dei creditori sociali.
Una delle principali esigenze sottese alla prevenzione della crisi della società riguarda la tutela dei creditori (prima ancora che dei soci) 250.
L’accresciuto interesse nella tutela dei creditori, attraverso l’organizzazione ed il funzionamento di presidi organizzativi e societari, è dato soprattutto dalla considerazione che la riforma delle società di capitali abbia comportato un arretramento della tutela dei creditori stessi per lasciar spazio ad una impellente
249Cfr. A. Schiuma, Le competenze dell’organo di controllo sull’assetto organizzativo delle s.p.a.
nei diversi sistemi di governance, in Riv. Dir. Civ., 2011, II, 57 ss.; P. Benazzo, Controlli interni, autonomia privata e collegio sindacale nelle società chiuse, in Il diritto delle società oggi. Innovazioni e persistenze, diretto da P. Benazzo, M. Cera e S. Patriarca, Torino, 2011, 408 ss.
250L’esigenza di tutela dei creditori passa attraverso la concezione, la rilevanza ed il significato da
attribuire alla figura dei creditori stessi, i cui interessi non possono configurarsi semplicemente come eterogenei, in quanto, sebbene di diversa natura, essi condividono (con gli interessi dei soci) la stessa fonte e gli stessi obiettivi, ponendosi su un piano armonico e sincronizzato improntato al perseguimento dello scopo sociale e all’aumento del valore patrimoniale.
141 diffusione di modelli di governance societaria flessibili e di strumenti finanziari per la raccolta del risparmio sul mercato 251.
A ciò si aggiunga l’inclinazione del nostro ordinamento a svalutare sempre di più la funzione di garanzia (e di conservazione) del capitale sociale; tali previsioni hanno, quindi, determinato importanti riflessi sostanziali anche nell’ambito dell’attività di programmazione societaria e nei doveri di prevenzione dello stato di crisi, cui sono tenuti ad osservare, nell’esercizio delle proprie funzioni, anche gli organi sociali.
A fronte di tale assetto organizzativo e strutturale definitosi, è andata via via accrescendosi la tensione conflittuale fra soci e creditori, e non solo in corrispondenza dell’ingresso nella fase crepuscolare dell’impresa 252.
Motivo per cui, tra i protocolli organizzativi che gli amministratori delle società di capitali sono chiamati ad osservare rientra il dovere di orientare la gestione sociale alla conservazione del patrimonio, al fine di non pregiudicare la sua integrità in una dimensione dinamica e produttivistica 253.
Nel paradigma delle discipline finora affrontate uno spazio importante deve essere ricoperto dalla tutela dei creditori, ovvero di coloro i quali spesso subiscono in prima linea gli effetti negativi di una gestione non diligente del board societario. E di certo non può ritenersi sufficiente il dettato normativo dell’art. 2394 c.c. nel quale non è possibile inserire in toto il contenuto e lo scopo degli obblighi di
251Si veda sul punto R. Sacchi, Tutela dei creditori nella s.p.a.: l’alternativa fra la conservazione
di una rule che non è più tale e l’introduzione di uno standard che esiste già, in La riforma del diritto societario dieci anni dopo. Per i quarant’anni di giurisprudenza commerciale, Milano, 13 -
14 giugno 2014, Milano, 2015, 257; M. G. Musardo, La conservazione del patrimonio nella
gestione delle società, Quaderni di giurisprudenza commerciale, Milano, 2020.
252Sussiste un conflitto endemico in seno alla classe dei finanziatori che vede i creditori
contrapporsi ai soci anche in riferimento ai criteri di gestione societaria, così P. G. Jaeger,
L’interesse sociale, Milano, 1963, 144 ss., secondo cui “gli interessi dei creditori (…) si trovano
necessariamente in posizione di conflitto con gli interessi degli azionisti”; cfr. inoltre M. Maugeri,
Struttura finanziaria della s.p.a. e funzione segnaletica del capitale nel diritto europeo armonizzato, in Riv. dir. comm., 2016, 2, il quale riconduce i soci ed i creditori a “due distinte
classi di finanziatori i cui interessi non solo non si presentano sempre allineati ma tendono a divergere con intensità tanto maggiore quanto più rapido sia l’acuirsi di una situazione di crisi dell’impresa”.
