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4. LA RICEZIONE CULTURALE NORRENA IN INGHILTERRA

4.2. Lo sviluppo dell’immagine nordica in poesia: Thomas Gray

4.2.1 La composizione delle Northern Odes

La pubblicazione nel 1768 di The Fatal Sisters e di The Vegtam’s Kivitha or The

Descent of Odin - sebbene fossero state entrambe redatte prima del 1761 (Wawn

2000: 2) - marcò l’inizio formale dell’interesse estetico nei confronti delle immagini letterarie legate al sovrannaturale, al Sublime e al Primitivo, capaci di attestare che le caratteristiche degli schemi concettuali e narrativi del canone tardo settecentesco, di derivazione gotica, si ponevano in aperto contrasto rispetto a quelle classico-romane (Omberg 1976: 36). L’opera di selezione dei poemi antico islandesi da tradurre fu probabilmente indotta dalla particolare ambientazione che descrivevano entrambi i documenti originari: non facendo parte del corpus tradizionalmente recepito, essi

rappresentavano la descrizione di un spazio liminale, borderline, tra l’umano e il sovrannaturale, andando a soddisfare pienamente la ricerca estetica tardo settecentes- ca di immagini sublimi (Wawn 2000: 7).

Il fatto che i due poemi fossero poco familiari al pubblico moderno collaborava all’obiettivo dell’autore di fornire un nuovo set di figure e immagini alla pratica compositiva coeva attraverso l’enfasi sulle immagini mitologiche estranee alla canonica formazione culturale inglese.210 Clunies Ross (1998: 106-7) sostiene, a tal proposito, che lo stesso autore definiva le proprie odi come […] imitations of two

pieces of old Norwegian poetry, in wich there was a wild spirit, that struck me […]

(Lettera 457, III: 983). Risulta abbastanza evidente quanto l’approccio letterario ed estetico utilizzato da Gray fosse diverso dal desiderio erudito di Percy di produrre un’opera autentica, letterale e scientifica che fosse positivamente recepita sia dal pubblico, sia dalla critica inglesi. Nella fattispecie, Gray decise di imitare le immagini e i contenuti, oltre allo stile, di due poemi antico islandesi che, secondo la mia opinione, meglio sintetizzavano le caratteristiche del gusto inglese coevo, che si era quasi definitivamente spostato verso le qualità sovrannaturali del Primitivismo, del Terribile e del Sublime, a discapito della bellezza e dell’armonia delle odi neoclassiche. Entrambe le parafrasi di Gray divennero due dei più validi contributi alla letteratura inglese, proprio grazie all’avvenuto superamento dell’interesse antiquario scientifico: attraverso l’esaltazione del pathos norreno, la poetica di Gray rappresentò uno dei modelli della successiva interpretazione ‘romantica’ del mito nordico, che fornì un assetto di valori al campo delle Northern Antiquities che la prosa di Percy non era in grado di promuovere (Omberg 1976: 36-7). Oltre al valore estetico, è necessario sottolineare che, nello spostamento del proprio interesse dalla cultura letteraria celtica alla controparte norrena (che ancora appartenevano alla medesima matrice culturale), Gray seguì la precedente prassi di redazione delle opere antiquarie, anche in ragione della diversa funzione delle opere. Nel caso delle

Antiquities celtiche, l’autore si apprestava a registrare, all’interno della propria

poesia, la tradizione orale e folkloristica non attestata; diversamente, operando alla traduzione di due poemi antico islandesi, Gray ambiva a incontrare il gusto del pubblico pur conservando il carattere testimoniale dei documenti scritti.

Oltre alla funzione introduttiva del sottotitolo «An Ode. From the Norse Tongue» apposto a entrambe le opere, l’autore inserì il riferimento bibliografico alle proprie fonti e si misurò - almeno nel caso di The Fatal Sisters - con la composizione di una breve prefazione al corpo lirico che fornisse al lettore alcune informazioni riguardo al contesto norreno che si apprestava ad affrontare. Inoltre, di entrambe le traduzioni, Gray inserì la citazione della frase d’apertura dei rispettivi poemi antico islandesi, al

210

L’impatto delle opere di Gray non influenzò soltanto l’ambito della composizione letteraria, bensì costruì le basi per lo sviluppo dell’estetica preromantica dapprima in pittura, attraverso le opere di artisti che profondamente dipesero dalle sue immagini poetiche, come Henry Fuseli e William Blake (Wawn 2000: 8).

fine di porre l’accento sul valore antiquario delle proprie composizioni. Per quanto riguardava The Fatal Sisters:

«Vitt er orpit fyrir valfalli, etc.»

