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2. IL RUOLO DELLE ANTIQUITIES NEI GUSTI DEL XVIII SECOLO

2.3. La riscoperta del mondo nordico

2.3.2. La revisione del mito vichingo

L'etimologia del termine ‘vichingo’ è piuttosto vaga (Bloch 1983: 32). Una prima teoria sostiene la sua provenienza dal termine norreno vík, col significato di «baia», «insenatura» o «piccola isola» e del suffisso -ing, che connotava la provenienza o l’appartenenza, concludendo col definire coloro che provenivano dalle zone costiere. Una seconda linea di pensiero, invece, indica che l'etimologia del suddetto termine vada ricercata nell’aingl. wíc, «accampamento» (‘gente accampata’ o ‘gente che si accampa’) (Bloch 1983: 32-3). Nelle saghe islandesi viking si riferisce a una spedizione oltremare, mentre vikingr denotava il marinaio o il guerriero che vi prendeva parte: probabilmente, col passare del tempo i due termini si sono fusi, almeno per le popolazioni che subivano quelle spedizioni (Isnardi 1991: 13-7). Nelle testimonianze anglosassoni più antiche, come il poema biblico Exodus (VIII secolo), contenuto del MS Junius, esisteva il termine wicingas, derivato dall’antico inglese

wic, che indicava la «gente del porto» e trasmetteva l’immagine dell'approdo. Inoltre,

sempre in Old English, ma nella variante dialettale più vicina ai dialetti dell’In- ghilterra setterntrionale, con Wic o Wich, oltre agli approdi, si indicavano gli inse- diamenti, soprattutto se racchiusi da palizzate.110

In antico inglese la parola wicing apparve per la prima volta nel poema anglosassone Widsith (dal sostantivo generico aingl. «bardo», «cantore»), redatto intorno al secolo IX.111 Sia in antico inglese, sia nelle opere storiografiche di Adamo di Brema († 1085),112 il termine denotava azioni di pirateria che non dipendevano

109 Per le traduzioni in inglese delle opere di Mallet, cfr. Cap. 4.1.

110 Etimologia riscontrabile in numerosi toponimi sia scandinavi sia britannici, come Nordwic o Eoforwicceaster, il nome norreno di ‘York’.

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Si tratta di un poema antico inglese di 144 versi contenuto nell’Exeter Book (X secolo), che rappresenta uno dei documenti più antichi che testimoniano (assieme al Vercelli Book, al MS Junius e al Cotton Vitellius) la produzione poetica anglosassone. L’opera era composta, per la maggior parte, da un elenco di popolazioni ed eroi nordeuropei.

112 Nell’opera in quattro libri Gesta Hammaburgensis Ecclesiae Pontificum del 1075, l’autore de-scriveva oltre alla storia dell’arcivescovato di Amburgo-Brema e delle isole

direttamente da un popolo o da una cultura. In ogni caso, il termine fu usato più come verbo che non come sostantivo, riferendosi a un'attività piuttosto che a un gruppo distinto di persone.

Durante le incursioni in Inghilterra, i vichinghi furono definiti attraverso numerosi epiteti che tendevano a risolversi nella definizione della loro qualità immediata di ‘uomini del Nord’, per poi essere collettivamente rinominati ‘danesi’, con cui veni- vano indicati tutti gli scandinavi (Bloch 1983: 29). P.es, in Irlanda venivano adottati due termini nella distinzione della provenienza degli invasori vichinghi attraverso il termine Dubgaill «stranieri neri» per designare i danesi; e Finngaill, «stranieri rossi» indicando i norvegesi; ma anche, attraverso Lochlannach «gente dei fiordi/laghi» e

Gaill, termine generico e vagamente denigratorio, che indicava gli stranieri. Nelle

aree baltiche, il termine più diffuso, Ruotsi «rematori» (simile al termine norreno

rops), derivava dalle lingue finniche e, nel passaggio alle lingue slave, mutò in Rus,

radice della designazione di ‘Russia’. Il termine Rhos è stato usato anche dalle fonti greche e bizantine, affiancato da Varangoi, termine che derivava dall’an. var, «confraternita». Infatti, i vichinghi di origine svedese attivi tra il Baltico e il Mar Nero si riunivano spesso in gruppi di mercenari che giuravano collettivamente, al seguito di un capo, fedeltà ai sovrani locali.

