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2. IL RUOLO DELLE ANTIQUITIES NEI GUSTI DEL XVIII SECOLO

2.1. La funzione delle antichità nel dibattito politico

Tra XVII e XVIII secolo, la storia medioevale acquistò un importante valore nella costruzione del panorama culturale e politico nazionale. Le opere antiche furono investite di un ruolo fondamentale non soltanto come passaggio nel processo di apprendimento storico, ma soprattutto come contributo al dibattito religioso e politico contemporaneo. Dopo aver affrontato l’argomento della ricerca di un precedente storico che potesse ricollegare la Riforma alle antiche usanze spirituali celtiche,

vorrei soffermarmi sul dibattito politico tra Stuart e parlamento, che a livello teorico, risultava dipendere strettamente dalla ricerca antiquaria.

La linea di pensiero del XVII secolo, nonostante riconoscesse le differenze etniche delle varie popolazioni che nella storia inglese diedero origine al volto moderno dell’isola, tendeva a risolversi attorno alle questioni giuridiche, piuttosto che a quelle razziali, malgrado la presenza di produzioni erudite che tenevano in scarsa consi- derazione la caratteristica multiculturale della nazione.77

Lo sviluppo dell’interesse nei confronti delle radici pre-sassoni del diritto e delle libertà inglesi crebbe anche grazie alle autorevoli testimonianze classiche, in modo particolare quelle di Tacito e di Cesare,78 che descrivevano le abitudini liberali e rap- presentative degli istituti germanici e che furono erroneamente associate anche ai Celti. La caratteristica del sentimento di consapevolezza nazionale inglese si incen- trava, infatti, su un senso di orgoglio nei confronti delle precedenti popolazioni instauratesi sul territorio, gli anglosassoni, capaci di integrare alla cultura di partenza, parte delle tradizioni celtiche e delle successive influenze danesi e normanne.

La stumentalizzazione del passato da parte delle necessità delle fazioni politiche coeve collaborò alla formazione di tre influenti punti di vista storici sull’origine del diritto inglese che, secondo la ripartizione dell’intellettuale R. J. Smith (1987: 3-11), possono essere rappresentati dall’Immemorialismo legale di Sir Edward Coke (†1634), dall’avvento della dominazione normanna e dalla Gothic Theory. Durante il XVII secolo, un periodo di grande inquietudine socio politica in Inghilterra, gli antiquari cercavano nelle fonti storiche le testimonianze delle origini dei propri diritti politici e civili: la teoria della continuità storica delle istituzioni parlamentari e delle leggi inglesi ad opera di Coke, la Gothic Theory che tracciava le origini di tutte le monarchie costituzionali nordeuropee alle popolazioni germaniche; e la convinzione monarchica secondo cui la Costituzione fu introdotta ufficialmente da Guglielmo I (1066-87), erano di fatto tutte dipendenti dalla ricerca storica sulle antichità medioevali.

Nel dibattito costituzionale, gli antiquari del XVII secolo sostenevano il mito della continuità del diritto inglese, che fu influenzato dalle idee trattate nel De laudibus

legum Angliae da Sir John Fortescue († 1477), probabilmente scritto intorno al 1460

ma pubblicato in Inghilterra solo nel 1567, in cui l’autore sosteneva la sostanziale inalterazione del diritto inglese sin dall’epoca preromana, nonostante le diverse conquiste subite (Kidd 1999: 83).

Questa idea ricorse nella dottrina dell’Immemorialismo legale di Coke, che ricol- legava l’origine della Common Law e dell’istituzione parlamentare inglese all’epoca

77 Nell’edizione del 1647 del St. Edward’s ghost: or, anti-Normanisme a cura dello studioso Jhon Hare, venne sostenuta la teoria di una innata purezza etnica inglese, contro la quale anche le politiche francesizzanti e anti-teutoniche del regime normanno che colpirono non solo la lingua, ma anche le istituzioni e le leggi inglesi, ebbero scarsa risonanza.

celtica, senza presupporre alcuna violazione da parte dei domini romani, sassoni, danesi e normanni. Essa funse da prototipo nella delineazione della storia nazionale

Whig cui, nel XVIII secolo, venne infatti associata a causa dei chiari riferimenti

liberali e democratici (Hill 1958: 59).

