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IN TEMA DI VARIANTE IMPLICITA EX ART. 1, COMMA 5, L. 1/1978

Consiglio di Stato, sez. V, 30 aprile 1997, n. 421 – Pres. Calabrò – Est. Trovato – Smeriglia c.

Comune di Reggio Calabria e altro 2.25886

La variante implicita nell’approvazione di un pro-getto d’opera pubblica ex art. 1, comma 5, l. n.

1/1978 non ha la stessa natura degli atti di program-mazione urbanistica.

Le misure di salvaguardia non possono trovare giu-stificazione in una variante implicita al piano rego-latore.

... Omissis ...

Diritto ... Omissis ...

7) Con il primo motivo d’appello si pone la que-stione se la misura di salvaguardia prevista dal com-ma 2 dell’articolo unico, legge 3 novembre 1952, n.

902 – che autorizza il Prefetto (oggi Presidente della regione) ad ordinare, su richiesta del Sindaco, la so-spensione dei lavori di trasformazione delle proprie-tà private che sono tali da compromettere o rendere più onerosa l’attuazione del piano regolatore genera-le e particolareggiato – possa trovare applicazione anche nei confronti delle varianti, che non sono stru-menti di pianificazione generale del territorio, e più in particolare – ed in linea subordinata – nei confronti delle cosiddette varianti implicite per la ragione che mentre le misure di salvaguardia sono poste, come in parte si è già detto, a tutela di strumenti urbanistici in itinere rivolti a disciplinare la materia urbanistica d’interesse generale, le varianti implicite, invece, so-no essenzialmente rivolte in modo singolare all’ap-provazione di un progetto di opera pubblica, in cui la variante stessa ha solo una funzione ed un effetto ser-vente e strumentale.

Nei riguardi delle due fattispecie ipotizzate esisto-no differenze sostanziali, il che richiede da parte di questo collegio una risposta articolata.

Sulla prima delle due questioni, questo giudice non ha che da richiamare il principio affermato da questo Consesso (Cons. Stato, sez. IV, 27 aprile 1987, n. 246; Cons. Stato, sez. V, 17 novembre 1994, n. 1332) secondo cui l’adozione di una variante è suf-ficiente a giustificare la misura di salvaguardia. Pro-nuncia dalla quale non v’è ragione di discostarsi, at-teso che la variante altro non è che un brano di piano regolatore (o di altro strumento urbanistico), geneti-camente omogeneo, che, una volta approvato, va a costituire, inscindibilmente, corpo unico col piano esistente, assumendone la stessa natura.

Peraltro, la variante è uno strumento indispensabi-le al fine di precorrere l’obsoindispensabi-lescenza dello strumen-to urbanistico, in modo che esso conservi sempre, at-traverso l’aggiornamento, l’impronta dell’attualità e della modernità.

Per quanto riguarda la variante implicita, la que-stione di fondo da risolvere è se essa, dal punto di vi-sta ontologico, possa farsi rientrare nel novero degli strumenti urbanistici specificatamente individuati dalla legge – piani regolatori, piani particolareggiati, programmi di fabbricazione – a difesa dei quali le mi-sure di salvaguardia sono appunto adottate.

Al riguardo giova considerare che la variante im-plicita, anche quando nel provvedimento che la con-tiene non formi oggetto di una specifica manifesta-zione di volontà, è una qualificamanifesta-zione giuridica che l’atto di approvazione del progetto di opera pubblica acquista automaticamente col semplice richiamo della norma di cui all’art. 1, l. n. 1 1978 (come è acca-duto nel caso di specie), e ciò anche quando il proget-to sia in contrasproget-to con le previsioni del piano urbani-stico, e senza neppure l’obbligo di una previa verifica della sua compatibilità.

La legge ha una sua precisa collocazione tempora-le, e trova una sua giustificazione politica nella ne-cessità, all’epoca avvertita, di accelerare i tempi di realizzazione dei progetti dei lavori pubblici, in una congiuntura nella quale si rendeva manifesta la ne-cessità di un volano efficace che servisse ad impri-mere una spinta produttiva nell’economia del Paese.

Tuttavia, così disponendosi, non si può non rilevare come si sia messo in crisi il principio di legalità dell’azione amministrativa, atteso che le amministra-zioni pubbliche sono rimaste praticamente svincolate, per tutta la durata della deroga, dall’osservanza delle previsioni urbanistiche per la realizzazione delle ope-re pubbliche di loro competenza.

Questione certamente avvertita dal legislatore del 1978, il quale significativamente limitò a tre anni l’efficacia nel tempo della disposizione eccezionale.

