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disciplinare: necessità di un’interazione

1.4 Dispositivi comuni per lo studio delle diverse discipline L’esempio della

1.4.1 Il concetto di ludiforme

Soffermiamoci maggiormente sul significato del termine ludiforme.

L’attività ludica è impegnativa (nel senso che impegna larga parte delle strutture afferenti, efferenti e centrali), è continuativa, è progressiva, e se involge la presenza di finalità consapevoli, queste sono tali che il loro raggiungimento completo segna la fine dell’attività senza che ne sia prevista un’ulteriore funzionalità […]. L’attività ludica è l’attività nella quale i fini che vi vengono consapevolmente perseguiti hanno un più chiaro carattere di semplici “mezzi procedurali”. Quando viceversa il fine, oltre ad avere funzione di mezzo procedurale, è inteso come destinato a trasformarsi, all’atto del suo conseguimento, in mezzo materiale per attività ulteriori, il gioco tende a farsi lavoro.

Così come vi sono attività ludiche infantili che sembrano vicine a forme di gioco-lavoro, così ci sono forme di lavoro che possono avere un carattere giocoso, ludico e possono essere altresì definite con il termine ludiforme.

Ludiforme è un’attività che possiede tre delle quattro caratteristiche che definiscono il ludico ( impegnativo, continuativo e progressivo), ma manca della quarta, perché

il “fine” del gioco non corrisponde alla fine dell’attività: nel gioco viene coscientemente conseguita una finalità che si trova al di là del gioco stesso. Le attività ludiformi sono assimilabili ai giochi didattici perché il fine che si persegue non è interno a ciò che si fa, non si conclude con il gioco, il fine rimane esterno al giocare e, normalmente, esso è determinato dall’adulto33.

Per quanto concerne questo lavoro, il riferimento sarà fatto principalmente alle attività ludiformi, per indagare una possibile declinazione del ludico in didattica, esplicitandola dapprima nelle sue caratteristiche di metodologia didattica afferente all’ambito della didattica generale, vedendone, in un secondo tempo, l’applicazione in un ambito disciplinare.

Il gioco, quando non è ridotto ad accettazione passiva, quando cioè l’individuo che gioca è impegnato in un’attività continuativa, progressiva e impegnativa, è “orientato verso la creatività, dunque

verso il cambiamento, o, se si preferisce, verso il

possibile”34.

La creatività, come capacità di rielaborare e reinterpretare i dati di realtà, coniugandoli con il proprio sentire e “patire”, è necessariamente legata al ludico che ha come caratteristica precipua quella di essere metafora del mondo, quindi riproposizione trasfigurata del vissuto. La creatività, d’altro lato, è veicolo fondamentale per il cambiamento e la riproposizione del sé, nei diversi modi possibili voluti dal soggetto. Quindi proprio nel gioco, l’essere umano può provare la gioia di gestire la realtà, plasmando con successo e con soddisfazione ciò da cui è circondato.

33 G. Staccioli, Il gioco e il giocare, cit., p. 16 34 P. Bertolini, Pedagogia Fenomenologica, cit., p. 127

Questo significa che nell’attività di gioco, se si realizza per l’individuo un addomesticamento della realtà, al tempo stesso si sviluppa una capacità di trasformarla e reinterpretarla.

Da qui il carattere eminente ed intrinsecamente pedagogico del gioco.

Gioco e lavoro sono paradossalmente legati in un vincolo che trasforma l’uno nell’altro e viceversa qualora tra essi non si frapponga la ripetizione e la riproduzione sterile e alienante. Il gioco muore se diventa routine, tanto che viene presto abbandonato a favore di attività nuove, il lavoro “uccide” qualora non sia teso alla creatività, al cambiamento e al possibile. Così P. Bertolini:

Ritengo che si imponga una distinzione che contrapponga un agire sensato e dunque culturalmente produttivo ed un agire in-sensato, alienato ed alienante, riproduttivo e meccanizzato: distinzione che attraversa i due concetti stessi di gioco e di lavoro nel senso che entrambi possono assumere l’una o l’altra modalità di essere.35

Ecco che siamo tornati all’idea precedentemente esaminata del ludiforme, territorio di mezzo che unisce, nell’ottica della complessità, invece che disgiungere.