253Cfr. R. Costi, Il fallimento del socio nella letteratura giuridica recente, in Riv. trim., 1976,
1116, il quale rilevava come “l’oggetto della gestione è pur sempre un’azienda e che sia la tutela dei creditori che quella dei soci richiedono ad un tempo scelte imprenditoriali prudenti e scelte imprenditoriali coraggiose”.
142 conservazione del patrimonio sociale e ricondurli al canone standardizzato della diligente gestione di cui all’art. 2392 c.c.
Ricondurre il precetto degli obblighi di conservazione del patrimonio sociale alla diligente gestione ex art. 2392 c.c. porterebbe l’interprete ad una svista significativa dal momento che l’interesse conservativo dei creditori verrebbe filtrato dall’obiettivo dei soci della ricerca del profitto, quindi dall’incentivo alla propensione del rischio di impresa 254.
D’altronde l’art. 2394, comma 1, c.c., lungi dall’essere relegato al ruolo subalterno di disposizione di legittimazione dei creditori sociali, costituisce una vera e propria regola di governance della società (anche) in bonis.
La riconosciuta divergenza ontologica fra gli interessi che riguardano le figure dei creditori e dei soci offre l’opportunità di affrontare con maggiore consapevolezza la dibattuta questione circa il significato da attribuire agli obblighi di conservazione dell’integrità patrimoniale e prendere le distanze dalla tesi che suggerisce la riconducibilità di tali obblighi al generico dovere di gestire la società con la dovuta diligenza 255.
L’operato degli amministratori deve seguire una linea chiara già tracciata e retta da due contrapposti criteri di gestione, entrambi recanti il medesimo complemento oggetto, il patrimonio sociale; un criterio deve mirare all’incremento del patrimonio sociale, l’altro alla sua conservazione, ricercando un punto di
254Sul punto occorre, sin da subito, fare una necessaria precisazione, dal momento che se da un
lato si tende a tutelare i creditori nel soddisfacimento delle proprie pretese, attraverso l’obbligo imposto agli amministratori di salvaguardare l’integrità patrimoniale, dall’altro lato non può ritenersi che siffatto obbligo deve contrapposti (ed essere anteposto) al fine sociale del perseguimento dello scopo di lucro che rappresenta causa concreta dell’impresa esercitata in forma societaria. Le due prerogative non si configurano come alternative, dal momento che la funzionalizzazione lucrativa della società sarebbe di per sé in grado di assicurare una gestione idonea a tutelare gli interessi di entrambe le categorie.
255La tesi di chi sostiene di assorbire i doveri posti al comma 1 dell’art. 2394 c.c. in quelli
contemplati dall’art. 2392 c.c. viene contraddetta dalla considerazione che gli interessi tutelati dalle due disposizioni riguardano finalità diverse (l’una produttiva, l’altra conservativa) cui deve tendere l’operato degli amministratori. Il generale dovere di agire in maniera diligente ex art. 2392 c.c. non può essere sovrapposto a quello di gestire la società in funzione della conservazione del patrimonio sociale ai sensi dell’art. 2394 c.c. Il richiamo ai doveri di conservazione dell’integrità del patrimonio sociale è (o almeno dovrebbe essere) costante per tutta la vita della società, non solo all’approssimarsi di una situazione di tensione economico-finanziaria.
143 equilibrio tra le istanze contrapposte dei soci e dei creditori e cercando di dirimere il conflitto tra i diversi interessi confliggenti.
