• Non ci sono risultati.

Il concetto di crisi nella disciplina società pubbliche, gli strumenti per la rilevazione della stessa e i risvolti pratici nella gestione e prevenzione della

crisi aziendale.

Nelle pagine che precedono si è senz’altro avuto modo di esaltare lo spirito innovativo della riforma delle società a partecipazione pubblica e l’intento riformatore del legislatore che, recependo ed adottando con spirito audace il cambiamento culturale nella prevenzione della crisi d’impresa, ha previsto, su tutti, l’adozione di specifici obblighi organizzativi e strumenti di gestione, tra cui il programma di valutazione del rischio di crisi aziendale.

Pur riconoscendosi gli indubbi meriti di cui sopra, tuttavia, a mio avviso, la normativa riceve una battuta d’arresto laddove, nel far riferimento alla nozione di “crisi d’impresa”, il legislatore non richiami espressamente alcuna disposizione idonea a tracciare con precisione un concetto lineare di crisi, che si discosti nettamente dall’insolvenza e dalle conseguenze che da essa derivano e che la disciplina in materia di prevenzione vuole assolutamente evitare.

Anche a voler richiamare la nozione di crisi prevista dall’attuale legge fallimentare, non si risolverebbe la genericità dell’espressione che lascia impregiudicata una delle questioni più rilevanti nella lotta per la prevenzione di situazioni di rischio di crisi aziendale nelle società pubbliche.

Per tale motivo, le previsioni legislative si sono mostrate sul punto da subito laconiche e non perfettamente adatte al contesto normativo di riferimento, che richiedeva una precisa disciplina (da introdurre o a cui rimandare) della nozione di crisi per la gestione e la prevenzione efficace e tempestiva delle crisi aziendali nelle società pubbliche.

Del resto, come si è avuto modo di affermare, a prescindere dall’attività economica svolta e dalle modalità attuative di tale attività, la società a partecipazione pubblica è, in virtù della forma societaria prescelta, un imprenditore commerciale a tutti gli effetti. Per questo motivo, la Suprema Corte

88 ha definitivamente riconosciuto, in linea con la dottrina maggioritaria, la assoggettabilità al fallimento ed alle procedure concorsuali delle società costituite nelle forme previste dal codice civile aventi ad oggetto un’attività commerciale

152.

Sicché, la soggezioneal fallimento delle suddette società avviene fin dalla loro costituzione, a prescindere dal momento in cui abbia inizio l’attività commerciale153.

D’altronde, l’esonero dalla disciplina fallimentare della società a partecipazione pubblica, oltre ad alterare la concorrenza e creare un discrimen ingiustificato dal punto di vista economico- giuridico tra società a proprietà pubblica che svolge attività commerciale e società a proprietà privata, potrebbe potenzialmente ledere l’interesse della stessa società a beneficiare degli effetti della procedura stessa154. Pertanto, la predisposizione da parte dell'organo amministrativo di specifici programmidi valutazione del rischio di crisi aziendale, inteso come strumento per prevenire situazioni di probabile futura insolvenza, presuppone un'indagine semantica sul termine “crisi”, basata sul significato vero e proprio della parola sotto il profilo lessicale, inserita nel linguaggio e nel contesto economico155.

152Da ultimo, Cass. civ., 6 dicembre 2012, n. 21991, in Giustizia Civile Massimario 2012, 12,

1385.

153Cfr. E. Codazzi, Società in mano pubblica e fallimento, in Giurisprudenza commerciale, 1,

Giuffrè, 2015,; F. Goisis, Il problema della natura e della lucratività delle società in mano

pubblica alla luce dei più recenti sviluppi dell’ordinamento nazionale ed europeo, in Dir. Ec.,

2013, 42 ss.; L. Panzani, La fallibilità delle società a partecipazione pubblica, in Studi in onore di

Mazzocca, Napoli, 2014, 212; F. Fimmanò,Insolvenza delle società pubbliche, strumenti di allerta e prevenzione, piani di risanamento,cit.; F. Guerrera (a cura di), Le società a partecipazione pubblica, 2010, cit.

