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Cassazione penale, sez. III, 24 aprile 1997 – Pres. Chirico – Rel. Raimondi – Imp. Catalano

2.15366

In base all’art. 5, legge 20 marzo 1865, n. 2248, all.

E, a fronte di una concessione edilizia non è dato al giudice penale sindacare la mera legittimità dell’at-to amministrativo, perché non è consentidell’at-to sovrap-porre all’opinione dell’organo della P.A., di avere adottato un provvedimento legittimo, la diversa va-lutazione da parte del giudice penale, che quello stesso atto sia privo dei requisiti di legittimità, giacché in sede penale l’atto amministrativo illegit-timo, in quanto tale, è privo di sanzione e non sinda-cabile. Soltanto nel caso in cui si verta in una ipotesi di carenza di potere, denotata da azione amministra-tiva esulante dai relativi presupposti e limiti, è legit-timo e si impone l’intervento del giudice penale, a condizione che tale azione configuri una ipotesi di reato e sia connotata dal relativo elemento psicolo-gico.

... Omissis ...

Svolgimento del processo

L’Avv. Prof. Sergio Vinciguerra, difensore di fidu-cia del sig. Michele Catalano propone appello poi convertito in ricorso per Cassazione avverso la sen-tenza n. 3192/96 del 6 maggio – 16 maggio 1996 con la quale il Pretore di Torino, dott. Ivana Pane, ha di-chiarato il sig. Michele Catalano colpevole del reato di cui all’art. 20 lett. a), l. n. 47/1985 e lo ha condan-nato alla pena di L. 5.000.000 di ammenda, oltre al pagamento delle spese processuali.

Il ricorrente ha dedotto i seguenti motivi:

«1. Non aver commesso il fatto: (...) non corri-sponde al vero l’affermazione del Pretore, secondo la quale si è trattato di “totale demolizione dell’edificio con successiva ricostruzione’’ (sent. pag. 3); i lavori assentiti sono consistiti in lavori di consolidamento statico di un edificio pericolante per la sua vetustà ed i materiali impiegati. Del resto, se prendiamo in esa-me la giurisprudenza esistente sul consolidaesa-mento statico, e la sua distinzione dalla ristrutturazione, possiamo dire con sufficiente tranquillità che gli in-terventi svolti sono proprio di consolidamento stati-co. Infatti, la differenza che esiste fra questi due tipi di intervento risiede nel carattere innovativo della ri-strutturazione e nel carattere conservativo del risana-mento statico.

2. Il fatto non è previsto dalla legge come reato.

A norma dell’art. 48, comma 1, l. n. 457/1978, gli interventi di manutenzione straordinaria non sono

sog-getti a concessione, bensì soltanto all’autorizzazione del Sindaco.

3. Estinzione del reato.

Dice l’art. 38, comma 2 della l. n. 47/1985 che

“l’oblazione interamente corrisposta estingue i reati dell’art. 41 della l. n. 1150/1942 e successive modifi-che e all’art. 17 della l. n. 10/1977, come modificato dall’art. 20, l. n. 47/1985’’.

A norma dell’art. 39 “l’effettuazione dell’oblazio-ne, qualora le opere non possano conseguire la sana-toria, estingue i reati contravvenzionali’’.

È vero che Catalano non ha fatto la domanda di oblazione urbanistica perché non è un soggetto legit-timato dalla normativa urbanistica a fare tale doman-da. Infatti, se colleghiamo i commi 1 e 3 dell’art. 31 e li poniamo in relazione con l’art. 37, comma 1, tro-viamo che, legittimati a fare l’oblazione, sono i pro-prietari e ogni altro soggetto interessato (...).

4. Eccessività della pena inflitta».

Motivi della decisione

Il ricorso è fondato in riferimento alle osservazio-ni esposte nel primo motivo.