Letteralmente, «la nuvola pendente si estende»: questa frase, estrapolata dal

Darraðarl jóð (dall’aisl. «il canto dello stendardo»), faceva parte di una descrizione

più ampia della principale attività delle valchirie le quali, esattamente come le Parche latine e le Moire greche, operavano al destino dell’uomo attraverso l’utilizzo di un telaio. In questo caso, la ‘nuvola’, immagine metaforica che descriveva la battaglia, rappresentava figurativamente la filettatura sospesa sulla trave del meccanismo di filatura.211 Il poema scaldico Darraðarl jóð fu redatto in Norvegia nel XI secolo e racconta della decisione di dodici valchirie (parola composta dall’an. Valr- «ucciso in battaglia» e -kyrja «colei che sceglie» che definivano coloro che sceglievano i caduti da accompagnare nella ‘sala di Odino’) sulle sorti dei combattenti della batta- glia di Clontarf:212 il documento letterario antico islandese fu composto secondo le norme del metro eddico fornylðislag (dall’an. «metro delle storie antiche»),213 diversamente dalla lirica di Gray che venne suddivisa dall’autore in quartine. Inoltre, il poema faceva parte di una delle più popolari saghe degli islandesi, la Njáls saga, redatta in Islanda nel XIII secolo e ambientata sull’isola stessa nel periodo tra la fine del X secolo e l’inizio del secolo XI. 214 Secondo la mia opinione, soprattutto in

211 Il tipo di telaio a cui ci si riferisce nel poema originale, possedeva una bacchetta mobile (an. skápt, che indicava l’asta della lancia o di altre armi) connessa ai nodi alla base della filettatura. Il documento forniva una risorsa primaria per le informazioni riguardo alla tessitura in Scandinavia.

212 L’evento fu realmente accaduto nel 1014 e vide il sanguinoso combattimento tra gli irlandesi del Munster, capeggiati da Brian Bóruma mac Cennétig - conosciuto nelle fonti inglesi come Brian Boru - e la confederazione di irlandesi del Leinster e vichinghi di Dublino, a seguito della pretesa di unifica-zione del regno sotto la propria corona da parte del Munster.

213

Si trattava di una forma metrica solitamente usata nella trasmissione dei carmi mitologico-leggendari ed eroici nella poesia norrena. Lo schema seguiva inizialmente la regola poetiche dell’allitterazione germanica: la ‘strofa’ era generalmente composta da almeno quattro versi, a loro volta composti da due semiversi tradizionali con cesura mediana. Nel fornylðislag, ogni semiverso possedeva due sillabe accentate, dunque quattro per verso intero. La terza sillaba accentata di ogni verso lungo (la prima di ogni secondo semiverso) era definita «sillaba principale» in an. hofuðstarf, e allitterava con la prima sillaba e/o con la seconda sillaba accentata del semiverso precedente dette «sostegni» (an. stuðilar). È necessario ricordare che la caratteristica del metro norreno, come di quello germanico, risiede nella compiutezza, un concetto simile a quello dell’endecasillabo aureo, per cui ogni verso ha senso compiuto.

214 La saga di Njáll è un poema epico anonimo che descrive lo svolgersi di una serie di faide di sangue tra le famiglie egemoni islandesi. Gli eventi narrati si svolgono tra il 960 e il 1020, come testimoniato da riferimenti storici come quelli al re di Norvegia Haraldr gráfeldr (961-76), nel terzo capitolo, e alla conversione dell’Islanda nel 999 narrata nei cap. 94-101, oltre che alla stessa battaglia di Clontarf nominata nel penultimo capitolo.

questa lirica è evidente quanto Gray ambisse a discostarsi dalla traduzione letterale del testo latino, al fine di esaltare il contesto e il pathos della vicenda.

Sulla base della fonte antico islandese, il poema si concentrava sulla descrizione del rito funebre delle valchirie, descritte dalla prefazione come le «Valkyriur, female divinities, Parcæ Militares, servants of Odin in the Gothic mythologie». nell’ode, infatti, viene presentata la registrazione del comportamento delle semidivinità dal momento del loro arrivo sul campo di battaglia: in particolare, si fa riferimento alla comparsa di tre figure giganti dalle sembianze femminili che raggiungono a cavallo una caverna (libertà letteraria di Gray desumibile dal fatto che nel poema originale il compositore descriveva una stanza e ben dodici valchirie), nella quale costruiscono il telaio del Fato attraverso lo smembramento dei corpi dei caduti, che avrebbero suc- cessivamente accompagnato nel Valhalla. L’associazione metaforica tra l’attività arbitraria di tessitura del destino dell’uomo delle valchirie, unita alla descrizione dell’utilizzo delle parti del corpo degli eroi defunti in battaglia nella costruzione del telaio stesso, fu utilizzata da Gray come fonte di ispirazione poetica funzionale alla conversione del sovrannaturale in un sentimento di terrore.