154Autorevole dottrina ha ricordato che a livello internazionale la Insolvency Guide elaborata

dall’Uncitral prevede che “The insolvency law should govern insolvency proceedings against all

debtors that engage in economic activities, whether natural or legal persons, including state- owned enterprises, and whether or not those economic activities are conducted far profit.” E che i Principles for Effective Insolvency and Creditor/Debtor Regimes elaborati dalla Banca Mondiale

affermano la medesima regola, auspicando che eventuali deroghe o eccezioni rispondano a ragioni stringenti, espresse e ben determinate (compelling State policy); sul punto si veda ancora L. Panzani, La fallibilità delle società a partecipazione pubblica, cit.

155 La materia della crisi aziendale, dettata dal nuovo testo unico, non prevede una disciplina

precisa del programma di valutazione del rischio di crisi. Essa lascia alla libertà degli amministratori della singola partecipata pubblica la predisposizione del programma. Questa situazione potrebbe portare a conseguenze non sperate, in quanto gli amministratori delle società

89 Partiamo dal presupposto che la crisi, intesa in senso tecnico, non è (di per sé) segno di disvalore sociale dell’impresa, né di sfiducia del mercato; essa è, invece, simbolo di disfunzionamento organizzativo.

Quindi, l’obiettivo che il legislatore, nel definire la crisi, dovrebbe perseguire è quello di rintracciare il problema alla radice, ossia andare a fondo delle cause che hanno provocato la crisi della società ed individuarne le ragioni concrete.

Orbene, la crisi e l’insolvenza delle società partecipate da enti pubblici sono aspetti chehanno coinvolto il mondo dell’imprenditoria pubblica e hanno suscitato un notevole dibattito dottrinario e giurisprudenziale, ponendo al centro il regime dei rimedi applicabili alle società partecipate in caso di loro difficoltà o incapacità di far fronte alle obbligazioni e di realizzare i fini per i quali sono state istituite. La crisi e l’insolvenza, di fatto, sono fasi temporalmente distinte anche se funzionalmente collegate156.

Tuttavia, allo stato attuale risulta difficoltoso stabilire, dal punto di vista giuridico e in maniera inequivocabile, la nozione di crisi d'impresa157. All’interno del Testo unico, non è, infatti, prevista alcuna definizione della nozione di crisi 158.

È opportuno, innanzitutto, considerare che un’azienda sia da ritenersi in uno stato di difficoltà quando non sia capace, con i mezzi propri o con le risorse acquisite da terzi, di contenere le perdite che condurrebbero, quasi di sicuro, al tracollo. L’analisi delle condizioni di rischio di crisi aziendali costituiscono un tema ad oggi molto complesso la cui risoluzione parte prioritariamente dall’identificazione proprio della distinzione, attualmente non ancora definitivamente normata, fra i termini insolvenza e crisi aziendale.

In Italia, allo stato attuale, il sistema normativo, non contiene, come vedremo meglio nel proseguo della trattazione, una puntuale definizione della nozione di crisi aziendale. Tale concetto lo si rinviene in altre fattispecie normative.

potrebbero nascondere situazioni di crisi in itinere, predisponendo programmi di valutazione del rischio non all'altezza della realtà.

156Cfr. A. Danovi, P. Riva, Le cinque fasi della crisi e dell’allerta, 2018, cit.

157Cfr. A. Crismani, Le società partecipate tra crisi e insolvenza, in Diritto e Società, 2, 2015,

Editoriale scientifica, 317 ss.

