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I protagonisti del digitale: l'economia delle piattaforme ed il caso Twitch

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Academic year: 2021

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Dipartimento di Economia e Management

Corso di Laurea Magistrale in Marketing e Ricerche di Mercato

Tesi di Laurea Magistrale

I protagonisti del digitale: l’economia delle

piattaforme ed il caso Twitch.

Relatore:

Marco Enrico Luigi Guidi

Candidato:

Jacopo Carfora

(2)
(3)

3

Indice

Introduzione

6

Capitolo 1 - Rivoluzione o evoluzione?

1.1 Un mondo dominato dalle piattaforme

9

1.2 Le piattaforme cambiano con il tempo

15

1.3 Cinque tipologie di piattaforme

18

Capitolo 2 – Economia delle piattaforme

2.1 La magia delle piattaforme: i network effects

24

2.1.1 Quando si invertono i ruoli: economie di scala dal lato

della domanda

27

2.1.2 Apparentemente insormontabili: gli switching costs 29

2.1.3 Quando i consumatori sono in carcere: lock-in ed

incumbent advantage

32

2.2 È nato prima l’uovo o la gallina?

37

2.3 C’è chi ne sa di più: asimmetria informativa e costi di

transazione

44

2.4 Le piattaforme hanno troppo potere?

53

Capitolo 3 – Lean platforms

3.1 Come hanno fatto ad interrompere il dominio di vaste

industrie tradizionali nel giro di poco tempo?

59

3.2 Quali sono i problemi derivanti dall’impiego di strategie

(4)

4

3.3 Come è cambiato il percorso di sviluppo aziendale con

l’avvento delle piattaforme snelle?

66

3.4 Perché il free-pricing può essere una mossa brillante ma

anche un imperdonabile errore?

69

3.5 Esiste una revenue structure migliore delle altre? 72

3.6 Perché alcune compagnie arrivano all’apice del successo

e sprofondano nel fallimento alla stessa sorprendente

velocità? 78

3.7 Come affrontare le situazioni di abuso ed in che modo

proteggere gli utenti delle piattaforme?

80

3.8 L’influenza delle piattaforme raggiunge anche la vita

lavorativa degli individui, quali criticità si ravvisano? 84

3.9 Perché molte lean platforms vengono acquisite dopo

pochi anni di vita?

90

Capitolo 4 – Il caso “Twitch.tv”

4.1 Una rivoluzione destinata a durare

93

4.2 L’acquisizione di Amazon: un bilancio positivo 96

4.3 La community: luci e ombre del vivere e lavorare sulla

piattaforma

107

4.4 Il futuro: l’era dello streaming è appena iniziata! 117

Conclusione

129

(5)
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6

Introduzione

L'economia digitale contemporanea è dominata dalle aziende che hanno saputo sviluppare il proprio modello di business e la propria presenza sul mercato sotto forma di piattaforma.

Questo fenomeno è evidente e facilmente verificabile con un semplice sguardo alle classifiche globali delle maggiori compagnie per capitalizzazione o per ricavi; il dominio delle piattaforme è incontrastato e lascia poco spazio alle interpretazioni. Partendo proprio da queste considerazioni, il primo capitolo del presente lavoro si propone di definire il quadro di riferimento della materia, attraverso un

approfondimento sulla situazione attuale, un breve percorso storico ed il dettaglio delle cinque principali tipologie di piattaforme, con una particolare attenzione al ruolo avuto dalle nuove tecnologie nell’infondere nuova linfa alle piattaforme.

Il secondo capitolo, molto più tecnico, si concentra su di un’analisi dettagliata dei modi in cui queste aziende sono in grado di utilizzare a proprio vantaggio teorie ed effetti economici dell’economia dell’informazione ed in particolare: gli effetti di rete, gli switching costs, il lock-in ed il vantaggio dell'incumbent, le asimmetrie informative ed i costi di transazione; le loro peculiarità le portano ad essere in definitiva la soluzione migliore per fare impresa nel contesto digitale.

(7)

7

Il fenomeno delle piattaforme non è solamente limitato ai colossi tecnologici che tutti conosciamo e che hanno avuto degli effetti concreti sulla vita delle persone così importanti da aver plasmato un mondo nuovo e diverso da quello che

esisteva prima di loro. Le loro tipicità organizzative e gestionali sono applicate in moltissimi altri contesti e settori e da aziende non sempre così grandi, ma anzi spesso piccole, dinamiche, versatili ed adattabili, che nel giro di poco tempo riescono a confrontarsi in modo efficace in settori dominati da imprese storiche e posizioni competitive consolidate nel tempo; il terzo capitolo tratterà nel dettaglio queste tematiche tramite la risposta a nove interrogativi che toccano i punti chiave dell’economia delle piattaforme, nello specifico di quelle cosiddette lean (snelle).

Infine, svilupperemo un caso di studio reale riguardante la piattaforma di live streaming Twitch, esempio calzante di piattaforma snella che persegue una strategia asset-less e non possiede capitale fisso, fatta eccezione per softwares, servers, e capacità di estrazione e analisi dei dati. Ripercorrendo i punti salienti della storia della società, soprattutto il rapporto con la controllante Amazon, emergono interessanti analisi critiche (ad esempio i rischi di sfruttamento della precarietà del lavoro) riguardo alcune questioni etiche che rappresentano in molti casi il rovescio della medaglia conseguente alla rivoluzione delle piattaforme.

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Capitolo 1 – Rivoluzione o evoluzione?

1.1 Un mondo dominato dalle piattaforme

Al giorno d’oggi possiamo affermare che le piattaforme online sono le vere

protagoniste della rivoluzione dell’economia digitale. Già nel 2015 dominavano la classifica delle prime quindici internet companies in termini di capitalizzazione di borsa, sostituendo produttori di software e hardware ed ISP (Internet Service Providers), che occupavano la parte alta nel 1995.1

La loro crescita si è poi consolidata ulteriormente negli ultimi cinque anni, come emerge dai dati relativi alla capitalizzazione di mercato di giugno 2019.

1 OCSE, New Forms of Work in The Digital Economy, Working Party on Measurement and Analysis of the

(10)

10

Tali compagnie sono infatti salde ai primi posti ed hanno accresciuto in maniera sorprendente il loro valore di mercato anno dopo anno, avendo superato persino la soglia dei mille miliardi di dollari2 .

2 Nel momento in cui si scrive fanno parte del cosiddetto Trillion Dollar Club: Amazon, Apple, Microsoft e

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11

Sui mercati finanziari si parla spesso delle “FAANGtastic Five”3 , (vale a dire

Facebook, Amazon, Apple, Netflix e Google), adorate dagli investitori e di cui, insieme al loro valore, crescono dimensioni e reputazione.

Ma il ventaglio di iniziative ricomprese nella platform economy è estremamente ampio e poco circoscritto, ad indicare tutte le nuove idee imprenditoriali ispirate da tale modello; intorno alle FAANG gravitano infatti una serie di realtà born

digital tra cui, citando solo le più famose, si pensi a Uber, Airbnb, Spotify,

YouTube, Wikipedia. Il modello piattaforma è stato quello che più di altri ha rappresentato un driver per l’innovazione: basti pensare che nel 2014 nove

piattaforme statunitensi hanno registrato più di 11.000 brevetti e addirittura il 70% dei cosiddetti “unicorni”, ovvero startup non quotate con una valutazione che supera il miliardo di dollari, sono costruite su un modello piattaforma4.

Osservando con più attenzione la pervasività di tale fenomeno nei settori

economici, una ricerca condotta dal Center for Global Enterprise ha evidenziato come la maggior parte delle aziende che adottano un sistema piattaforma sono attive nell’e-commerce, seguite da imprese Fintech e da produttori di software e servizi Internet in generale. Tale scenario si presenta leggermente modificato nel ranking basato sul valore di mercato, dove a farla da padrone sono le imprese che

3https://argomenti.ilsole24ore.com/parolechiave/faang.html

4 P. C. Evans, A. Gawer, The Rise of the Platform Enterprise: A Global Survey, The Emerging Platform

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sviluppano software e servizi Internet, seguite a breve distanza dal settore e-commerce e dai marketplace di app.