Diffusa in tutto l'Occidente, era la pratica di definire queste popolazioni sulla base del relativo carattere religioso, oltre della provenienza geografica, tendenzialmente pagano: questo concetto fu tradotto anche in arabo, per cui i vichinghi erano noti come al-madjus, che oltre al paganesimo, indicava la depravazione morale, la barbarie e la stregoneria, sottolineando una sostanziale mancata civilizzazione delle suddette società tribali. Anche in Inghilterra, progressivamente, alla connotazione geografica si aggiunse la caratterizzazione etnica che distingueva i vichinghi dalle popolazioni anglosassoni cristianizzate: essi, infatti, oltre ad essere rappresentati come pirati, abili navigatori e uomini provenienti dal Nord, venivano sempre più spesso distinti dalle popolazioni indigene, sulla base del loro paganesimo, non ancora influenzato dalla cristianizzazione. Risulta evidente che, nonostante il termine venisse (e venga tutt’oggi) utilizzato in modo universale, nei ‘vichinghi’ si distin- guevano numerose popolazioni germaniche provenienti da zone diverse dell’Europa settentrionale e che, pur nel caso in cui appartenessero ad una stessa spedizione, si potevano comporre di una varietà di individui.113

del Nord Europa, la geo-grafia, la storia e le usanze dei popoli scandinavi. È necessario ricordare che Adamo di Brema fu il primo storico che descrisse la scoperta dell’America settentrionale (Vinland), ben attestata dalle saghe, ad opera dei vichinghi islandesi.

113 Sempre secondo Marc Bloch (1987: 28), vi appartenevano i Danesi, i Götar della penisola dello Jütland, gli Svedesi e tutte quelle popolazioni che successivamente si sarebbero unite nella formazione della Norvegia. Tra loro, i guerrieri erano di fatto contadini, artigiani, esuli e individui che difficilmente avevano fatto della guerra una professione.

L'epoca vichinga viene convenzionalmente definita come il periodo caratterizzato dall'espansione di queste popolazioni, testimoniate dalle documentazioni dei primi saccheggi inglesi del 790 fino alla conquista normanna dell'Inghilterra nel 1066. Le motivazioni alle origini dell'espansione vichinga sono ancora un argomento am- piamente dibattuto tra gli storici che mancano ancora di una risposta univoca sul- l’argomento: una delle numerose teorie al riguardo fu proposta, alla fine del secolo XI, dal cronista normanno Dudone di Saint-Quentin (ca. † 1043) che imputava il fenomeno della diaspora vichinga a un processo di sovrappopolazione all’interno delle aree scandinave, in cui l’agricoltura era di fatto insufficiente nel supporto dell’aumento demografico, che causò una sostanziale carenza di terreni sia coltivabili, che abitabili (Bloch 1983: 51). Per un popolo costiero, esperto di naviga- zione, tentare un'espansione in territori oltremare poteva, di fatto, offrire nuove prospettive di vita.

Diversamente, altre teorie sostenevano il consapevole sfruttamento, da parte dei vichinghi, delle temporanee debolezze politico economiche dei territori d’approdo: per esempio, si pensa che i vichinghi danesi fossero perfettamente a conoscenza delle divisioni interne all’Impero di Carlo Magno (800-88), e che anche le spedizioni in Inghilterra avessero approfittato delle dispute interne tra i diversi regni anglosassoni. Inoltre, il declino delle antiche rotte commerciali può anch'esso rappresentare una delle motivazioni che spinsero le popolazioni nordiche a intraprendere nuovi viaggi: il commercio fra l'Europa occidentale e il resto dell'Eurasia calò drasticamente con la fine dell'Impero romano nel V secolo e con l'espansione dell'Islam nel VII secolo. Essendo, quindi, il guadagno relativo al commercio attraverso il Mar Mediterraneo ai suoi minimi livelli, i commercianti scandinavi agirono come intermediari commer- ciali tra Asia ed Europa.

