La crisi dell’impresa bancaria è da sempre stato un argomento al centro di un vivace dibattito giuridico-normativo; tale questione è, infatti, tradizionalmente ritenuta meritevole di attenzione da parte del legislatore a causa delle conseguenze e dei risvolti microeconomici e (soprattutto) macroeconomici che, in caso di crisi, finiscono per esporre non solo coloro che sono direttamente collegati da uno specifico rapporto con la banca in questione, ma soprattutto l’intero sistema economico-finanziario in cui la stessa opera, coinvolgendo diversi interessi che, spesso, possono scontrarsi tra loro
A tal punto, risulta necessario, ed allo stesso tempo difficoltoso, riuscire a trovare un giusto equilibrio nel bilanciamento dei medesimi interessi in gioco.
Nel passato in Italia la soluzione alla crisi o al dissesto della banca veniva affrontata e (potenzialmente) risolta ricorrendoprevalentemente a processi di acquisizione e assorbimento dell’istituto in crisi da parte di altre banche, in linea conle politiche di aggregazione che incentivavano fusioni societarie, cessioni di attività e passività, acquisto di aziende o rami di aziende, sotto la supervisione istituzionale della Banca d’Italia.
185 Tali meccanismi, sebbeneconsentissero prima facie di scongiurare il precipitare della crisi permettendo (quando e quanto possibile) il salvataggio della continuità dei singoli rapporti attivi e passivi (ponendoli nelle mani di altri operatori bancari in grado, o messi in grado attraverso aiuti pubblici o del sistema di garanzia, di assorbire il dissesto con l’integrazione e la riorganizzazione), in realtà, non solo con il passare del tempo non si rivelavano in grado di sortire gli effetti sperati (ovvero evitare la crisi bancaria) ma, soprattutto, si mostravano del tutto inadeguati a rintracciare ed affrontare il problema ex anteal fine di evitare le conseguenze pregiudizievoli che da essa scaturivano 1.
Uno dei problemi fondamentali con cui il legislatore (sia europeo che nazionale) si è dovuto spesso scontrare ha riguardato, appunto, l’attitudine e la capacità di un istituto bancario ad affrontare momenti di crisi; tant’è che in ambito internazionale si è giunti a sostenere la presenza di banche ed altri intermediari
too big to fail, ragion per cui si è avvertita l’esigenza di intervenire conprecise (e
necessari)misure di prevenzione delle crisi, finalizzate a mitigare gli effetti e i risultati insostenibili ed insopportabili per il “sistema” delle soluzioniex post volte solo alla rimozione delle conseguenze una volta verificatesi2.
L’attuale modello italiano di gestione delle crisi che caratterizza il sistema bancario è senza dubbio peculiare; esso è incentrato sul regime normativo delineato dal Testo unico bancario, nell’ambito del quale spicca il ruolo penetrante della Banca d’Italia in materia di vigilanza interna che, nella sua veste di autorità deputata anche alla resolution, è chiamata a esercitare compiti di direzione e coordinamento, attivando un peculiare iter valutativo nell’ipotesi in cui vengano riscontrate situazioni di particolare problematicità tali da poter integrare i presupposti per l’avvio delle procedure di gestione della crisi 3.
1 Cfr. B. Inzitari, La disciplina della crisi nel testo unico bancario, in Dal Testo unico bancario
all’Unione bancaria: tecniche normative e allocazione di poteri, Quaderni di ricerca giuridica, n.
75, Banca d’Italia, Roma, 2014, 121 ss.
2 V. J. Armour, Making Bank Resolution Credible, in The Oxford Handbook of Financial
Regulation, a cura di Ferran, Moloney e Payne, Oxford, 2014, 454 ss.
