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lavorativa degli individui, quali criticità si ravvisano?

Uno degli ambiti in cui l’impatto delle lean platforms è stato nientemeno che dirompente riguarda la vita lavorativa degli individui. La questione dei sempre più diffusi lavori a breve termine, detti “gig” in inglese, può essere analizzata sotto molteplici punti di vista, di cui i principali sono due: (1) la nascita delle

“piattaforme lavorative” che ha dato vita alla cosiddetta freelance economy (anche conosciuta come 1099 economy, dal nome del modulo usato in USA per le

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piattaforme che tendono ad esternalizzare le posizioni lavorative invece che affidarsi ad impiegati interni.

Per quanto riguarda le labor platforms gli esempi più conosciuti sono quelli di Upwork, Freelancer, TaskRabbit e Amazon Mechanical Turk, che, a vari livelli, permettono agli utenti di fornire prestazioni lavorative mettendoli direttamente in contatto con le aziende interessate. Upwork e Freelancer sono network di

professionisti (si va dai grafici ai consulenti aziendali, dai programmatori ai personal trainer) con un approccio più specializzato, Amazon Mechanical Turk tratta invece operazioni informatiche più standardizzate, come ad esempio la raccolta di informazioni su siti web o la partecipazione a sondaggi e interviste, rivolgendosi quindi ad un pubblico più ampio; infine TaskRabbit offre i suoi servizi nell’ambito dei lavori manuali, come pulizie, traslochi, interventi tecnici di elettricisti o idraulici. I servizi offerte da queste piattaforme sono valutati

positivamente da coloro che considerano l’autonomia e una maggiore flessibilità nell’orario di lavoro come un valore raggiunto (e ricordiamo che più dei due-terzi dei 57 milioni di freelancers americani mantiene un lavoro tradizionale come primo lavoro45 ), ma contestualmente danno vita ad una serie di importanti

problematiche per chi invece si trova nella posizione di assoluta dipendenza da tali impieghi, per natura incerti ed aleatori, vivendo senza i benefici e le garanzie

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di solito assicurate per legge ai dipendenti diretti. Le dinamiche tipiche del funzionamento delle piattaforme richiedono inoltre il necessario sviluppo di competenze digitali, soprattutto di presenza online e di personal branding, per riuscire a districarsi nella selva della competizione in rete, ma la conoscenza delle adeguate soft skills digitali non presenta ancora un elevato indice di penetrazione tra la popolazione. Il rischio correlato ad un crescente utilizzo di tali piattaforme senza le adeguate previsioni legislative è quello di incentivare il lavoro precario ed in società quali quella statunitense dove servizi essenziali, come l’assistenza

sanitaria, sono forniti principalmente tramite programmi per impiegati, è facile capire come tali situazioni appaiano ancora più problematiche. Ad ogni modo la semplicità e l’agilità garantite da tali piattaforme ne hanno decretato un enorme successo e le aziende sono spesso ben liete di tagliare costi, anche sostanziosi, grazie al loro utilizzo; dall’altro lato i lavoratori più intraprendenti vedono in esse possibilità e opportunità che il “mondo reale” non riesce ad offrire. Ci sentiamo di affermare che per esprimere completamente gli effetti sulla collettività del nuovo mercato del lavoro delle labor platforms sia necessario innanzitutto colmare vuoti normativi e potenzialmente prevedere maggiori programmi di welfare da parte degli stati nazionali; a nostro avviso obbligare questa tipologia di compagnie ad assumere i lavoratori indipendenti non rappresenta una soluzione, poiché a tutti gli effetti il loro business model prevede l’agire come intermediari, facendo incontrare domanda ed offerta di un certo servizio e non il fornire direttamente il

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servizio con mezzi propri, che provocherebbe un aumento dei costi per tali aziende anche del 40%, con impatti sulla crescita e in ultima istanza sulla loro stessa esistenza, mettendo a rischio un settore con indiscussi benefici per i consumatori.