Dal punto di vista geografico, conseguentemente, la civiltà vichinga si sviluppò non solo nelle aree scandinave, ma anche nei territori che fornivano un utile approdo commerciale sotto il dominio delle popolazioni germaniche, stanziandosi, ad esempio, nel Danelaw, in Scozia, in Irlanda, nell’Isola di Man, ma anche in ampie parti di Russia e Ucraina.114 In concomitanza all’espansione vichinga, inoltre, fu possibile registrare il periodo di maggiore stabilità dell'Impero bizantino (tra l'800 e il 1071) a seguito delle prime ondate conquistatrici arabe a metà del VII secolo.115

Il primo saccheggio vichingo in territorio inglese risalì presumibilmente al 787, quando, secondo la collezione di annali in antico inglese a cura di Alfredo in Grande,

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Alcuni ritrovamenti archeologici sembrano mostrare che i vichinghi avessero raggiunto la città di Bagdad, anche se l'insediamento di colonie in Medio Oriente non ebbe la fortuna che ottenne in altre parti d'Europa a causa del forte potere centralizzato delle dinastie degli Omayyadi e Abbasidi.

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A partire dall'anno 839 si ha la presenza di mercenari variaghi al servizio dei bizantini (il più famoso di tutti fu Harald Hardråde, che condusse guerre in Nordafrica e a Gerusalemme nel primo ter-zo dell'XI secolo). Importanti porti commerciali vichinghi dell'epoca erano Birka, Hedeby, Kaupang, Jorvik, Staraya Ladoga, Novgorod e Kiev.

le cronache anglosassoni (IX secolo), un gruppo di uomini provenienti dalla Norvegia giunse via mare nel Dorset. Nella stessa opera, viene narrato un successivo attacco, nel 793, presso il monastero di Lindisfarne, simbolo della missione evan- gelizzatrice settentrionale, sulla costa orientale dell'Inghilterra. Alle iniziali spedi- zioni piratesche vichinghe, fu contrapposta dai monarchi anglosassoni e franchi una procedura che, sebbene riuscisse a interrompere momentaneamente le incursioni, forniva una fiorente attività di lucro alle aree scandinave. Sulla base del precedente atteggiamento romano nei confronti delle migrazioni dei popoli germanici con- tinentali, tanto Carlo il Calvo nell’845, quanto il re del Wessex nell’872, ottennero, tramite il pagamento di un riscatto in denaro (che in quanto tale si poteva ripetere all’infinito), che le «scorrerie vichinghe» si rivolgessero altrove (Bloch 1987: 31-4). A causa dell’effettivo arricchimento dei protagonisti delle prime spedizioni, dalla madrepatria iniziarono a partire nuovi gruppi di persone, sempre più numerosi, che sebbene formassero delle vere e proprie armate, subivano una crescente impro- babilità di fare ritorno ogni anno nelle aree di provenienza: in tal modo i vichinghi acquisirono un carattere semisedentario.

Sempre seguendo il resoconto storico a cura di Marc Bloch (1987: 34-6), i primi insediamenti scandinavi in Inghilterra si delinearono a partire dall’851, quando un gruppo vichingo si stanziò nell’isola di Thanet, dapprima fissando i propri quartieri sulla costa del Tamigi, e successivamente spostandoli sempre più all’interno. Solo il Wessex, attraverso le numerose guerre testimoniate dalle cronache alfrediane a partire dall’871, riuscì a salvaguardare la propria indipendenza: il suddetto regno anglosassone riuscì a sottomettere, nell’880 parte della Mercia, sottraendola all’in- fluenza danese. A partire dall’899, i monarchi del Wessex, l’unico regno che dispo- neva di un esteso potere territoriale, iniziarono, appoggiandosi alla rete di fortif- icazioni precedentemente costituite, un tentativo di riconquista del paese che portò al riconoscimento dell’autorità regia anglosassone nella seconda metà del X secolo. Nelle Chronicles è presente la descrizione della battaglia di Brunanbuhr (937), in cui l’esercito scozzese, malgrado l’alleanza vichinga, venne sconfitto nella lotta per l’occupazione della Northumbria dall’esercito anglosassone guidato da Æthlestan († 939). Nello stesso periodo, nelle aree scandinave erano in atto profonde mutazioni politiche che si tradussero nella costituzione e nel consolidamento di Stati che, sebbene instabili e dilaniati dalle lotte dinastiche, accentrarono il potere politico al di sopra dei piccoli gruppi tribali. Accanto alla Danimarca, che affermò il proprio potere monarchico alla fine del X secolo, e alla Svezia, sorse la Norvegia, l’ultima monarchia nordica fondata intorno al 900 da una famiglia di capi militari locali. La mancanza di risonanza etnica testimoniata dallo stesso nome della nazione, sembra- va, infatti, richiamare il costituirsi di un’autorità impostasi tardivamente rispetto al particolarismo delle tribù su cui il recente governo, di fatto, regnava.