3 Nel vigente quadro normativo la Banca d’Italia è chiamata a svolgere un duplice ruolo,
rivestendo i panni sia di organo di vigilanza che di organo di resolution, nello svolgimento sinergico delle sue funzioni, affidate a strutture organizzative separate. La vigilanza operata
186 Il fatto che le funzioni di vigilanza in senso stretto e di resolution coesistano in seno alla stessa Autorità rende molto più fluido ed immediato l’eventuale “passaggio di consegne” nell’ipotesi in cui la situazione dell’intermediario presenti progressivi segnali di criticità 4.
Laddove, infatti, a seguito di un’ispezione della Banca d’Italia emergano profili di criticità aziendale e sussistano i presupposti per l’adozione degli strumenti e l’avvio di provvedimenti previsti in caso di difficoltà, l’Autorità è chiamata a formulare un giudizio che tenga conto delle risultanze ispettive e una specifica valutazione del grado di irregolarità̀ e violazioni riscontrate, nonché perdite economiche, finanziarie e patrimoniali che fanno scattare segnali di allarme. La coesistenza in un’unica istituzione delle funzioni di vigilanza ongoing e di quelle di resolution si esplica propriamente nelle attività di collaborazione e nello scambio informativo volto a rendere possibili interventi di gestione delle crisi ispirati ad una logica marcatamente preventiva.
Nel recente dibattito, anche internazionale, ha assunto importanza rilevante l’individuazione del momento di intervento in chiave preventiva, finalizzato all’attuazione di provvedimenti di salvaguardia del valore degli assets aziendali 5. Questo approccio preventivo (di matrice comunitaria, qualificato come “early
intervention”), è volto a semplificare e rendere meno traumatica la gestione della
crisi, oltre che facilitare la prospettiva di recupero e di ritorno in bonis dell’intermediario, risolvendosi in un indubbio vantaggio per tutti gli
dall’Autorità segue, infatti, l’intermediario nel corso della vita sociale e si esplica in un controllo a distanza nel continuo (“ongoing”), attraverso un’attività di analisi tecnica qualitativa e quantitativa dei profili di un’azienda bancaria, nonché attraverso attività ispettiva finalizzata a verificare in concreto l’osservanza delle vigenti disposizioni e l’andamento aziendale.
4 Tuttavia, non si può tacere sul fatto che in dottrina sono stati sollevati dubbi in ordine ai criteri
con cui il legislatore (europeo) ha regolato la “separatezza” tra i differenti meccanismi di supervisione e di risoluzione., ipotizzando, nello specifico, che l’unicità dell’amministrazione chiamata a svolgere funzioni diverse (di vigilanza e di risoluzione) e ruoli differenti possa comportare la configurabilità di possibili situazioni conflittuali.
5 La scelta del “momento giusto” in cui intervenire costituisce un elemento di importanza
strategica nell’azione di vigilanza esercitata dall’Autorità: sul suo ruolo nell’attivazione degli strumenti previsti dall’ordinamento in situazioni di anomalia, cfr. Aa. Vv., La crisi dell’impresa
187
stakeholders, che vedono preservato il valore dell’azienda, e per i creditori, che
vedono accrescersi le loro pretese e chances di soddisfazione.
Da quanto detto (ed alla luce del recepimento delle ultime disposizioni di matrice comunitaria) appare evidente come nell’ordinamento italiano emerge con vigore una tendenza ad interventi tempestivi che rendano l’approccio alla gestione delle crisi un momento cruciale per l’andamento e la continuità aziendale nell’attività di vigilanza; quest’ultima, come detto, non è scissa dalla resolution con cui è, invece, legata ad una sinergia informativa e operativa ed ispirata alle finalità, enunciate dall’art. 5 t.u.b., di sana e prudente gestione 6.
In riferimento, poi, alla compatibilità con le norme della legge fallimentare, il Testo unico bancarioprevede, per le banche,l’applicazione delle procedure speciali dell’amministrazione straordinaria e della liquidazione coatta amministrativa, in luogo delle ordinarie procedure concorsuali7.
