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Cassazione penale, Sez. un., 29 gennaio 1997 – Pres. Scorzelli – Est. Losapio – P.M. Suraci (concl. conf.) – Ric. Botta (*)

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L’alterazione di una concessione edilizia da parte di

un Sindaco non integra il reato previsto dall’art. 476 c.p. (falsità materiale commessa dal pubblico uffi-ciale in atti pubblici), bensì integra il reato previsto dall’art. 477 c.p. (falsità materiale commessa dal pubblico ufficiale in certificati o in autorizzazioni amministrative), dato che la concessione edilizia ha carattere di autorizzazione amministrativa.

IL COMMENTO

di Aldo Travi

La questione della «natura» della concessione edi-lizia, che tanto ha affaticato la dottrina e la giurispru-denza nei primi anni successivi alla legge 28 febbraio 1977, n. 10 (1), viene ripresa dalla Cassazione per al-cune implicazioni di ordine penale. La qualificazio-ne della concessioqualificazio-ne edilizia come concessioqualificazio-ne o co-me autorizzazione amministrativa rileva ai fini della falsità materiale commessa da pubblico ufficiale, perché la falsità materiale in concessione ammini-strativa integrerebbe il delitto previsto dall’art. 476 c.p., mentre la falsità materiale in autorizzazione in-tegra il delitto punito dall’art. 477 c.p. Nel giudizio deciso dalla Cassazione nella sentenza in commento la distinzione assume un rilievo evidente, non solo perché la sanzione prevista dall’art. 477 c.p. è meno grave di quella prevista dall’art. 476 c.p., ma anche perché il delitto punito dall’art. 477 c.p. era stato og-getto di amnistia.

L’attenzione della giurisprudenza penale per la questione della «natura» della concessione edilizia suscita, da parte del «non penalista», vari motivi di interesse. La giurisprudenza e la dottrina penali sem-brano pacifiche nel ritenere che le concessioni ammi-nistrative vadano ricomprese nella nozione di «atto pubblico» contemplata dall’art. 476 c.p. e che per-tanto la loro protezione penalistica non sia riconduci-bile all’art. 477 c.p., che prende in considerazione so-lo «certificati o autorizzazioni amministrative»:

questa conclusione non pare sollevare nell’ambito penalistico perplessità di sorta. Per il «non penalista»

suscita invece vivo stupore la previsione di un tratta-mento differenziato per le falsità materiali concer-nenti concessioni e quelle concerconcer-nenti autorizzazio-ni, non solo perché si tratta di provvedimenti amministrativi caratterizzati da varie affinità, ma an-che perché l’interesse alla genuinità del documento parrebbe identico in entrambi i casi.

È interessante allora rilevare che, secondo la giuri-sprudenza e la dottrina penalistiche (2), la ragione della diversità di trattamento starebbe nel fatto che l’art. 476 sanzionerebbe la falsità materiale rispetto

ad atti caratterizzati dalla produzione di «effetti co-stitutivi, traslativi, dispositivi, modificativi o estinti-vi rispetto a situazioni giuridiche soggettive di rile-vanza pubblicistica» (oltre che rispetto agli accertamenti effettuati da pubblico ufficiale e aventi valore di atto pubblico), mentre l’art. 477 c.p. sanzio-nerebbe la falsità materiale (oltre che dei certificati amministrativi) rispetto alle «autorizzazioni», intese come atti che rimuoverebbero meri «limiti»

all’esplicazione di attività di privati. La diversità nel trattamento penale rifletterebbe dunque la differenza fra un atto amministrativo con effetti costitutivi o tra-slativi (art. 476 c.p.) e un atto amministrativo idoneo solo a rimuovere limiti all’esercizio di un’attività privata (art. 477 c.p.). In questo modo la distinzione fra le due fattispecie penali si basa sulla «legificazio-ne» di una ben nota concezione dottrinale della di-stinzione fra concessione e autorizzazione ammini-strativa, concezione giustamente criticata negli ultimi decenni e la cui insostenibilità è stata di recen-te dimostrata appieno (3). A questo punto viene natu-rale porsi l’interrogativo di come possa permanere, nel diritto penale, una distinzione rilevante fra due fattispecie, quando i presupposti concettuali di tale distinzione siano risultati superati.

Ad ogni modo, nei due articoli cit. del codice pena-le, le concessioni amministrative vengono assimilate

Note:

(*) Per una lettura del testo integrale della sentenza si rinvia a questa Rivista, 463.

(1) Per un quadro generale cfr. Mazzarolli, Concessione e autorizzazione edilizia, in Dig. disc. pubbl. vol. III, Torino 1989, 269 ss.

(2) Su cui cfr., per una rassegna, Crespi, Stella, Zuccalà, Commentario breve al codice penale, Padova, 1986, sub artt. 476 e 477 c.p.

