di questa tipologia di lavori è la precarietà, la quale racchiude in sé instabilità, mancanza di protezione e vulnerabilità sociale ed economica e le piattaforme come Twitch contribuiscono ad amplificarne gli effetti. Uno streamer difficilmente riceverà benefits da Twitch e, al contrario, dovrà provvedere ad attrezzarsi e ad utilizzare un proprio equipaggiamento (computer, console, microfono, webcam, ecc.) oltre a coprire tutti i costi operativi, gestire i propri incassi e la situazione fiscale. Quello che Twitch fornisce è l’accesso ad una serie di strumenti di monetizzazione e un’audience rilevante, che effettivamente

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non sarebbe possibile ritrovare altrove o quantomeno non con la stessa facilità. Ma il contributo della piattaforma si ferma qua, poiché risiede solamente nella

capacità creativa e nelle doti sociali e relazionali dello streamer la creazione di un canale seguito e apprezzato. La mancanza di un contratto lavorativo stabile si fa sentire anche nelle situazioni più controverse, quando ad esempio uno streamer a causa del proprio comportamento riceve un ban temporaneo, o nei casi peggiori permanente, e l’unica fonte di leggi e regole è rappresentata dai termini del servizio o dalle linee guida della piattaforma, oltre ad ogni altra possibile

decisione presa dallo staff63 . In questo senso l’utente è totalmente assoggettato alle

condizioni imposte dalla piattaforma, anche per quanto riguarda cambiamenti tecnici (algoritmi, allocazione di banda, ecc.) che possono mettere a rischio la sua abilità di attrarre e mantenere pubblico. Tuttavia la precarietà deriva anche da fattori estranei a Twitch e riguarda ad esempio la capacità di attrarre e mantenere un’audience grande e fedele oltre allo stare al passo con le novità del settore (e il settore dei videogiochi è un settore estremamente mutevole) e con le preferenze degli spettatori; il lavoro di uno streamer non si ferma infatti alle sessioni di gioco live sulla piattaforma ma continua in altre forme e con altre modalità riguardando ad esempio la preparazione specifica di determinate sessioni, il rapporto con la propria community, l’autopromozione e il personal branding sui social network e molte altre attività strumentali alla creazione e al mantenimento della figura

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pubblica. Una delle relazioni più importanti che uno streamer dovrebbe coltivare esternamente alla piattaforma è quella con i games developers o i publishers, per ottenere la possibilità di effettuare sessioni di gameplay sponsorizzate, spesso trasmesse nella fase di lancio di un nuovo gioco. Uno dei cambiamenti significativi apportati da Twitch al settore dei videogiochi è da considerarsi infatti in relazione alla figura degli esperti di settore e dei recensori; sono cambiate enormemente le modalità di recensione dei nuovi prodotti ed il rapporto con i potenziali

acquirenti. Lo streaming di nuovi giochi appena rilasciati, o addirittura in modalità demo/anteprima, è divenuto una fonte di grandi eventi, sia per i

broadcaster che per gli spettatori; il suo successo è dovuto in larga parte al merito di

aver trasformato la recensione in un dialogo64 facendo di essa uno spettacolo del

tutto nuovo a cui anche gli spettatori possono partecipare in prima persona. Dal punto di vista degli streamers questa è un’importante opportunità di

monetizzazione e di crescita della propria community; tali collaborazioni sono infatti ben pagate e attraggono una notevole quantità di persone. Gli streamer, ma più in generale la categoria dei lavoratori creativi, svolgono effettivamente quello che si potrebbe chiamare il “lavoro dei sogni”, anche definito come “playbour”65 dall’unione di play e labour, movimento che diffonde diversi gradi di

64 Johnson M., Woodcock J., “The impacts of live streaming and Twitch.tv on the video game industry”,

Media, Culture & Society 2019, Vol.41, pp. 670-688.