Infatti, rispetto alla vicenda, concisamente, ma esaurientemente compendiata nella surriferita impu-tazione, la difesa e l’accusa – poi, questa, condivisa dal Pretore nell’impugnata sentenza – hanno espres-so contrastanti avvisi circa la natura degli interventi originariamente assentiti e in effetti realizzati e circa la legittimità delle concessioni successivamente rila-sciate dal Sindaco per consentire la prosecuzione dei lavori, che, nel loro corso, s’erano discostati dalla originaria concessione.

Il Pretore è pervenuto alla motivata conclusione che «le concessioni in variante incriminate fossero il-legittime», siccome «in contrasto con gli strumenti urbanistici vigenti». Al riguardo ha evidenziato che il Catalano aveva «ammesso di essersi posto il pro-blema della legittimità degli interventi poi assentiti, sin dal rilascio della concessione n. 108/87, che, a suo dire, aveva tenuto ferma a causa di alcuni dubbi interpretativi sul concetto di ristrutturazione e risa-namento». E che, «anche qualora volesse accedersi alla tesi della difesa, secondo cui il Catalano riteneva applicabile la normativa del nuovo piano regolatore, non potrebbero avanzarsi a scusa i – presunti – dubbi sull’interpretazione del concetto di ristrutturazione – ovvero sulla possibilità di farvi rientrare la demoli-zione e ricostrudemoli-zione – posto che la Suprema Corte di cassazione è assolutamente monolitica nel respin-gere tale tipo di interpretazione». Condivisa invece da alcune decisioni del Consiglio di Stato. Di qui la conferma, a giudizio del Pretore, del concorso del sindaco, siccome extraneus, mediante le concessioni illegittime, nel reato proprio di cui all’art. 20, lett. a)

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imputato agli interessati ai lavori, avendone favorito la prosecuzione.

Orbene, escluso che il sindaco con il rilascio delle due concessioni intendesse deliberatamente favorire gli interessati alla costruzione – in tal caso diversa e più grave sarebbe stata la ipotesi di reato a suo carico – non può questi esser chiamato a rispondere di con-corso nel reato di cui all’art. 20 lett. a), l. n. 47/1985 per il solo fatto che le concessioni fossero tornate a profitto degli interessati, giacché è nella natura stessa di tali atti avere dei destinatari che ne beneficino.

Parimenti non rileva ai fini della responsabilità penale l’avere il Sindaco, nel rilascio delle conces-sioni, adottato un’interpretazione opinabile non rite-nuta corretta dal magistrato.

Conviene ribadire che, a fronte di un provvedi-mento amministrativo – nel nostro caso le due con-cessioni edilizie – non è dato al giudice penale sinda-care in via principale la mera legittimità di un atto amministrativo. E ciò in base al principio di cui all’art. 5 legge abol. cont. amm. Non è dato cioè so-vrapporre all’opinione dell’organo

dell’Ammini-strazione, di avere adottato un provvedimento legitti-mo, la diversa valutazione, da parte del giudice penale, che quello stesso atto sia privo dei requisiti di legittimità – come appunto ha ritenuto il Pretore – giacché in sede penale l’atto amministrativo illegitti-mo, in quanto tale, è privo di sanzione e non sindaca-bile.

Soltanto nel caso – ma non è quello del sindaco Catalano – in cui si verta in un’ipotesi di carenza di potere denotata da azione amministrativa esulante dai relativi presupposti e limiti, è legittimo e, anzi, si impone l’intervento dell’Autorità giudiziaria penale a condizione che tale azione 1) configuri un’ipotesi di reato e 2) sia connotata dal relativo elemento psi-cologico, che – non va mai dimenticato – del reato è uno degli elementi costitutivi (Cass., sez. III, 22 gen-naio 1993, c.c. 10 dicembre 1992, imp. Orlandi, P.M.

concl. conf.; da ultimo Cass., sez. III, c.c. 10 dicem-bre 1996, Mariani).

Ne consegue l’annullamento senza rinvio perché il fatto non costituisce reato.