In effetti quel che è avvenuto ha comportato il ca-povolgimento della gerarchia dei valori giuridici, in quanto l’atto approvativo del progetto, degradando la forza precettiva della norma primaria dello stru-mento urbanistico, dalla posizione di oggetto con-formato è passato a diventare atto conformativo dell’ordinamento, dando luogo ad una grave ano-malia giuridica.

Ma con le superiori considerazioni sull’auto-nomatismo dell’effetto variante diventa più chiaro che lo scopo esclusivo, si vorrebbe dire la causa tipi-ca del provvedimento approvativo del progetto, non è l’atto di programmazione urbanistica, bensì la rea-lizzazione dell’opera pubblica. Rispetto a

quest’ulti-Amministrativa

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GIURISPRUDENZA mo, l’effetto variante, attribuito dalla legge

indipen-dentemente da una specifica manifestazione di volontà dell’organo deliberante, ha carattere mera-mente formale e strumentale, e precisamera-mente quello di conferire a posteriori veste legale ad un intervento che altrimenti sarebbe trasgressivo dell’ordinamento giuridico.

Ed allora due ragioni concorrenti militano in favo-re della tesi dell’appellante.

La prima è quella che la variante implicita non ha la stessa natura degli atti di programmazione urbani-stica e non può essere pertanto compresa nel novero degli strumenti a difesa dei quali soccorrono le misu-re di salvaguardia. La variante, infatti, non è atto creativo di programmazione, ma piuttosto elemento di rottura dell’ordine urbanistico normato.

La seconda è quella che – a parte ogni pur giusta considerazione sul rapporto diacronico fra la legge del 1952 e quella del 1978 – le norme che fanno ecce-zione alle regole generali non possono trovare appli-cazione oltre i casi ed i tempi in esse considerati (art.

14 disp. prel.).

Cosicché sul punto può concludersi che la misura di salvaguardia nei confronti di una variante implici-ta non può trovare applicazione e che perimplici-tanto, per quanto riguarda il caso in esame, è ininfluente l’effi-cacia di variante attribuita alle due deliberazioni di giunta e di consiglio comunale approvative del pro-getto di completamento della via S. Anna.

Con questa parziale esclusione il discorso potreb-be ritenersi anche chiuso – posto che, per il venir me-no del presupposto sul quale si regge, ciò determina la caduta del decreto di salvaguardia adottato dal Pre-sidente della regione Calabria.

8) Data l’imporatnza della causa, il Collegio, tut-tavia non vuol mancare di pronunciarsi sugli altri profili di censura dedotti.

Per l’affinità col precedente punto, ritiene di dover esaminare la questione relativa alla vigenza delle mi-sure di salvaguardia all’epoca in cui sono state adot-tate le due deliberazioni (di giunta municipale e di consiglio comunale) approvative del progetto.

E come prima cosa tiene per fermo, come dato ir-refutabile, che l’effetto variante dei provvedimenti adottati ai sensi dell’art. 1, l. n. 1 1978 è stato tenuto in vita sino al 31 dicembre 1987, e non come assume il Comune sino al 31 dicembre 1988 (art. 1 comma 3 l. 27 settembre 1986, n. 588). Altro dato di certezza è di codesto effetto era riservato soltanto alle delibe-razioni adottate dal consiglio comunale.

Ora, le deliberazioni assunte sull’affare in discus-sione sono due, e per entrambe occorre verificare se ricorrano le predette condizioni, e cioè la tempestività dell’atto e la sua attribuibilità al consiglio comunale.

La prima, del 29 dicembre 1986, è della giunta municipale. Adottata entro il termine legale, non può tuttavia avere efficacia di variante perché non pro-viene dal consiglio comunale.

La seconda è del consiglio comunale e contiene due principali determinazioni:

a) ratificare la deliberazione della giunta munici-pale 29 dicembre 1986, n. 5070;

b) «confermare come atto proprio la deliberazione n. 5070 1986 ribadendo che l’approvazione del pro-getto in esame costituisce ad ogni effetto adozione di

variante allo strumento urbanistico vigente per le im-plicanze di natura urbanistica che l’attuazione dell’opera comporta (comma 5 dell’art. 1, legge 3 gennaio 1978, n. 3 e successive proroghe)».