I potenziali di sviluppo economico di queste compagnie sono particolarmente elevati. Secondo uno studio le imprese che seguono un modello piattaforma producono più valore rispetto alle imprese tradizionali, infatti il rapporto

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13

di produttori con un forte utilizzo di asset fisici5 ; crescono inoltre più

velocemente6 , grazie alla possibilità di fare affidamento su infrastrutture

preesistenti (banalmente Uber risulta essere molto più scalabile poiché per

crescere non ha bisogno di costruire fabbriche ma soltanto di affittare più server) e grazie a costi marginali molto bassi, al limite quasi nulli.

L’impatto sul panorama economico può essere misurato anche facendo

riferimento al modo in cui le cosiddette incumbents (ovvero imprese già presenti sul mercato) hanno reagito all’avanzata delle piattaforme e scoprire che quelle più visionarie hanno iniziato a rivalutare i business models esistenti nel tentativo di abbracciare le novità proposte. Nella maggior parte dei casi questo ha significato considerare i costi di transazione esistenti ed immaginare come poter ridurli o eliminarli in un mondo totalmente connesso, oppure esaminare l’universo di individui e organizzazioni con cui interagiscono solitamente ed escogitare nuove modalità di networking e di creazione del valore (ad esempio considerando quali processi poter svolgere in outsourcing, come poter collaborare con i competitors, come poter utilizzare i flussi di dati, le connessioni interpersonali ed i nuovi strumenti digitali per governare e supervisionare). Under Armour, attiva nell’abbigliamento casual e sportivo, si è mossa velocemente per costruire il

5 B. Libert, Y. Wind, M. Beck, What Airbnb, Uber, and Alibaba Have in Common, Harvard Business

Review, 20 novembre 2014

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proprio ecosistema di fitness. Nel 2013 ha acquisito MapMyFitness, piattaforma leader per la registrazione di esercizi e workout; quindi nel 2015 ha comprato due ulteriori piattaforme, MyFitnessPal, focalizzata sulla nutrizione, e Endomondo, descritto come “un personal trainer nella tua tasca”. Come ha notato un analista “quello che c’è di sbalorditivo è che nessuna delle compagnie acquisite produce dispositivi,

infatti tutto ruota intorno a piattaforma e dati, e ancora più importante, utenti”7 .

Di fatto possiamo affermare che ogni impresa per la quale l’informazione e i dati siano un elemento fondamentale può candidarsi a partecipare alla platform economy, in un range che va da imprese il cui prodotto sia l’informazione stessa (educazione, media) ad imprese per le quali abbia valore l’accesso ai dati su bisogni e preferenze dei consumatori, trend di mercato, movimenti nei prezzi in tempo reale8 .

Non solo la platform economy è grande, composita ed economicamente rilevante, al contempo ha impatti a livello di relazioni industriali, protezione dei

consumatori, utilizzo e protezione dei dati personali, tassazione, competizione e diritti di proprietà, innescando così importanti riflessioni in ambito legislativo9.

7 Caso tratto da G. Parker, M. Van Alstyne, S. P. Choudary, Platform Revolution. How Networked Markets

Are Transforming the Economy and How to Make Them Work For You, New York, Norton, 2016, p. 75

8 G. Parker, M. Van Alstyne, S. P. Choudary, op.citata, p. 3.

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1.2 Il modello piattaforma cambia con il tempo

Seguendo un’analisi strettamente economica una piattaforma è un mercato supervisionato da un operatore in cui si incontrano per scambiare beni, servizi o informazioni almeno due parti distinte e differenti (ad esempio produttori e

consumatori); da questo punto di vista quindi le piattaforme sono sempre esistite.

Fin dall’antichità si possono infatti individuare modelli di attività economiche tra esseri umani che possono essere definite piattaforme: si pensi al riguardo ai

mercati cittadini, ovvero luoghi di incontro tra mercanti e potenziali acquirenti con la specifica funzione di facilitare la ricerca della controparte raggruppando tutti gli attori in un determinato luogo e con determinate regole di controllo e di

supervisione da parte delle amministrazioni politiche, le quali possono, ad

esempio, richiedere il pagamento di una tassa per l’utilizzo del suolo pubblico; un esempio più moderno si può rintracciare nei centri commerciali, aggregatori di negozi che riducono drasticamente i costi di ricerca e di transazione, permettendo ai consumatori di effettuare acquisti in un’ottica di one-time shopping.

Tuttavia, soltanto negli ultimi anni, con l’avvento di Internet e le possibilità di sviluppare mercati online le piattaforme hanno destato un rinnovato interesse e conosciuto nuovi sviluppi; l’ICT e le più generali innovazioni digitali hanno permesso di aumentare la scala, la potenza e l’efficacia degli effetti economici alla base del funzionamento di tali modelli (si fa riferimento ai network effects e alle

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soluzioni per contrastare asimmetria informativa e costi di transazione, che affronteremo in dettaglio nel capitolo due).

In definitiva, cosa si intende quindi quando si parla di platform economy?

Le definizioni sono disparate e succede che non vi sia chiarezza e accordo tra le varie proposte; spesso altre accezioni dell’economia digitale come la gig economy, la sharing economy o la sua versione più ortodossa, collaborative economy,

vengono usate come sinonimi dell’economia delle piattaforme, ma in modo assolutamente incorretto. Al più tali realtà possono essere considerate delle declinazioni derivative dell’utilizzo di piattaforme, ma il concetto stesso di piattaforma fa riferimento in ultima istanza ad una modalità organizzativa dell’impresa, così come emerge infatti dalla definizione fornita dal World

Economic Forum nel 2017, “le piattaforme possono essere definite come business models

innovativi a base tecnologica”.

La definizione più pertinente sembrerebbe essere quella fornita in “Platform Revolution: How networked markets are transforming the economy and how to make them work for you”, nel quale gli autori identificano come segue le

caratteristiche salienti di tale modello:

“una piattaforma è un business basato sul rendere possibili interazioni che creano valore

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un’infrastruttura aperta e partecipativa per queste interazioni e stabilisce delle condizioni di governance ad esse rivolte… permettendo la creazione di valore per tutti i partecipanti”.

Emergono alcuni punti cruciali del loro funzionamento:

- Le piattaforme agiscono nella maggior parte dei casi come matchmakers, ovvero hanno l’obiettivo primario di fornire le condizioni per creare interazioni tra due o più gruppi di attori economici differenti.

- Le piattaforme sono organizzate come sistemi aperti e partecipativi in contrapposizione ai sistemi chiusi tipici delle imprese cosiddette pipeline nelle quali la creazione di valore segue un percorso definito e

standardizzato lungo una catena del valore lineare.

- Le piattaforme fondano il loro successo sulla capacità di stabilire condizioni di governance efficienti; in un sistema in cui la creazione del valore non avviene tramite asset proprietari è fondamentale prevedere le più adeguate soluzioni di controllo e supervisione, sia per creare esperienze più

frictionless possibili, sia per evitare abusi da parte degli agenti coinvolti.

- Le piattaforme danno vita a ecosistemi che possono prosperare soltanto se è garantita un’equa distribuzione del valore tra tutti i partecipanti, evitando situazioni di disequilibrio.

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1.3 Cinque tipologie di piattaforme

Nel tentativo di fare ordine nell’affollato panorama di compagnie che operano con un modello piattaforma, Nick Srnicek individua nel suo “Platform Capitalism” cinque tipologie differenti: (1) piattaforme pubblicitarie, (2) piattaforme cloud, (3) piattaforme industriali, (4) piattaforme di prodotto, (5) lean platforms, ovvero piattaforme snelle. Una breve disamina di ognuna di queste cinque tipologie può aiutare a comprendere meglio la pervasività di questo modello di business nel contesto economico, sociale e culturale attuale.

1) Piattaforme pubblicitarie: questa tipologia di piattaforme può essere

considerata la manifestazione più antica del fenomeno, riconducibile direttamente alla ricerca di una soluzione per uno dei problemi alla base della bolla delle dot-com, ovvero la mancanza di un modello di revenue sostenibile, quando il mantra più diffuso, “growth before profits”, prevedeva che le previsioni di crescita fossero considerate più importanti dell’attuale capacità di generare profitto. Una volta scoppiata la bolla, il modello basato sulla pubblicità divenne il primo preso in considerazione ed in molti casi si è rivelato un modello vincente e sostenibile nel lungo periodo.

