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2.2.1. Sul concetto di valore. Data la centralità che viene ad acquisire nel nostro discorso

dobbiamo ora definire più precisamente cosa intendiamo riferendoci al concetto di valore. Il concetto di valore è un concetto ambiguo. Esso risulta legato intrinsecamente a quello di valutazione, ed in questo da luogo a due interpretazioni differenti: può denotare infatti, o l’oggetto di una valutazione positiva, oppure, il criterio attraverso cui si compie la valutazione stessa. E’ evidente che i due significati si implicano l’un l’altro: l’oggetto che viene ritenuto un valore, lo è in ragione di un qualche motivo; mentre il criterio di valutazione è a sua volta un oggetto (anche se tendenzialmente di natura astratta), un

qualcosa, a cui viene riconosciuta una particolare importanza.183 Nelle scienze sociali questi due significati hanno dato luogo a due interpretazioni divergenti, sebbene, all’interno di ogni singola teorizzazione questi due aspetti del valore non manchino di richiamarsi vicendevolmente. Val la pena di accennare che ulteriori distinzioni sul concetto di valore derivano dal fatto che esso è essenzialmente un concetto derivato della filosofia184. Uno dei compiti che la riflessione filosofica si è assunta nel corso del suo sviluppo è stato quello di fondare la validità universale di un qualche insieme di ideali, o principi nei quali si manifesta l’essenza dell’essere, ed ai quali di conseguenza la condotta umana dovrebbe conformarsi. Ideali e principi posti al di là dell’esperienza umana e perciò non direttamente conoscibili, come nel caso dell’iperuranio platonico o degli a-priori kantiani. La riflessione di Marx, ma soprattutto di Nietzsche ha invece posto il problema dell’infondatezza di tale pretesa di validità di ogni sistema di valore concependoli come auto-inganni della coscienza. In particolare per Nietzsche il valore viene concepito come punto di vista, come attribuzione di senso da parte di un soggetto attraverso un atto di volontà e di potenza, o come reazione ad esso. Questo discorso ha un portato devastante per la cultura occidentale, dissolvendo l’idea stessa di cultura come insieme di valori condivisi ed assoluti. Il pensiero occidentale è costretto allora a confrontarsi con due tematiche fondamentali e strettamente connesse: il nichilismo, cioè il fatto che non è possibile fondare in modo assoluto la validità di un valore, ma questo viene sempre a dipendere dal soggetto che l’ha posto; ed il relativismo che ne consegue in quanto differenti sistemi di valore vengono livellati gerarchicamente non essendo possibile decidere della maggiore o minore validità fra loro. Si può dire che gran parte del discorso delle scienze sociali sui valori si sia sviluppato in relazione a questa posizione filosofica: o accettando la sfida posta da questi due interrogativi andando ad indagare i meccanismi in cui si realizza questa attribuzione di senso e le condizioni della sua validità, o più semplicemente assumendola come fondamento di una teoria della cultura; oppure cercando per reazione di rifondare la validità dei valori nelle dinamiche del sociale stesso e postulando che questa validità sia vincolante almeno all’interno di un insieme sociale (ma coltivando comunque l’aspirazione a definire una gerarchia di valori universalmente valida, oppure di pervenire a regole di combinazione universali dei valori).

183 Cfr. Valore Sociale, in Gallino, L., (a cura di), Dizionario di Sociologia, Utet, Torino, 1988, pp.722-724;

Sciolla, L Valori, in Enciclopedia delle scienze sociali, VIII, Treccani, Roma, pp. 750-59.

184 Il punto è affrontato con maggior profondità in Del Lago, A. Il ruolo dei valori nella teoria sociale e

Il discorso sui valori sembra quindi prendere forma su un doppia polarità che su un piano contrappone da un lato il valore inteso come oggetto e dall’altro il valore inteso come criterio, e su un altro piano oppone i valori intesi come punti di vista di un soggetto agente oppure come principi normativi esterni al soggetto.

Sebbene tra le due polarità non vi siano implicazioni logiche necessarie, esse si sono fuse dando luogo a due posizioni distinte ed antitetiche.