IL COMMENTO

di Mario Barbuto

La sentenza in commento, nella sua essenziale strin-gatezza (in motivazione, a parte la breve rievocazione del giudizio pretorile e dei motivi del ricorso, nulla di più si legge rispetto al principio enunciato), adotta una tesi che personalmente condividiamo. L’estensore della motivazione non si è posto però il problema dell’inqua-dramento di tale decisione assolutoria («il fatto non co-stituisce reato», si statuisce in dispositivo, nel cassare senza rinvio la decisione di merito) nel contesto del di-ritto urbanistico e nell’ampio dibattito che da almeno un ventennio ha fatto maturare orientamenti diversi,

«arroccati» su opposti versanti.

Il fatto storico

La descrizione del fatto storico può aiutare a capi-re l’intecapi-resse che la sentenza suscita nell’opinione pubblica, e non solo in essa. I commentatori sono in-fatti da tempo all’erta nel captare tutti i segnali della Cassazione, anche i più impercettibili, nel dibattito annoso sulla configurabilità di un reato edilizio (e, in caso affermativo, quale) in caso di opere eseguite in conformità ad una concessione rilasciata dal Sindaco ma ritenuta dal giudice penale illegittima perché in contrasto con gli strumenti urbanistici vigenti.

La vicenda è presto narrata. Un soggetto chiede la concessione edilizia per proseguire nei lavori di rico-struzione con strutture di cemento armato e laterizi di un edificio preesistente, già demolito, situato nel perimetro abitato di un piccolo Comune della provin-cia di Torino. Il Sindaco si pone il problema della possibilità di assentire un tale tipo di opera in presen-za di uno strumento urbanistico (nella specie, la L.R.

Piemonte n. 56/1977, art. 85, primo comma, lettera b) che non consente nelle zone perimetrate dei centri abitati interventi eccedenti il restauro e il risanamen-to conservativo. Alla fine, sentita la Commissione Edilizia, risolve il dubbio interpretativo sul concetto

di «ristrutturazione/risanamento conservativo» nel senso di farvi rientrare quelle particolari opere di ri-costruzione/demolizione e rilascia la concessione in variante.

Il P.M. contesta al Sindaco il reato sub art. 20, lett.

a), legge 28 febbraio 1985, n. 47, per avere permesso la prosecuzione di opere edilizie in contrasto con gli strumenti urbanistici vigenti (presumiamo con una analoga e separata contestazione al titolare della con-cessione e all’esecutore). Il Pretore condanna il Sin-daco alla pena di 5 milioni di ammenda con la moti-vazione, quanto alla opinione emergente dalla concessione, «che la Suprema Corte di cassazione è assolutamente monolitica nel respingere tale tipo di interpretazione», benché, lo si ammette, la stessa ri-sulti condivisa da alcune decisioni del Consiglio di Stato.

Nella vicenda narrata è irrilevante la circostanza che l’imputato sia il Sindaco anziché il privato;

quest’ultimo, presumiamo, sarà stato condannato a parte dal Pretore con la medesima motivazione. In-fatti la contestazione mossa al Sindaco non riguarda-va un reato contro la P.A. (abuso, corruzione o altro, ritenuti decisamente insussistenti), bensì la contrav-venzione sub lett. a) della l. n. 47/1985 commessa quale extraneus rispetto al reato proprio addebitato al soggetto interessato alle opere edili.

Il problema delle opere

assentite da una concessione illegittima La vicenda può dunque essere generalizzata, ri-conducendola al filone della configurabilità o meno di un reato urbanistico–edilizio in presenza di opere conformi ad una concessione ritenuta illegittima. La questione viene spesso individuata con altra «eti-chetta»: la possibilità di disapplicazione nel processo penale di una concessione edilizia regolarmente

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GIURISPRUDENZA sciata dal Sindaco ma ritenuta illegittima dal giudice

ordinario.