Conseguentemente, le incursioni in Inghilterra ripresero da parte di due impulsi: quello norvegese che, successivamente all’approdo in Inghilterra nel 947, della spedizione del monarca Eric I Haraldsson (in an. Eirík Blodøks «ascia insangui-

nata»), autore della riconquista del dominio della città di York, continuò ad opera di Olaf Tryggvason († 1000); e quello danese capeggiato da Sweyn I (an. Sveinn Tjúguskegg «barba forcuta»), che intraprese una lunga serie di guerre contro il re anglosassone Æthelred II († 1016), che terminarono nella battaglia di Maldon (991),116 nella quale l’esercito anglosassone fu sconfitto, portando al successivo riconoscimento di Canuto il Grande (an. Knútr inn ríki) come reggente del regno anglosassone (Bloch 1987: 38). A seguito delle numerose rivendicazioni di potere alla morte di Canuto, in Inghilterra, dopo un breve periodo di assoggettamento alla Danimarca, fu nuovamente istituito un monarca anglosassone meglio noto come Edoardo ‘Il Confessore’ (1042).117

Dopo essersi stanziati nei luoghi di sviluppo commerciale,118 le popolazioni vi- chinghe si integrarono completamente con le società indigene, arrivando a condi- viderne numerosi impulsi culturali. Il Cristianesimo cominciò a diffondersi anche in Scandinavia e, a causa della crescita di un forte potere centralizzato e del progressivo rinforzarsi delle difese nelle zone costiere del Continente, alcune spedizioni predato- rie divennero sempre più rischiose.

L’immagine delle popolazioni vichinghe era chiaramente legata alla costruzione operata dagli ambiti monastici, istituti territoriali più vulnerabili, quindi preferiti, durante i saccheggiamenti tra IX e XI secolo. Conseguentemente, fu inevitabile la produzione e la propagazione alle generazioni successive di , di una narrazione altamente negativa riguardo il carattere delle ‘invasioni’ subite. Non è un caso che la zona più colpita dalle incursioni e dalle conquiste scandinave, l’Inghilterra, avesse rielaborato autonomamente il materiale leggendario nordico sulla base del patri- monio tramandato oralmente, verso la metà dell’VIII secolo, producendo il più vasto poema epico in antico inglese a noi pervenuto, il Beowulf,119 che funse, presumibil- mente, da opera di riconciliazione etnica, evocando il mito del pagano inconsapevole e dunque stabilendo un’immagine etica della civiltà vichinga.

116 La battaglia venne descritta nell’omonimo poema epico anglosassone e successivamente allegato alla Vita Afredi di Asser († 909).

117 I vichinghi restarono in Inghilterra fino al 1066, quando i norvegesi persero la battaglia di Stamford Bridge, contro gli anglosassoni guidati da Aroldo II († 1066), che a loro volta persero la battaglia di Hastings contro il monarca normanno Guglielmo il Conquistatore, o the Bastard.

118 Gli scandinavi si stabilirono come coloni, sin dal VII secolo, negli arcipelaghi dell’Ovest, dalle Far Øer alle Ebridi; e nelle isole occidentali come Shetland e Orcadi (che vennero congiunte al regno di Norvegia dopo il X secolo).

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Il MS Cotton Vitellius A. xv, o Codex Nowell, rappresenta un testo allitterativo che stilisticamente utilizza ampiamente le kenning, riferimenti a personaggi o luoghi attraverso perifrasi o metafore che contribuiscono a fornire al testo un carattere allegorico, tipicamente utilizzate nella poesia scaldica. Beowulf, risulta essere il re dei Geati, scandinavi, che decide di morire uccidendo il drago che minacciava il proprio regno. Come i numerosi eroi germanici che hanno combattuto contro un animale mitologico simile a un serpente, Beowulf venne probabilmente adattato al nuovo sistema di valori etici propagandato dalle missioni evangelizzatrici in Inghilterra.

