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Le piattaforme hanno troppo potere?

Capitolo 2 – Economia delle piattaforme

2.4 Le piattaforme hanno troppo potere?

Concludiamo l’esame degli strumenti e delle teorie alla base del successo del modello piattaforma con una critica in ottica macroeconomica relativa al ruolo da essere raggiunto nell’economia contemporanea. Con la consapevolezza che un’analisi di questo tipo va oltre il focus del presente lavoro e che l’argomento è complesso, quanto mai attuale e dibattuto, cercheremo di offrire una visione d’insieme delle principali istanze, cercando di far emergere brevemente le principali posizioni presenti.

Come già discusso nel capitolo uno l’economia globale è dominata dalle piattaforme, il loro modello di business si sta diffondendo a macchia d’olio e sempre più imprese in sempre più settori lo stanno adottando per gestire la loro presenza sul mercato, comprese molte aziende incumbent che hanno compreso la rivoluzione digitale. Non tutte le piattaforme sono enormi colossi, ma anzi in molti casi sono hanno la forma di start-up o rappresentano comunque delle nicchie rispetto al valore totale del loro mercato di riferimento. Quando si parla dello strapotere delle piattaforme, è necessario comprendere che ci si sta riferendo ad un gruppo ristretto di imprese, spesso definite Big Tech, e nello specifico Google, Amazon, Facebook, Apple e Microsoft (G.A.F.A.M.), le quali rappresentano le cinque imprese americane più grandi per capitalizzazione di borsa.

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Le questioni aperte, riguardanti il dominio delle Big Tech sono molte ed il dibattito, che va dalle preoccupazioni sulla privacy degli individui a quelle sull’evasione fiscale, è particolarmente accesso: ci limitiamo ad evidenziare di seguito due delle principali istanze, ovvero (1) le enormi barriere all’entrata dovute alla disponibilità di big data raccolti dalle compagnie e (2) le pratiche di acquisizioni da esse portate avanti.

Queste compagnie sono state accusate di aver ridotto la concorrenza e di aver sviluppato posizioni dominanti o veri e propri monopoli, causando inefficienti allocazioni di beni e servizi sul mercato, nello specifico la fattispecie risiederebbe soprattutto nell’esclusione dei concorrenti che vorrebbero entrare nello spazio competitivo ma non riescono a farlo per le elevate barriere all’entrata. Allo stesso tempo molte imprese sono dominanti sul mercato in ragione della migliore qualità che i consumatori attribuiscono loro ed in questi casi la dominanza è frutto

dell’innovazione; proprio per questo le normative antitrust non colpiscono la dominanza ma soltanto l’abuso di posizione dominante. Per quanto possa

apparire indubbia la posizione dominante di molte delle piattaforme a causa della loro rilevanza e dimensione globale, resta tuttavia difficile individuare quali siano i mercati di riferimento, data la natura di intermediari in mercati a più versanti e l’operare congiunto in svariati settori economici24 .

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In ogni caso possiamo però affermare che il potere delle piattaforme deriva loro dalla combinazione di effetti di rete e big data e la difficoltà per potenziali nuovi entranti, seppur titolari di servizi innovativi, risiede tutta nel dover scalare la massa critica (con la difficoltà di coordinare l’uscita dei consumatori dal servizio precedente) per poter disporre di dati simili per quantità e qualità. In loro difesa le piattaforme sostengono che il cosiddetto multihoming (utilizzo congiunto di più servizi) è sempre stato possibile e praticabile; anche se bisogna sottolineare come un vero e proprio multihoming sia possibile soltanto in presenza di una

interoperabilità tra le stesse piattaforme e con la portabilità del dato effettivamente garantita e agevolata (il GDPR europeo va in questa direzione, sebbene riteniamo che non vi potrà essere una portabilità del dato effettiva fintanto che non venga riconosciuto il valore economico proprietario del dato ed esso venga assimilato ad altri asset). Ancora, le piattaforme sostengono che i dati siano riproducibili e che vi sia un limite superiore oltre il quale si manifesterebbero rendimenti decrescenti derivanti dalla ridondanza dei dati stessi, quindi per profilare in modo efficace un utente è sufficiente estrarre un numero relativamente ridotto di informazioni, pratica perseguibile anche da una piccola impresa appena entrata sul mercato.

