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C’è chi ne sa di più: asimmetria informativa e costi d

Capitolo 2 – Economia delle piattaforme

2.3 C’è chi ne sa di più: asimmetria informativa e costi d

transazione

I mercati non sono perfetti. La suggestione teorica della concorrenza perfetta altro non è, appunto, che uno strumento teorico, una legge generale molto utile per formulare previsioni, ma che si discosta enormemente dalla realtà, che è tutta un’altra cosa20 .

Tra le varie ipotesi alla base della teoria del mercato perfettamente concorrenziale quella che ci interessa maggiormente è quella che prevede la presenza di una situazione di “informazione perfetta”, nella quale gli operatori economici hanno accesso a tutte le informazioni (prezzo, qualità, condizioni contrattuali) dei prodotti/servizi e del mercato in cui operano e le contrattazioni avvengono in completa trasparenza.

Quello che succede realmente nel mercato è invece una situazione di cosiddetta

asimmetria informativa, ovvero la presenza di operatori che dispongono di più

informazioni o di informazioni più precise rispetto ad altri operatori; questo porta ad una condizione di fallimento del mercato poiché gli scambi che avvengono non conducono alla miglior utilizzazione delle risorse disponibili.

20 Soltanto in pochi mercati, solitamente quelli di prodotti agricoli internazionali, si rilevano situazioni tali da

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L’asimmetria informativa si evidenzia solitamente nei casi di selezione avversa e azzardo morale.

La selezione avversa avviene quando, nella contrattazione tra gruppi di agenti economici diversi, uno dei gruppi ha a disposizione informazioni migliori rispetto all’altro e questo porta ad inevitabili comportamenti opportunistici da parte del lato più informato, che cerca di manipolare ed ingannare la controparte. I

comportamenti in questione, detti anche di opportunismo ex-ante, sono in realtà dannosi anche per coloro che li mettono in atto, poiché danno vita ad un circolo vizioso che potrebbe portare alla sparizione del mercato di riferimento.

Uno dei primi economisti ad analizzare questo argomento è stato George A. Akerlof nel suo “The market for lemons: quality uncertainty and the market mechanism” del 1970, divenuto l’esempio per eccellenza per spiegare i

meccanismi con cui agisce la selezione avversa. Nell’analisi di Akerlof21 viene

preso in considerazione il mercato delle auto usate (“lemon” viene utilizzato negli USA come sinonimo di auto di pessima qualità, il corrispettivo americano di un “bidone”), caratterizzato da compratori e venditori e auto di buona e cattiva qualità; l’asimmetria informativa si manifesta perché soltanto i venditori possono conoscere in anticipo la qualità delle auto vendute, mentre tali informazioni non sono disponibili per i compratori, che devono fidarsi delle valutazioni espresse

21 George A. Akerlof, The market for “lemons”: quality uncertainty and the market mechanism, The

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dalla controparte. Assumendo che il mercato sia composto da 100 auto, il compratore può ipotizzare che metà di esse siano “limoni” e metà di buona

qualità; inoltre: (1) le aspettative di prezzo dei venditori sono di 1000$ per i limoni e di 2000$ per le auto di buona qualità, (2) la disponibilità a pagare dei compratori è di 1200$ per i limoni e di 2400$ per le auto di buona qualità. Se il compratore si affida alla eguale probabilità di acquistare sia un limone che una auto di buona qualità, la sua disponibilità a pagare sarà pari a ½ (1200) + ½ (2400) = 1800$; quindi il prezzo medio che l’acquirente è disposto a pagare è più basso del prezzo a cui il venditore venderebbe un’auto in buone condizioni, ma più alto di quello che chiederebbe per una in cattive condizioni, con la conseguenza che soltanto i “limoni” saranno offerti per quella cifra. I compratori, fossero certi di acquistare un’auto di buona qualità, sarebbero disposti a pagare tra i 2000-2400$, ma poiché l’informazione è imperfetta, anche se la disponibilità a pagare eccede le aspettative di prezzo dei venditori, non ha luogo nessuna transazione del genere. La dinamica che si innesca corrisponde a quella descritta dalla legge di Gresham, secondo la quale “la moneta cattiva scaccia quella buona” ed in poco tempo il mercato delle auto usate sarà composto solamente da vetture in cattive condizioni.

Akerlof individua inoltre quelle che lui definisce “istituzioni per neutralizzare gli effetti dell’incertezza nella qualità”, le quali sono:

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- Garanzie → prevedono che il prodotto garantisca dei requisiti minimi di qualità e fanno sì che il rischio sia sostenuto dai venditori, spostando su di essi l’onere in caso di difformità.