Tuttavia, questo rappresenta la modalità di intervento ordinaria di gestire una situazione di crisi conclamata (anche se non necessariamente irreversibile) che poco ha a che fare con un sistema di gestione improntato alla early intervention più che ad un resolution vera e propria, ossia adottando misure di tipo
6 Cfr. A. M. A. Carriero, La disciplina italiana in tema di gestione delle crisi delle banche e degli
intermediari finanziari, in Ricerche giuridiche, II, 2, 2013, 644 ss.
7 In sintesi si ricordi che l’amministrazione straordinaria (art. 70 ss. t.u.b.) è una procedura
utilizzata quando la crisi si presenta come potenzialmente reversibile; essa viene disposta con decreto del Ministro dell’Economia e delle Finanze, emanato su proposta della Banca d’Italia, al ricorrere di terminati presupposti: gravi irregolarità nell’amministrazione dell’attività bancaria ovvero gravi violazioni delle disposizioni legislative, amministrative o statutarie; gravi perdite del patrimonio; su richiesta motivata degli organi amministrativi o dell’assemblea straordinaria in specifiche ipotesi; nella prassi essa ha una durata di un anno dall’emanazione del decreto (salvo prevedere un termine di chiusura anticipato, con autorizzazione della Banca d’Italia). Diversa dall’amministrazione straordinaria è, invece, la gestione provvisoria che, appunto, non ha natura definitoria (potendosi prolungare non oltre il periodo di due mesi) e prevede la nomina di uno o più commissari che svolgano attività di amministrazione, con contestuale sospensione dalle funzioni gli organi amministrativi e di controllo. La liquidazione coatta amministrativa (art. 80 ss. t.u.b.) è, invece, una procedura concorsuale speciale disposta anch’essa con decreto (dal quale principia la cessazione delle funzioni da parte dell’organo amministrativo, di controllo e dell’assemblea); essa si svolge sotto la supervisione della Banca d’Italia e generalmente viene disposta dopo un periodo di amministrazione straordinaria (anche se non vi è una conseguenzialità necessaria delle due procedure) al ricorrere di gravi presupposti nella gestione e nel patrimonio (in ipotesi di eccezionale gravità è possibile scavalcare la preventiva procedure di amministrazione straordinaria); tale procedura non ha una durata ben definita e presuppone una crisi irreversibile dell’impresa, che non è più in grado di proseguire la propria attività.
188 anticipatoria finalizzate al risanamento di una situazione di difficoltà più che alla eventuale risoluzione della crisi.
Ritornando all’attuale disciplina in materia di crisi bancarie, non ci si può discostare dal ritenere che la stessa presenta radici abbastanza profonde; essa è stata costruita dal legislatore del Testo unico bancario sulle fondamenta della precedente legge bancaria che recava al suo interno un corpus normativo di procedure speciale atte a regolare situazioni di crisi bancaria 8.
Fin dalla prima regolazione organica dell’attività creditizia, la gestione delle crisi bancarie ha rappresentato un aspetto centrale della disciplina di settore, considerandosi da sempre obiettivo di primario interesse del nostro legislatore. La legge bancaria del 36/38 (r.d.l. 12 marzo 1936, n. 375) dedicava, infatti, a tale obiettivo circa la metà delle disposizioni in essa contenute, adottando un modello procedimentale che per lunghi tratti (seppur modificato in alcuni suoi aspetti dall’attuale dal Testo unico bancario) ha conservato pressoché integri nel tempo i suoi elementi caratterizzanti fino al recepimento della normativa in ambito europeo.
Per molti anni, quindi, la cd. legge bancariaha costituito un modello di riferimento per il sistema finanziario e bancario italiano.
Il legislatore del Testo unico bancario (d. lgs. n. 385 del 1993), pertanto, riprendendo proprio i principi ed i concetti della precedente disciplina, ha attuato un programma di ridefinizione normativa, adattato al (mutato) contesto giuridico e sociale, a seguito delle trasformazioni economico-finanziarie.