Il ragionamento fin qui seguito assume altre connotazioni se si considerano invece le piattaforme che fondano il proprio business model sull’esternalizzazione delle posizioni lavorative. Si fa riferimento a tutte quelle imprese che forniscono i loro servizi tramite l’impiego di lavoratori non facenti parte dell’organico aziendale in senso stretto, oppure che presentano una value proposition largamente basata sull’apporto dei cosiddetti UGC (user generated content), contenuti generati dagli utenti. In entrambi i casi ed in contrasto con le labor platforms che si limitano a mettere in contatto gruppi di utenti diversi, queste piattaforme presentano un’intrinseca dipendenza dalle prestazioni lavorative dei propri utenti ed in quest’ottica parrebbe più sensato che esse assumano i lavoratori indipendenti o che in qualche modo partecipino alle loro necessità sociali, ad esempio garantendo loro programmi di assistenza sanitaria, titolarità per i sussidi alla disoccupazione, bonus e benefici economici collegati ai risultati, indennizzi per ferie e malattia. Nel caso che andremo ad analizzare, il successo di Twitch è dovuto in larga parte alla presenza di streamer famosi che portano con sé audience per la piattaforma; riteniamo che in casi come questi, dove magari lo streamer è spinto ad accettare contratti di esclusiva, esso sia da considerare a tutti gli effetti un dipendente della

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compagnia, con tutti i benefici che ne conseguono. Queste considerazioni non valgono però in maniera indistinta; solitamente46 si considera il lavoratore un

dipendente dell’impresa se l’impresa ha un diretto controllo sul suo orario di lavoro, se il lavoratore è obbligato ad indossare un’uniforme, se riceve un periodo di formazione o se usa una serie di strumenti messi a sua disposizione

dall’azienda. In sostanza fintanto è garantita una vera indipendenza

nell’espletamento delle proprie funzioni lavorative, i lavoratori sono considerati autonomi e non rientrano nell’ambito di applicazione delle normative a tutela degli impiegati; questa è la difesa cui fanno appello le varie compagnie accusate di sfruttare i lavoratori senza assumerli direttamente, tra cui Uber e Lyft tra i casi più famosi47 . Sempre con riferimento ad Uber, l’economista Don Bodreaux critica, in

un articolo sul suo blog, le posizioni di un altro economista, Thomas Piketty, secondo il quale i possessori del capitale accrescono costantemente le loro

ricchezze a discapito di chi il capitale non lo possiede e che invece si impoverisce sempre di più. Secondo Boudreaux 48 Uber e altre piattaforme innovative della

“sharing economy” (ad esempio Airbnb) permettono a persone ordinarie di trasformare i loro beni di consumo in beni capitale da cui estrarre reddito e così facendo fanno sì che questi beni diventino parte del valore dello stock di capitale

46 Con riferimento alla normativa statunitense identificata con il “test a 20 fattori chiave” dell’IRS: https://www.irs.gov/pub/irs-utl/x-26-07.pdf

47https://www.theverge.com/2020/6/24/21302140/california-ag-uber-lyft-drivers-classify-employees- preliminary-injunction

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generale dell’economia. In quest’ottica gli sforzi regolamentatori dei governi rappresentano interventi a difesa del valore del capitale già esistente e dei capitalisti di lungo corso, ostacolando in ultima istanza la produzione di reddito da beni di loro proprietà da parte dei cittadini. L’argomento si presenta quindi molto delicato e, come spesso accade quando si parla dell’impatto sociale delle piattaforme, non è facile legiferare per regolamentarlo poiché i cambiamenti sono vari, a vari livelli, ed incidono in maniera profonda sui concetti stessi di

collettività, lavoro, etica; il mondo che queste piattaforme stanno iniziando a delineare è probabilmente la forma embrionale di un cambiamento epocale che sta ridisegnando gli equilibri della vita di tutti noi e la sta trasportando verso una condizione pienamente digitale che ancora può essere soltanto immaginata nelle sue mille sfaccettature. Proprio per questi motivi dare un giudizio definitivo sul loro operato nel mondo del lavoro è complesso e forse impossibile, se non altro a nostro avviso le situazioni di abuso non sono causate soltanto dalla negligenza delle piattaforme ma sono da imputare in egual misura alle legislazioni nazionali che, come detto, non vogliono o non riescono a stare al passo con il progresso tecnologico, finendo di fatto per non regolamentarlo in maniera soddisfacente.

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3.9 Perché molte lean platforms vengono acquisite dopo