(3) Cfr., per tutti, Orsi Battaglini, Autorizzazioni amministra-tive, in Dig. disc. pubbl., vol. II, Torino, 1987, 58 ss.

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GIURISPRUDENZA nella nozione di «atto pubblico» (nozione che nel

con-testo dell’art. 476 c.p. risulta avere una portata ben di-versa da quella dell’art. 2699 c.c.); invece le autoriz-zazioni amministrative sono assimilate ai

«certificati». Nella giurisprudenza e nella dottrina pe-nalistica emergono così due motivi per la distinzione fra concessioni e autorizzazioni. Come ho già accen-nato, le concessioni avrebbero un carattere specifica-mente costitutivo o traslativo, mentre le autorizzazio-ni, sia per ragioni inerenti alla residualità della fattispecie, sia per l’assimilazione ai «certificati»

avrebbero un carattere più tipicamente dichiarativo.

Inoltre le prime atterrebbero a situazioni soggettive di rilevanza pubblicistica, perché riguarderebbero un’at-tività del cittadino che verrebbe legittimata solo dal provvedimento amministrativo, mentre le seconde at-terrebbero a situazioni soggettive di rilevanza privati-stica, perché investirebbero un’attività intrinsecamen-te privata, legittimata da fattori privatistici, e opererebbero solo rimuovendo limiti alla possibilità dell’esercizio di tale attività.

La tesi delle Sezioni unite

Il contrasto giurisprudenziale risolto con la sen-tenza in esame concerneva la qualificazione della concessione edilizia. Anche dopo le pronunce della Corte costituzionale dei primi anni ’80 che avevano accolto la tesi del carattere autorizzatorio della con-cessione edilizia (4), nella Cassazione penale erano presenti due diversi indirizzi, che ai fini delle falsità materiali riconducevano la concessione edilizia ri-spettivamente alle concessioni amministrative (5) e, viceversa, alle autorizzazioni amministrative. Questi indirizzi sono presi in considerazione dalle Sezioni unite con la sentenza in esame, unitamente a indica-zioni più generali ricavate dalla giurisprudenza civi-le e da quella amministrativa, così da delineare una sorta di catalogo dei criteri accolti dalla giurispru-denza per la distinzione fra autorizzazioni e conces-sioni amministrative. Tali criteri sono:

— la possibilità per l’autorità amministrativa di compiere valutazioni discrezionali. Le Sezioni unite sembrano dare per scontato che le concessioni ammi-nistrative abbiano necessariamente carattere discre-zionale; l’esclusione di ogni discrezionalità in riferi-mento alla concessione edilizia costituirebbe quindi un argomento per l’identificazione di tale provvedi-mento con un’autorizzazione amministrativa;

— l’irrevocabilità del provvedimento e l’irrile-vanza dell’«intuitus personae» ai fini del suo rila-scio. Revocabilità e rilevanza dell’«intuitus perso-nae» sono considerati elementi propri degli atti concessori, in relazione anche alla loro inerenza a va-lutazioni discrezionali (v. sopra). La negazione di tali elementi nell’art. 4, l. n. 10/1977 induce a qualificare la concessione edilizia come autorizzazione;

— la legittimazione a richiedere il provvedimento amministrativo. Nel caso della concessione edilizia, la legittimazione è riconosciuta solo al proprietario dell’area o ad altro avente titolo, in base a criteri me-ramente privatistici e non inerenti a valutazioni di in-teresse pubblico; anche questo elemento (analogo a quelli appena richiamati) appare incompatibile con una natura «concessoria» del provvedimento;

— la «commerciabilità» dell’atto amministrativo, intesa in realtà dalla Cassazione non come possibilità di «vendere» a terzi il provvedimento, ma come asso-ciazione necessaria del provvedimento con una de-terminata situazione soggettiva, con la conseguenza che il trasferimento della situazione soggettiva com-porta anche il trasferimento dell’atto amministrati-vo. La commerciabilità è ritenuta incompatibile con le concessioni amministrative, proprio in relazione al carattere discrezionale del provvedimento e alla rile-vanza dell’«intuitus personae»; invece, nel caso del-la concessione edilizia, il trasferimento neldel-la pro-prietà di una determinata area si riflette anche sulla titolarità della relativa concessione (art. 4, comma 6, l. n. 10/1977);

— l’onerosità della concessione amministrativa, cui farebbe riscontro la tendenziale gratuità dell’au-torizzazione. La gratuità sarebbe indice dell’ineren-za del provvedimento a facoltà già proprie del citta-dino interessato al provvedimento.