La logica fondamentale alla base del suo funzionamento è che le attività degli utenti, se registrate e trasformate in dati, divengono materiale grezzo che può essere raffinato ed utilizzato in una moltitudine di modi; le piattaforme

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pubblicitarie estraggono i dati, effettuano analisi e rivendono la conoscenza da essi derivata sotto forma di spazi pubblicitari. Il business può essere veramente

fiorente, basti pensare che Google e Facebook rimangono quasi totalmente dipendenti da esso; nel primo trimestre del 2016 l’89% dei ricavi di Google e nel 201910 il 98,9% dei ricavi di Facebook provenivano dalla pubblicità.

2) Piattaforme cloud: l’esempio più importante è rappresentato da Amazon Web

Services (AWS). Sviluppata in un primo momento come piattaforma interna all’azienda, nell’ottica di costruzione del proprio network logistico, è stato subito riconosciuto il potenziale che ne poteva essere estratto, poiché altre compagnie necessitano un’infrastruttura di base che permetta l’utilizzo di servizi informatici in modo semplice. Oggi AWS noleggia servizi di cloud computing, ovvero servizi on-demand di server, archiviazione e potenza computazionale, strumenti di sviluppo software, sistemi operativi e applicazioni preconfezionate ed è arrivata a generare più profitti per Amazon del tradizionale ramo retail. Soprattutto i

software sono sempre più diffusi tramite modelli di sottoscrizione e aziende come Adobe, Google e Microsoft hanno sviluppato proposte concorrenziali a quella di Amazon; con un esempio facilmente comprensibile questo permette alle imprese che ne fanno uso di esternalizzare i dipartimenti IT.

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In un mondo in cui ogni area dell’economia è sempre più integrata con uno strato digitale, essere proprietari dell’infrastruttura necessaria al suo funzionamento dà luogo ad una posizione immensamente potente e profittevole; queste compagnie provvedono infatti a fornire i mezzi di produzione necessari per i business contemporanei. Inoltre, come per tutte le tipologie di piattaforme, il modello permette di accrescere la capacità di estrazione dei dati dando accesso a innumerevoli nuovi dataset.

3) Piattaforme industriali: molte imprese hanno provato a portare il modello

piattaforma nel campo dell’industria manifatturiera tradizionale. La cosiddetta Industria 4.0 prevede di incorporare sensori e chip nei processi produttivi e

trackers in quelli logistici, collegandoli tra di loro tramite connessioni ad internet.

Ogni componente diventa in grado di comunicare con altre componenti lungo la filiera, condividendo dati e informazioni con lo scopo di migliorare l’efficienza produttiva, ridurre i costi per l’energia o i costi di manutenzione. Si punta inoltre ad avvicinare il processo produttivo a quello di realizzazione, facendo

affidamento sui dati forniti dall’utilizzo fatto dagli utenti per la progettazione e lo sviluppo di nuovi prodotti. Con l’aumentare dell’impiego dell’industrial internet da parte delle industrie, si rende necessario stabilire uno standard comune e favorire l’interoperabilità; è proprio qua che si inseriscono le piattaforme, come framework di base per collegare tutti i soggetti coinvolti.

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General Electric e Siemens, ma anche Intel e Microsoft, sono impegnate nella costruzione di piattaforme per fornire hardware e software agli attori industriali nell’implementazione di queste nuove soluzioni tecnologiche. Come ogni altra piattaforma, anche queste imprese industriali fanno affidamento sulla capacità di estrarre dati come strumento competitivo nei confronti dei loro rivali.

4) Piattaforme di prodotto: questa tipologia di piattaforma rappresenta

probabilmente il mezzo più importante con cui le imprese cercano di seguire la tendenza verso i costi marginali pari a zero; il settore musicale ne è un esempio calzante, ma non soltanto i software o i beni di consumo ne sono interessati. Queste piattaforme solitamente basano il loro business model su un sistema a sottoscrizione, di cui un esempio interessante viene dai beni durevoli, nello specifico dal business dei motori per aerei. Rolls Royce e General Electric hanno innovato il settore concentrandosi sulla manutenzione ed introducendo un modello di “bene come servizio”, dove le compagnie aeree non acquistano i

motori ma pagano una rata per ogni ora di utilizzo, ricevendo assistenza e pezzi di ricambio. Anche in questo caso i dati grezzi rimangono centrali come per le altre piattaforme e vengono spesso utilizzati per tenere fuori i competitor e assicurarsi un vantaggio competitivo.

5) Piattaforme snelle: questa tipologia di piattaforma rappresenta probabilmente

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piano tecnico ed organizzativo, sono in un certo senso un ritorno alla filosofia del “get large or get lost” tipica delle compagnie degli anni 90 e sollevano dubbi sulla loro sostenibilità nel tempo. Il range di attività di queste piattaforme spazia da imprese specializzate nell’offerta di una varietà di servizi on-demand fino a marketplace più generalisti, con Uber e Airbnb a rappresentare l’emblema della categoria. Per capire perché vengono definite lean basta pensare al fatto che Uber non possiede nemmeno un veicolo ed allo stesso tempo Airbnb non è proprietaria di nessuna delle stanze disponibili sul suo sito; queste compagnie sono quasi asset-less, con l’unico asset proprietario rappresentato dal software su cui è costruita la piattaforma e dagli strumenti per l’analisi dei dati. Esse operano con logiche di iper-esternalizzazione, poiché i lavoratori sono esternalizzati, il capitale fisso è esternalizzato, i costi di manutenzione sono esternalizzati, la formazione è esternalizzata; non è però una novità sconvolgente poiché queste tendenze si inseriscono in un quadro più ampio di apertura delle aziende verso l’esterno, che mostra i suoi primi segni negli anni 70 con l’avvento del Toyotismo, e che adesso è semplicemente ampliato a nuovi settori. Le implicazioni di tale modello sono invece molto rilevanti sul piano socioculturale, soprattutto per quanto riguarda i lavoratori, e saranno considerate in dettaglio più avanti.

Il motivo per cui le start-up di oggi sono riuscite a crescere con così tanta rapidità è perché si sono affidate al noleggio di hardware e software da altre imprese; sono in definitiva piattaforme costruite su altre piattaforme, mentre la loro profittabilità

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rimane da dimostrare, poiché nella maggior parte dei casi è basata soltanto sul taglio dei costi e l’abbassamento dei salari.

Questo elaborato si propone di approfondire la realtà di questa tipologia di piattaforma, nello specifico analizzando il caso di Twitch.tv e della sua

acquisizione da parte di Amazon. Quello che emergerà con maggior chiarezza nel prosieguo è che molte delle lean platforms sono probabilmente destinate al

fallimento a meno di modificarsi radicalmente, innanzitutto nel loro modello di revenue. Molte di esse riescono invece a garantirsi un futuro grazie

all’acquisizione da parte di altre piattaforme, accrescendo però il potere di quest’ultime e la loro tendenza alla monopolizzazione.

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Capitolo 2 – Economia delle piattaforme

2.1 La magia delle piattaforme: i network effects

Carl Shapiro e Hal Varian, nel loro seminale “Information Rules” del 1999, riassumono in poche parole il cambio di paradigma che stava avvenendo e che è ancora in atto a vent’anni di distanza: “la vecchia economia industriale era guidata da economie di scala; la nuova economia dell’informazione è guidata da economie di

network”11 . Siano essi reali o virtuali i network hanno un fondamentale principio

economico alla base del loro funzionamento, ovvero il valore di connettersi ad un network dipende dal numero di altre persone già presenti in esso; questo viene rafforzato dal cosiddetto “feedback positivo” che fa sì che “il forte sia più forte e il debole più debole”12 .

Due esempi possono aiutare a comprendere meglio il funzionamento di questo effetto, così importante per l’economia del XXI secolo.

L’esempio classico è il telefono, dove un maggior numero di utenti aumenta il valore per ognuno; se esistono 2 telefoni la connessione possibile è soltanto una, le connessioni possibili con 4 telefoni sono invece 6, con 12 telefoni diventano 66.

11 Shapiro C., Varian H., Information Rules: A Strategic Guide to The Network Economy, 1999, p. 173. 12 Shapiro, Varian, op.citata, p. 175.