Le varie tesi elaborate dalla giurisprudenza e dalla dottrina negli ultimi vent’anni possono essere rag-gruppate, grosso modo, nelle seguenti proposizio-ni (1):

— un’opera eseguita in base a concessione illegit-tima è, a tutti gli effetti anche penali, equiparabile all’opera eseguita in assenza di concessione, stante la possibilità (o doverosità) di disapplicazione dell’atto da parte del giudice; con la conseguente ravvisabilità del reato di «opere in assenza di concessione» e ap-plicazione della lett. b) dell’art. 20 della legge 28 feb-braio 1985, n. 47 (ovvero, secondo il momento stori-co, dell’art. 17 della legge «Bucalossi» 28 gennaio 1977, n. 10 o dell’art. 41 della legge urbanistica n.

1150/1942);

— la concessione può essere disapplicata solo quando si presenti con connotati di illiceità; con con-seguente applicazione della lett. b) della norma san-zionatoria sopra–citata, solo in presenza di conces-sione illecita (e non meramente illegittima), che sia frutto, cioè, di collusione criminosa;

— la concessione può essere disapplicata anche quando si presenti viziata per un contrasto con gli strumenti urbanistici vigenti; con conseguente appli-cazione della lett. b) della norma penale, in presenza di concessione sostanzialmente illegittima (anche se non illecita o frutto di pactum sceleris);

— la concessione può essere disapplicata anche quando si presenti viziata nei suoi presupposti di for-ma; con conseguente applicazione della lett. b) della norma citata, in presenza di concessione anche solo formalmente illegittima;

— la concessione illegittima può comunque assu-mere rilevanza, indipendentemente dalla sua disap-plicazione, ai fini del reato di cui alla lettera a) della norma sanzionatoria penale, punito con la sola pena dell’ammenda;

— la concessione, legittima o illegittima, per il so-lo fatto che sia stata rilasciata, non determina alcuna condizione di punibilità per le opere realizzate; con conseguente inapplicabilità sia della lett. b), sia della lett. a) della norma penale.

Le Sezioni unite della Corte di cassazione sono in-tervenute ben due volte sulla questione (nel 1987 e nel 1993), essendosi il contrasto di orientamenti radi-calizzato sul dilemma se sia corretto o meno equipa-rare, sotto il profilo penale, alla costruzione eseguita

«in assenza di concessione» anche la costruzione eseguita con concessione illegittima, considerando quest’ultima tamquam non esset.

Orientamenti degli anni ’80 e sentenza «Giordano» del 1987

Verso la metà degli anni ’80 nella giurisprudenza della Cassazione si verifica una forte contrapposi-zione fra due tesi inconciliabili. Vi sono sentenze che ritengono sempre disapplicabile la concessione illegittima (sia pure con il doveroso «distinguo»

sull’elemento soggettivo, ai fini della condanna per il reato previsto dalla lett. b) della norma incrimina-trice); vi sono sentenze che la ritengono disapplica-bile solo nella ipotesi più grave della concessione

il-lecita, costituente di per sé reato perché frutto di collusione fra privati e pubblici amministratori, e mai negli altri casi.

La composizione del contrasto è operata dalle Se-zioni unite con la sentenza «Giordano» del 31 gennaio 1987 (2). In motivazione le Sezioni unite provvedono dapprima a fotografare lo stato del contrasto e poi prendono posizione affermando una tesi che susciterà poi un certo scalpore, sintetizzabile nei seguenti ter-mini: ai fini del reato edilizio, non è possibile equipa-rare alla «mancanza di concessione» l’ipotesi della

«concessione illegittimamente rilasciata».

Le reazioni della dottrina

La sentenza non è accolta favorevolmente da tutta la dottrina, che, in alcuni casi, la critica severamente rile-vando alcuni difetti di impostazione del problema (3).

