Quest’ultimo paragrafo non vuole essere un spazio in cui sintetizzare gli argomenti e gli istituti finora trattati quanto, piuttosto, un luogo di raccolta delle riflessioni e considerazioni che finora ho tentato di far trasparire nelle pagine del presente lavoro.
L’elaborazione di questo primo capitolo è partita da un’analisi dell’istituto delle società a partecipazione pubblica e della loro disciplina, secondo le disposizioni del Testo unico.
L’attenzione è stata particolarmente rivolta al regime di governance, alla gestione e funzionamento dei sistemi di amministrazione e controllo delle società pubbliche, agli obblighi informativi, di trasparenza, organizzativi (secondo canoni
dei debiti, limitazione all’ammissibilità di proposte di concordato in continuità concorrenti, nonché una causa di non punibilità per determinati reati fallimentari.
177 di diligenza e di corretta amministrazione), reattivi e di sorveglianza cui sono chiamati i componenti degli organi sociali, nonché alle azioni di responsabilità alle quali vengono esposti gli amministratori in primis, in caso di episodi di mala
gestio(specie se legati alla mancata ed immotivata istituzione di strumenti sociali
integrativi).
Nello specifico, la trattazione del presente capitolo si è basata sul tema centrale della gestione della prevenzione della crisi aziendale, ruotando attornoalle previsioni normative riguardanti i programmi di valutazione del rischio di crisi aziendale e gli strumenti complementari di diritto societario, idonei a rintracciare e prevenire tempestivamente una situazione di crisi e risolverla.
Tali strumenti in una dimensione societaria (soprattutto se di natura pubblicistica) hanno evidenziato quanto rilevante sia nella gestione delle risorse e del funzionamento gestionale la precoce emersione della crisi, ricorrendo a specifici indicatori (non tassativamente indicati) che permettano, tramite parametri finanziari e/o organizzativi, di individuare tempestivamente una situazione di declino dell’impresa.
Tuttavia, a mio avviso sembra del tutto incoerente e da considerarsi obsoleta (e priva di sostegno giuridico e sociale) la previsione di obbligatorietà del programma di valutazione del rischio di crisi aziendale solo per le società a controllo pubblico e non anche per le società a partecipazione pubblica, le società
in house e le società miste pubblico-privato.
Tale scelta, che probabilmente è legata alla volontà di rendere più agevoli i meccanismi endosocietari circa l’adozione di tali modelli e strumenti, sembrerebbe non in linea con gli attuali obiettivi posti alla base di determinate decisioni normative e legislative.
Inoltre, la disamina di tali strumenti all’interno di realtà societarie enormemente influenzate dalla corretta gestione delle risorse (pubbliche, se ci riferiamo alle società regolate dal Testo unico) e la loro importanza funzionale e utilità nei confronti dei soci e dei creditori sociali (e degli amministratori per rendersi esenti da azioni di responsabilità ordinarie secondo le norme civilistiche) ha automaticamente indirizzato il discorso verso l’analisi comparatistica del nuovo (e
178 prossimo?) Codice della crisi e dell’insolvenza, la cui introduzione è prevista (auspicabilmente) il primo settembre 2021.
Proprio lo studio degli strumenti e delle procedure di allerta secondo le disposizioni del nuovo Codice della crisi hanno suggerito sin da subito una lettura d’insieme, data la dialettica e le prove di continuo dialogo fra Codice della crisi e Testo unico nel determinare il contenuto di alcuni istituti e nel rintracciare, nella loro argomentazione, la necessità di assistere le imprese nella precoce rilevazione di una situazione di potenziale crisi, ancora vista come drammatico spettro dalle aziende che faticano nel voler esteriorizzare situazioni di difficoltà interne (seppur non ancora di dissesto economico-finanziario) per timore di gravi ripercussioni da parte del mercato.
Nonostante alcune norme del nostro codice civile, come si è visto, implicitamente richiamino istituti di reazione alla crisi dell’impresa, la prassi ha mostrato la loro scarsa rilevanza ed incisività e la forte debolezza nel riuscire a governare efficacemente una situazione di crisi aziendale. Non può, quindi, tacersi sul fatto che questi strumenti si sono rivelati piuttosto inadeguati anche e soprattutto per la mancata segnalazione da parte della governance, passiva e spesso poco responsabile.
Per fare un esempio esplicativo della situazione di difficoltà anche normativa in cui ci troviamo, negli ultimi anni è stato possibile appurare come la maggior parte delle imprese fallite (di piccola e media dimensione) non hanno depositato gli ultimi due o tre bilanci anteriori al default, configurandosi, in questo modo, una impossibilità concreta di ottenere una condanna repressiva di un simile comportamento (in danno tanto dei soci quanto dei creditori sociali), in quanto venuto alla luce solo dopo la dichiarazione di fallimento, quando la situazione era divenuta ormai irreversibile e la sanzione era ormai del tutto inefficace.