R. Massa sosteneva che “il meccanismo ludico, più che

svolgere una funzione determinata, costituisce spesso

una delle condizioni favorevoli che rendono possibile

l’accadere stesso del processo formativo.”36 Del resto

la parola greca che indica il gioco, paidia,

rispecchia quella che significa educazione, ossia

paideia.

35 Ivi, p. 129

36 R. Massa, Le tecniche e i corpi. Verso una scienza

Attualmente, in pedagogia, sono due gli orientamenti sul gioco: una prospettiva psicopedagogica lo promuove

in quanto avulso da finalizzazioni specifiche e come

opportunità di sviluppo di abilità ludico-simboliche.

Una matrice più strettamente pedagogica invece, ne

vede un punto di partenza, per sollecitare condotte e

apprendimenti”.37

Dewey38 sottolinea elementi di opportunità affinché, rilanciando il gioco spontaneo dei bambini, gli educatori lo trasformino in attività costruttive.

Dal punto di vista delle funzioni evolutive, il gioco collocandosi nell’ambito del possibile, apre una zona di “sviluppo prossimale”: in altre parole, giocando, un bambino “si comporta sempre al di sopra del suo comportamento quotidiano” perché il gioco contiene tutte le tendenze evolutive in forma condensata ed è esso stesso una fonte principale di sviluppo.39

Nel testo fondamentale sul gioco di Bruner, Jolly, Sylva40 i tre autori sottolineano l’importanza del gioco nell’elaborazione di strategie per la risoluzione dei problemi. Bambini in età prescolare sono stati osservati in contesti più o meno strutturati per vedere quali fossero le condizioni più efficaci rispetto alle capacità cognitive e sociali attivate nei bambini. Da questo studio è risultato che le attività strutturate presentano un maggior grado di complessità cognitiva e possono essere efficacemente proposte ai bambini al fine di motivarli alla ricerca e all’esercizio di strategie di soluzione dei

37 P. Manuzzi, Pedagogia del gioco e dell’animazione, cit., p. 42 38 Cfr. J. Dewey, Come pensiamo, La Nuova Italia, Firenze 1961 39 E. Baumgartner, Il gioco dei bambini, Carocci, Roma 2002, p. 19 40 Cfr. J. S. Bruner, A. Jolly, K. Sylva, Il gioco: ruolo e

sviluppo del comportamento ludico negli animali e nell’uomo,

problemi: invece le attività meno strutturate richiedono abilità sociali quali la coordinazione dei ruoli e l’alternanza dei turni e sono quindi più indicate al fine di rafforzare la competenza sociale. Ma quanto a scuola il gioco non è imposto dagli insegnanti e quanto è forte il rischio di usarlo in termini seduttivi?

La domanda è cruciale e se ne parlerà anche nel quarto capitolo. Tuttavia, conviene riprendere D. Demetrio, quando dice41 che ogni didattica “è strumento di transizione da una forma all’altra, o meglio, è un facilitatore di cambiamento; perché contribuisce a realizzare lo sviluppo e la crescita del bambino come dell’adulto”.

Mi sembra interessante la conclusione che trae, a proposito di ciò, Paola Manuzzi laddove distingue

induzione da manipolazione

mentre è inevitabile indurre i giochi dei bambini va fatta attenzione a non manipolarli: occorre guardarsi dalla de- formazione tale per cui, invece che gioco, c’è intrigo; invece che rispondere agli imprevisti che i bambini creano, si conduce l’attività secondo una programmazione preventivata a monte, si finge un ascolto che invece è di facciata. 42

1.4.2

Il

contesto

ludiforme

tra

generale

e