La prima può essere considerata quella classica espressa da Thomas: “Per valore sociale intendiamo ogni dato che abbia un contenuto empirico accessibile ai membri di un gruppo sociale ed un significato in riferimento al quale esso è, o può essere, oggetto di attività. Così un genere alimentare, uno strumento, una moneta, un pezzo di poesia, una università, un mito, una teoria scientifica sono valori sociali.”185

Tuttavia, in questo modo l’estensione semantica del concetto risulta eccessivamente ampia. Praticamente tutto ciò che è coinvolto in un qualche tipo di attività umana può essere concepito in termini di valore. Il concetto di valore, così come è inteso dai due autori, diviene coestensivo a quello di simbolo: tutto ciò che, coinvolto nell’agire umano, è fatto oggetto di attenzione, tanto da venire rappresentato simbolicamente diviene allo stesso tempo valore. Sebbene può essere corretto, in termini generali, sostenere che ogni atto di rappresentazione simbolica soggiace a dei criteri di rilevanza, questa nozione di valore manca di un qualcosa che la differenzi dall’insieme dei simboli in generale. Essa non tiene conto di alcune caratteristiche presenti nell’uso intuitivo sia a livello ordinario che scientifico del termine. Un valore non designa semplicemente qualcosa che rivesta una certa importanza per un soggetto o un gruppo. Denota piuttosto qualcosa di particolarmente importante, tanto da poter essere utilizzato come misura di paragone per poter stimare l’importanza di altri oggetti o azioni, e di solito si tratta di un riferimento di natura astratta, che pertanto si distingue dalla classe di simboli che si riferiscono ad oggetti concreti.

Questa concezione di valore per i limiti summenzionati, è rimasta minoritaria del dibattito scientifico. La ritroviamo, però, in alcuni contributi fondamentali in scienza politica, nelle opera di Lasswell ed Easton. In quest’ottica valore sta ad indicare ciò che un attore desidera: “Un valore è un evento desiderato, un evento fine. […] Chiamiamo ‘valutazione’

185 Thomas W.I.,, Znaniecki F., Il contadino polacco in Europa e in america, Edizioni Comunità, Milano,

l’atto del valutare e ‘valore’ l’oggetto o la situazione desiderata.”186 La politica allora, secondo la celebre formula di Easton, può essere considerata come il “processo di distribuzione imperativa di valori per una società”187. In questo approccio il valore rischia di essere confuso con il concetto di bene (sebbene lo stesso concetto di bene rimanda a quello di valutazione) o di utilità. I valori svolgono un ruolo fondamentale all’interno dell’idea di sistema politico. I valori sono alla base delle domande per Laswell, o degli

input per Easton, che i cittadini indirizzano al sistema politico. Essi sono alla base degli

aggregati e dei gruppi che rappresentano i principali agenti della politica. Sono alla base dei processi di identificazione che sono al centro dei fenomeni politici.188 Allo stesso tempo i valori sono il materiale di cui sono costituiti gli output del sistema politico. Questi autori a nostro avviso hanno colto il ruolo e la centralità dei valori all’interno del sistema politico, ed il nostro lavoro seguirà questa impostazione, andando ad approfondire la nozione valore.

La seconda posizione, che ha finito per imporsi come egemone e che ancora permea di sé il concetto di valore, è quella che possiamo ricondurre allo struttural-funzionalismo. Questa posizione unisce la concezione del valore come criterio di valutazione, e quindi di orientamento dell’azione, e di valore come principio esterno al soggetto, che gli si impone con forza coercitiva, e la cui validità è da intendersi come universale, almeno all’interno di un dato sistema sociale. I valori sono concepiti come funzionali al mantenimento dell’ordine sociale, non sono elaborati dall’attore in un processo interpretativo, ma recepiti da questi mediante un appropriato processo di socializzazione, fino a formare la sua struttura della personalità e realizzare così una convergenza tra fini della società e dell’individuo. Come è stato evidenziato questa concezione porta ad una visione esageratamente consensualistica della società che non permette di considerare i problemi del conflitto e del mutamento189. Ma soprattutto, per quanto ci riguarda, questa concezione accentua eccessivamente il carattere di normatività del valore, dove con questo intendiamo il riferimento ad un principio esterno che si impone al soggetto con forza coercitiva e ne disciplina il comportamento. In questo modo si fa cadere la distinzione stessa tra valore e norma.