Questo atteggiamento mette in risalto la sussistenza di una distorsione del sistema che vede nel fallimento un male anche peggiore dell’attesa, lasciando che il debitore viva ancora e sempre nell’idea che tacere circa la sua difficoltà sia l’unico modo per evitare di arrivare al fallimento.
179 Se, quindi, dal punto di vista concettuale, gli strumenti di allerta non costituiscono una novità assoluta per il nostro ordinamento, le novità riguardano, da un lato, le concrete modalità attraverso le quali può avvenire la rilevazione tempestiva della situazione di crisi e dall’altro l’allargamento della platea dei soggetti coinvolti nell’attività di monitoraggio.
Queste riforme si muovono, infatti, nel concreto tentativo di risolvere una situazione che solo in linea teorica si tentava di affrontare, mancando, tutt’al più, i mezzi e gli strumenti procedurali per farvi fronte.
Si assiste, così, ad una forte implementazione delle soluzioni introdotte e ad una sostanziosa procedimentalizzazione dell’attività di gestione della crisi che dovrebbe poter comportare indubbi benefici in termini economici, patrimoniali e finanziari, ma anche organizzativi e gestionali.
Così, un “ritorno al passato”, che garantisca maggiori poteri di segnalazione e di reazione all’organo di controllo a discapito della ampie facoltà concesse ai
managers (che spesso le esercitano discrezionalmente, celandosi dietro il
principio di “business judgement rule”), potrebbe essere la strategia più efficace per cogliere a pieno la portata innovativa delle disposizioni normative, prima del Testo unico e poi del Codice della crisi, in tema di precoce emersione e risoluzione della crisi, evitando le innumerevoli conseguenze negative per i valori societari, la compagine societaria e i creditori sociali conseguenti al fallimento (o ad altre procedure concorsuali).
Da sempre, infatti, l’azione gestoria della governance in situazioni di crisi costituisce una funzione mediatrice tra l’attitudine a realizzare gli interessi dei soci e quella di non pregiudicare il soddisfacimento delle pretese dei creditori, con la difficoltà di determinare fino a che punto le scelte del management siano imputabili ad un rischio d’impresa liberamente perseguibile, ovvero costituiscano una violazione del parametro della diligenza.
Quali siano i criteri che devono ispirare la governance è il vero tema dei doveri degli organi di amministrazione e di controllo nella fase di emersione della crisi aziendale; in tale fattispecie, il problema è infatti quello di orientare
180 tempestivamente la gestione in modo coerente al contesto, cercando cioè di evitare il dissesto definitivo.
L’indirizzo che il legislatore ha, quindi, inteso perseguire è quello di porre fine a quella crescente forma di pressapochismo o sciatteria che attanagliava il diritto societario, reo finora di non avere avuto la forza e l’ambizione di affrontare e regolamentare quella considerevole twilight zone, intermedia tra la disciplina ordinaria della società in bonis e le norme del diritto concorsuale che regolano la società in crisi.
Nella gestione delle situazioni di crisi ciò che rileva e che assume un significato centrale è, quindi, l’esperienza, ossia la necessità di responsabilizzazione dell’imprenditore e l’onesta presa di coscienza da parte degli organi sociali dell’esistenza o meno di un adeguato e affidabile sistema organizzativo di programmazione e previsione strategica, in grado di elaborare piani attendibili sugli sviluppi futuri dell’impresa per formulare le scelte necessarie alla continuità aziendale
Qualunque sia lo stadio della crisi, è comunque necessario tentare di coniugare due interessi spesso tra loro contrapposti; infatti, per essere risolta la situazione di difficoltà necessita sempre di un’analisi strategica delle opzioni manageriali a disposizione per dirimerla: servono quindi “uomini di business” (a proposito delle criticità che riguardano la competenza dei componenti dell’Ocri), professionisti in grado di comprendere se è più opportuno progettare una business transformation (perché l’insolvenza è ancora lontana) o se invece non sia preferibile un vero e proprio turnaround (in quanto l’insolvenza è ormai alle porte), immaginando quindi una nuova struttura finanziaria, organizzativa, di governance.
Gli sforzi profusi dal riformatore nel predisporre e garantire un sistema virtuoso di meccanismi di allerta della crisi sono evidenti segnali di profondo cambiamento culturale (prima ancora che normativo) proiettato all’innovazione ed all’ammodernamento del nostro diritto societario.
Si è, pertanto, avvertita con vigore la necessità di prevedere un nuovo approccio che spostasse l’angolo di visuale dalla gestione dell’emergenza alla cultura della prevenzione.