Il periodo successivo all’entrata in vigore del Testo unico bancario è, tuttavia, caratterizzato dalla presenza della crisi finanziaria e dall’incisiva ed acuta proliferazione di procedure di gestione della crisi a cui il legislatore non ha saputo farvi fronte per carenza di mezzi adeguati a realizzare il salvataggio delle realtà in difficoltà.
8 La precedente legge bancaria dedicava ampio spazio alle disposizioni dedicate alle procedure
speciali di gestione delle crisi bancarie, (Titolo VII, artt. da 57 a 86- bis), la maggior parte delle quali hanno trovato continuità nel Testo Unico Bancario, v. G.B. Portale, Dalla «pietra del
189 L’inadeguatezza dei mezzi a disposizione ha comportato interventi legislativi ad
hoc che finivano per tamponare (e non risolvere) situazioni che portavano
l’impresa bancaria al dissesto finanziario, comportando, tuttavia, uno spreco di risorse pubbliche, oltre che un’alterazione delle regole sulla concorrenza.
Si assisteva, così, ad una situazione di confusione ed incertezza giuridico- normativa che si scontrava con la delicatezza del periodo, bisognoso di un intervento tempestivo e quanto mai risolutivo.
La risposta a vari interrogativi è stata fornita dalla direttiva 2014/59/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 15 maggio 2014, relativa alla risoluzione degli enti creditizi e delle imprese di investimento (meglio nota come Bank
Recovery and Resolution Directive o, più brevemente, BRRD)9.
In Italia la disciplina in materia di gestione delle crisi bancarie è stata, quindi, modificata con i decreti legislativi 16 novembre 2015, nn. 180 e 181, che, nel recepire e dare attuazione alla Direttiva chiamata ad intervenire fattivamente con l’istituzione un quadro armonizzato a livello comunitario di risanamento e risoluzione degli enti creditizi (e delle imprese di investimento), hanno, inoltre, modificato le norme del testo unico bancario, del testo unico della finanza ed anche alcuni articoli della legge fallimentare 10.
9 La Dir. 2014/59/UE è stata oggetto di attenzione anche da parte dei commentatori stranieri, tra
cui si vedano, senza pretese di completezza, S. Micossi, G. Bruzzone, J. Carmassi, The new
European framework for managing bank crises, in CEPS Working Paper, 2013; J. R. LaBrosse, R.
Olivares-Caminal, D. Singh, The EU bank recovery and resolution directive: some observations
on the financing arrangements, 2014, 15, 218ss.; D. Schoenmaker, Banking supervision and resolution: the European dimension, in Law and Financial Markets Review, 2012, 1, 52 ss.; si
vedano sul punto anche R. De Lisa, M. De Cesare, F. Pluchino, A.L. Lombardo, Quali
provvedimenti per le banche in crisi? La proposta di direttiva europea, in Bancaria, 2013, 2, 52
ss.; M. Paglierini e G. Sciascia, Prevenzione e gestione armonizzata delle crisi bancarie
nell’Unione europea: uno sguardo d’insieme, in Le Società, 8/9, 2015, 986 ss.
10 Cfr. G. Boccuzzi, L’Unione bancaria europea, nuove istituzioni e regole di vigilanza e
digestione delle crisi bancarie, Roma, 128, 2015, 189 e ss.; L. Stanghellini, La disciplina delle crisi bancarie: la prospettiva europea, in Dal Testo unico bancario all’Unione bancaria: tecniche normative e allocazione di poteri, Quaderni di ricerca giuridica, n. 75, Banca d’Italia, Roma, 2014,
147 e ss.; L. Stanghellini, The Implementation of the BRRD in Italy and its First Test: Policy
Implications, in Journ. fin. reg., 2016, 1 ss.; B. Inzitari, BRRD, Bail in, risoluzione della banca in dissesto, condivisione concorsuale delle perdite (d.lgs. n. 180 del 2015), in Contratto e Impresa, 3,
190 Nel passaggio dalle forme di salvataggio pubblico ad opera di specifici e massicci aiuti di Stato e ricorso a fondi pubblici 11 alla resolution di estrazione
“europeista”, la BRRD ha previsto, quindi, un immediato intervento nella fase fisiologica della vita della banca con un approccio preventivo in grado di incidere sulle strategie, sui profili di rischio, sul capitale, sulla governance delle banche. Tale intervento veniva visto come l’inserimento di un ingranaggio della ristrutturazione aziendale di una banca in crisi (sia pure solo potenziale), gestito da un’autorità indipendente, all’interno di un ampio e complesso processo finalizzato alla ordinaria vigilanza on going.