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Questo perché l’effetto di network si basa sulla legge di Metcalfe13, la quale stabilisce che se in un network sono presenti n persone e se il valore assegnato al network da ognuna delle persone è proporzionale al numero delle altre n-1 persone, allora il valore totale del network è uguale a n * (n-1) = n2 – n ; questo significa che se il valore per il singolo è di 1€ per ogni altro utente, allora un

network di 10 persone ha un valore totale intorno ai 100€, un network di 100 persone ha un valore totale intorno ai 10.000€, un

network di 1000 persone ha un valore totale intorno a un 1.000.000€. Un incremento di dieci volte nella dimensione del network porta ad un incremento di cento volte del suo valore, quello che si osserva se si attiva il circolo virtuoso degli effetti di rete è a tutti gli effetti una crescita esponenziale.

13 Tale legge è stata messa in discussione poiché ritenuta eccessivamente ottimistica. Alcuni ricercatori

hanno evidenziato come non tutti i componenti di una rete abbiano uguale importanza ed hanno proposto una nuova legge che regoli la crescita del valore della rete in modo logaritmico.

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Il secondo esempio descrive il modo in cui il valore di Uber aumenta per ogni utente all’aumentare degli utenti complessivi14 . L’aumento della domanda porta

ad un aumento nel numero di guidatori presenti sulla piattaforma, da cui

consegue un maggiore copertura geografica e di conseguenza maggiore velocità nell’esecuzione del servizio offerto (ovvero meno tempi di attesa per gli utenti), che a sua volta contribuisce ad

ulteriori aumenti della domanda; allo stesso tempo la saturazione di una zona comporta anche un abbassamento dei periodi morti per i guidatori, con connesso

abbassamento dei prezzi e conseguente crescita della domanda. L’immagine restituisce visivamente l’idea di come l’effetto di network riesca a produrre un circolo virtuoso positivo per la piattaforma, dando vita ad un sentiero di crescita auto-rinforzante.

Si può affermare che gli effetti di rete sono alla base della crescita delle moderne piattaforme allo stesso modo in cui alla base della crescita delle aziende

protagoniste dell’era industriale vi erano le economie di scala: la differenza sta tutta nel lato dell’equazione che si va a considerare.

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2.1.1 Quando si invertono i ruoli: economie di scala dal lato della

domanda

I giganti industriali nati e prosperati nel ventesimo secolo godevano fortemente nel loro percorso di crescita della spinta propulsiva datagli dalle economie di scala (lato produzione) che riuscivano ad ottenere. All’aumentare delle quantità

prodotte, efficienze tecnico-produttive portavano ad una riduzione dei costi medi unitari; questo fenomeno rendeva la grande organizzazione capace di beneficiare di un vantaggio di costo nei confronti dei concorrenti più piccoli, permettendogli di diventare ancora più grande fintanto che non ci fossero interventi governativi a limitare la loro espansione o nuove tecnologie a rendere obsolete quelle vecchie; era anche possibile che le imprese raggiungessero un limite naturale derivante da difficoltà tecniche ed oltre il quale gli effetti positivi diventavano negativi.

Al giorno d’oggi simili effetti sono ravvisabili in un tipo diverso di economia di scala, che origina dal lato della domanda. Le economie di scala dal lato della domanda sono guidate da efficienze nelle reti sociali, aggregazione della

domanda, sviluppo di applicazioni e altri fenomeni che rendono i grandi network più di valore per gli utenti, in un processo potenzialmente senza limiti.

Il successo o il fallimento non dipendono più (comunque non più in modo

preponderante) dalla struttura dei costi, dal capitale investito, dalle attrezzature o dai macchinari, ma l’asset più prezioso è rappresentato dalla community e le

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imprese sono guidate dalle aspettative dei consumatori. Da un punto di vista prettamente manageriale diventano quindi fondamentali strategie di marketing disegnate per influenzare ciò che i consumatori si attendono dal mercato,

seguendo un’ottica prevalentemente pull (indirizzando le strategie di promozione direttamente verso i consumatori finali ed attirandoli a sé) piuttosto che una push (la quale utilizza metodi tradizionali come la pubblicità e le pubbliche relazioni e si focalizza sulla creazione dell’awareness).

Sarebbe comunque sbagliato pensare che le economie di scala dal lato della

domanda non esistessero prima dell’economia dell’informazione, così come che le economie di scala dal lato dell’offerta non rappresentino più forme di vantaggi economici derivanti dalla scala di un business; quello che succede oggi, che è a tutti gli effetti il vero fattore di novità, è la combinazione delle due forze che, se ottenuta, permette anche ai network più piccoli di poter avere fortuna.

Gli effetti di rete sono molto potenti ma devono essere comunque innescati correttamente, poiché quando una piattaforma appare sul mercato si trova a doversi confrontare con servizi o prodotti già presenti sul mercato e forniti da imprese già esistenti; le problematiche riguardano quindi il modo in cui

convincere i consumatori a provare la nuova piattaforma, sostenendo i cosiddetti

switching costs, che sono sempre presenti quando si tratta di abbandonare il

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2.1.2 Apparentemente insormontabili: gli switching costs

Gli switching costs sono una tipologia di costi, spesso quantificabili

monetariamente ma che possono essere psicologici o derivare dal tempo o dagli sforzi necessari, che caratterizzano gli utenti che intendono cambiare una

determinata tecnologia, un determinato servizio o prodotto e che originano direttamente dalla natura sistemica dell’economia dell’informazione.

Consideriamo l’esempio di un utente Macintosh che decide di cambiare computer e passare ad un PC Windows; la scelta che si trova ad affrontare non è sicuramente semplice poiché nel corso del tempo in cui ha utilizzato il Mac avrà sicuramente familiarizzato con molti software specifici per quel sistema operativo,

probabilmente la sua stampante compatibile è ancora in ottime condizioni e potrebbe avere colleghi o amici che usano anch’essi il Mac15 . Quello che emerge è

che spesso nell’economia dell’informazione vengono effettuati investimenti in asset complementari che sono specifici per quel determinato prodotto o servizio e che contribuiscono ad aggravare la decisione di cambiare fornitore; effettuare questa scelta significa confrontarsi con inevitabili costi di transizione.

La sfida per una nuova piattaforma che si affaccia sul mercato è quindi quella di costruire un proprio network superando gli switching costs combinati di tutti gli utenti. Con gli effetti di rete gli investimenti di una persona negli asset di un

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network sono complementari agli investimenti delle altre persone facenti parte dello stesso network, così gli switching costs diventano la principale risorsa a favore degli incumbents, ovvero delle imprese già presenti.

La caratteristica formidabile di questi costi è che agiscono in modo non-lineare16

(convincere dieci persone a spostarsi in un altro network è più di dieci volte più difficile che convincerne una sola), inoltre nessuno degli utenti vuole essere il primo a lasciare il network esistente per quello nuovo e coordinare uno spostamento collettivo può essere veramente difficile da realizzare.

Tralasciando per adesso la situazione nei mercati a due versanti, che affronteremo successivamente parlando del chicken and egg problem, solitamente nei mercati classici ad un versante le soluzioni per superare le resistenze dovute ai costi di transizione seguono uno dei due seguenti approcci:

- Strategia evolutiva → la quale prevede la creazione di un sentiero di migrazione per i consumatori attraverso la compatibilità della nuova tecnologia con quelle già esistenti, permettendo una transizione meno drastica e che non vanifichi gli investimenti complementari già effettuati. Il suo effetto è quello di ridurre gli switching costs ad un livello accettabile dall’utente ed esempi in tal senso sono ravvisabili nel settore delle console per videogiochi, dove la retrocompatibilità è molto diffusa.

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- Strategia rivoluzionaria → la quale prevede l’introduzione di tecnologie nettamente superiori a quelle esistenti che autonomamente convincano i consumatori a migrare per le migliorate performance promesse, che devono essere così avanzate da giustificare i costi. Il suo effetto è quello di azzerare gli switching costs rendendoli inefficaci.

Tecnicamente parlando la situazione che origina dalla presenza degli switching costs e con cui si trovano a confrontarsi i consumatori prende il nome di lock in. Essi si ritrovano infatti, spesso senza esserne pienamente consapevoli, bloccati all’interno di un network e molto spesso non sono in grado di uscirne

autonomamente, senza che qualche altra impresa gli “mostri la via”, in realtà con l’intento di bloccarli nuovamente, soltanto in un network diverso.