Il primo punto da esaminare è se codesti due prov-vedimenti, adottati dopo la scadenza del termine del 31 dicembre 1987, abbiano effetto retroattivo. La ra-tifica – è pacifico – questo effetto ce l’ha. Epperò non altrettanto pacifico perché controverso, è se abbia anche quello di attribuire al consiglio la paternità dell’atto ratificato. Il Collegio propende per la tesi negativa. Ed invero il consiglio comunale, in sede di ratifica di una deliberazione adottata dalla giunta municipale per motivi di urgenza, è chiamato solo a verificare se ricorressero o meno gli estremi dell’ur-genza, e non anche a compiere valutazioni sull’op-portunità e convenienza della deliberazione stessa, che resta sempre atto di diversa autorità (Cons. Stato, sez. V, 7 aprile 1972, n. 239).

Ciò si spiega col fatto che fino alla riforma del 1990 (art. 32 della legge n. 142, che sugli atti fonda-mentali crea una sfera di competenza riservata) il consiglio comunale non aveva l’esclusiva disponibi-lità dei poteri funzionali ad esso attribuiti, sicché si andrebbe sicuramente fuori strada qualora, alla ricer-ca di possibili analogie, si volesse istituire un paralle-lismo fra l’art. 140 del testo unico della legge comu-nale e provinciale, approvata con r.d. 4 febbraio 1915, n. 148, e gli art. 70 e 77 della vigente Costitu-zione. Nessun accostamento è possibile fra la ratifica e l’atto parlamentare di conversione in legge del de-creto adottato in via d’urgenza dal Governo.

Il vero è che in presenza di una situazione d’urgen-za i poteri del consiglio passano alla giunta municipa-le che li assume e li esercita come propri, residuando al consiglio nient’altro che un potere di controllo sulla sussistenza dei presupposti giustificativi dell’assun-zione di quei poteri.

Pertanto, appare conseguenziale che i provvedi-menti adottati nell’esercizio dei poteri medesimi so-no e restaso-no atti di giunta municipale.

Per la parte relativa all’atto di convalida, con il quale il consiglio comunale ha fatto proprio l’atto della giunta municipale, vi è da dire che l’atto mede-simo, sanando il vizio d’incompetenza, rende possi-bile il passaggio al consiglio della paternità dell’at-to convalidadell’at-to, ed altresì con efficacia retroattiva, come ritiene la maggior parte della dottrina e della giurisprudenza. Ma ad una condizione, e cioè che l’autorità che procede alla convalida abbia ancora la disponibilità dell’effetto che l’atto convalidato ver-rebbe a produrre (Cons. giust. amm. 28 gennaio 1993, n. 5; Cons. Stato, sez. IV, 20 maggio 1996, n.

625).

Nel caso di specie, allorché il provvedimento ven-ne assunto (28 ottobre 1988), tale disponibilità non era più prerogativa del consiglio, essendo l’effetto variante venuto meno, per la scadenza del termine, il 31 dicembre 1987. La deliberazione consiliare n.

2585 del 1988 non può perciò conseguire l’effetto voluto perché il consiglio comunale nel momento in cui deliberava più non aveva il potere relativo.

Anche sotto questo ulteriore profilo, dunque, è il-legittima la deliberazione consiliare impugnata nella parte in cui conferisce effetto di variante al progetto

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di opera pubblica approvata, ed anche per questa ra-gione, come per la precedente, è illegittimo, per di-fetto del presupposto, l’impugnato decreto del Presi-dente della regione Calabria.

9) È parimenti fondata la censura dedotta in primo grado e ripresa in appello circa il difetto di motiva-zione da cui è affetto il provvedimento di salvaguar-dia, che trova la sua giustificazione nel fatto che la prosecuzione dei lavori di costruzione di un fabbrica-to in c.a. renderebbe più onerosa la realizzazione dell’opera pubblica (completamento via S. Anna), in quanto si verrebbe a verificare una notevole valoriz-zazione del suolo privato sul quale la stessa opera pubblica dovrebbe essere realizzata.

Pare al collegio che detta motivazione sia inade-guata rispetto ai parametri stabiliti dalla giurispru-denza. La quale in merito ha stabilito, ripetutamente e pacificamente che la misura di salvaguardia di cui al comma 2, l. n. 902 1952 può essere adottata solo previa attenta ponderazione dell’interesse primario tutelato dalla norma (la salvaguardia del piano rego-latore in itinere) con altri interessi privati e pubblici pure meritevoli di considerazione, e che, pertanto es-sa è illegittima ove sia mancata la attenta compara-zione dell’interesse all’attuacompara-zione del piano con gli altri consistenti interessi di opposto contenuto, allo scopo di stabilire se questi costituissero interessi mi-nori da subordinare e sacrificare al piano (per tutte:

Cons. Stato, sez. IV, 15 maggio 1973, n. 556).