La significatività e il peso di questi «criteri» non appaiono costanti. Il ragionamento è condotto sulla base di verifiche condotte sulla base di figure stereo-tipe: per esempio, il carattere della «commerciabili-tà» risulta difficilmente verificabile rispetto a certe autorizzazioni per attività economiche (è il caso delle autorizzazioni commerciali). Inoltre il carattere dell’onerosità risulta ambiguo, con riferimento ap-punto alla concessione edilizia, come è sottolineato da quelle teorie che assegnano a tale provvedimento carattere concessorio quando esso sia oneroso, men-tre gli assegnano carattere autorizzatorio quando es-so sia gratuito (art. 9, l. n. 10/1977). In definitiva, i criteri in esame finiscono con l’avere rilievo come

«indici» orientativi; fra essi determinante appare, nel ragionamento delle Sezioni unite, l’esclusione di va-lutazioni discrezionali e dei corollari che conseguo-no alla discrezionalità amministrativa, con la conse-guenza che risulta preferita la tesi del carattere autorizzatorio.

Tutta questa impostazione riflette però una con-vinzione ben esplicitata nella sentenza: che la vicen-da della concessione edilizia, ai fini che qui interes-sano, sia valutabile autonomamente, considerando la disciplina del relativo procedimento e prescindendo perciò da ogni riferimento a funzioni amministrative differenti.

Questa separatezza era stata invece negata, in par-ticolare, da Cass. pen. 21 ottobre 1986, Alliegro, cit., secondo cui l’attività amministrativa di rilascio della concessione edilizia sarebbe inerente a una funzione amministrativa complessa, che ricomprenderebbe anche la pianificazione e la gestione territoriale in tutti i suoi profili, inerenti alla disciplina delle possi-bilità di edificazione, agli aspetti contributivi, alla scansione temporale dei lavori. Di conseguenza

sa-Note:

(4) Corte Cost. 30 gennaio 1980, n. 5, in Foro it., 1980, I, 273, e Corte Cost. 5 maggio 1983, n. 127, in Foro it., 1983, I, 1197.

(5) Così particolarmente Cass. pen., sez. VI, 21 ottobre 1986, Alliegro, in Foro it., 1987, II, 419, con nota di Renda.

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GIURISPRUDENZA rebbe artificiosa ogni qualificazione della

concessio-ne edilizia che venisse operata dissociando le valuta-zioni proprie di tale provvedimento dalle valutavaluta-zioni degli interessi pubblici inerenti alla gestione urbani-stica. La concessione edilizia, infatti, sarebbe il prov-vedimento conclusivo di una funzione amministrati-va di gestione urbanistica.

Le Sezioni unite distinguono invece fra attività am-ministrativa di pianificazione e attività amministrati-va di rilascio delle concessioni edilizie. La distinzione è resa necessaria dal fatto che la seconda attività attie-ne all’applicazioattie-ne delle scelte operate con la prima e quindi si colloca su un piano logico differente.

Alla concessione edilizia, una volta escluso ogni elemento di discrezionalità, risulta assegnato un ca-rattere oggettivamente «certificatorio»; d’altra parte, le Sezioni unite respingono la possibilità di autoriz-zazioni «costitutive». Il riferimento all’art. 477 c.p.

(che riguarda, come si è visto, l’alterazione di «certi-ficati o autorizzazioni amministrative»), anziché all’art. 476 c.p., appare pertanto confermato.

Una prima valutazione della sentenza

Qualsiasi valutazione della sentenza delle Sezioni unite non può prescindere dal contesto propriamente penalistico e quindi dalla considerazione della distin-zione, imposta dal codice penale ai fini della repressio-ne delle falsità materiali, fra autorizzazioni amministra-tive e altri provvedimenti. In questa logica diventa difficile evitare una contrapposizione fra concessioni e autorizzazioni amministrative, per quanto la stessa ri-cerca di una qualificazione «sostanziale» del provvedi-mento, che superi il dato formale costituito dalla deno-minazione legislativa, dovrebbe indurre a riflettere sulla artificiosità della contrapposizione ai fini penali.

Dal punto di vista del «non penalista» si impongo-no invece alcune valutazioni.

Innanzi tutto va affermata l’esigenza di superare definitivamente alcuni miti tradizionali, che condizio-nano ancora lo studio della concessione edilizia. Di-scutere se la concessione edilizia comporti o meno lo scorporo dello ius aedificandi rispetto al diritto di pro-prietà ha poco senso, specie se non si chiarisca preven-tivamente in che cosa consista lo ius aedificandi (e perciò a quali condizioni esso possa essere esercitato).