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2.1.3 Consumatori in carcere: lock in ed incumbent advantage

Shapiro e Varian identificano sette tipologie di situazioni di lock-in che si

verificano quando gli switching costs correlati diventano elevati; è utile una breve rassegna poiché nella maggior parte dei casi essi sono presenti ancora oggi e dalla loro analisi emergono i vantaggi di cui godono gli incumbent e le tattiche e

strategie usate dalle imprese concorrenti per attrarre gli utenti oltrepassando gli switching costs.

1) Impegni contrattuali → la categoria più esplicita di lock-in è rappresentata dagli impegni contrattuali presi con un determinato fornitore e che, se non rispettati, portano al sostenimento di costi di compensazione o di

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consumatore nell’estinzione del debito, offrendo sconti di pari importo o sostenendo direttamente la spesa.

2) Beni durevoli → spesso i consumatori che sostengono l’acquisto di beni durevoli ad alto investimento si ritrovano costretti ad acquistare una serie di beni complementari che, a causa delle diverse spese in diversi momenti temporali, rafforzano il lock-in ed i relativi costi di transizione, derivanti dalla necessità di rimpiazzare tutti gli asset. Tali costi tendono a diminuire con il tempo e con l’invecchiamento tecnologico dei beni; alternativamente possono essere sostenuti dalle imprese interessate alla costruzione di una base di utenti tramite permute o sconti specifici sui cosiddetti acquisti aftermarket, oltre a prevedere opzioni di noleggio/leasing al posto della classica vendita.

3) Formazione specifica → nel caso di tecnologia ad alto contenuto formativo, i consumatori che hanno imparato ad utilizzarla si scontrano con costi diretti per ulteriore formazione e una perdita generalizzata di produttività (quantomeno nel periodo iniziale). Con riguardo alla formazione specifica gli switching costs tendono ad aumentare con il tempo e con gli

aggiornamenti tecnologici forniti dall’impresa incumbent. Le aziende concorrenti devono quindi sviluppare prodotti o servizi che siano familiari con quelli già adottati e auspicabilmente più facili da apprendere.

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4) Informazioni e database → nel caso in cui l’adozione di un nuovo prodotto o servizio richieda il trasferimento di una grande quantità di informazioni o di database è necessario valutare se questo processo provocherebbe la perdita di alcuni dati. Il rischio di perdita di dati cresce in maniera proporzionale al volume dei dati, questa tipologia di switching costs aumenta quindi con il tempo. Le imprese devono spostare l’ottica della competizione sulla possibilità di prevedere standard nei formati e architetture aperte che permettano il passaggio a sistemi compatibili; gli investimenti devono andare al di là di incentivi e sconti ai singoli e concentrarsi sul sistema nel suo complesso.

5) Fornitori specializzati → quando si ha a che fare con prodotti o servizi altamente specializzati gli switching costs originano dalla difficoltà di trovare fornitori in grado di offrire proposte almeno comparabili a quella attuale; il rischio è che l’impresa incumbent riesca ad imporre il proprio standard poiché le altre non troveranno più conveniente operare. Una possibile soluzione risiede nel cosiddetto dual sourcing, per cui le imprese dovrebbero agire affinché gli acquirenti (solitamente si tratta di grosse commesse) considerino più proposte contemporaneamente; lottare per il mantenimento della concorrenza può rivelarsi favorevole per tutti gli attori coinvolti.

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6) Costi di ricerca → per quanto riguarda questa specifica tipologia di costi, il motivo per cui essi sono origine di situazioni di lock-in deriva dalla loro doppia natura, ovvero dal contraddistinguere entrambi i lati dell’offerta e della domanda; da questo deriva che il consumatore preferisce rimanere nella situazione attuale piuttosto che ricercare alternative e allo stesso tempo il fornitore concentra i suoi sforzi sul mantenere le relazioni attuali invece di ricercarne di nuove. Pur con enormi miglioramenti dovuti dalle nuove tecnologie, un modello di economia friction-less è lontano dall’essere realtà, se non altro per un inevitabile grado di inerzia dei consumatori. Le imprese dovrebbero concentrarsi sulla ricerca di soluzioni sempre più efficaci per attrare i consumatori vincendo le loro resistenze e convincendoli ad esaminare le loro proposte.

7) Programmi fedeltà → quest’ultima tipologia rappresenta un lock-in

totalmente artificiale, nel senso che è provocato soltanto dall’azione diretta dell’impresa che riconosce benefici e premi ai consumatori che effettuano acquisti ripetuti; sono strumenti di fidelizzazione importanti poiché permettono di prevedere promozioni personalizzate basate sul profilo individuale di ogni utente.

Le ultime due forme di lock-in sono quelle che si ricollegano maggiormente alle caratteristiche delle moderne piattaforme, da un lato poiché uno dei motivi alla base del loro successo è rappresentato dalla capacità di abbattere i costi di ricerca e

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di transazione tra agenti economici, dall’altro perché i programmi fedeltà si

inseriscono in un quadro più ampio di raccolta e analisi di enormi quantità di dati che, come abbiamo già ricordato, rappresentano la caratteristica comune di tutte le tipologie di piattaforme.

Dall’utilizzo combinato dei network effects e dei big data, trae origine la tendenza delle piattaforme alla costituzione di mercati winner takes all; esse necessitano di una enorme massa critica di utenti per poter divenire profittevoli, ed una volta raggiunta possono erigere barriere all’entrata elevate poiché riescono a raccogliere, analizzare ed utilizzare in una varietà di modi una gigantesca mole di dati che risulta inaccessibile ai potenziali nuovi entranti e che permette loro di offrire servizi e prodotti sempre più personalizzati, in un processo di lock-in auto-rinforzante che sembra inarrestabile e che pone serie preoccupazioni nel campo antitrust o della regolazione.

Nel paragrafo 2.4 cercheremo di affrontare questi argomenti in ottica di politica economica che, seppur fuori dagli obiettivi principali del presente lavoro, può aiutare a rimarcare meglio l’impatto che le piattaforme stanno avendo sulla società contemporanea.

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2.2 È nato prima l’uovo o la gallina?

Come anticipato, una delle caratteristiche principali delle piattaforme è il loro ruolo di matchmakers; esse agiscono con la specifica funzione di mettere in contatto tra loro gruppi di utenti diversi (ad es. acquirenti e venditori, audience e inserzionisti pubblicitari, ecc) nei cosiddetti multi-sided markets ovvero mercati a più versanti.

La natura dei network effects cambia radicalmente in questa tipologia di mercati, a causa della presenza di gruppi di utenti diversi e dà vita ai cosiddetti cross-side

network effects. Se infatti, nel caso del network telefonico, l’aumento degli utenti

che lo utilizzano porta ad un incremento degli utenti che lo utilizzeranno, nel caso di Uber, l’aumento del numero dei guidatori porta ad un aumento dei passeggeri e l’aumento dei passeggeri porta ad un aumento dei guidatori, ma è fondamentale ricordare che le due tipologie di utenti fanno parte di due mercati ben distinti.

In situazioni del genere il gruppo di utenti A deriva il suo valore nella piattaforma dalla presenza del gruppo di utenti B e viceversa; diventa quindi fondamentale riuscire a convincere entrambi i gruppi a “salire a bordo”, ma in quale ordine? Come si può convincere il gruppo A se non ci sono già utenti del gruppo B

presenti? E come convincere il gruppo B se allo stesso tempo non ci sono già utenti del gruppo A?

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Le piattaforme si ritrovano a dover risolvere il “chicken and egg issue”, una situazione di impasse che può essere decisiva per il futuro della piattaforma, poiché se non risolta in modo organico e sostenibile non è possibile innescare il percorso di crescita così importante per il sano prosperare dell’impresa.

Sono state individuate17 quattro strategie per superare lo stallo:

1) Lento e costante → seguendo questo approccio si cerca di garantire una

product offering preziosa ad entrambi i lati del mercato, fin dai primissimi

utenti. Solitamente le piattaforme che hanno seguito questa strada hanno deciso di iniziare le loro attività localmente, per poi ampliare il loro

orizzonte soltanto in un secondo momento. Volendo fare qualche esempio, Uber inizialmente operava soltanto nella zona di San Francisco mentre Facebook ha lanciato la sua applicazione nel campus universitario di Harvard ed anche Amazon ha iniziato concentrandosi su una nicchia specifica, vendendo libri online.