La differenza di approccio rispetto al passato è chiara e si apprezza proprio nelle modalità operative ben tracciate ex ante e non più rilasciate alla discrezionalità dei commissari straordinari che, una volta insediati, sono adesso chiamati ad operare come esecutori di decisioni già definite.
Tale processo inizia proprio dalla valutazione del rischio attraverso specifici strumenti di risoluzione tra cui il bail-in che si presenta da subito come l’alternativa al salvataggio pubblico (bail-out) 12.
11 Cfr. C. Brescia Morra, Nuove regole per la gestione delle crisi bancarie: risparmiatori vs
contribuenti, in AGE, 2016, 285 ss., secondo cui la soluzione preferenziale adottata in passato in
Italia per la gestione della crisi era la cessione di attività e passività, molto spesso attuata con l’aiuto straordinario di fondi pubblici o anche privati. In passato la cessione di attività e passività della banca in difficoltà ad altro intermediario in grado di sostenere finanziariamente l'acquisizione (assumendone le perdite) a fronte del vantaggio di poter espandere la propria operatività, poteva avere un senso laddove le autorità creditizie applicavano una politica restrittiva nella concessione di autorizzazione alla costituzione di nuove banche e all'apertura di sportelli bancari (oggi denominate filiali o succursali). Ciò poteva, infatti, ritenersi economicamente conveniente perché l'intermediario, con il salvataggio della banca in crisi, acquisiva la rete territoriale di quest'ultima. Oggi che l'apertura delle succursali è stata completamente liberalizzata e che il valore delle stesse si è ridotto (a causa dell'avvento di internet e delle modalità di gestione bancaria “online”), l'acquisizione di nuove succursali non rappresenta più un vantaggio economico interessante tale da incentivare l'intervento di una banca in bonis in soccorso di un'altra banca in difficoltà (o in dissesto), v. sul punto ancora C. Brescia Morra, Crisi bancarie e disciplina degli aiuti di Stato: un
chiarimento importante dalla Corte di Giustizia, nota a Tribunale I grado UE, 19 marzo 2019, sez.
III, in Banca Borsa Titoli di Credito, 3, 2019, 275 ss.
12 Il bail-in si presenta come un istituto che mira a preservare la continuità delle funzioni essenziali
delle banche in difficoltà e ad evitare o ridurre le conseguenze della crisi, nel rispetto, inoltre, dello schema del burden sharing (art. 34 BRRD e art. 22 d.lgs. 180/2015), secondo cui subiscono prima le perdite gli azionisti e poi i creditori in base alla priorità delle loro pretese (come da procedura ordinaria di insolvenza). Lo strumento del bail-in prevede in concreto che, prima che con risorse pubbliche, il risanamento dell’ente debba avvenire direttamente tramite la conversione forzosa dei crediti in capitale o la loro svalutazione nominale, nel rispetto del principio del no creditor worse
191 L’esigenza che ha portato il legislatore (prima europeo e poi interno) a discostarsi dal salvataggio pubblico delle banche in crisi è frutto dell’esperienza che ha dimostrato come in varie circostanze l’esborso di denaro pubblico e l’intervento dello Stato furono così ingenti da mettere in serio pericolo la stessa stabilità nazionale, generando tensioni a livello politico e sociale 13.