158 Vedi, sul punto, G. Guizzi - M. Rossi, La crisi di società a partecipazione pubblica, 294, cit.;

90 A testimonianza dell’attuale stato di confusione nell’improprio utilizzo atecnico dei termini e dei concetti di crisi ed insolvenza nella normativa vigente, che sottendono tuttavia condizioni sostanziali diverse, l’articolo 160, comma 3, del Regio Decreto n. 167 del 1942 (meglio noto come legge fallimentare), nello specificare il presupposto di accesso al concordato preventivo, precisa che per stato di crisi si intende anche lo statodi insolvenza, intendendo, in tal modo, parificare sostanzialmente la condizione di crisi a quella di insolvenza 159.

Tuttavia, per comprendere a pieno la disciplina del Testo unico in materia di società a partecipazione pubblica e la riforma fallimentare di prossima introduzione, relativamente alla normativa sulla prevenzione della crisi aziendale, non ci si può discostare dal chiarire in modo preciso e puntuale il significato di “crisi aziendale” ed “insolvenza”160.

L’insolvenza, a norma dell’art. 5 dell’attuale legge fallimentare, è una condizione statica ed irreversibile che prende atto al termine di un processo di crisi aziendale e pone la stessa nell’impossibilità definitiva di poter adempiere regolarmente alle proprie obbligazioni contratte161.

Nonostante vi sia stato chi in dottrina tentava di soggettivizzare il concetto di insolvenza, tale considerazione sembra frutto di un’idea regressiva, non essendovi alcuna ragione per ritoccare il concetto di insolvenza (soprattutto se posto alla luce di una soggettivizzazione irragionevole e incoerente con la propria etimologia giuridica).

L’insolvenza è, pertanto, una conseguenza della concorrenza nel mercato, che vive di fasi e di un equilibrio sottile dato dal collegamento di vari elementi e congiunture (politiche, economiche, sociali, ambientali ecc…).

159 Anche osservando disciplina sulla procedura di amministrazione straordinaria delle grandi

imprese in crisi, si registra una generale confusione e sovrapposizione dei termini “impresa in crisi” e “impresa insolvente”. In sostanza si induce a pensare che un’impresa insolvente sia in crisi e un’impresa in crisi sia insolvente.

160Cfr. G. Grana e R. Camporesi, La valutazione del rischio di crisi aziendali ex art. 6 D.Lgs.

175/2016, Studio BMP, in dirittodeiservizipubblici.it, 2017.

161Cfr. sul tema G. A. Policaro, La crisi d'impresa e gli strumenti di monitoraggio nel disegno di

91 Lo stato di insolvenza viene, infatti, considerato il requisito oggettivo della dichiarazione di fallimento, configurandosi, appunto, come la situazione che conduce l’impresa ad uno stadio acuto di una crisi irreversibile che “si manifesta

con inadempimenti o altri fatti esteriori, i quali dimostrino che il debitore non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni”.

Lo stato di insolvenza, cosìinteso, rappresenta l'espressione più seria della crisi aziendale162.

Al contrario, lo stato di crisi, rappresenta una condizione di temporanea illiquidità, che può certamente anticipare e portare all’insolvenza, senza tuttavia necessità o certezza alcuna circa una sua reale successiva manifestazione163.

La temporanea illiquidità e il rischio di insolvenza rappresentano, quindi, possibili fattispecie di crisi che non bisogna assolutamente confondere con il concetto di insolvenza previsto dall’art. 5 della legge fallimentare 164.

L’azienda può affrontare vari momenti di difficoltà, anche profondi, ma non necessariamente strutturali o definitivi, né tali da intaccare la solvibilità165.

162Infatti, a norma del comma 2 dell’art 5 della legge fallimentare, la più intensiva e grave forma

dello stato di crisi, di cui il declino costituisce il preludio, è lo stato di insolvenza, che non è incompatibile con l'adempimento dell'imprenditore alle proprie obbligazioni, valendo ad escluderlo soltanto l'adempimento «regolare» delle stesse.