2) Trampolino di lancio → seguendo questo approccio le imprese si concentrano nell’attrarre velocemente soltanto uno dei due gruppi di utenti, mentre sviluppano una crescita graduale per l’altro. Ci sono tre modi per attirare subito un gruppo di utenti a bordo:

17 https://medium.com/ondemand/how-uber-solved-its-chicken-and-egg-problem-and-you-can-too-fab1be824984

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- Partnership opportunistiche connettendosi con una base utenti già esistente di un’altra piattaforma e dimostrare il valore creato, così da invogliare l’utilizzo dei prodotti o servizi proprietari. Questa strategia può essere applicata in due diverse modalità: nella prima si prevede una vera e

proprio partnership con altre imprese, come ha fatto Google con Netscape e Yahoo nei suoi primi anni di esistenza; nella seconda modalità l’impresa approfitta semplicemente di realtà terze già attive, come è successo con PayPal che attraverso la creazione di acquisti “artificiali” sul sito di eBay è riuscita a far conoscere il proprio servizio ad una platea enorme di persone (nel giro di tre mesi gli utenti PayPal sono cresciuti da 100.000 a 1 milione). - Semplificare al massimo l’utilizzo per una parte, ovvero far sì che un

gruppo di utenti incontri meno costi e meno rischi possibili; è questa la strategia usata da Uber che ha reso il più facile possibile per i driver

utilizzare la piattaforma, dando loro persino uno smartphone da utilizzare. Nella scelta della tipologia di utente si cercano di attrarre alcuni segmenti chiave di consumatori (o produttori); può succedere che anche da un solo gruppo ristretto di utenti possa dipendere il successo di una piattaforma. - Sussidiare l’adesione di un gruppo di utenti, offrendo ad esempio il

servizio in maniera gratuita per stimolarne la prova; sempre Uber persegue anche questa ulteriore strategia concedendo ai nuovi iscritti la possibilità di usufruire di corse gratuite.

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Riuscire ad attrarre in poco tempo un numero consistente di utenti da un lato del mercato, quello ritenuto più attraente e capace di creare il maggior valore collettivo, è talmente importante per una piattaforma che assume senso che essa accetti di perdere soldi con il gruppo A (in maniera sistematica, non solo per brevi periodi di tempo) se questo porta ad una crescita del network totale e ad un aumento dei ricavi nel gruppo B (condizione necessaria è che i ricavi ottenuti dal gruppo B siano maggiori delle perdite registrate con il gruppo A)18 . Questa strategia rimane

comunque molto rischiosa poiché richiede un grosso investimento iniziale. 3) Fake it till you make it → ovvero fingere la presenza di una base utenti già

installata quando in realtà ancora non esiste, in questo modo convincendo la controparte ad unirsi alla piattaforma. Flipkart, colosso indiano nel settore e-commerce, nelle prime fasi di attività acquistava la merce venduta soltanto dopo aver ricevuto l’ordine, nell’intento di non immobilizzare risorse in costosi magazzini e prima di aver raggiunto un numero considerevole di venditori presenti sulla piattaforma. Ulteriori esempi provengono dal mondo delle dating app, dove succede quasi sempre che nella fase iniziale vengano creati appositi profili falsi di donne per attrarre gli uomini sulla piattaforma.

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4) Approccio graduale → è una strategia volta ad aggirare il chicken and egg issue. L’imprese concentra i propri sforzi nella creazione della value proposition nei confronti di uno solo dei gruppi di utenti permettendo la nascita e lo sviluppo di una base di utenti ben definita. Soltanto in un secondo momento l’impresa si trasforma in una piattaforma, aprendosi all’altro gruppo di utenti. Uno degli esempi più famosi è rappresentato da LinkedIn, il quale nasce come social network rivolto ai professionisti e che solo successivamente, una volta raggiunta una soglia di utenti

sufficientemente elevata, si è trasformato in una vera e propria piattaforma con servizi mirati al settore dei recruiter o di chi cerca lavoro. Questa strategia permette di ridurre il rischio connesso all’investimento, poiché l’impresa potrebbe benissimo continuare ad operare pur senza aprirsi mai all’altro lato del mercato, ma non è comunque priva di difficoltà nella sua attuazione e soprattutto nel delicato momento del passaggio alla

piattaforma, in cui è fondamentale garantire una comunicazione adeguata con clienti, investitori e stakeholder già esistenti.

Una volta risolto il chicken and egg problem, uno dei metodi più potenti per accelerare la crescita è fare ricorso al viral marketing, strategia complementare ad ognuna delle altre appena descritte.

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Il marketing virale è un processo pull (ottica che, come abbiamo ricordato

precedentemente, cerca di attivare un meccanismo per cui è la domanda finale a tirare l’offerta aziendale) basato sull’incoraggiare gli utenti a diffondere la

piattaforma ad altri potenziali utenti, facendo sì che il network si auto-alimenti e cresca in maniera organica.

L’esempio19 di come Instagram è riuscita a crescere fino a più di 100 milioni di

utenti attivi in meno di due anni, è esemplificativo di questo metodo e ha portato alla famosa acquisizione per un miliardo di dollari da parte di Facebook nel 2012 (al momento dell’acquisizione Instagram aveva 13 dipendenti e nemmeno un marketing manager tradizionale). Per far sì che potesse avvenire questa

formidabile crescita di utenti, Instragram ha costruito un sentiero ben specifico di diffusione virale, incoraggiando gli utenti a condividere le foto postate sulla piattaforma su network esterni, ad esempio su Facebook, in questo modo convertendo ogni utilizzatore in un marketer. Gli amici dell’utente in questione erano intrigati dalla fotografia e visitavano Instagram, iniziavano a postare le loro proprie foto e facevano ripartire il ciclo dall’inizio.

È importante che gli utenti inizino a diffondere la loro presenza sulla piattaforma in modo naturale e solitamente lo fanno con lo scopo di avere feedback sociali, fama o appagamento, poiché tali obiettivi permettono una efficacia persino

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maggiore di quella derivante da incentivi monetari. Allo stesso tempo non tutte le piattaforme hanno i servizi o i prodotti con le caratteristiche giuste per far nascere in maniera spontanea la diffusione virale e quindi esse devono riuscire a

predisporre gli strumenti che spingano gli utenti nella creazione di contenuti ad alto tasso di shareability, ossia adatti alla condivisione.

Ad ogni modo il chicken and egg problem rappresenta a tutti gli effetti una delle sfide più difficili per le imprese che operano in un mercato a più versanti.

Riuscire a superarlo a proprio vantaggio non è così scontato ed esistono molti casi di aziende promettenti o con idee innovative che non sono riuscite ad oltrepassare la fase iniziale del loro sviluppo proprio a causa di questa impasse. Le strategie presentate non hanno una validità universale né sono garanzia di successo e spesso c’è bisogno di attuarne più di una congiuntamente, ma la pazienza e la tenacia verranno ricompensate poiché la giusta combinazione di queste strategie con le tecniche di viral marketing può innescare una crescita esplosiva.

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2.3 C’è chi ne sa di più: asimmetria informativa e costi di

transazione

I mercati non sono perfetti. La suggestione teorica della concorrenza perfetta altro non è, appunto, che uno strumento teorico, una legge generale molto utile per formulare previsioni, ma che si discosta enormemente dalla realtà, che è tutta un’altra cosa20 .

Tra le varie ipotesi alla base della teoria del mercato perfettamente concorrenziale quella che ci interessa maggiormente è quella che prevede la presenza di una situazione di “informazione perfetta”, nella quale gli operatori economici hanno accesso a tutte le informazioni (prezzo, qualità, condizioni contrattuali) dei prodotti/servizi e del mercato in cui operano e le contrattazioni avvengono in completa trasparenza.

Quello che succede realmente nel mercato è invece una situazione di cosiddetta

asimmetria informativa, ovvero la presenza di operatori che dispongono di più

informazioni o di informazioni più precise rispetto ad altri operatori; questo porta ad una condizione di fallimento del mercato poiché gli scambi che avvengono non conducono alla miglior utilizzazione delle risorse disponibili.