Si osserva infatti che l’impostazione doveva essere ri-meditata alla luce, oltre che dell’art. 6, comma primo, della l. n. 47/1985, anche della natura della concessione edilizia, uno strumento normativo che definisce il quid ed il quomodo dell’attività costruttiva del privato e che, sempreché sia conforme agli strumenti urbanistici, identifica «lo statuto urbanistico in base al quale deve eseguirsi l’edificazione». L’art. 6, l. n. 47/1985, primo comma, prescrive, ai fini dell’affermazione della re-sponsabilità penale, che il titolare della concessione, il committente ed il costruttore, devono eseguire le opere in conformità alla «normativa urbanistica» e alle «pre-visioni di piano». Tutto ciò postula che la responsabilità può essere esclusa solo se le opere siano conformi al ti-tolo (cioè, alla concessione) e alla normativa vigente e, reciprocamente, che gli autori devono osservare le pre-scrizioni non solo della concessione ma anche della normativa urbanistica; sicché «nel caso in cui l’opera risulti conforme alla concessione ma in violazione de-gli strumenti urbanistici l’autore della condotta costrut-tiva è responsabile».

La giurisprudenza successiva

Nel periodo immediatamente successivo alla sen-tenza «Giordano» del 1987, l’orientamento della S.C. sembra stabilizzarsi, adeguandosi ai nuovi prin-cipi; ma dura poco. Nel 1989, infatti, la terza sezione

Note:

(1) Per una rassegna delle varie sentenze, di merito e di le-gittimità, sulle diverse tesi enunciate nel testo mi permetto di rinviare al mio volume Reati edilizi e urbanistici, Giurispru-denza sistematica di diritto penale, a cura di F. Bricola e V.

Zagrebelsky, Torino, 1995, 305–333.

(2) Cass. Sez. un. pen. 31 gennaio 1987, Giordano, in Foro it., 1989, II, 297, con nota di Barone; in Cass. pen., 1987, 1711, con nota di Vignale; ibid., 1987, 2095, con nota di Al-bamonte; in Arch. pen., 1988, 189, con nota di Siciliani De Cumis; in Dir. proc. amm., 1987, 407, con nota di Villata.

(3) Albamonte, Rilevanza penale dell’illegittimità della con-cessione edilizia alla luce della l. 28 febbraio 1985, n. 47, in Cass. pen., 1987, 2095. Critica la sentenza anche Vignale, Concessione illegittima e contravvenzioni urbanistiche: un cerchio sempre difficile da quadrare, in Cass. pen., 1987, 1711. La commenta favorevolmente invece Barone nella breve nota in Foro it., 1989, II, 297, dichiarando di condivide-re la nota adesiva di Villata, in Dir. proc. amm., 1987, 407, di Iannotta, in Foro amm., 1988, 14, e di Bajno, in Riv. poli-zia, 1988, 97.

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penale, con la sentenza «Bisceglia» del 9 gennaio 1989 (4), effettua una consapevole, e perfino pole-mica, inversione di rotta. In un caso di concessione ritenuta illegittima, perché rilasciata contra legem per un edificio eretto in un luogo sottoposto a vincolo paesaggistico, la S.C., dopo avere osservato che «la decisione delle Sezioni unite non è legge ma solo una interpretazione giurisprudenziale, sia pure autorevo-lissima», sottopone a riesame l’orientamento prece-dente ed effettua una sorta di historia iuris della leg-ge 20 marzo 1865, n. 2248, all. E).

Le conclusioni cui giunge sono opposte rispetto a quelle delle Sezioni unite. «Poiché la fattispecie del-la esecuzione dei del-lavori in assenza di concessione edilizia», si legge nella sentenza del 9 gennaio 1989,

«coincide con l’altra della edificazione in base a con-cessione illegittima, il giudice può disapplicare quest’ultima ai fini della configurazione del reato previsto dall’art. 17, lett. b), l. n. 10/1977».