186 Lasswell, H., op. cit., p.30. Un approfondimento di questa concezione di valore si trova in Becker H.,

Società e valori, Franco Angeli, Milano, 1963.

187

Easton D., Il sistema politico, Edizioni Comunità, Milano, 1963, p.114.

188 “L’identificazione è il meccanismo col quale si crea un ‘noi’ politico. E’ questo ‘noi’ che sta al centro dei

fenomeni politici.” Laswell, op. cit., p.26.

189 Cfr. Mills, C.W., L’immaginazione sociologica, Il Saggiatore, Torino; Gouldner A., La crisi della

Una delle principali e più articolate riflessioni sul concetto di valore, fatta propria dallo struttural-funzionalismo, si deve all’antropologo Clyde Kluckhohn. Secondo la sua definizione “un valore è una concezione del desiderabile, esplicita o implicita, distintiva di un individuo o caratteristica di un gruppo, che influenza l’azione con la selezione fra modi, mezzi e fini disponibili”190

Secondo tale autore, in una tripartizione che si è imposta saldamente in letteratura, nella nozione di valore sono riconoscibili tre componenti principali: una affettiva, una cognitiva ed una conitiva o comportamentale. La prima componente implica la collocazione degli oggetti, persone, ed azioni lungo un continuum di approvazione o disapprovazione. L’aspetto cognitivo consiste nel fornire una serie di conoscenze in relazione a cosa sia da considerarsi giusto o sbagliato. L’ultima componente fa invece riferimento al fatto che i valori permettono di selezionare i corsi d’azione da intraprendere. L’autore poi prosegue distinguendo i valori in base al loro contenuto, alla loro collocazione in una catena mezzi- fini, alla loro estensione (da intendersi come grado di universalità), e la loro intensità (dividendoli fra dominanti, devianti e varianti). Tutti aspetti di indubbio interesse ma su cui non ci soffermeremo.

La definizione e dissezione analitica del concetto di valore operata da Kluckhohn è pienamente condivisibile e non a caso la sua opera rimane a tutt’oggi un punto di riferimento imprescindibile in materia. Tuttavia, nella trattazione di Kluckhohn, è innegabile che vi sia una netta prevalenza della componente affettiva sulle altre due, che ne vengono ad essere quasi un derivato. Difatti, i valori sono resi socialmente operanti tramite la riprovazione che il gruppo esercita su coloro agiscono in maniera difforme o deviante da quanto stabilito dai valori della comunità, secondo uno schema di chiara derivazione durkheimiana. Con buona pace del riferimento all’individuo contenuto nella definizione, i valori sono sempre valori condivisi e sostenuti da un gruppo. Inoltre è proprio in ragione del fatto che l’operatività dei valori sia fatta dipendere dal giudizio sociale nei confronti di determinati comportamenti che si verifica quella confusione tra valore e norma di cui si è detto sopra. Insomma nella definizione di valore come concezione del desiderabile, l’accento è posto su desiderabile, nel senso di ciò che deve essere desiderato. Non a caso, vorremmo sottolineare Kluckhohn è un antropologo: questo tipo di analisi si adatta molto bene al contesto di comunità di piccole dimensioni e poco differenziate dove vi è un’alta

190 Kluckhohn C., Value and value orientations in the theory of action: an exploratation in definition and

classification, in Toward a genral theory of action (a cura di Parsons T. e Shils E.), Cambridge Mass, 1951, pp.388-433, p.395.