181 L’efficacia degli strumenti di prevenzione è quindi legata ad una trasformazione culturale e sociale: è necessario abbandonare l’approccio attendista e irresponsabile, a vantaggio di un intervento di recupero quando possibile, innescando così un circolo virtuoso tra razionalità dell’apparato normativo e correttezza dei comportamenti gestori.
La prevenzione, d’altronde, è una questione di cultura, frutto di un tentativo di proporre un cambio di passo: l’obiettivo consiste nella diffusione di una cultura aziendale e professionale, che porti ad una corretta applicazione degli istituti con rigore e razionalità, nella quale occorre pur sempre tener a mente quella fisiologica e presente incertezza diagnostica.
L’ingresso anticipato in una “zona di osservazione regolata” per gestire correttamente l’eventuale crisi di impresa ed il passaggio ad una concorsualità preventiva segnerebbero i segnali più significativi di un passaggio culturale da alcuni definito epocale.
La sensazione è, quindi, che le disposizioni del Codice della crisi e del Testo unico abbiano una matrice comune e, nell’ambito di quadro sistematico e programmatico unitario, assumano i contorni della rivisitazione e restaurazione.
De iure condendo, inoltre, ci si aspetta una maggiore precisione da parte del
legislatore per sopperire alla (quasi totale) mancanza di vere e proprie norme di coordinamento tra la disciplina societaria e le regole concorsuali che non rende agevole l’individuazione dei possibili contenuti e dei limiti della gestione societaria, in ipotesi di incombente crisi aziendale.
La nuova normativa dovrebbe avere una visione della situazione di crisi ad ampio spettro e riguardare le società (private o pubbliche che siano) nella sua interezza; inoltre, dovrebbe rispondere all’esigenza di un’armonizzazione normativa, che preveda strumenti e procedure a disposizione della governance societaria per affrontare questa delicata fase della vita dell’impresa.
Infine, come ho avuto modo di sottolineare più volte nei paragrafi che precedono tali conclusioni, non è dato conoscere al momento quale impatto avranno le suddette riforme nella vita e nella gestione delle società.
182 Sarà interessante valutare se l’obiettivo ambizioso che ci si proponeva da decenni e che il legislatore ha solo ultimamente messo al centro dei propri obiettivi sia o meno realmente raggiungibile e conseguentemente come questo possa mutare o in qualche modo “risolvere” quell’approccio (spesso risultato insoddisfacente e tardivo) nella gestione della crisi d’impresa.
Se per le società pubbliche un primo bilancio, adesso, può cominciare ad ipotizzarsi, per le novità presenti nel nuovo Codice della crisi e dell’insolvenza e per un giudizio definitivo su di esse bisognerà attendere ancora, auspicandosi, nel frattempo, che le società si facciano trovare pronte a recepire le predette disposizioni, predisponendo al loro interno adeguati assetti organizzativi e riorganizzando le competenze dei propri organi sociali.
In questo modo, le società sono chiamate a tenere da subito un approccio attivo ed interventista, finalizzato a recepire preventivamente i principi di questa fase pre- fallimentare ed i meccanismi di gestione anticipata della crisi, in modo da promuovere l’immediata applicazione degli istituti e gli strumenti elaborati non appena finirà (se mai finirà, a questo punto l’interrogativo è una costante) questo continuo slittamento in avanti del termine di entrata in vigore della suddetta riforma.
Occorre, quindi, essere quanto più possibili cauti, in quanto il rischio di introdurre, una volta concretamente impiegati e realizzati, rimedi peggiori dei mali che si vorrebbero curare è sempre presente e quindi se il fine (l’anticipazione della crisi) è ovviamente condivisibile, vanno comunque fatte alcune riflessioni sulle dinamiche processuali e sulle criticità che riguardano (e non potrebbe essere diversamente) il “cantiere” di questa riforma fallimentare, destinato a rimanere ancora aperto.
183 Pertanto, fin quando la teoria non venga supportata da elementi e dati pratici è bene mantenere un atteggiamento di allerta, appunto.
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CAPITOLO II
La gestione della crisi nelle banche: tra strumenti di prevenzione e misure di risoluzione
SOMMARIO: 1. Uno sguardo alla normativa interna ed europea. - 2. Il dissesto o il rischio di dissesto e insolvenza bancaria. - 3. I sistemi di controllo e di corporate governance nelle banche. - 3.1. L’organo di controllo. - 3.2.
Risk Appetite Framework. - 3.3. Risk management nelle banche. - 3.4. Early Warning System. - 4. La disciplina in materia di gestione della crisi bancaria
alla luce della Bank Recovery e Resolution Directive: le misure di intervento precoce e gli strumenti di anticipazione e prevenzione della crisi. - 4.1. La procedura ed il piano di risoluzione. - 5. Gli strumenti di risoluzione della crisi bancaria. - 6. Conclusioni.