Tali elementi – il paragone con la cultura classica e la spiegazione cristallina dei meccanismi di funzionamento della macchina – introducevano il lettore all’atmo- sfera sublime che scaturiva dalla traduzione in immagini estremamente violente e sanguinarie di realtà quotidiane ampiamente conosciute (Clunies Ross 1998: 115). L’utilizzo di un linguaggio specifico nella descrizione delle componenti del mac- chinario, unito all’inserimento di parti del corpo umane funzionali al rito delle valchirie, forniva al lettore moderno un’immagine altamente cruenta che aveva origine dal raffronto con un elemento quotidiano: il telaio delle valchirie intrecciava le viscere dei guerrieri caduti e utilizzava, come contrappesi alla tessitura della tela del fato, le loro stesse teste. Inoltre Gray sembrava descrivere il rumore del rito come eco dei suoni della battaglia in corso, accentuando consapevolmente i dettagli dedotti dalla traduzione latina (Omberg 1976: 43), com’è possibile desumere dai versi della sesta strofa:

«[…] Ere the ruddy sun be set Prima del maledetto tramonto,

Pikes must shiver, javelins sing, Le lance rabbrividiscono, i

giavellotti cantano,

Blade with clattering bucale meet, Le lame incontrano gli

sferraglianti scudi,

Hauberk crash, and melme ring […]». Le armature si scontrano, e gli elmi risuonano.

Questo tipo di espedienti miravano, secondo Omberg (1976: 44), a produrre nel lettore moderno una profonda risposta emotiva in merito al confronto delle opere canoniche con quelle antico nordiche.

Oltre alla descrizione del rito funerario ad opera delle valchirie, Gray utilizzò numerosi epiteti sussunti dalla tradizione antico islandese tradotta da Thomas Bartholin: nella seconda strofa, compare infatti un adattamento della perifrasi

presente nel Darraðarl jóð, secondo cui le figure leggendarie erano Randvés bana (dall’an. «le compari, le amiche di Randver»215), che Gray tradusse come ‘le tessitrici della disgrazia di Randver’ «[…] Randver’s bane». L’influenza di Thomas Bartholin è altresì riscontrabile al momento della prima menzione delle valchirie all’interno della lirica. Gray utilizzò il nome di «Mista» in riferimento alla prima semidivinità, che derivava dalla traduzione a cura di Bartholin del poema eddico Grímnismál, diversamente dalla denominazione delle seconde Sangrida (in aisl. Sanngriðr) e

Hilda (dall’aisl. Hildr), che trovavano ampia attestazione nella fonte originale.216

Nel merito, Gray faceva riferimento alle fonti letterarie rappresentate dalle opere di Thorfæus, Orcades Seu Rerum Orcadensium Historiæ (1697), e di Bartholin,

Antiquitatum Danicarum de causis contemptæ a Danis adhuc gentilibus mortis

(1689); oltre che al rimando alla canzone delle Weird Sisters nel Macbeth shakespeariano, e alla tradizione antiquaria inglese che prendeva spunto dalle opere di Sheringham e Sammes (Omberg 1976: 38).

Secondo Wawn (2000: 4), la decisione di menzionare le Orcades di Torfæus pri- ma dell’autentica fonte primaria, ovvero l’opera di Bartholin, rivelava l’adozione di una completa equivalenza da parte dell’autore, e dei contemporanei, tra la cultura scandinava e celtica: i poemi ossianici di MacPherson, estremamente debitori nei confronti della poetica promossa da Gray, erano ambientati nelle Isole Orcadi ai tempi del dominio vichingo; un elemento che, unito alla connotazione fortemente negativa dei popoli scandinavi, nemici dei protagonisti celti, ricalcava l’ambienta- zione di The Fatal Sisters.