Non basta quindi l’affermazione, ripetitiva della formula dell’enunciato legislativo della sussistenza della maggiore onerosità della realizzazione del pia-no, ma occorre prima stabilire in che cosa consista la maggiore onerosità, e poi operare una comparazione

con il sacrificio imposto al privato, onde dedurre quale dei due, in quanto minore, sia preferibile sacri-ficare. E questa comparazione appare tanto più ne-cessaria nel caso di specie per due ordini di ragioni.

In primo luogo perché trattasi non di salvaguardare un nuovo piano, ma di rendere immediatamente ope-rativa una variante riguardante solo la licenza che con la misura si viene a sospendere (Cons. Stato, sez.

IV, 1° luglio 1977, n. 636); in secondo luogo per ra-gioni di trasparenza, per allontanare dallo Smeriglio ogni sospetto, pur legittimo in presenza di una vicen-da giudiziaria che ha assunto toni di asprezza, che ai suoi danni si sia voluto consumare un abuso.

10) Sul piano procedimentale, merita infine con-divisione la censura riguardante l’omesso adempi-mento delle formalità di cui agli art. 6 ss. legge 18 aprile 1962, n. 167.

Il tenore dell’art. 1 comma 5, legge 3 gennaio 1978, n. 1, al riguardo è molto chiaro; per cui prima della sua approvazione con le modalità ivi indicate, la delibera-zione che adotta il progetto dell’opera pubblica non può dirsi efficace.

11) Alla stregua delle superiori considerazioni le due deliberazioni del comune di Reggio Calabria im-pugnate in primo grado devono ritenersi illegittime nella parte in cui attribuiscono l’effetto di variante al progetto di opera pubblica adottato, e conseguente-mente è illegittimo il provvedimento del Presidente della regione Calabria che su di essa fonda il proprio presupposto.

Quanto alle spese, appare giusto che esse seguano la soccombenza, nella misura che viene stabilita in dispositivo.

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IL COMMENTO

di Maria Alessandra Bazzani

La sentenza che si commenta affronta l’istituto del-la variante dello strumento urbanistico, implicita nell’approvazione del progetto d’opera pubblica ex art. 1, comma 5 della legge 3 gennaio 1978, n. 1, for-nendone un’interpretazione che la sottrae dal novero degli atti di pianificazione del territorio. Detta varian-te, afferma il Consiglio di Stato, «è una qualificazione giuridica che l’atto di approvazione del progetto di opera pubblica acquista automaticamente col sempli-ce richiamo della norma di cui all’art. 1, l. n. 1/1978».

Ne consegue che l’effetto di variante dello strumento urbanistico «ha carattere meramente formale e stru-mentale, e precisamente quello di conferire a posterio-ri veste legale ad un intervento che altposterio-rimenti sarebbe trasgressivo dell’ordinamento giuridico».

Le surriportate statuizioni offrono l’occasione per riflettere sui rapporti tra programmazione urbanisti-ca e lourbanisti-calizzazione delle opere pubbliche.

Rapporto tra previsioni urbanistiche e scelta localizzativa dell’opera pubblica

Nel nostro ordinamento il collegamento tra piani-ficazione urbanistica e realizzazione delle opere pubbliche è risalente nel tempo. Il principio, già rica-vabile dall’art. 92, l. n. 2359/1865, è enunciato

dall’art. 29, l. n. 1150/1942, secondo il quale le opere pubbliche non devono essere in contrasto con le pre-scrizioni del piano regolatore e del regolamento edi-lizio vigenti nel territorio in cui esse ricadono (1). Si tratta, peraltro, di principio che ha registrato numero-se eccezioni, tra cui quella della l. n. 1/1978 rappre-senta uno dei fenomeni più rilevanti (2). Com’è noto la legge 3 gennaio 1978, n. 1, sull’accelerazione dell’esecuzione di opere pubbliche e di impianti in-dustriali, all’art. 1, comma 5 prevede, nel caso in cui vi sia l’esigenza di localizzare un’opera pubblica su area che gli strumenti urbanistici non destinano a pubblici servizi, un meccanismo di variante

automa-Note:

(1) Per una disamina dei rapporti tra pianificazione urbani-stica e realizzazione di opere pubbliche, si rimanda a Sticchi Damiani, La dichiarazione di pubblica utilità, Milano, 1983.

L’Autore ricava dall’esegesi delle norme della materia la conclusione della pienezza del principio per cui l’insedia-mento delle opere pubbliche deve sottostare al governo del territorio determinato dalla pianificazione urbanistica.

(2) Per un esame dei procedimenti di localizzazione di ope-re pubbliche si rimanda a Urbani–Civitaope-rese, Diritto urbani-stico, Torino, 1994.