La motivazione è che «il principio di tassatività, alla luce della l. n. 47/1985, non viene violato nel pre-vedere la punizione di chi edifica con concessione edilizia illegittima, dovendosi aver riguardo a quello differente di colpevolezza, onde non potrà essere in-vocata alcuna buona fede ovvero errore scusabile su legge penale qualora si tratti di concessione macro-scopicamente illegittima».

Il dibattito riprende vigore in coincidenza anche del maturare di una diversa impostazione, lungamen-te discussa in dottrina, secondo la quale, in caso di ac-certata illegittimità della concessione, potrebbe rav-visarsi non il reato di cui alla lettera b), bensì quello – meno grave – della lettera a), dell’art. 20 della legge n. 47/1985 (ovvero, per i fatti pregressi, dell’art. 17, legge n. 10/1977).

La nuova tesi degli anni ’90

Nel 1992 le Sezioni unite, con la sentenza «Moli-nari» del 21 ottobre 1992 (5), giudicando un caso di violazione dell’art. 734 c.p., in tema di deturpamento di bellezze naturali attuato mediante atto autorizzati-vo illegittimo, affrontano un analogo problema in materia di tutela delle bellezze naturali.

«Configurando la contravvenzione di cui all’art.

734 c.p. un reato di danno e non di pericolo (o di danno presunto)», affermano le Sezioni unite, «ed essendo richiesto per la sua punibilità che si verifichi in con-creto la distruzione o l’alterazione delle bellezze pro-tette, rientra nell’esclusivo potere del giudice accerta-re se in concaccerta-reto l’opera eseguita abbia distrutto, alterato, deturpato od occultato le bellezze naturali soggette al vincolo paesaggistico, indipendentemente dalla concessione o dall’autorizzazione o dal nulla–

osta amministrativo».

La sentenza è importante perché costituisce una esplicita adesione alla tesi dell’autonomia della tute-la penale rispetto altute-la sfera provvedimentale riserva-ta alla pubblica amministrazione e riconosce al giu-dice penale il «potere di accertare la corrispondenza tra ipotesi di fatto e fattispecie legale, indipendente-mente da ogni valutazione della pubblica ammini-strazione»; potere posto poi a fondamento della suc-cessiva (e fondamentale) sentenza «Borgia» del 1993 delle Sezioni unite (di cui si dirà oltre).

Incertezze fra i giudici di merito e nuovo contrasto

Appare evidente lo stato di incertezza causato da tali orientamenti, che trova simmetrica rispondenza nella giurisprudenza di merito (6).

Sintomatico è il caso del Pretore di Barletta–Trani del 12 novembre 1992 (7) che ha dato poi occasione alle Sezioni unite di intervenire nuovamente sul te-ma.

Quella vicenda di fatto merita di essere ricordata perché paradigmatica. Alcuni imputati (nella specie, il costruttore, il direttore dei lavori ed i committenti di un’opera edilizia), in possesso di concessione rila-sciata dal Sindaco di Barletta, hanno eretto una pa-lazzina in violazione di alcune norme tecniche di at-tuazione del P.R.G. di quel Comune in tema di distanze dalle strade pubbliche, di volumetria fuori terra e di altezza del sedime. Il reato inizialmente contestato dal P.M. (in adesione al nuovo orienta-mento emergente dalla sentenza «Molinari» del 1992 delle Sezioni unite) è quello previsto dall’art. 20, lett.

a), l. n. 47/1985, consistente nella inosservanza delle norme previste dagli strumenti urbanistici e dal rego-lamento edilizio comunale.

Il Pretore assolve, però, tutti gli imputati con l’ar-gomentazione che, essendosi formato l’assenso co-munale sull’attività edificatoria, il giudice penale è privo del potere di accertare la corrispondenza delle opere realizzate alle norme degli strumenti

Il Pretore assolve, però, tutti gli imputati con l’ar-gomentazione che, essendosi formato l’assenso co-munale sull’attività edificatoria, il giudice penale è privo del potere di accertare la corrispondenza delle opere realizzate alle norme degli strumenti