Inoltre, il riferimento al dramma Macbeth (1605-8), ambientato in Scozia, una regione che subì forti impulsi culturali celti e scandinavi, poteva essere considerato un’argomentazione a favore della familiarità tra le due tradizioni letterarie alla base della moderna costruzione del canone inglese: le tre streghe che spinsero in una pre- cisa direzione il destino del personaggio inizialmente retto nella tragedia shakespear- iana, divennero l’espressione drammatica della dipendenza dell’uomo dal proprio destino, rappresentato nella mitologia norrena dal ruolo delle Norne (an. Urðr «fato»,

Verðandi «divenire, presente» e Skuld «debito, futuro»), e reintrodotto nel The Fatal Sisters attraverso il titolo e la scelta dell’epiteto per definire le valchirie.217

215 Eroe nordico che si innamora della promessa sposa del padre, Svanhild, figlia di Sigurðr e Guðrun; a causa della furia del padre dell’eroe moriranno entrambi. La vicenda riprendeva gli avvenimenti della Völsunga saga.

216

Delle dodici valchirie presenti nel Darraðarl jóð, si conoscono solo sei nomi: oltre a quelli ripresi da Gray nel poema, appariva HjörϷrimul, nominata nel testo con l’appellativo di Bartholin. Questa pratica viene ripetuta poco dopo quando il poeta nomina «Gondula» e «Geira» di derivazione antico islandese Göndul e Guðr.

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Nella prefazione, il poeta spiegava che il termine ‘valchiria’ significava «Chusers of the Slain», ovvero, coloro che sceglievano i cadaveri. Dopo il rito che prevedeva la macellazione dei defunti in battaglia, le valchirie trasportavano le loro anime nel Valhöll, il paradiso degli eroi.

Diversamente, pur essendo stato sottoposto a un processo di elaborazione dei contenuti che mirava all’incontro del favore del pubblico, The Descent of Odin (1768) fu recepito come la rappresentazione più fedele delle due perifrasi operate da Gray (Omberg 1976: 44). Nella fattispecie, la traduzione di Gray aveva origine dalla ricezione del Baldrs draumar, unicamente attestato dal Codex Armagnæanus (AM 748 I 4°) redatto nel XIV secolo, e noto in aisl. come Vegtamskviða «il lamento del viandante» (uno dei numerosi epiteti di Odino), incluso nel compendio di poemi eddici minori che non comparivano nel Codex Regius, conosciuto come Eddica

Minora. 218 Si trattava di un poema eddico molto breve, composto di quattordici strofe totali, che apparteneva a quel gruppo di produzioni di argomento mitologico che anticipava, sottoforma forma di dialogo, temi relativi a cicli leggendari più ampi. Nello specifico, il poema originario approfondiva i dettagli del mito di Baldr attraverso l’espediente della narrazione allusiva all’episodio della discesa di Odino al regno di Hèl e del suo serrato dialogo con una defunta veggente, fatta risorgere appositamente per conoscere il destino di Baldr. Nel resoconto di Snorri Sturluson, il sonno del figlio di Odino e Frygga era funestato da sogni premonitori di morte: per proteggerlo, gli Asi pretesero che ogni forma vivente e inanimata prestasse il giuramento di non addurre alcun male a Baldr. L’unica che mancò la promessa fu una pianta di vischio, dalla quale Loki trasse una freccia con cui armò Hƍrdr (nella lirica di Gray «Hoder»), il fratello cieco dell’eroe, che dopo essere stato convinto a celebrare l’invulnerabilità di Baldr, lo uccise inconsapevolmente. L’eroe non poté mai essere riportato in vita a causa della gigantessa Þƍkk che si rifiutò di unirsi al pianto corale del mondo in seguito alla perdita subita.219

La frase d’apertura del poema, che anche in questo caso ambiva a fornire all’opera il valore di una traduzione autorevole e autentica, fu posta subito dopo il riferimento bibliografico, che ancora includeva le produzioni di Thomas Bartholin, segnalando però la mancanza della prefazione al testo. In questo caso, dunque, l’ambientazione del poema non fu anticipata né presentata al pubblico coevo, che avrebbe potuto ricorrere alla lettura propedeutica delle produzioni di Mallet in latino, oppure alla descrizione in inglese degli avvenimenti tragici contenuti solo a partire dal 1770 nel- la traduzione per opera di Percy. A partire dal documento originale, l’autore riscontrò minori difficoltà nella costruzione dell’atmosfera sublime, già ampiamente trasmessa dal contesto: la lirica di Gray si concentrava sul dialogo con la profetessa a cui Odino, sotto le mentite spoglie di un viandante, domandava del destino di Baldr.220

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Ancora una volta, la fonte principale delle informazioni di Gray era l’opera di Thomas Bartholin.

219 Il testo presentava molti elementi di in comune con la Völuspá, in cui è per altro presente un riferimento alla vendetta della morte di Baldr.