Durante i primi anni del XVII secolo, in ogni caso, non mancarono le critiche a questo tipo di visione della storia giuridica inglese: l’antiquario William Hakewill († 1655), ad esempio, rifuggiva completamente la teoria sulla continuità storica del diritto inglese sostenendo la totale impossibilità, per un sistema quotidiano come quello giuridico, di non cambiare in favore della mutazione della classe egemone conseguente a una conquista (Kidd 1999: 84).

Nonostante si ponesse in ferma opposizione alle teorie di Coke, il ricco corpus di uno dei giuristi inglesi più rappresentativi del XVII secolo, John Selden († 1654), affrontava la storia nazionale come una cronologia di governi diversi che si limitarono a predare, anziché modificare, dalla tradizione giuridica di partenza (Kidd 1999: 85). Nell’opera Analecton Anglo-Britannicon (1615), un resoconto storico delle popolazioni indigene inglesi antecedenti al 1066, l’autore riutilizzava l’argomento dello studioso francese François Hotman († 1590),79

a sostegno della tesi secondo cui la struttura giuridica celtica resistette in Inghilterra, malgrado i mutamenti conseguenti alla conquista normanna, grazie al precedente insediamento sul territorio delle popolazioni sassoni.80

L’antitesi alla Teoria Immemorialista era rappresentata dall’interpretazione della conquista normanna e delle sue conseguenze sul sistema giuridico anglosassone. In particolare, veniva sottolineata l’influenza del sistema feudale introdotto dai normanni all’interno dell’organizzazione giuridica precedente: l’antiquario monar- chico Robert Brady († 1700) sosteneva nella Introduction to the Old English History (1684), che il feudalesimo fu la conseguenza, e dunque la testimonianza, del cambiamento sociale dovuto alla conquista normanna. La stessa Magna Charta (1215) rappresentava un’azione conseguente all’adozione di principi feudali e delle dipendenti relazioni tra monarchia e nobiltà (Smith 1987: 8). Secondo Brady, dun- que, sostenere l’importazione del feudalesimo in Inghilterra, significava riconoscere la subordinazione degli istituti assembleari nei confronti della Corona, che li riconobbe solo a partire dal XIII secolo.

L’argomentazione utilizzata a discapito della Teoria Immemorialista era rappre- sentata dalla testimonianza della rottura del continuum storico della consuetudine

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Argomento affrontato nell’opera Franco-Gallia (1574), nella quale l’autore sosteneva che la parziale ristabilizzazione delle tradizioni galliche, successivamente alla dominazione romana, fu dovuta all’insediamento sul territorio delle popolazioni germaniche dei Franchi (Kidd 1999: 85).

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In ogni caso, le testimonianze scritte risalenti all’epoca preromana erano di fatto inesistenti, dunque gli antiquari della seconda metà del XVII secolo preferirono sempre più spesso un materiale storico quanto più oggettivo che fungesse da emblema di autonomia culturale.

giuridica inglese in seguito all’avvento della conquista normanna: si pensava che prima del 1066 le popolazioni anglosassoni si organizzassero attraverso modelli sociali tendenzialmente egualitari, che prevedevano l’elezione dei propri rappresen- tanti politici e militari e la discussione tra pari sulle decisioni giuridiche e ammini- strative. La Conquista impose la perdita di questo tipo di libertà, instaurando un regime tirannico e una gerarchia sociale definita sulla base dei possedimenti terrieri. In ogni caso, la popolazione anglosassone non rinunciò passivamente alle proprie consuetudini, arrivando nel tempo a raggiungere alcuni obiettivi pragmatici, come la firma della Magna Charta (Hill 1958: 53).