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GIURISPRUDENZA tica delle previsioni di piano connessa

all’approva-zione del progetto (3). La legge, come dà atto la sen-tenza che si commenta, ha una precisa collocazione temporale, giustificata dalla necessità di imprimere una spinta produttiva all’economia nazionale, abbre-viando i tempi della procedura di approvazione delle opere pubbliche. L’eccezionalità del procedimento era collegata con la limitazione della durata tempora-le (tre anni) della norma ( comma 7 dell’art. 1). Il ter-mine, a dimostrazione dello straordinario favore in-contrato dalla disposizione «eccezionale», dopo ripetute proroghe, veniva definitivamente abrogato dall’art. 8, legge 10 febbraio 1989, n. 48. L’esperien-za concreta permette, oggi, di dire che l’esigenL’esperien-za ac-celeratoria, sottesa alla l. n.1/1978, non era di caratte-re transeunte. Ciò, d’altro canto, significa che il ruolo dello strumento urbanistico, identificato dalla legge urbanistica come fonte precettiva primaria, cui anche le opere pubbliche si devono adeguare, non è più tale, giacché il ricorso ad un procedimento di approvazio-ne del progetto d’opera pubblica con effetto di varia-zione automatica del piano, inverte il rapporto tra pianificazione e scelta particolare. In queste ipotesi, è stato notato (4) come, sul piano sostanziale, il com-pito della pianificazione urbanistica diventi quello di assorbire la scelta settoriale. Su di un piano più forma-le, si segnala la tesi di chi ravvisa nel procedimento di variante implicita una conferma che tutte le opere pubbliche sono sottoposte al regime della pianifica-zione urbanistica (5).

Il progressivo allargamento della sfera di discipli-na del territorio in variante implicita al piano regola-tore, costringe a domandarsi se a detta attività possa-no applicarsi gli strumenti tipici della pianificazione urbanistica, tra cui l’istituto delle misure di salva-guardia (6).

Lo stato della giurisprudenza

Sul piano ontologico, la natura della variante, co-siddetta implicita, ex l. n. 1/1978 non risulta approfon-dita dalla giurisprudenza corrente. In talune massime si legge che la delibera comunale di approvazione di un progetto d’opera pubblica, in variante alle previ-sioni del piano regolatore, ai sensi dell’art. 1, l. n.

1/1978, è immediatamente impugnabile in quanto co-stituisce presupposto per l’applicazione delle misure di salvaguardia (7). La medesima giurisprudenza af-ferma, nel contempo, che la variante introdotta ai sen-si dell’art. 1, 5 ° comma l. n. 1/1978 è inefficace sino al momento dell’approvazione regionale (8). L’affer-mazione si collega alla regola secondo cui, presuppo-sto di legittimità del procedimento espropriativo e del progetto dell’opera, è la conformità alla disciplina ur-banistica, nel senso che l’insediamento delle opere pubbliche deve sottostare al governo del territorio de-terminato dalla pianificazione urbanistica (9).

Il problema del coordinamento tra adozione del progetto d’opera pubblica e disciplina urbanistica non si esaurisce nei termini sopra esposti. Uno spun-to che merita approfondimenspun-to viene dalla sentenza della IV sezione del Consiglio di Stato, 1° giugno 1989, n. 356 (10), secondo cui: «la valenza urbanisti-ca dell’approvazione di un progetto di opera pubbli-ca a norma dell’art. 1, comma 5, della l. n. 1/1978, non

consiste nell’assimilazione di detta delibera ad un atto di pianificazione generale, bensì introduce una certa

Note:

(3) La disposizione in parola testualmente prevede che:

«Nel caso in cui le opere ricadano su aree che negli stru-menti urbanistici approvati non sono destinate a pubblici servizi, la deliberazione del consiglio comunale di approva-zione del progetto costituisce adoapprova-zione di variante degli strumenti stessi, non necessita di autorizzazione regionale preventiva e viene approvata con le modalità previste dagli articoli 6 e seguenti della legge 18 aprile 1962, n. 167, e suc-cessive modificazioni ed integrazioni».

(4) Stella Richter, Profili funzionali dell’urbanistica, Milano, 1984, 55 ss.

(5) Cfr. Sticchi Damiani, op. cit. L’Autore, per fronteggiare le opposte tesi di chi ravvisava nella l. n. 1/1978 una sorta di

(5) Cfr. Sticchi Damiani, op. cit. L’Autore, per fronteggiare le opposte tesi di chi ravvisava nella l. n. 1/1978 una sorta di