20 Soltanto in pochi mercati, solitamente quelli di prodotti agricoli internazionali, si rilevano situazioni tali da

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L’asimmetria informativa si evidenzia solitamente nei casi di selezione avversa e azzardo morale.

La selezione avversa avviene quando, nella contrattazione tra gruppi di agenti economici diversi, uno dei gruppi ha a disposizione informazioni migliori rispetto all’altro e questo porta ad inevitabili comportamenti opportunistici da parte del lato più informato, che cerca di manipolare ed ingannare la controparte. I

comportamenti in questione, detti anche di opportunismo ex-ante, sono in realtà dannosi anche per coloro che li mettono in atto, poiché danno vita ad un circolo vizioso che potrebbe portare alla sparizione del mercato di riferimento.

Uno dei primi economisti ad analizzare questo argomento è stato George A. Akerlof nel suo “The market for lemons: quality uncertainty and the market mechanism” del 1970, divenuto l’esempio per eccellenza per spiegare i

meccanismi con cui agisce la selezione avversa. Nell’analisi di Akerlof21 viene

preso in considerazione il mercato delle auto usate (“lemon” viene utilizzato negli USA come sinonimo di auto di pessima qualità, il corrispettivo americano di un “bidone”), caratterizzato da compratori e venditori e auto di buona e cattiva qualità; l’asimmetria informativa si manifesta perché soltanto i venditori possono conoscere in anticipo la qualità delle auto vendute, mentre tali informazioni non sono disponibili per i compratori, che devono fidarsi delle valutazioni espresse

21 George A. Akerlof, The market for “lemons”: quality uncertainty and the market mechanism, The

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dalla controparte. Assumendo che il mercato sia composto da 100 auto, il compratore può ipotizzare che metà di esse siano “limoni” e metà di buona

qualità; inoltre: (1) le aspettative di prezzo dei venditori sono di 1000$ per i limoni e di 2000$ per le auto di buona qualità, (2) la disponibilità a pagare dei compratori è di 1200$ per i limoni e di 2400$ per le auto di buona qualità. Se il compratore si affida alla eguale probabilità di acquistare sia un limone che una auto di buona qualità, la sua disponibilità a pagare sarà pari a ½ (1200) + ½ (2400) = 1800$; quindi il prezzo medio che l’acquirente è disposto a pagare è più basso del prezzo a cui il venditore venderebbe un’auto in buone condizioni, ma più alto di quello che chiederebbe per una in cattive condizioni, con la conseguenza che soltanto i “limoni” saranno offerti per quella cifra. I compratori, fossero certi di acquistare un’auto di buona qualità, sarebbero disposti a pagare tra i 2000-2400$, ma poiché l’informazione è imperfetta, anche se la disponibilità a pagare eccede le aspettative di prezzo dei venditori, non ha luogo nessuna transazione del genere. La dinamica che si innesca corrisponde a quella descritta dalla legge di Gresham, secondo la quale “la moneta cattiva scaccia quella buona” ed in poco tempo il mercato delle auto usate sarà composto solamente da vetture in cattive condizioni.

Akerlof individua inoltre quelle che lui definisce “istituzioni per neutralizzare gli effetti dell’incertezza nella qualità”, le quali sono:

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- Garanzie → prevedono che il prodotto garantisca dei requisiti minimi di qualità e fanno sì che il rischio sia sostenuto dai venditori, spostando su di essi l’onere in caso di difformità.

- Brand → il “buon nome del brand” indica la qualità e dà anche ai consumatori dei mezzi di ritorsione se essa non si rivela quella attesa. - Catene → con un funzionamento simile al brand, garantiscono la qualità in

ogni negozio o locale posseduto; servono da indicatore di fiducia soprattutto per consumatori non del luogo (esempio tipico: catene di alberghi o ristoranti).

- Licenze o abilitazioni → certificazioni che garantiscono il rispetto di determinati livelli o standard di qualità.

L’azzardo morale, detto anche opportunismo ex-post, descrive la tendenza a perseguire i propri interessi a spese della controparte, confidando

nell’impossibilità di verificarne il dolo o la negligenza. Solitamente si parla di moral hazard con riferimento al settore delle assicurazioni, dove viene così

individuato il rischio che corre l’assicuratore quando un evento può essere in parte determinato dall’assicurato, nel senso che quest’ultimo può influire sulla

probabilità che tale evento si verifichi. Anch’esso origina da una situazione di non perfetta uguaglianza nell’informazione perché l’assicuratore non potrà mai

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verificare con esattezza se l’assicurato abbia tenuto comportamenti scorretti. Alcune delle soluzioni trovate dalle compagnie assicurative riguardano: (1) partecipazione dell’assicurato al rischio, (2) sconti sul premio se l’assicurato dimostra di attuare determinati comportamenti per ridurre il rischio, (3) correlare il premio al comportamento passato dell’assicurato. Altro esempio di azzardo morale fa riferimento al rapporto principale-agente, ovvero a tutte quelle situazioni in cui un soggetto “agente” agisce per conto dell’altra parte, il

“principale” e nelle quali quest’ultimo non è in grado di effettuare un controllo puntuale sulle azioni della controparte. In questi casi si cercano di stipulare contratti in cui gli interessi delle due parti coincidano, cosicché il comportamento dell’agente tenda in modo naturale alla soddisfazione degli obiettivi del

principale.

Selezione avversa e azzardo morale sono quindi responsabili di situazioni di fallimento del mercato causate da asimmetrie informative. Per migliorare l’uguaglianza quali-quantitativa nel possesso di informazioni si è sviluppata la figura dell’intermediario, soggetto terzo alla trattativa che agisce a garanzia del corretto svolgimento del rapporto fra le due controparti. Tale ruolo esiste da secoli e non rappresenta quindi una novità introdotta dall’economia delle piattaforme, ma innovativo è sicuramente il modo con cui le nuove tecnologie permettono di intermediare nelle relazioni fra soggetti con interessi contrapposti.

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Sebbene uno degli scenari immaginabile con l’avvento delle tecnologie digitali potesse essere quello di un’economia senza intermediari e connessioni dirette tra produttori e consumatori, non sembra che questo stia avvenendo. Quello che è possibile osservare è invece una sostanziale modifica nel ruolo

dell’intermediatore, più propriamente nei soggetti che quel ruolo lo ricoprono; le piattaforme digitali nei più svariati campi si sono sostituite e si stanno sostituendo alle imprese tradizionali e ai singoli soggetti, spesso riuscendo a sostituire agenti inefficienti e non scalabili con strumenti automatizzati, facendo affidamento su algoritmi e feedback sociali. Uno degli esempi più emblematici di una

trasformazione ancora soltanto agli inizi riguarda il settore bancario, nello specifico l’erogazione di prestiti a privati. In questo ambito il dominio delle banche è pressappoco incontrastato da secoli, ma negli ultimi anni si sono intravisti dei cambiamenti nello scenario competitivo che fanno presagire un futuro diverso. Nel 2005 in Gran Bretagna è stata fondata Zopa, prima di una serie di piattaforme digitali nate con l’intento di rivoluzionare il mercato creditizio. L’idea di fondo risiede nel cosiddetto peer-to-peer lending, ovvero il prestito tra pari; la piattaforma si sostituisce al ruolo ricoperto dalla banca poiché agisce come un intermediario e crea le condizioni affinché coloro che vogliono investire

prestando denaro a terzi riescano ad incontrare la relativa domanda di credito da parte di coloro che sono invece desiderosi di ricevere il prestito. Grazie all’uso della tecnologia Zopa riesce ad operare con più efficienza, ad esempio offrendo la

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pre-approvazione al 65% dei richiedenti il prestito in appena 12 secondi22 ; se si

effettua un paragone con il mercato tradizionale, dove spesso servono giorni per ottenere l’approvazione, si coglie subito l’incremento nella qualità del servizio. Questo succede perché l’algoritmo impiegato analizza la solvibilità del richiedente sia con dati convenzionali che non convenzionali (connessioni su LinkedIn,

stabilità dell’indirizzo e-mail, ecc.) per stabilire la probabilità di avere a che fare con intenti fraudolenti23 ed è in grado di stabilire pattern comportamentali grazie

all’esperienza potendo così ridurre i rischi e offrire tassi di interesse più bassi ai richiedenti il prestito e tassi più alti agli investitori; ancora una volta è possibile notare come l’utilizzo dei big data sia fondamentale e responsabile di un prezioso vantaggio competitivo per le piattaforme digitali.