Nel XVIII secolo, il potente mito delle depredazioni vichinghe subì una devia- zione, principalmente in seguito all’opera di Montesquieu De l’Esprit de la Loi,120

in cui l’autore sosteneva una diretta causalità tra le condizioni climatiche in cui una popolazione si sviluppava e il suo comportamento. Questo punto di vista, espresso anche nella Germania di Tacito e nelle Historia Langobardorum di Paolo Diacono (VIII secolo), sottolineava il carattere tipicamente nordico dell’energia e della forza in contrasto con le apatiche abitudini dei popoli del Sud europeo (Wawn 1994: 71). Secondo le teorie climatiche che si svilupparono nei primi anni del XVIII secolo, le difficili condizioni quotidianamente affrontate dai popoli nordici causavano un’inclinazione psicologica secondo cui le popolazioni germaniche risultavano poco votate alla sottomissione e tanto zelanti nei confronti delle proprie libertà personali, a differenza delle popolazioni latine e mediterranee che venivano sempre più spesso descritte attraverso una prospettiva scientifica per contra rispetto alle società nordiche. La conseguenza immediata di queste posizioni, influenzata dalle precedenti diatribe politiche e religiose che sottolineavano la dicotomia tra libertà gotiche e corruzione romana, portò nel XVIII secolo alla convinzione culturale per cui la tradizione classica fosse inevitabilmente portata alla decadenza, diversamente dalle società germaniche che godevano di un’innata forza sociale rigeneratrice (Kliger 1952: 241). In Gran Bretagna l'interesse per i vichinghi crebbe notevolmente nel corso del XVIII secolo per merito sia delle traduzioni dei codici che contenevano saghe islandesi, sia di opere di letterati locali che miravano alla creazione di un modello genealogico che legasse, soprattutto sul piano linguistico, le tradizioni scandinave alla cultura inglese, sviluppando un morboso interesse nei confronti di qualunque cosa fosse recepito come nordico.

Per esempio, all’interno dell’opera storiografica History of England, Sir William Temple († 1699) fornì, oltre a una delle prime testimonianze dell’interesse da parte degli antiquari inglesi sulla poesia scandinava, le fondamenta per il successivo delineamento delle qualità culturali gotiche. Temple selezionò tre ambiti delle società gotiche in cui ricorrevano le principali qualità distintive del carattere nordico. Rispettivamente, l’autore analizzava il campo della religione, in specifico riferimento alla predestinazione dell’eroe al Valhalla a seguito di un comportamento eroico in battaglia; l’ambito dell’educazione, di competenza degli scaldi, che attraverso la testimonianza orale delle gesta eroiche miravano alla crescita di un sentimento di emulazione nelle nuove leve e nell’uditorio in generale; e la materia dei diritti civili, per cui i princìpi nordici erano descritti in aperta contraddizione rispetto alle pratiche delle civiltà classico-mediterranee. La tradizionale predisposizione alle libere assem- blee e alle elezioni dei propri rapresentanti, che Temple definiva come distintiva dei sistemi governativi germanici, era ritrovabile, nella sua più moderna manifestazione, nel costituzionalismo inglese. Il contributo di Temple fu significativo per i successivi sviluppi dell’interesse antiquario e letterario nell’antico Nord; rappresentando, oltre

che un’opera erudita, anche un prodotto fruibile da coloro che non possedevano una formazione specializzata (Omberg 1976: 19).

In conclusione, il XVIII secolo prese consapevolezza del fallimento della storia classica di documentare l’organizzazione delle società primitive. L’antiquariato, al contrario, forniva un’elevata quantità di informazioni oggettive e tangibili da cui avevano origine gli interrogativi che avrebbero portato a una comprensione migliore delle società arcaiche e, di conseguenza, di quelle contemporanee (Sweet 2004: 29). Inoltre, le opere scientifiche che si preoccupavano delle analisi linguistiche godettero di una tale popolarità che il gusto letterario e artistico iniziò ad esserne influenzato, collaborando, attraverso la pubblicazione di opere strumentali all’allontanamento dai valori latini, all’affermazione di istanze nazionalistiche e identitarie.