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intendiamo riferirc

2.3 Adolescenza e narrazione: il bisogno di storie

2.3.3 Una voce narra

Legato naturalmente al processo immedesimativo è il bisogno e la ricerca di storie. Si precisa subito che le storie non sono l’unico canale per cui si realizza l’immedesimazione, ma, per allievi di gradi scolastici inferiori, la “storia”, come nucleo costitutivo del testo, scritto, visto o parlato, diventa, senz’altro, veicolo essenziale per favorire il processo immedesimativo. Non per nulla la “Storia” è una forma di elaborazione narrativa della realtà che viene definita dallo psicologo americano, J. Bruner, come la modalità istintiva con cui, in una sorta di paradigma ludico, l’uomo comincia a confrontarsi con il reale nel tentativo di spiegarlo e dominarlo70. La tensione ad una dimensione narrativa della realtà è un’esigenza primaria che si manifesta fin dai primissimi anni dell’infanzia. E la dimensione narrativa della realtà, altro non è, se non la “storia”.

In questo senso, il primo strumento di confronto con un’interpretazione narrata del reale è la voce calda della mamma. L’abbiamo vista tutti, questa donna, seduta ai bordi del letto, intenta a ricordare o leggere semplici intrecci narrativi, cercando di saltare qua e là qualche passaggio per abbreviare il rito e tornare ai lavori domestici. L’abbiamo vista

70 Si veda a questo proposito J. Bruner, La cultura

tutti, questa figura amata, mentre veniva richiamata dalla vigile attenzione del bambino che non voleva saltare delle parti, perché la storia la conosceva bene, lui, e sapeva che, in quel momento, il coniglio, l’orsetto o la gallina facevano quelle determinate azioni. I bambini, infatti, le ricordano bene, le storie, e amano sentire sempre le stesse dal momento che riescono a gestirne meglio bene la dimensione emozionale. La voce, insomma, di questa donna, ha confortato e continua a confortare, tranquillizzare, e, grazie alla cucitura del senso del testo tramite la voce testo fa vivere al bambino sensazioni piacevoli. Questa stessa voce, in virtù del vincolo e del rapporto affettivo tra le labbra di chi parla e le orecchie di chi ascolta, è il primo legame con il bisogno di storie.

In un testo del noto storico J. P. Vernant intitolato “L’universo, gli dei, gli uomini”, si legge questo emblematico e interessante incipit:

“C’era una volta….. era il titolo che volevo dare a questo libro. Poi ho scelto di sostituirgliene uno più esplicito. Eppure qui alle soglie del testo, non posso fare a meno di evocare il ricordo di cui il primo titolo era l’eco e che sta all’origine dei racconti che seguiranno. Un quarto di secolo fa, quando mio nipote era piccolo e trascorreva le sue vacanze con mia moglie e con me, si era stabilita fra noi una regola tanto tassativa quanto il lavarsi ed il mangiare. Ogni sera, all’ora in cui Julien andava a dormire, lo sentivo chiamarmi dalla sua camera, spesso con una certa impazienza: - Jipè, la storia, la storia!- andavo a sedermi vicino a lui e gli raccontavo una leggenda greca. Attingevo senza troppa fatica dal repertorio di miti che passavo il mio tempo ad analizzare, spulciare, comparare, interpretare nel tentativo di comprenderli, ma anche a Julien trasmettevo altrimenti, senza riflettere, spontaneamente, come una fiaba, senz’altro pensiero ch’eseguire il corso della mia narrazione, dall’inizio alla fine, dipanando il filo del racconto

nella sua tensione drammatica: c’era una volta…. Julien, a udire queste parole, si mostrava felice. E lo ero anch’io”71.

Sebbene si tratti di un illustre studioso, è interessante notare come la prospettiva che egli ritiene opportuno adottare è quella di un nonno che, grazie alla voce, comunica una storia al proprio nipote. Sono due gli aspetti interessanti di questa introduzione: da un lato, l’intimità suggerita dal rapporto familiare e amicale tra adulto e bambino, dall’altro la tensione spasmodica del bambino che chiede di poter ascoltare la storia. Qui la materia immedesimativa è tratta dal mito greco che, sorprendentemente, rinnova il suo miracolo non solo con i bambini, ma anche con i preadolescenti. Se si riflettesse con coscienza e senza stolidi presupposti ideologici e si verificasse la presa e l’interesse che suscitano ancora oggi le vicende dell’epica omerica, se realmente si capisse che, molto più di altri testi recenti, questi ultimi comunicano e trasmettono un gusto ed una passione reali verso la lettura, allora, forse, non si tenterebbe di eliminarli de facto dal curricolo scolastico, bollandoli come esempi di scuola elitaria. Ma, certo, non è questa la sede per sostenere discorsi di tal genere. A noi qui, ora, basta dire che il piacere connesso al momento della lettura svolta da un adulto, non si perde con l’aumentare dell’età ed è rinnovabile e da rinnovare anche in cicli scolastici successivi. Se, infatti “narrare costituisce una facoltà antropologica