163Cfr. il documento redatto dal Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti

contabili sulle “Le linee guida per la valutazione di aziende in crisi CNDCED-SIDREA”, secondo cui la crisi d'impresa può essere definita come la “perturbazione o improvvisa modificazione di un'attività economica organizzata, prodotta da molteplici cause ora interne al singolo organismo, ora esterne, ma comunque capaci di minarne l'esistenza o la continuità”.

164Cfr., ex multis, Cass. civ. 24 marzo 1983, n. 2055, in Giust. civ. Mass., 1983, 3; Cass. civ. 27

maggio 2015, n. 10952, in Rivista dei Dottori Commercialisti, 2015, 3, 461 secondo la quale deve intendersi per insolvenza una situazione irreversibile e non già una mera temporanea impossibilità di regolare l’adempimento delle obbligazioni assunte. Alla luce delle pronunce della Suprema Corte, il consolidato orientamento permette di ritenere che la temporanea illiquidità, presupponendo la capacità dell’imprenditore commerciale di acquisire, in un ragionevole lasso di tempo, quei mezzi normali di pagamento, idonei ad estinguere le passività non più dilazionabili, consiste, al contrario dell’insolvenza, in una crisi economica momentanea e reversibile. Ne consegue che l’insolvenza, quale stato di illiquidità assoluto e definitivo, costituisce di fatto l’aggravamento irreversibile della temporanea illiquidità (e dunque, attualizzando, dello stato di crisi).

165 La solvibilità dell’impresa ha quale premessa indefettibile la sussistenza della continuità

aziendale, che presuppone che il valore di funzionamento (going concern) dell’azienda sia superiore al valore di liquidazione delle sue attività; la verifica per la sussistenza della continuità aziendale è volta all’esame della situazione finanziaria aziendale, attraverso l’analisi del bilancio e del rendiconto finanziario, v. G. Racugno, Gli indicatori della crisi d’impresa, cit.

92 La crisi, dunque, non necessariamente conduce all’insolvenza, mentre quest’ultima è un effetto della crisi che rileva sulla complessiva capacità di adempiere le obbligazioni aziendali166.

Se l'insolvenza presuppone uno stato stabile di impotenza finanziaria in cui l'imprenditore viene a trovarsi, il declino è quella situazione patologica ravvisabile nella incapacità temporanea di adempiere alle proprie obbligazioni e di garantire, attraverso le attività, il rimborso dei debiti.

Tale situazione costituisce la prima fase patologica della vita dell'impresa che, se reiterata, può portare all’insolvenza della società.

Il declino si presenta, dunque, come una situazione patologica caratterizzata da transitorietà, mentre la crisiha luogo in presenza di uno squilibrio economico- finanziario destinato a permanere nel tempo ed a generare un concreto pericolo di insolvenza suscettibile di manifestarsi a breve, se non vengono avviati opportuni interventi.

Dal punto di vista economico, il rischio d’impresa può essere definito come la possibilità che si verifichino e si abbattano sull’azienda, sulla sua organizzazione e sull’attività di produzione per il mercato eventi che pregiudichino lo svolgimento economico.

La condizione della crisi aziendale è identificata come un aggravamento della situazione industriale, reddituale o finanziaria. Essa accerta la negazione fattuale e temporale delle condizioni necessarie per garantire una prospettiva di continuità economica, generando “disordine” nella dinamica della realtà aziendale 167.

Il rischio d'impresa costituisce una componente ineluttabile dell’attività aziendale, determinando la condizione continua dell’attività imprenditoriale.

166V. L. Guatri, Turnaround. Declino, crisi e ritorno al valore, Milano, Egea, 1995, il quale

individua quattro stadi del percorso di crisi in cui è possibile intervenire per evitare che l’impresa entri in situazioni di crisi irreversibili, affermando, inoltre, che “la “crisi” è uno sviluppo ulteriore del declino”, definito come una diminuzione del valore dell'impresa protratto per un certo arco temporale, tendenzialmente non breve.