omogeneità culturale ed il controllo sociale è altissimo, ma questa concezione quanto si adatta alla complessità ed impersonalità delle società moderne? Non vogliamo certo negare l’importanza, di cui ognuno di noi avrà fatto certo esperienza sulla propria pelle, delle pressioni sociali e delle aspettative reciproche nel condizionare i comportamenti degli individui. Diciamo solo che queste forme di adattamento possono verificarsi anche solo per quieto vivere, senza cioè modificare le convinzioni e credenze del soggetto, ed anche se è fuori di dubbio che tali meccanismi siano coinvolti nella definizione dei valori e delle identità non si può considerarli come un risultato automatico dell’appartenenza di un individuo ad un gruppo, proprio perché gli individui sono sottoposti a pressioni differenti e divergenti e si rende quindi necessario ipotizzare una sfera di autonomia dell’individuo, in cui interpretando la realtà che gli si pone, questi definisce una propria gerarchia di valori. Solitamente, proprio in relazione a questo punto, alla nozione di valore di Kluckhohn viene contrapposta quella dello psicologo Milton Rokeach, il quale pur concordando e riprendendo la definizione di valore come concezione del desiderabile sposta nettamente l’accento dal lato della concezione, ovvero sull’aspetto cognitivo del fenomeno. L’autore definisce il valore come una “credenza duratura sul fatto che uno specifico modo di condotta o stato finale dell’esistenza sia personalmente o socialmente preferibile ad uno opposto”191. Modi di condotta e stati finali dell’esistenza definiscono due tipologie differenti di valori che Rokeach definisce rispettivamente come valori strumentali e valori terminali, distinzione che richiama esplicitamente quella elaborata da Kluckhohn fra valori fine e valori mezzo. I valori terminali si dividono in personali e sociali in base al fatto se la condizione finale preferita sia da mettere in relazione alla propria persona come per esempio nel caso della felicità, del piacere o del successo, oppure sia uno stato che si ritiene auspicabile per la società come per esempio la pace, o l’eguaglianza, l’ordine.192 Fra i valori strumentali Rokeach distingue fra valori morali e valori di competenza. I primi indicano dei modelli di condotta che corrispondono ad un sistema di aspettative interpersonale, e la cui violazione comporta una qualche forma di biasimo. I secondi

191 Rokeach M., The nature of human value, The free press, New York, 1973, p.4.

192 Questa importante distinzione non ha avuto molto seguito in letteratura, soprattutto in campo psicologico

e sorprendentemente neanche in psicologia politica. E’ ovvio tuttavia che quando si parla di valori in campo politilogico ci riferisce a valori che si vorrebbero vincolanti per tutta la società, nel senso di Easton. Ciò nonostante, numerosi psicologi sono riusciti a fornire descrizioni soddisfacenti del comportamento politico a partire da valori personali. Questo perché nella maggioranza dei casi un valore personale può essere associato ad un corrispettivo valore sociale, per il semplice principio che ognuno di noi vorrebbe che ciò che giudica positivamente per sé fosse giudicato positivamente e di conseguenza riconosciuto,tutelato incentivato, dalla società nel suo complesso. Ad esempio il valore personale della sicurezza può essere tradotto nel valore sociale dell’ordine e della legalità, il valore personale del successo nel valore sociale della competizione e della meritocrazia e così via.

indicato invece modi di comportarsi che il soggetto giudica positivamente in relazione alla propria realizzazione, come ad esempio essere razionali piuttosto che creativi.193 E’ interessante a questo punto notare come l’autore si esprime a proposito di quel carattere di ‘dover essere’ che molti altri autori hanno ravvisato come una caratteristica fondamentale dei valori, e che in definitiva viene a costituire il loro carattere normativo. Egli né dà una interpretazione di carattere cognitivo come “cognizione del desiderio o della richiesta di un ordine oggettivo e sovrapersonale che sia relativamente stabile e la cui validità trascenda il punto di vista della singola persona”194 Il senso di obbligo suscitato dai valori sarebbe allora attribuibile non tanto ad un sistema di richieste e sanzioni sociali quanto ad un bisogno psicologico di rifarsi ad un’insieme stabile di certezze su cui fondare la propria esperienza. Domande e pressioni sociali tuttavia esistono ed esercitano la loro influenza, ma, come sostiene l’autore, influenzano più i valori strumentali che quelli terminali, ed in particolare quelli più morali che quelli relativi alla competenza. L’equiparazione tra norma e valore che affligge tanta parte delle scienze sociali deriva allora dal prendere in considerazione solo i valori morali. Ma, sempre seguendo Rokeach, non solo il concetto di valore morale ha una intensione semantica meno ampia di quella di valore in generale, ma gli stessi valori morali si distinguono dalle norma per altre due ragioni. La prima: i valori, anche quelli morali, sono concezioni astratte e generali, mentre le norme si riferiscono a situazioni specifiche, così ad esempio, l’onestà è un valore, mentre la prescrizione ‘pagare il biglietto dell’autobus’ o ‘pagare le tasse’ sono norme che concretizzano il valore dell’onestà. Inoltre il valore rimane pur comunque una credenza che riposa in ultima analisi su un atto di volontà o di fede personale, mentre la norma si riferisce ad un comportamento su cui si esercita una oggettiva pressione e controllo sociale. Per cui, come dicevamo pocanzi, può benissimo darsi che ci si adegui a quanto prescritto da una norma senza che nulla cambi sul piano delle credenze. Così per restare al nostro esempio, si possono pagare le tasse perché timorosi di un efficiente sistema di controlli, o anche per non perdere la propria rispettabilità in un certo ambiente sociale, pur continuando a considerare l’onestà una roba da fessi.