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Secondo Omberg (1976: 44-5), Gray amplificò in particolar modo due sezioni dell’opera originale che già invitavano la speculazione estetica sul Sublime; la comparsa del cane a guardia del regno dei defunti e il risorgimento della profetessa dalla propria tomba in seguito all’utilizzo magico delle rune.

Già dalla prima strofa, è possibile rilevare l’utilizzo del linguaggio figurato per riferirsi ai personaggi rappresentati: al primo verso appare «the king of men», una delle innumerevoli formule nominali di Odino, al secondo compare il «coal-black steed», metafora per indicare il leggendario cavallo a otto zampe Sleipnír, al terzo «the yawning steep» rappresentava la grotta Gnipahellir, e al quarto verso fu usata la perifrasi «the dog of darkness» come perifrasi del cane Garm, posto a guardia dell’ingresso al regno dei morti.

Sembra abbastanza chiaro che la volontà dell’autore fosse stata quella di riproporre lo stile altamente figurativo caratteristico della poesia scaldica all’interno della redazione moderna, sottolineata dal marcato spostamento rispetto alla pratica di traduzione fedele del testo latino verso una parafrasi atta a creare un’ambientazione cupa e sinistra che infondesse nel lettore la percezione di essere di fronte, seppur a un documento storico, anche alla promozione di una nuova estetica. La descrizione, ad esempio, del cane Garm, compariva nell’originale completamente priva della carat- terizzazione sanguinaria e cruenta di cui fu dotata dall’autore inglese (Omberg 1976: 45), che costruì la scena in modo funzionale alla presentazione dell’atmosfera di misticismo legata al rito pagano con cui Odino si apprestava a svegliare la veggente dal proprio oblio; un ulteriore episodio che non faceva parte della versione di Bartholin, né della versione antico islandese originaria. Nella fattispecie, il rito operato dal viandante/Odino fu descritto da Gray nella seconda strofa:

«[…] Facing to the northern clime, Guardando verso il Nord, Thrice he trac’d the Runic ryhme; tre volte tracciò il ritmo runico; Thrice pronounc’d, in accent dread, tre volte pronunciò, in tono minaccioso, The thrilling verse that wakes the dead lo spaventoso verso che sveglia i morti: Till from out the hollow ground finchè dalla buca nel terreno

Slowly breath’d a sullen sound.[…]» non sospirò un suono cupo.

Dopo il risveglio della profetessa, il dialogo ripercorreva la tradizione mitico-eroica di Baldr, tra cui la descrizione del suo destino, subito anticipato dalla veggente,221 la scoperta dell’involontario omicida, e il riferimento alla vendetta dell’eroe da parte di Váli, figlio di Odino e la gigantessa Rindr, concepito con l’unico scopo di uccidere Hƍrdr.222

A questo proposito, il lettore coevo si trovava ancora nella posizione di dover inferire il personaggio (che non era nominato esplicitamente da Gray), tramite la descrizione nel merito delle proprie caratteristiche: del wond’rous boy, venivano descritte le azioni quotidiane cui non aveva potuto adempire, giacché, distintivo del personaggio, era cresciuto in un giorno proprio per onorare la vendetta di Baldr. Nello specifico, la donna prevedeva alla quarta battuta:

221 Nella seconda battuta della veggente vengono descritti i preparativi per accogliere uno degli eroi più celebrati della mitologia nordica nel Valhalla i quali, seguendo la tradizione, contemplavano la preparazione dell’idromele «Mantling the goblet see / The pure beverage of the bee, / O’er it hangs the shield of gold; / ‘Tis the drink of Balder bold […]».

«[…] In the caverns of the west, Nelle caverne dell’Ovest,

By Odin fierce embrace comprest, a seguito dell’impetuoso abbraccio di Odino,

A wond’rous boy shall Rinda bear, Rinda darà alla luce un meraviglioso ragazzo,

Who ne’er shall comb his raven hair, che mai potrà pettinarsi i capelli corvini, Nor wash his visage in the stream, né lavarsi il viso nel ruscello,

Nor see the sun’s departing beam, né vedere i bagliori del sole,

Till he on Hoder’s corse shall smile finchè sopra il corpo di Hoder ardente Flaming on the fun’ral pile. sulla pira funebre non riderà.

Now my weary lips I close: Adesso le mie labbra esauste chiudo: Leave me, leave me to repose.[…]» Lasciami, lasciami riposare.

La profetessa, dopo aver risposto alle domande del viandante, si accorge della vera identità di Odino a seguito di una richiesta diversa rispetto alle precedenti: nello