65 Törhönen, M., Sjöblom, M., Hassan, L. and Hamari, J. (2019), "Fame and fortune, or just fun? A study on

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professionalizzazione ad attività ludiche o comunque leisure, seppur

sperimentando simultaneamente ansia, frustrazione e sfruttamento, in una sorta di posizione fortemente contradditoria. Emerge infatti una duplice immagine dello streamer, che agli occhi della propria community appare alla stregua di un cantante famoso per i suoi fan, diventa in sostanza una celebrità e tutte le componenti negative passano automaticamente in secondo piano. Questa situazione ha direttamente una connessione con la realtà, poiché nei fatti se un creator diventa famoso assume di conseguenza maggior potere contrattuale nei confronti della piattaforma stessa. Vale la pena citare alcuni recenti casi in cui un numero consistente di streamer su Twitch hanno abbandonato la piattaforma per spostarsi su piattaforme rivali (YouTube Gaming e Microsoft Mixer66 su tutte). Il

caso più noto riguarda lo streamer Ninja, considerato il videogiocatore più popolare al mondo, che nel 2019 ha firmato un contratto di esclusiva con Mixer e ha definitivamente lasciato Twitch, dove era presente dal 2011 e dove aveva sviluppato una delle community più grandi del settore. Le motivazioni dietro a questa decisione sono sicuramente da ricercarsi in fattori economici (a questo livello si parla pur sempre di contratti milionari) ma non solo; la manager e

compagna del noto streamer ha fatto sapere in un’intervista che le divergenze con la piattaforma andavano avanti da un po’ e avevano a che fare con la libertà

66 Si fa notare che a partire da luglio 2020 Microsoft ha cessato le attività di Mixer, invitando la propria

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artistica che veniva loro concessa e con la possibilità di sviluppare strategie di licensing esterne67. Ovviamente la scala di questo tipo di contratti è ben diversa

dalla maggioranza degli streamer e a questo livello non appare nemmeno

necessario un cambio di atteggiamento da parte delle piattaforme e la previsione di contratti stabili con l’assunzione diretta dei lavoratori; allo stesso modo in cui questo appare poco utile all’estremo opposto, con questo riferendoci a chi

trasmette le proprie sessioni live soltanto per diletto e a intervalli molto irregolari nel tempo. Rimane comunque vero che è in atto una forte tendenza alla

professionalizzazione per quanto riguarda la creazione di contenuti video (questo avviene non solo su Twitch ma anche su altre piattaforme, tipo YouTube) ed è un fenomeno dimostrato dal fatto che le “motivazioni estrinseche”, quali reddito e popolarità, sono correlate positivamente con il numero di ore settimanali

impiegate nella creazione di contenuti e con la volontà di continuare tali attività nel tempo, mentre le “motivazioni intrinseche” sembrano aver perso importanza68;

questo indica una sempre maggiore motivazione da parte degli streamer nel riuscire a trasformare la loro passione in un’attività remunerativa. Proprio la struttura per la monetizzazione messa su da Twitch a favore dei suoi affiliati e partner permette un ampio ventaglio di possibilità, che sì richiedono capacità e competenze elevate per poter risultare estremamente profittevoli, ma che a

67https://www.businessinsider.com/jessica-blevins-ninja-wife-manager-on-leaving-twitch-for-mixer-2019- 9?IR=T

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differenza di quanto avviene ad esempio su YouTube, dove la monetizzazione per i creators è legata quasi esclusivamente alle visualizzazioni da cui scaturiscono gli introiti pubblicitari, risultano molto più variegate. Per tutti i motivi elencati risulta quindi ancora una volta difficile stabilire una “sentenza definitiva” dell’impatto delle piattaforme come Twitch sulla vita lavorativa degli individui, anche se quello che ci sembra auspicabile è che un certo tipo di streamer, che potremmo definire “di fascia media”, che impiega la maggior parte del proprio tempo nello sviluppo del canale, che ottiene risultati significativi in termini di visualizzazioni e di followers contribuendo alla popolarità della piattaforma, e che in molti casi è potenzialmente dipendente dai redditi da esso derivanti per il proprio

sostentamento, necessiterebbe sicuramente di maggiori tutele e garanzie. Tale spinta alla protezione dei lavoratori potrebbe derivare, oltre che da interventi legislativi di carattere generale e da un maggiore impegno da parte delle

specifiche piattaforme (con modalità che possono essere le più svariate), anche da organizzazioni collettive, di cui un esempio è la Internet Creators Guild69 (che è

stata però chiusa definitivamente nel 2019), e da azioni coordinate dei lavoratori.

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