Pertanto, i doveri degli amministratori, senza abbandonare una gestione societaria adatta a soddisfare le aspirazioni lucrative dei soci, devono tendere alla conservazione del patrimonio sociale e fare in modo che il loro operato sia improntato alla tutela dell’integrità delle garanzie patrimoniali dei creditori 256. Ciò, tuttavia, non significa rinnegare l’obiettivo e lo scopo sociale cui una gestione imprenditoriale (sana) è (e dev’essere) orientata, con finalità tese alla ricerca del profitto e della massimizzazione del valore per gli azionisti 257.
Il bilanciamento tra gli interessi (non necessariamente contrapposti) dei soci di incrementare il valore del patrimonio sociale (con conseguente remunerazione del valore della propria partecipazione e dell’investimento) non deve mai pregiudicare l’esigenza dei creditori finalizzata ad una gestione societaria diligente e non incline al rischio smisurato e non ponderato 258.
256Si vedano sul punto le riflessioni di F. Denozza, L’interesse sociale tra “coordinamento” e
“cooperazione”, in L’interesse sociale tra valorizzazione del capitale e protezione degli stakeholders. In ricordo di Pier Giusto Jaeger, Atti del convegno Milano, 9 ottobre 2009, Milano
2010, 41.
257Particolare interesse suscita sul punto la posizione di un celebre economica e saggista
statunitense basata sulla necessità che all’interno dell’impresa societaria sia stimolata una politica gestoria che promuova obiettivi di lungo periodo a discapito di progetti “remunerativi” di breve periodo, così J. Stiglitz, Le nuove regole dell’economia, Milano, 2015, prende le distanze da quelle logiche istituzionali-societarie che propendono verso il primato assoluto dell’azionista e della massimizzazione dello shareholder valueper orientare la regola d’azione degli amministratori.
258La clausola generale della conservazione del patrimonio spesso si scontra con le fondamenta
della moderna corporate governance che basa la propria pietra angolare nei principi di director
primacy (a volte anche supremacy) e del risk taking, su cui si fonda la libertà di iniziativa
economico-sociale da parte degli amministratori sulla scorta dell’elaborazione della business
judgement rule. La propensione al rischio è vista spesso come il cuore pulsante di ogni business e
gli stessi soci, in determinate circostanze, mostrano la loro ritrosia alla scelta di amministratori non inclini al rischio d’impresa, privilegiando, tutt’al più, un atteggiamento al rischio che possa portare al più alto ritorno in termini economici, attraverso programmi di azione che incrementino il più possibile il rischio d’iniziativa imprenditoriale. In breve, l’interesse degli shareholders è volto all’incremento della redditività dell’impresa in funzione della distribuzione degli utili e della remunerazione dell’investimento in sede di liquidazione, ma anche all’accrescimento del valore di scambio della partecipazione sociale, in funzione della migliore monetizzazione dell’exit; cfr. in tal senso A. Guaccero, Interesse al valore per l’azionista e interesse della società. Le offerte
pubbliche in Italia e negli Usa, Milano, 2007, 130 ss.; G. Ferrarini, Valore per gli azionisti e governo societario, in Riv. soc., 2002, 476 ss.; P. G. Jaeger, L’interesse sociale rivisitato (quarant’anni dopo), in Giur. comm., 2000, I, 795 ss.; B. Libonati, Creditori sociali e responsabilità degli amministratori nelle società di capitali, in Aa.Vv., Il nuovo diritto delle società. Liber amicorum Gianfranco Campobasso, 3, Torino, 2007, 626 ss. L’atteggiamento dei
144 Sulla base di tale assunto, vi è da dire che, come in ogni fattispecie, la teoria si scontra con l’esigenza pratica calata nel contesto specifico ed adattata al caso concreto.
L’approccio ad una gestione conservativa (correlata all’integrità) del patrimonio sociale muta a seconda della situazione societaria. Nella fase fisiologica della vita dell’impresa, ovvero quando essa è in grado di autogenerare risorse e flussi finanziari sufficienti a pagare i propri debiti e remunerare il capitale di rischio, l’interesse ad una gestione conservativa che tuteli l’integrità patrimoniale viene parzialmente accantonato (o, comunque, non è posto prima facie) 259.