- Brand → il “buon nome del brand” indica la qualità e dà anche ai consumatori dei mezzi di ritorsione se essa non si rivela quella attesa. - Catene → con un funzionamento simile al brand, garantiscono la qualità in

ogni negozio o locale posseduto; servono da indicatore di fiducia soprattutto per consumatori non del luogo (esempio tipico: catene di alberghi o ristoranti).

- Licenze o abilitazioni → certificazioni che garantiscono il rispetto di determinati livelli o standard di qualità.

L’azzardo morale, detto anche opportunismo ex-post, descrive la tendenza a perseguire i propri interessi a spese della controparte, confidando

nell’impossibilità di verificarne il dolo o la negligenza. Solitamente si parla di moral hazard con riferimento al settore delle assicurazioni, dove viene così

individuato il rischio che corre l’assicuratore quando un evento può essere in parte determinato dall’assicurato, nel senso che quest’ultimo può influire sulla

probabilità che tale evento si verifichi. Anch’esso origina da una situazione di non perfetta uguaglianza nell’informazione perché l’assicuratore non potrà mai

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verificare con esattezza se l’assicurato abbia tenuto comportamenti scorretti. Alcune delle soluzioni trovate dalle compagnie assicurative riguardano: (1) partecipazione dell’assicurato al rischio, (2) sconti sul premio se l’assicurato dimostra di attuare determinati comportamenti per ridurre il rischio, (3) correlare il premio al comportamento passato dell’assicurato. Altro esempio di azzardo morale fa riferimento al rapporto principale-agente, ovvero a tutte quelle situazioni in cui un soggetto “agente” agisce per conto dell’altra parte, il

“principale” e nelle quali quest’ultimo non è in grado di effettuare un controllo puntuale sulle azioni della controparte. In questi casi si cercano di stipulare contratti in cui gli interessi delle due parti coincidano, cosicché il comportamento dell’agente tenda in modo naturale alla soddisfazione degli obiettivi del

principale.

Selezione avversa e azzardo morale sono quindi responsabili di situazioni di fallimento del mercato causate da asimmetrie informative. Per migliorare l’uguaglianza quali-quantitativa nel possesso di informazioni si è sviluppata la figura dell’intermediario, soggetto terzo alla trattativa che agisce a garanzia del corretto svolgimento del rapporto fra le due controparti. Tale ruolo esiste da secoli e non rappresenta quindi una novità introdotta dall’economia delle piattaforme, ma innovativo è sicuramente il modo con cui le nuove tecnologie permettono di intermediare nelle relazioni fra soggetti con interessi contrapposti.

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Sebbene uno degli scenari immaginabile con l’avvento delle tecnologie digitali potesse essere quello di un’economia senza intermediari e connessioni dirette tra produttori e consumatori, non sembra che questo stia avvenendo. Quello che è possibile osservare è invece una sostanziale modifica nel ruolo

dell’intermediatore, più propriamente nei soggetti che quel ruolo lo ricoprono; le piattaforme digitali nei più svariati campi si sono sostituite e si stanno sostituendo alle imprese tradizionali e ai singoli soggetti, spesso riuscendo a sostituire agenti inefficienti e non scalabili con strumenti automatizzati, facendo affidamento su algoritmi e feedback sociali. Uno degli esempi più emblematici di una

trasformazione ancora soltanto agli inizi riguarda il settore bancario, nello specifico l’erogazione di prestiti a privati. In questo ambito il dominio delle banche è pressappoco incontrastato da secoli, ma negli ultimi anni si sono intravisti dei cambiamenti nello scenario competitivo che fanno presagire un futuro diverso. Nel 2005 in Gran Bretagna è stata fondata Zopa, prima di una serie di piattaforme digitali nate con l’intento di rivoluzionare il mercato creditizio. L’idea di fondo risiede nel cosiddetto peer-to-peer lending, ovvero il prestito tra pari; la piattaforma si sostituisce al ruolo ricoperto dalla banca poiché agisce come un intermediario e crea le condizioni affinché coloro che vogliono investire

prestando denaro a terzi riescano ad incontrare la relativa domanda di credito da parte di coloro che sono invece desiderosi di ricevere il prestito. Grazie all’uso della tecnologia Zopa riesce ad operare con più efficienza, ad esempio offrendo la