167 G. Cestari, “Diagnosi precoce della crisi aziendale. Analisi del processo patologico e modelli

93 Intervenire tempestivamente per rintracciare il rischio economico-aziendale costituisce la premessa fondamentale, intrinsecamente connessa ad una efficiente aspettativa di ritorno economico dell’impresa. La tempestiva individuazione dello stato di crisi si ha, infatti, in una situazione di insolvenza ancora meramente prospettica.

La corretta individuazione della situazione di crisi e delle sue cause, inserita in una logica di prevenzione dei possibili ulteriori sviluppi negativi, è un’attivitàprodromica alle attività valutative168. La crisi è un processo degenerativo che, se diagnosticato in modo tempestivo, ha maggiori possibilità di venire adeguatamente affrontato e contrastato.

Motivo per cui, all'interno di ogni azienda, per l’individuazione tempestiva dei contesti di crisi aziendale, è fondamentale predisporre un assetto organizzativo che metta al centro della struttura aziendale un insieme di assets relativi alla tempestiva emersione e prevenzione dei rischi di crisi aziendale, mediante la rilevazione degli alarm bells, ovvero quegli indici che, attraverso specifiche procedure,misurano e segnalano l’allarme di incidenza per la prevenzione del rischio di crisi aziendale (early warning tools).

Ciò viene realizzato attraverso un sistema di controllo strategico finalizzato all'accertamento dell’efficienza dell'organizzazione aziendale e dell’efficacia della strategia intrapresa, tramite un funzionale assetto del controllo di gestione ed un sistema di rilevazione periodica dei dati relativi alla gestione e all'andamento di un'azienda (datareporting).

168Tuttavia, in un’ottica di prevenzione della crisi, aspetto fondamentale ed imprescindibile resta

quello relativo alle decisioni assunte dall’organo amministrativo per contrastare lo stato di crisi, a fronte di una preventiva attività di individuazione dello stesso. Così, l’apprezzamento sul carattere reversibile o irreversibile della crisi costituisce, ex se, una valutazione imprenditoriale, sindacabile solo entro i ristretti limiti della business judgement rule; pertanto, solo dove gli errori di valutazione nella prognosi sulla reversibilità della crisi dipendano dall’inosservanza dei parametri e dei criteri di corretta amministrazione o da inadeguatezza degli assetti organizzativi, essi possono ricondursi a violazioni di doveri giuridici degli amministratori.

94 Il primo strumento di previsione del declino dell'impresa è costituito dall'analisi di bilancio che consente di verificare lo stato di salute. È dal bilancio che emerge la presenza, o meno, dell'equilibrio patrimoniale e finanziario169.

Gli altri documenti di natura contabile che permettono una valutazione tecnica della situazione economico-finanziaria della società sono: lo stato patrimoniale, il conto economico ed il rendiconto finanziario; essi rappresentano i tre prospetti da cui principia l'analisi e dai quali può desumersi il patrimonio netto, cioè i mezzi propri dell'impresa, l'economicità della gestione, intesa come idoneità dei ricavi alla copertura dei costi, ed infine la liquidità e le disponibilità a far fronte alle passività correnti170.

In questo modo, durante la fase di rendicontazione, propria del processo di formazione del bilancio, sarà possibile individuare gli eventuali segnali della crisi aziendale.

Gli indici che si ottengono dall’analisi dei bilanci, tuttavia, rappresentano solo delle avvisaglie, dei dati preliminari che necessitano una più completa e dettagliata fase di interpretazione da parte della direzione aziendale, tenuto conto degli altri dati e delle informazioni sull’ambiente e sul mercato a disposizione171.

169 L'analisi del bilancio costituisce il primo strumento di previsione della crisi d'impresa; esso

concerne non soltanto il bilancio di chiusura dell'esercizio, ma presuppone un costante monitoraggio della situazione contabile dell'impresa. Tale operazione, soprattutto in presenza di quelli che abbiamo chiamato alarm bells, può essere effettuata con continuità e rapidità al fine di consentire agli organi sociali di conoscere la redditività dell'azienda (ricavi o perdite) e gli incrementi o decrementi, e quindi la situazione finanziaria dell'impresa; sul punto, si rinvia a G. Racugno, Crisi d’impresa delle società a partecipazione pubblica e doveri degli organi sociali, cit.