In un certo senso si può dire che in determinate circostanze il rischio viene “moderatamente” accettato e degli interessi dei creditori gli amministratori potrebbero disinteressarsi fintanto che l’impresa operi in bonis 260.
Tuttavia, tale inciso deve essere letto, interpretato ed applicato in maniera molto cauta e attenta da parte degli organi sociali, in quanto se è vero che della solidità economica e della crescita finanziaria ne traggono beneficio sia i soci sia i creditori (che si vedono accrescere le loro pretese creditizie), è altrettanto
soci, pertanto, non coincide e non si identifica con l’aspirazione dei creditori, il cui primario interesse, in un’ottica (prettamente) minimalistica, è che la società provveda a restituire il capitale da loro prestato (prescindendo dal fatto che l’impresa consegua o meno profitti), prediligendo, quindi, una gestione improntata alla conservazione e meno propensa al rischio (quanto meno a quello smisurato) che possa pregiudicarne il valore. Nel bilanciamento tra interessi contrapposti, si realizza, così, una tendenza che pone su due poli opposti i soci ed i creditori. Mentre, infatti, i soci partecipano al rischio d’impresa in modo simmetrico, beneficiando sia dei guadagni che delle perdite d’impresa (nei limiti del proprio conferimento) ed accettando le eventuali conseguenze insite nella scommessa, i creditori sono esposti al medesimo rischio in maniera asimmetrica, risentendo direttamente gli effetti negativi di una gestione societaria imprudente e beneficiando solo indirettamente dei guadagni conseguiti (in termini di rafforzamento delle proprie pretese patrimoniali).
259Si veda A. Mazzoni, La responsabilità gestoria per scorretto esercizio dell’impresa priva della
prospettiva di continuità aziendale, cit., 836 ss.
260Del resto fin tanto che l’impresa opera in condizioni di solidità patrimoniale, economica e
finanziaria, gli interessi dei soci e dei creditori non potrebbero considerarsirealmente confliggenti, in quanto, dipendendo la soddisfazione di entrambi dalla capienza del patrimonio sociale, sarebbero “protetti” dagli obblighi che gli amministratori hanno nei confronti della società e degli azionisti; ciò comporta un conseguente allineamento tra gli interessi dei soci e dei creditori nella gestione e nello svolgimento dell’attività societaria mirante alla valorizzazione del patrimonio, così G. Buta, Tutela dei creditori e responsabilità gestoria all’approssimarsi dell’insolvenza:
prime riflessioni, in Società, banche e crisi d’impresa. Liber Amicorum P. Abbadessa, diretto da
M. Campobasso, V. Cariello, V. Di Cataldo, F. Guerrera, A. Sciarrone Alibrandi, vol. III, Torino, 2014, 2542.
145 difficoltoso individuare il preciso momento in cui da una “sicurezza” patrimoniale e una valorizzazione dell’investimento si passi ad un’esigenza di tutela dell’integrità del patrimonio stesso.
Pertanto, buona condotta amministrativa suggerirebbe che non si attendesse l’emersione del primo campanello d’allarme e segnale di difficoltà societaria per osservare il dovere di gestire il patrimonio nell’interesse (anche) dei creditori. La natura programmatica e prospettica dell’attività d’impresa, collocandosi in una prospettiva ex ante, richiederebbe, da parte degli amministratori, l’adozione di scelte di gestione che tengano concretamente in considerazione le aspettative dei creditori 261.
D’altra parte, sarebbe incoerente con la recente prospettiva che tende al salvataggio della società e ad evitare il rischio di crisi d’impresa attendere le prime avvisaglie dello stesso per agire.