Altro punto importante riguarda la disponibilità da parte delle piattaforme online di una enorme liquidità, che ha consentito loro di acquisire con fusioni e

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concentrazioni (definite killer merger dall’economista Jean Tirole25) sia potenziali

concorrenti sia nuovi operatori innovativi, in una direzione nuova rispetto al passato caratterizzato da integrazioni orizzontali e verticali, detta rizomatica e volta all’occupare posizioni chiave nell’ecosistema26. Questa pratica è stata definita

di platform envelopment27 , ovvero di espansione dell’offerta di servizi su mercati distinti ma che condividono basi di utenti sovrapponibili, riducendo la probabilità che il consumatore utilizzi servizi di imprese differenti ed aumentando la

dimensione del lock-in di cui essi soffrono. Le esternalità di rete spingono verso l’espansione di reti di utenti sempre maggiori ed anche per questa ragione Facebook ha acquisito Instagram, che oggi è il secondo social network al mondo (dopo Facebook stesso) e Whatsapp, che è il servizio di messaggistica più

utilizzato. Nel primo quadrimestre del 2020 Facebook ha raggiunto i 2,36 miliardi di utenti attivi giornalieri, un numero che configura la piattaforma come una sorta di nuovo contesto istituzionale che si sostituisce al mercato e lo governa28.

Le preoccupazioni delle autorità competenti sono inerenti al ruolo che le piattaforme possono ricoprire nell’impedire un corretto sviluppo tecnologico, poiché i consumatori e la società in generale potrebbe vedersi tolta la possibilità di

25https://webcast.ec.europa.eu/shaping-competition-policy-in-the-era-of-digitisation per il video

dell’intervento di Jean Tirole alla conferenza “Shaping competition policy in the era of digitisation” della Commissione Europea del 17/01/2019

26 Srnicek Nick, Platform capitalism, ed. Polity, 2017, p.104

27 Eisenmann Thomas R., Geoffrey Parker, and Marshall Van Alstyne. "Platform envelopment." Strategic

Management Journal 32, no. 12 (December 2011): 1270–1285.

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godere appieno delle innovazioni a causa del desiderio delle imprese di difendere la loro posizione competitiva. Negli ultimi anni si sono alzate più voci riguardo alla proposta di smembrare queste enormi compagnie, di cui un esempio noto è rappresentato dalla senatrice statunitense Elizabeth Warren, che ha contribuito in maniera significativa alla diffusione del mantra “breaking up Big Tech”29, a cui sono effettivamente seguite nel luglio 2019 l’apertura di un’inchiesta antitrust30 da parte

del Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti e nel febbraio del 2020 da parte della Federal Trade Commission per esaminare le passate acquisizioni delle descritte compagnie31 .

A parziale difesa delle piattaforme si può sostenere che sotto un certo punto di vista il loro agire risulti in realtà in una agevolazione, e non una limitazione, dell’innovazione, che necessita spesso di una solida disponibilità finanziaria, di una massa critica di utenti e di un raggio di azione globale; tutte condizioni che esse sono in grado di garantire con una rapidità e un’efficacia di molto superiore a quella raggiungibile con il normale percorso di crescita di una start-up. Se questa assunzione risultasse vera, le piattaforme non tradirebbero la loro natura di

innovation driven (che le ha portate a compiere cambiamenti così disruptive nei più

29https://medium.com/@teamwarren/heres-how-we-can-break-up-big-tech-9ad9e0da324c 30https://www.nytimes.com/2019/07/23/technology/justice-department-tech-antitrust.html 31https://www.ftc.gov/news-events/press-releases/2020/02/ftc-examine-past-acquisitions-large- technology-companies

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svariati settori) ma anzi continuerebbero a svolgere un ruolo fondamentale per il progresso sociale, culturale ed economico.

Quella qui fornita, ripetiamo, è una estrema sintesi delle problematiche associate all’operare delle principali piattaforme globali dei primi vent’anni del XXI secolo, e lungi da volere rappresentare una risposta alle molte domande poste, vuole soltanto completare il ragionamento su queste nuove organizzazioni, protagoniste di cambiamenti che hanno stravolto la vita di tutti noi.

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Capitolo 3 – Lean platforms

Prima di concentrarsi sullo sviluppo del case study riguardante Twitch, che

occuperà tutto il capitolo quattro, affrontiamo più nello specifico il fenomeno delle cosiddette lean platforms, ovvero “piattaforme snelle”, di cui Twitch rappresenta un ottimo esempio. Nel condurre l’analisi si è deciso di impostare una struttura basata sulla risoluzione di nove domande volte a far emergere i punti salienti della rivoluzione portata da tali imprese:

(1) le prime tre riguardano il confronto tra le piattaforme e le imprese tradizionali del modello pipeline,

(2) le successive tre affrontano le questioni più importanti sulla loro operatività (creazione di sufficiente user-base, monetizzazione, non profittabilità di alcune imprese),

(3) le ultime tre domande sono indirizzate invece a questioni sociali, come l’impatto sulla vita lavorativa degli individui e le situazioni di abuso che sono state registrate spesso ed in svariati contesti.

Al termine di questo capitolo saranno emersi tutti i principali punti di forza e le criticità di questo business model, permettendoci di poter offrire una visione generale e completa, senza sensazionalismi né bocciature ideologiche.

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