Possiamo affermare che la caratteristica di intermediario è insita nel DNA delle piattaforme online, le quali nascono sempre con l’obiettivo di mettere in

collegamento tra di loro agenti economici differenti; la condizione di matchmaker è a tutti gli effetti imprescindibile. Esse riescono in questo obiettivo con risultati superiori, sotto il profilo dell’efficienza e dei costi, rispetto alle istituzioni tradizionali perché sfruttano appieno il potenziale delle nuove tecnologie operando in un ambiente digitale nativo. Il valore aggiunto dell’azione delle piattaforme sta nel garantire: facilità nell’interazione, qualità dell’interazione,

22 Articolo di “The Times” citato sul sito https://www.zopa.com/ 23https://platformed.info/peer-lending-platforms-disrupt-banking/

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massima soddisfazione per entrambe le parti, predisposizione di strumenti di garanzia e trasparenza, supporto attivo in tutte le fasi dell’interazione, risoluzione di controversie post-interazione.

Oltre alle situazioni di asimmetria informativa gli agenti operanti sul mercato devono confrontarsi con una serie di costi denominati costi di transazione, definiti come i costi sostenuti per realizzare uno scambio, un contratto o una transazione economica in genere. La loro individuazione è associata all’economista Oliver Williamson, il quale sosteneva che le imprese nascono appunto come soluzione per minimizzare tali costi, anche se in realtà l’origine del termine sarebbe da attribuire a Ronald Coase ed il suo “The nature of the firm” del 1937, a cui l’analisi di Williamson fa seguito. I costi di transazione possono essere identificati come derivanti da: (1) investimenti specifici, ovvero elevati costi di ricerca, di

contrattazione, costi legali, ecc., (2) razionalità limitata e correlata impossibilità di prevedere ogni circostanza, (3) opportunismo, di cui i già discussi selezione avversa e moral hazard. Anche in questo caso le moderne piattaforme digitali trovano una giustificazione alla loro esistenza perché riescono a diminuire notevolmente la presenza di questi costi nelle relazioni di mercato. Esse sono in grado di ridurre i costi di ricerca grazie allo sviluppo di algoritmi sempre più complessi che migliorano la loro efficienza con i dati ed il il tempo; sono in grado di ridurre i costi di contrattazione grazie allo sviluppo di standard e procedure comuni; sono in grado di ridurre i costi legali sia in fase di stesura dei contratti,

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grazie alla previsione di format unici e algoritmi di supporto (per non parlare della rivoluzione della blockchain e degli smart contracts), sia nella fase post-contrattuale grazie all’applicazione di leggi e norme interne che regolano le controversie; sono in grado di ridurre i costi legati alla razionalità limitata, pur non essendo in grado di eliminarla, semplificando al massimo il ricorso a nuove soluzioni una volta che esse si rendano necessarie.

Il ricorso alle nuove tecnologie dell’informazione permette alle piattaforme di differenziarsi dalle tradizionali imprese pipeline in relazione al fatto che non sono esse stesse a produrre le value units che vengono scambiate, ma il loro ruolo si indirizza invece alla creazione dell’infrastruttura, alla promozione di una cultura della qualità stabilendo i principi che governano le interazioni, all’utilizzo di “filtri” disegnati per favorire determinate unità di valore e bloccarne altre e

garantire il valore delle interazioni prodotte per il singolo utente. L’ottica primaria nell’esercizio dell’attività di impresa cambia radicalmente e le aziende che

operano con un modello piattaforma possono essere considerate una sorta di direttore d’orchestra nell’ecosistema da loro creato; in definitiva il focus viene capovolto e si sposta dalle attività interne a quelle esterne.

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2.4 Le piattaforme hanno troppo potere?

Concludiamo l’esame degli strumenti e delle teorie alla base del successo del modello piattaforma con una critica in ottica macroeconomica relativa al ruolo da essere raggiunto nell’economia contemporanea. Con la consapevolezza che un’analisi di questo tipo va oltre il focus del presente lavoro e che l’argomento è complesso, quanto mai attuale e dibattuto, cercheremo di offrire una visione d’insieme delle principali istanze, cercando di far emergere brevemente le principali posizioni presenti.

Come già discusso nel capitolo uno l’economia globale è dominata dalle piattaforme, il loro modello di business si sta diffondendo a macchia d’olio e sempre più imprese in sempre più settori lo stanno adottando per gestire la loro presenza sul mercato, comprese molte aziende incumbent che hanno compreso la rivoluzione digitale. Non tutte le piattaforme sono enormi colossi, ma anzi in molti casi sono hanno la forma di start-up o rappresentano comunque delle nicchie rispetto al valore totale del loro mercato di riferimento. Quando si parla dello strapotere delle piattaforme, è necessario comprendere che ci si sta riferendo ad un gruppo ristretto di imprese, spesso definite Big Tech, e nello specifico Google, Amazon, Facebook, Apple e Microsoft (G.A.F.A.M.), le quali rappresentano le cinque imprese americane più grandi per capitalizzazione di borsa.

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Le questioni aperte, riguardanti il dominio delle Big Tech sono molte ed il dibattito, che va dalle preoccupazioni sulla privacy degli individui a quelle sull’evasione fiscale, è particolarmente accesso: ci limitiamo ad evidenziare di seguito due delle principali istanze, ovvero (1) le enormi barriere all’entrata dovute alla disponibilità di big data raccolti dalle compagnie e (2) le pratiche di acquisizioni da esse portate avanti.

Queste compagnie sono state accusate di aver ridotto la concorrenza e di aver sviluppato posizioni dominanti o veri e propri monopoli, causando inefficienti allocazioni di beni e servizi sul mercato, nello specifico la fattispecie risiederebbe soprattutto nell’esclusione dei concorrenti che vorrebbero entrare nello spazio competitivo ma non riescono a farlo per le elevate barriere all’entrata. Allo stesso tempo molte imprese sono dominanti sul mercato in ragione della migliore qualità che i consumatori attribuiscono loro ed in questi casi la dominanza è frutto

dell’innovazione; proprio per questo le normative antitrust non colpiscono la dominanza ma soltanto l’abuso di posizione dominante. Per quanto possa

apparire indubbia la posizione dominante di molte delle piattaforme a causa della loro rilevanza e dimensione globale, resta tuttavia difficile individuare quali siano i mercati di riferimento, data la natura di intermediari in mercati a più versanti e l’operare congiunto in svariati settori economici24 .

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In ogni caso possiamo però affermare che il potere delle piattaforme deriva loro dalla combinazione di effetti di rete e big data e la difficoltà per potenziali nuovi entranti, seppur titolari di servizi innovativi, risiede tutta nel dover scalare la massa critica (con la difficoltà di coordinare l’uscita dei consumatori dal servizio precedente) per poter disporre di dati simili per quantità e qualità. In loro difesa le piattaforme sostengono che il cosiddetto multihoming (utilizzo congiunto di più servizi) è sempre stato possibile e praticabile; anche se bisogna sottolineare come un vero e proprio multihoming sia possibile soltanto in presenza di una

interoperabilità tra le stesse piattaforme e con la portabilità del dato effettivamente garantita e agevolata (il GDPR europeo va in questa direzione, sebbene riteniamo che non vi potrà essere una portabilità del dato effettiva fintanto che non venga riconosciuto il valore economico proprietario del dato ed esso venga assimilato ad altri asset). Ancora, le piattaforme sostengono che i dati siano riproducibili e che vi sia un limite superiore oltre il quale si manifesterebbero rendimenti decrescenti derivanti dalla ridondanza dei dati stessi, quindi per profilare in modo efficace un utente è sufficiente estrarre un numero relativamente ridotto di informazioni, pratica perseguibile anche da una piccola impresa appena entrata sul mercato.

Altro punto importante riguarda la disponibilità da parte delle piattaforme online di una enorme liquidità, che ha consentito loro di acquisire con fusioni e

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