170 V. E. Giacosa- A. Mazzoleni, La previsione della crisi d'impresa: strumenti e segnali di allerta,

Milano, Giuffrè, 2016, in cui si afferma che dall'interdipendenza degli indici patrimoniali, economici e finanziari emerge, specie nel breve periodo, l'eventuale declino dell'impresa. Le tensioni finanziarie rendono l'impresa incapace di pagare i debiti a breve termine, con conseguente penalizzazione del suo assetto produttivo, della condizione di operatività e di equilibrio economico e patrimoniale.

171L’unica sonnette d’alarme prevista dal legislatore del codice civile si ricavava dalle disposizioni

sulla riduzione del capitale nelle società per azioni (artt. 2446-2447 c.c.), che, tuttavia, non analizzavano il venir meno dei rilevatori della continuità aziendale, né si concentravano sull’assenza dei flussi finanziari (ossia sul disallineamento tra entrate e uscite monetarie), elementi sintomatici della prossima crisi finanziaria, v. G. Racugno, sub. art. 14, Crisi d’impresa di società

a partecipazione pubblica, in Il Testo unico delle società pubbliche. Commento al d.lgs. 19 agosto 2016, n. 175, diretto da G. Meo- A. Nuzzo, Bari, 2016, 204 ss.

95 Nella previsione della crisi aziendale assume, inoltre, significativo rilievo il giudizio di rating che ha la funzione di valutare l'attitudine di un'azienda nel rispettare gli impegni finanziari assunti nei termini prestabiliti, rappresentando un valido strumento di previsione della crisi, tendenzialmente in un arco temporale di breve termine (entro un anno).

Attraverso questo giudizio di natura tecnico-specialistica è possibile misurare (e prevedere) la capacità dell’azienda specifica di produrre reddito e flussi di cassa, nonché stimare il possesso di una certa solidità finanziaria e di un posizionamento competitivo.

Il rating si inserisce a pieno nei programmi di valutazione del rischio aziendale di cui al richiamato comma 2 dell'art. 6 del d.lgs. n. 175/2016, all’interno dei quali è inserito il c.d. rating interno, elaborato da un soggetto con elevate competenze tecniche.

Questo giudizio di rating ha, quindi, il merito di permettere che gli organi sociali dell'impresa di valutino attentamente e scientemente l'adozione dei provvedimenti necessari a prevenire il passaggio dallo stadio di declino a quello di crisi.

Il giudizio si basa sui dati forniti dal bilancio aggiornato ed approvato, dal piano economico e finanziario, dal piano industriale, dal prospetto della Centrale Rischi, oltre che da una serie di informazioni sociali interne legate alle prospettive dell’impresa e ai risultati aziendali, quali l'elenco dei fornitori e dei principali clienti, l'analisi dei principali competitors, l'organigramma ed il curriculum delle figure chiave aziendali.

Uno strumento fondamentale di previsione delle insolvenze aziendali e di individuazione delle cause della crisi è costituito dal budget, che consente di verificare e proiettare i risultati raggiunti rispetto agli obiettivi prefissati, identificando le eventuali incongruenze che hanno contribuito al sopraggiungere del fenomeno della crisi aziendale.

Utili indicazioni ai fini di valutazione del rischio aziendale possono derivare altresì dall'impiego del reporting, quale rendiconto periodico di informativa sull'andamento della gestione corrente, basato su informazioni già attualizzate.

96 La finalità fondamentale del sistema di programmazione e di controllo nell'ambito dell'attività di prevenzione della crisi aziendale, come si è avuto modo di analizzare nei paragrafi precedenti, consiste nella capacità di coglierne segnali iniziali, ossia in un momento in cui la situazione di difficoltà economico-