Non mi pare fruttuoso discutere se il cittadino sia tito-lare di un diritto di costruire «ab origine», prescinden-do perciò dalla concessione edilizia: il discorso, così impostato, coinvolgerebbe inevitabilmente argomenti di principio non verificabili. Mi pare importante capi-re, invece, quale sia la posizione del cittadino rispetto al rilascio della concessione stessa. A questo proposi-to è necessario verificare quali siano le condizioni per il rilascio di una concessione edilizia, e quindi quali valutazioni comporti, per l’autorità competente, il lascio di questo provvedimento. Anche il tema del ri-sarcimento del danno nei confronti dei dinieghi ille-gittimi di concessione meriterebbe di essere affrontato piuttosto in questa logica.

Ciò non toglie nulla all’esigenza di capire come si ponga la distinzione fra autorizzazioni e concessioni amministrative. Il ragionamento condotto dalle Se-zioni unite lascia perplessi, nella sua asistematicità e nella apoditticità di certe conclusioni (si veda, per

esempio, il rigetto della teoria delle autorizzazioni co-stitutive). Riflette però, in positivo, la convinzione che una distinzione fra concessioni e autorizzazioni am-ministrative si debba ricercare esaminando le condi-zioni per l’esercizio del potere (e cioè in base al tipo di valutazione discrezionale, alla legittimazione pre-scritta, alla funzione del potere). Rimane ferma anche l’esigenza di conclusioni sul piano delle situazioni soggettive (6). Ma tali situazioni non possono essere risolte nell’alternativa aprioristica e semplicistica fra

«preesistenza» o meno della situazione stessa rispetto al provvedimento autorizzatorio o concessorio, e van-no valutate invece alla luce «della rilevanza degli inte-ressi correlati all’uno o all’altro tipo di potere» (7).

Un’osservazione finale riguarda l’affermazione, contenuta nella sentenza, del carattere «certificatorio»

delle verifiche proprie della concessione edilizia. Si è già accennato al rilievo che assume questa afferma-zione, nel contesto penalistico: il rifiuto della teoria dell’autorizzazione costitutiva (teoria che le Sezioni unite dimostrano di conoscere attraverso l’elaborazio-ne proposta da Giannini) si ricollega alla logica accol-ta comunemente per la distinzione fra gli artt. 476 e 477 c.p., cui si è fatto cenno all’inizio. In sostanza le Sezioni unite riconducono il carattere «certificativo»

della concessione edilizia alla esclusione di ogni di-screzionalità e lo fanno coincidere con l’assenza di ogni effetto costitutivo. In questo modo appare evi-dente anche il legame con la giurisprudenza costitu-zionale già citata, che ha escluso espressamente carat-tere costitutivo alla concessione edilizia.

Mi sembra che, però, sia importante tenere distinti due livelli. Il primo riguarda il tipo di valutazioni o di verifiche rimesse all’Amministrazione, ai fini dell’emanazione di un provvedimento: è il piano che inerisce alla discrezionalità o meno dell’atto. La nor-ma che disciplina il potere dell’Amministrazione, definendo le modalità per il suo esercizio, determina questo tipo di valutazioni. Il secondo livello, invece, riguarda la rilevanza giuridica dell’atto amministra-tivo, da intendersi come effetto ricondotto a quell’at-to rispetquell’at-to alla realtà giuridica esterna. Quesquell’at-to livello è definito da una norma diversa da quella che disci-plina il potere dell’Amministrazione: è definito dalla norma che disciplina gli effetti dell’atto. Le due nor-me, ovviamente, possono correlarsi in termini fun-zionali, perché quando l’atto sia discrezionale gli ef-fetti giuridici di esso costituiscono normalmente un profilo rilevante per le valutazioni richieste all’auto-rità amministrativa; le due norme restano però logi-camente distinte.

Anche l’attestazione di una certa situazione di fat-to non richiede nessuna valutazione discrezionale.

Ma se questa attestazione è, in base a una norma, con-dizione necessaria e infungibile per l’esercizio di una certa attività da parte del cittadino, essa, sul piano

de-Note:

(6) Esigenza che è testimoniata, per esempio, nel recente studio di Fracchia, Autorizzazioni amministrative e situazio-ni giuridice soggettive, Napoli, 1996.

(7) Così, ampiamente, Marzuoli e Sorace, Concessioni am-ministrative, in Dig. disc. pubbl., vol. III, Torino 1989, 280 ss.

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GIURISPRUDENZA gli effetti, in quanto tale assume rilievo di elemento

essenziale della fattispecie, al pari degli atti con ef-fetti costitutivi. La distinzione rispetto agli atti con effetti costitutivi rimane, perché l’atto costitutivo de-finisce la disciplina dell’attività e quindi, in questo

senso, è fattore legittimante, mentre l’attestazione non lo è mai. Ma se il discorso si porta su questo pia-no, allora diventa ben difficile negare il valore di atto costitutivo alla concessione edilizia, anche se si ac-coglie la tesi della sua natura «autorizzatoria».