La società anglosassone, in realtà, era profondamente divisa in classi sociali ben prima dell’arrivo di Guglielmo I (il Conquistatore o The Bastard); ma il mito - o anti mito - dell’imposizione aliena di un sistema che di fatto divideva l’antica popo- lazione libera in rigide classi sociali basate sulla proprietà di beni e non più sulle qualità personali dell’individuo, ebbe la forza di creare un legame ideologico interno alla popolazione e alla classe borghese contrario alle autorità assolute spirituali e temporali. A tal proposito, gli eruditi democratici del XVII e del XVIII secolo ri- cercarono nelle fonti storiche un precedente anglosassone di organizzazione feudale, o proto feudale, con cui sovvertire le convinzioni della controparte culturale monarchica. Per citarne alcuni, il politico irlandese Sir William Temple († 1699), utilizzò il passato comune gotico dell’Europa per invalidare la centralità del periodo della conquista normanna nella convalida all’assolutismo. Secondo l’autore, gli Anglo- sassoni, così come i Danesi e i Normanni, ebbero origine dalla stessa famiglia etnica, quella dei Goti. Era ragionevole pensare, dunque, che la Conquista non avesse inficiato in alcun modo i rudimenti politici e giuridici anglosassoni condivisi, nei loro archetipi gotici, dalla nuova classe egemone. Inoltre, Temple non ascrisse l’importazione del sistema feudale alla conquista normanna, bensì sostenne che anch’esso fosse carat- teristico delle popolazioni gotiche, e che infatti potesse essere rintracciato in tutte le provincie romane conquistate da quest’ultime (Kidd 1999: 78).

Persino il politico e filosofo britannico Tory, Henry Saint-John Bolingbroke († 1751) sostenne la discendenza germanica delle popolazioni normanne alle quali i Sassoni non furono soggiogati ma, condividendone lo spirito ancestrale, si integrarono naturalmente. Secondo Bolingbroke, la radicazione dell’indigeno spirito di libertà che caratterizzava le popolazioni celtiche e sassoni impose ai conquistatori, tanto danesi quanto normanni, un adattamento culturale in linea con la propria tradizione (Kidd 1999: 93).

In seguito alla Rivoluzione, fu possibile tracciare quattro diverse interpretazioni della conquista normanna (Smith 1958: 80). In primo luogo è possibile descrivere la dottrina dei royalists che giustificava l’assolutismo monarchico, rovesciato nel XVIII secolo attraverso, per esempio, dalle posizioni di Richard Hurd († 1808), il quale sottolineò quanto la feudalizzazione fosse stato un fenomeno comune a tutta Europa e tutt’altro che illiberale; e che grazie alla testimonianza antiquaria era possibile rintracciare la presenza di possedimenti allodiali già in epoca anglosassone, fino a

sostenere che il sistema feudale non fu imposto dall’intervento normanno, ma era già in fase di sviluppo nella società anglosassone (Kidd: 1998: 78).

Secondariamente, l’interpretazione dei parlamentari whig adottava le teorie cokeiane, alla base delle quali vi era la convinzione che la Common Law fosse la te- stimonianza delle antiche libertà anglosassoni restaurate dall’abolizione dell’as- solutismo e adattate alle necessità delle classi commerciali.

In ultima analisi, la visione radicale dei Levellers che ambiva alla riforma della legge verso una legittimazione dell’egualità sociale che si basava sul diritto naturale dell’individuo, e la posizione dei Diggers, che si indirizzava verso l’abolizione di tutti gli elementi feudali rimasti all’interno della consuetudine giuridica inglese (nella fattispecie nella concezione della proprietà privata), vennero riproposte nel XVIII secolo, all’interno del dibattito politico tra Inghilterra e colonie americane, soprattutto per quanto concerneva le origini delle libertà del popolo nei confronti della presa di potere da parte dei proprietari terrieri (Hill 1958: 86-7).

In conclusione, a partire dallo sviluppo degli studi antiquari, fu possibile discernere due opinioni riguardo l’origine del costituzionalismo inglese: da un lato, veniva sottolineata la continuità con il passato celtico della nazione, dall’altro, veniva sottolineata l’imposizione di un sistema alieno, il Norman Yoke, alle libertà originarie della popolazione (Smith 1987: 5).

L’attitudine filologica sviluppatasi nei confronti delle risorse storiche locali influenzò la tradizionale storiografia costituzionale: il graduale allontanamento dalla Teoria Immemorialista fu causato dalla scoperta di un’affinità culturale e linguistica del popolo inglese con la tradizione anglosassone, che contribuì alla costruzione di un’identità etnica fortemente basata sull’eredità gotica, e che legava la consuetudine legale e le istituzioni politiche inglesi a quelle continentali (Kidd 1999: 223).

Se nella prima metà del XVII secolo, l’avvento della conquista normanna fu usato nell’opera di difesa del potere regio assoluto, in modo diametralmente opposto, nella II metà del secolo, funse come principale argomentazione nel dibattito democratico: la conquista fu, infatti, utilizzata a tutela della prospettiva europeistica che vedeva nelle antichità gotiche l’origine del costituzionalismo inglese.