L’aspetto cruciale che emerge, quindi, dalla normativa della BRRD riguarda la sua funzione rivolta alla prevenzione della crisi della banca (secondo gli obiettivi:
prevention, early intervention e resolution), non al suo accompagnamento
coattivo verso l’estinzione.
É evidente che il meccanismo dei piani e degli interventi precoci concepito nella BRRD e recepito all’interno del Testo unico bancario riesca a trovare efficace applicazione soltanto se i relativi ingranaggi siano tutti al loro posto e se le diverse terapie riescano ad essere somministrate tempestivamente, prima che la patologia si aggravi irrimediabilmente ed irreversibilmente.
Così gli strumenti di intervento precoce introdotti con la Direttiva europea si inseriscono all’interno di uno schema di azione preventiva e si estendono ad una fase più avanzata rispetto a quella tracciata dall’approccio tradizionale della vigilanza prudenziale, con una visione più complessa (in linea con un inquadramento sistemico e macroeconomico) di quella che emergeva in precedenza all’interno del Testo unico bancario.
Va detto, tuttavia, che il Testo unico bancario, pur proponendo (in linea teorica) una regolazione orientata all’affermazione di un sistema prudenziale di prevenzione dei rischi e di stabilità economico-finanziaria, non ha contribuito nell’immediato ad un cambiamento sostanziale nelle modalità operative e off la cui applicazione dovrebbe assicurare che, almeno sotto il profilo economico, i creditori
(individualmente considerati) non possano subire un risultato peggiore rispetto a quanto sarebbe loro spettato applicando i rigidi criteri della liquidazione, sul punto v. A. Blandini, How to
overcome crisis (and oneself) without getting overcome: la fiducia e il bail-in dal punto di vista del creditore, in Orizzonti del Diritto Commerciale, 2017, 17 ss.; A. Gardella, Il bail in e il finanziamento delle risoluzioni bancarie nel contesto del meccanismo di risoluzione unico, in Banca, borsa, 2015, I, 587 ss.; G. Presti, Il bail-in, in Banca, Impresa, Società, 3, 2015, 339 ss.
13 Si comprese, allora, l’importanza di come l’accertamento del presupposto che la banca è failing
or likely to fail, dovesse essere affidato in via ordinaria all’autorità di vigilanza, alla quale
192 procedimentali di gestione delle crisi bancarie, che solo successivamente si è affermato tramite il riconoscimento di un differente approccio previsionale del contesto concorrenziale che ha suggerito una precisa regolamentazione della situazione fisiologica della crisi protesa a prevenire il rischio sistemico, assicurando la “sana e prudente gestione” degli appartenenti al settore e tutelando la fiducia che i risparmiatori ripongono nell’ordinamento finanziario 14.
Solo con il recepimento della disciplina europea si è avvertita l’esigenza da un lato di rafforzare la regolamentazione prudenziale e dall’altro lato di ridurre l’impatto del dissesto, nel caso si fosse verificato.
Queste dinamiche hanno suggerito la definizione di un modello di regolamentazione che fosse correlato alla definizione di un procedimento alternativo rispetto alle ordinarie procedure concorsuali, con il preciso scopo di evitare, per quanto possibile, gli effetti distruttivi della liquidazione fallimentare, senza, però, che il costo del dissesto fosse sopportato dai contribuenti (bail-out)15. Su queste basi poggia, quindi, l’affermazione di un nuovo paradigma di gestione della crisi fondato sul principio di internalizzazione delle perdite (bail-in), in forza del quale si esige ora che i costi della risoluzione siano sostenuti in primis attraverso risorse private, e solo in via eventuale e residuale (nei modi e nelle forme previste dal legislatore) con capitali pubblici16.
Sulla base di tali considerazioni si è resa necessaria un’opera di riorganizzazione normativa interna che fosse in grado di ripercorrere fedelmente i vari passaggi
14 Cfr. L. Di Brina, La crisi della banca e degli intermediari finanziari, in Aa.V.v, Manuale di