primaria, al punto che non esiste cultura che non

abbia affidato a forme narrative ( le antiche

tradizioni, il mito )il deposito di una memoria

71 J. P. Vernant, L’universo, gli dei, gli uomini, Einaudi, Torino,

comune”72, tale pratica procede e rimane fondamentale per tutto il corso della vita anche se, indubbiamente, poi finisce per colorarsi di ulteriori sfumature e competenze. Il bisogno di storie e la necessità dell’immedesimazione non muoiono, non sono condizionate da fattori sociali, anagrafici o di genere. Per queste ragioni, è inevitabile stupirsi del fatto che, da un certo punto in poi, a scuola, la lettura ad alta voce, viene sospesa così come vengono sospesi momenti di lettura cosiddetta gratuita, in cui, cioè, l’unico compito è quello di dedicarsi al testo e alla storia. Tale affermazione viene motivata dal fatto che, una volta compiuta una certa età, giunge parallelamente il momento di cominciare a leggere e analizzare il testo esclusivamente da soli. È evidente che questo momento di verifica personale deve esserci, ma è altrettanto evidente che non si può fare riferimento ai propri alunni servendosi di tabelle di crescita e schemi psicologici. Se l’insegnante, in quanto professionista, verifica che, in classe, l’approccio alla lettura è sentito generalmente come opprimente ed imposto, e che non c’è gusto e passione per essa, egli deve investire molte risorse nel raggiungere questo obiettivo. È vero che i tempi scolastici sono impietosi e che le cose da fare sono tante, ma, poiché, come si cercherà di mostrare più avanti, recuperare l’importanza della promozione del leggere è uno fra i compiti prioritari della scuola, diventa necessario strutturare dei momenti didattici in cui il libro sia protagonista e in cui si riacquisti l’importanza del processo immedesimativo. Il momento della lettura in classe, come primo approccio al testo, va preservato in quanto passaggio

72 L. Chines, C. Varotti, Che cos’è un testo letterario, Carocci,

focale per favorire nei propri allievi il desiderio di accostarsi personalmente al testo. In questa fase, è bene che l’insegnante mostri la sua passione verso la lettura; il suo metodo e il suo approccio al libro diventano provocazione e stimolo per lo studente, affinché egli possa trovare il proprio personale rapporto con il testo scritto. L’insegnante, spesso, sciupa questo delicatissimo momento iniziale, perché crede di dover aiutare la pagina con “effetti speciali”, con sovrastrutture che finiscono per definire implicitamente il libro, incapace, così com’è, di comunicare ed arrivare agli alunni. Invece, in questa fase, l’unico protagonista deve essere l’autore del testo che riesce a parlare agli allievi servendosi della voce dell’insegnante. Questo ruolo esalta professionalmente il docente, e non lo mortifica, giacchè offre a lui, al pari dei suoi alunni, l’occasione di mettersi in ascolto e crescere, come persona e come ricercatore. Il leggere in classe è un’opportunità reale di crescita non solo per gli allievi, ma anche per il docente, che riconosce così l’aiuto che gli viene offerto dall’alunno. D’altra parte, a volte, può succedere che l’insegnante semini un terreno i cui frutti saranno raccolti solo in seguito, oppure che egli ottenga quanto si è proposto, con pochi alunni e non con la totalità della classe. Certamente, ciò è implicito nel mestiere del docente, tuttavia è compito dell’insegnante ricercatore73, in quanto professionista della didattica, perseguire tutte le strade che possano realizzare gli obiettivi prefissati per tutti gli alunni. Concludendo, si può affermare che la riflessione sulla lettura in classe non può prescindere dalla considerazione

73 Sul concetto di insegnante ricercatore introdotto negli anni

’70 da L. Stenhouse si veda V. Gherardi, Insegnare nella scuola primaria, Carocci, Roma 2000, pp. 19-20

dell’importanza di un approccio al testo che sia mediato inizialmente dalla voce dell’insegnante. Anche nella scuola secondaria di primo ciclo, infatti, questa fase didattica del racconto e dell’ascolto di un lettore è importante, non tanto per evitare agli allievi la fatica di mettere insieme da soli le frasi, quanto per rendere evidente un modello, un esempio di relazione che si può instaurare con il testo. In didattica della lettura, l’insegnante è tale nella misura in cui mostra se stesso in rapporto col libro. Ciò non sembri essere un tentativo di sgravare l’allievo da una fatica considerata eccessiva. Questo sarebbe sciocco, ma soprattutto inutile, per due motivi. Da un lato perché non è mai la facilitazione di un compito che attiva la motivazione, dall’altro perchè non bisogna intendere la narrazione ascoltata e non agita in prima persona, come un esercizio leggero o, cosa ancor più grave, esclusivamente passivo. Il valore dell’ascolto risiede nel percepire un gusto ed una passione nell’esperienza di qualcun altro di cui si è sperimentata l’attenzione nei nostri confronti. L’ascolto consiste nell’accettare un dono che non si era chiesto e che, forse, non si pensava nemmeno di desiderare. Questo è ravvisabile, anche in ambito psicologico, nelle parole dello psicologo G. Petter:

Il fascino del sentir leggere o raccontare è poi legato anche al coinvolgimento emotivo e cognitivo che la vicenda ascoltata determina. Infatti l’affidarsi a chi racconta non è un atteggiamento interamente passivo: l’ascoltatore può, in misura varia, a seconda del contenuto di ciò che sente narrare e del modo in cui la narrazione ha luogo, partecipare sia emotivamente alle vicende che gli vengono presentate (identificandosi con certi personaggi condividendo le loro ansie), sia anche cognitivamente (anche nel tentare di anticipare con il pensiero lo

svolgimento degli eventi narrati o di dare una risposta a qualche problema dei protagonisti)”74.