Affermare, quindi, la necessità che gli amministratori propendano per una gestione diligente attenta alle ragioni ed alle istanze dei creditori solo all’emergere della crisi (o alle prime avvisaglie in grado di compromettere la continuità aziendale) non si dimostra ragionevole ed in linea con la logica programmatica e preventiva dello stato di crisi, né rispettosa del dettato normativo che impone una gestione conservativa (anche nell’interesse dei creditori) durante tutta la vita dell’impresa.
Infatti, se è innegabile che la gestione dell’impresa in situazioni di crisi debba ispirarsi alla (esclusiva) tutela dell’integrità del patrimonio sociale e degli interessi dei creditori sociali (eventualmente nell’ottica dell’avvio di una procedura concorsuale a finalità liquidatorie), ebbene, anche in un contesto di piena operatività di una impresa in bonis la regola della conservazione di cui all’art.
261Si veda A. Tina, L’esonero da responsabilità degli amministratori di s.p.a., Milano, 2008, il
quale afferma che gli interessi dei soci e dei creditori devono considerarsi confliggenti non solo quando il patrimonio sociale si mostra insufficiente, o prossimo all’insolvenza, ma anche in tutte quelle circostanze in cui gli amministratori adottino, durante la fase fisiologica della società, operazioni idonee a ledere (più o meno significativamente) il patrimonio sociale, compromettendolo irrimediabilmente.
146 2394 c.c. produce efficacia giuridica ed appare, a tal punto, in grado di far fronte all’esigenza di porre un freno agli azzardi morali dei soci 262.
Questo principio è stato più volte al centro del dibattito che ha coinvolto il legislatore del nuovo Codice della crisi e dell’insolvenza che sembra porre il “prioritario” obiettivo di gestione della società non solo ove la stessa acceda alla dimensione concorsuale 263, retrocedendo la rilevanza del predetto dovere proprio ad un momento precedente, percorrendo quindi la linea tracciata della prevenzione della crisi d’impresa 264.
Invero, limitare e restringere il campo di applicazione del dovere di conservazione dell’integrità patrimoniale unicamente al verificarsi di una causa di scioglimento265 o nella fase di liquidazione, ovvero, tutt’al più, all’avvio di una
262Cfr. A. Luciano, La gestione della s.p.a. nella crisi pre-concorsuale, 70, cit., il quale afferma
che “il dovere di conservazione ex art. 2394, comma 1, c.c. segna in ogni circostanza (…) un limite al perseguimento dell’interesse degli azionisti da parte degli amministratori”; A. Rossi, Il
valore dell’organizzazione nell’esercizio provvisorio dell’impresa, 143, cit., secondo il quale la
norma opera come fosse una “controspinta, si licet, ad una gestione mirante alla ricerca dell’aumento del patrimonio (ex art. 2247 c.c.), che potrebbe essere contaminata dalla propensione all’azzardo morale derivante dalla responsabilità limitata dei soci”; M. Aiello, La
responsabilità degli amministratori e dei soci delle s.r.l., Bologna, 2013, 298 ss., che ritiene come
“nel modello azionario, il beneficio della responsabilità limitata trovi uno specifico contrappeso nel diritto dei creditori alla conservazione del patrimonio sociale”.
263I conflitti tra creditori ed azionisti, nelle situazioni di difficoltà economico-finanziaria della
società, sono stati affrontati anche dal legislatore della riforma che ha recepito la delicatezza della materia incentrata su interessi contrapposti (ma altrettanto rilevanti) creando una sorta di “luogo di incontro” tra le contrapposte esigenze del debitore e dei suoi creditori, secondo una logica di mediazione e di composizione assistita da organismi professionalmente orientati alla ricerca di una soluzione negoziata che si mostri idonea a tutelare le ragioni creditizie (anche laddove la società stessa si avvii verso l’apertura di una procedura concorsuale).