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pre-approvazione al 65% dei richiedenti il prestito in appena 12 secondi22 ; se si

effettua un paragone con il mercato tradizionale, dove spesso servono giorni per ottenere l’approvazione, si coglie subito l’incremento nella qualità del servizio. Questo succede perché l’algoritmo impiegato analizza la solvibilità del richiedente sia con dati convenzionali che non convenzionali (connessioni su LinkedIn,

stabilità dell’indirizzo e-mail, ecc.) per stabilire la probabilità di avere a che fare con intenti fraudolenti23 ed è in grado di stabilire pattern comportamentali grazie

all’esperienza potendo così ridurre i rischi e offrire tassi di interesse più bassi ai richiedenti il prestito e tassi più alti agli investitori; ancora una volta è possibile notare come l’utilizzo dei big data sia fondamentale e responsabile di un prezioso vantaggio competitivo per le piattaforme digitali.

Possiamo affermare che la caratteristica di intermediario è insita nel DNA delle piattaforme online, le quali nascono sempre con l’obiettivo di mettere in

collegamento tra di loro agenti economici differenti; la condizione di matchmaker è a tutti gli effetti imprescindibile. Esse riescono in questo obiettivo con risultati superiori, sotto il profilo dell’efficienza e dei costi, rispetto alle istituzioni tradizionali perché sfruttano appieno il potenziale delle nuove tecnologie operando in un ambiente digitale nativo. Il valore aggiunto dell’azione delle piattaforme sta nel garantire: facilità nell’interazione, qualità dell’interazione,

22 Articolo di “The Times” citato sul sito https://www.zopa.com/ 23https://platformed.info/peer-lending-platforms-disrupt-banking/

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massima soddisfazione per entrambe le parti, predisposizione di strumenti di garanzia e trasparenza, supporto attivo in tutte le fasi dell’interazione, risoluzione di controversie post-interazione.

Oltre alle situazioni di asimmetria informativa gli agenti operanti sul mercato devono confrontarsi con una serie di costi denominati costi di transazione, definiti come i costi sostenuti per realizzare uno scambio, un contratto o una transazione economica in genere. La loro individuazione è associata all’economista Oliver Williamson, il quale sosteneva che le imprese nascono appunto come soluzione per minimizzare tali costi, anche se in realtà l’origine del termine sarebbe da attribuire a Ronald Coase ed il suo “The nature of the firm” del 1937, a cui l’analisi di Williamson fa seguito. I costi di transazione possono essere identificati come derivanti da: (1) investimenti specifici, ovvero elevati costi di ricerca, di

contrattazione, costi legali, ecc., (2) razionalità limitata e correlata impossibilità di prevedere ogni circostanza, (3) opportunismo, di cui i già discussi selezione avversa e moral hazard. Anche in questo caso le moderne piattaforme digitali trovano una giustificazione alla loro esistenza perché riescono a diminuire notevolmente la presenza di questi costi nelle relazioni di mercato. Esse sono in grado di ridurre i costi di ricerca grazie allo sviluppo di algoritmi sempre più complessi che migliorano la loro efficienza con i dati ed il il tempo; sono in grado di ridurre i costi di contrattazione grazie allo sviluppo di standard e procedure comuni; sono in grado di ridurre i costi legali sia in fase di stesura dei contratti,

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grazie alla previsione di format unici e algoritmi di supporto (per non parlare della rivoluzione della blockchain e degli smart contracts), sia nella fase post- contrattuale grazie all’applicazione di leggi e norme interne che regolano le controversie; sono in grado di ridurre i costi legati alla razionalità limitata, pur non essendo in grado di eliminarla, semplificando al massimo il ricorso a nuove soluzioni una volta che esse si rendano necessarie.

Il ricorso alle nuove tecnologie dell’informazione permette alle piattaforme di differenziarsi dalle tradizionali imprese pipeline in relazione al fatto che non sono esse stesse a produrre le value units che vengono scambiate, ma il loro ruolo si indirizza invece alla creazione dell’infrastruttura, alla promozione di una cultura della qualità stabilendo i principi che governano le interazioni, all’utilizzo di “filtri” disegnati per favorire determinate unità di valore e bloccarne altre e

garantire il valore delle interazioni prodotte per il singolo utente. L’ottica primaria nell’esercizio dell’attività di impresa cambia radicalmente e le aziende che

operano con un modello piattaforma possono essere considerate una sorta di direttore d’orchestra nell’ecosistema da loro creato; in definitiva il focus viene capovolto e si sposta dalle attività interne a quelle esterne.

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