193

Rokeach tende a considerare questi valori come più personali di quelli morali. E’ tuttavia facile argomentare che alcuni gruppi sociali o cerchie di riferimento, specie in un mondo iper-professionalizzato come il nostro competenze specifiche non meno di orientamenti morali. Una comunità di ingegneri richiederà ai suoi membri di essere logici, una comunità di artisti di essere creativi. La mancata soddisfazione di queste aspettative può avere conseguenze ben più gravi e drastiche che l’infrazione nel campo morale. Se in quest ultimo è possibile fare ammenda della propria condotta disdicevole ed essere reintegrati, il non orientarsi verso le competenze specifiche di un settore spesso comporta l’esclusione pura e semplice.

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Il carattere più propriamente cognitivo dei valori in Rokeach emerge però in relazione ad altri due punti.

In primo luogo abbiamo le funzioni alle quali i valori assolvono. Secondo l’autore, i valori svolgono la funzione di standards che permettono, tra le altre cose, di prendere posizione su argomenti di rilevanza sociale (l’autore utilizza il termine preso dalla politologia, issues) e di attuare processi di comparazione. Ma soprattutto un sistema di valori viene concepito come “un organizzazione appresa di principi e regole che aiuta a scegliere fra alternative, risolvere conflitti, prendere decisioni […] è un piano generalizzato che forse può essere paragonato ad una mappa o al progetto di un architetto.”195

In secondo luogo il carattere cognitivo dei valori emerge marcatamente nello sforzo che l’autore compie di distinguere tale concetto da quello di bisogno con cui viene spesso confuso, entrando in polemica con la nota teoria della gerarchia dei bisogni di Maslow, il quale nei suoi studi sulla motivazione ha finito per trattare come equivalenti i concetti di bisogno, motivazione e valore e le realtà fenomeniche che questi esprimono. Un fraintendimento che ha avuto larga diffusione nelle scienze sociale e resiste tutt’oggi.196 A tal proposito Rokeach fa notare che i bisogni sono una realtà appartenente al mondo animale, mentre i valori hanno una estensione più ristretta ed andrebbero considerati come una proprietà specie-specifica della razza umana. Nessuno studioso opporrebbe obiezione nel constatare che un animale provi dei bisogni, più problematico sarebbe sostenere che il suo agire sia mosso da valori. Bisogni e valori sono dunque due realtà che non coincidono. Questo perché parlare di valori significa fare riferimento ad una proprietà, che sebbene presente in misura limitata anche in altri animali, è da considerarsi infine la peculiarità distintiva della specie umana: la facoltà simbolica. Per l’autore infatti “i valori sono la trasformazione e rappresentazione cognitiva dei bisogni, e l’uomo è l’unico animale capace di questa rappresentazione e trasformazione.”197 Aggiungendo subito dopo che anche le domande provenienti dalla società e dalle istituzioni sono oggetto di questo processo di rappresentazione che le trasforma in valori. L’aspetto cognitivo dei valori emerge dunque in un duplice aspetto. In primo luogo come interpretazione ed elaborazione della esperienza individuale e sociale, in secondo luogo come organizzazione di elementi

195

Rokeach M., op.cit., p.14.

196 Si pensi che l’impianto concettuale con cui Inglehart distingue fra valori materialisti e post-materialisti, a