264D’altronde, anche all’art. 4, comma II, lett c), del nuovo Codice della Crisi d’Impresa e
dell’Insolvenza, tra i doveri del debitore, il legislatore fa rientrare quello di “gestire il patrimonio o l’impresa durante la procedura di regolazione della crisi o dell’insolvenza nell’interesse prioritario dei creditori”., facendo, così, presagire che, a prescindere dalla manifestazione dello stato di crisi, l’interesse alla tutela dei creditori riceve ancor prima dell’apertura della procedura uno spazio prioritario che, naturalmente, vede accrescere la propria rilevanza (anche giuridica) in un (eventuale) momento successivo.
265Come invece viene previsto dall’art. 2486 c.c. che, diversamente dal disposto dell’art. 2394 c.c.,
prevede espressamente e si impegna a regolare l’azione amministrativa improntata alla conservazione dell'integrità e del valore del patrimonio sociale solo al verificarsi di una causa di scioglimento. È, dunque, solo in tale contesto che deve essere collocato il senso della gestione conservativa richiamato dall’art. 2486 c.c. che nulla ha a che fare con l’obbligo di conservazione cui fa riferimento l’art. 2394 c.c. che regola l’operato degli amministratori in riferimento ad un’impresa in assoluto funzionamento. Tuttavia il fatto stesso che il legislatore si sia premurato di identificare una precisa disposizione nella quale far rientrare il fine conservativo nell’ambito della responsabilità e dei poteri degli amministratori in ipotesi di scioglimento della società ci induce a
147 procedura concorsuale, svilisce oltremodo la portata precettiva del dovere stesso e della corretta gestione societaria per due ordini di ragioni.
Innanzitutto perché risulterebbe tardivo un intervento di conservazione dell’integrità sociale nel momento in cui la gestione non sia più dell’imprenditore (e quindi degli amministratori della società) ma venga affidata ad un organo terzo al quale spettano altre tipologie di funzioni, ed inoltre perché
prerogative di una gestione e conservazione patrimoniale sono la solidità patrimoniale, economica e finanziaria e l’esercizio dell’impresa in continuità aziendale.
Non pare convincente nemmeno la ricostruzione interpretativa che “teorizza” su un sostanziale allineamento, nella fase fisiologica della società, tra gli interessi dei soci e quelli dei creditori, per poi realizzarsi un disallineamento degli stessi al ricorrere dello spettro di crisi d’impresa 266.
La previsione di un siffatto obbligo (operativo solo) in un momento di crisi societaria (conclamata e definita o anche solo altamente probabile) è privo di fondamento e di senso pratico (prima ancora che giuridico), dal momento che ove l’impresa entri nel vortice delle difficoltà economiche, finanziarie e patrimoniali verrà meno quell’integrità di cui all’obbligo di conservazione, rimanendo lettera vuota e prive di valore le istanze di garanzia dei creditori sociali.
ritenere che l’art. 2394 c.c. debba assumere un significato differente da quello previsto dal dettato normativo precedente.
266Al contrario si ritiene che vi è una continua e manifesta conflittualità (interna ed esterna) fra gli
interessi dei soci e dei creditori nella gestione della società tanto nella fase di equilibrio quanto in quella di crisi, ove, semmai, la forbice di tale conflitto si allarga ancor di più; cfr. in tal senso F. Brizzi, Responsabilità gestorie in prossimità dello stato d'insolvenza e tutela dei creditori 173 ss., cit., secondo cui “una situazione di conflitto è da ritenersi costante durante la vita dell’ente societario, riflettendo il diverso contenuto dei diritti dei rispettivi titolari”, ritenendo, inoltre, che l’obbligo di conservazione dell’integrità del patrimonio sociale di cui all’art. 2394, comma 1, c.c. sia espressione del riconoscimento sostanziale dell’interesse dei creditori “al corretto e diligente impiego del patrimonio sociale durante l’intero arco della vita della società”; si veda, inoltre, M. Mozzarelli, Responsabilità degli amministratori e tutela dei creditori nella s.r.l., Torino, 2007, il quale fa rilevare la persistente conflittualità che gli interessi dei creditori e dei soci, sebbene possano convivere in seno ad una società in bonis, “sono e rimangono strutturalmente differenti: