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Dietro la concezione della distinzione destra/sinistra nei termini di una cleavages

dimension o di una issues dimension agiscono infatti i due paradigmi fondamentali della

scienza sociale. Le teoria di Rokkan si pone come una teoria tipicamente strutturalista, in cui, in particolare, su un impianto marcatamente struttural-funzionalista innestano alcuni temi di sapore marxista. Di contro, le teorie competitive della democrazia adottano un paradigma centrato sull’attore sociale, ma colto essenzialmente nella veste di attore razionale secondo i dettami della rational choice. Nelle scienze politiche talvolta questa dualità prende la forma della contrapposizione fra identità ed interesse come principali moventi dell’azione politica164. Non è detto che queste due modalità di interpretare l’agire politico siano da intendersi come reciprocamente esclusive. Anzi, in politologia si registra un certo accordo nel concepirle come dinamiche complementari che coesistono all’interno di uno stesso sistema politico e partitico. Esisterebbero dunque delle dimensioni di identificazione, dove gli elettori si disporrebbero sui lati di una frattura sociale che segna appartenenze differenti, mentre esisterebbero dimensioni di competizione dove gli elettori confronterebbero le offerte dei partiti su particolari issue dimensions scegliendo poi quella più vicina ai propri interessi. Le due dinamiche coabitano nello stesso sistema, rimanendo però ben distinte. Al diminuire d’importanza della cleavages politics aumenterebbe lo spazio della issues politics. Ovvero, a mano a mano che i cittadini smettono di identificarsi con una classe o una comunità etnica o religiosa e votano il partito che rappresenta questa

164 Cfr. Pizzorno A., Identità ed interesse, in Sciolla; L., Identità, Rosemberger & Sellier, Torino, 1983;

formazione sociale, dovrebbero divenire maggiormente disponibili a valutare proposte alternative su temi salienti, ingenerando così dinamiche autenticamente competitive165. A nostro avviso, le difficoltà che incontrano i due approcci nel fornire una adeguata comprensione della distinzione destra-sinistra, derivano direttamente dai limiti intriseci dei due paradigmi teorici che li sostengono. Piuttosto che puntare sulla complementarietà fra

cleavages e issues dimension, la nostra analisi ad evidenziare come entrambe sottendano

un elemento comune: conflitti di valore. Come hanno evidenziato Bartolini e Mair, vi è in generale una gran confusione nella letteratura politologia tra cleavages dimension e issues dimension e molto spesso i due concetti vengono utilizzati in maniera interscambiabile. Secondo gli autori ciò è dovuto al fatto che la differenza fra i due fenomeni non dipende dal contenuto sostantivo della dimensione di conflitto politico. In altre parole dimensioni quali sacro/secolare o economia pubblica/privata possono dare luogo sia a dimensioni di identificazione che di competizione. Proprio perché la caratteristica fondamentale che rende un cleavage tale, è costituita non dall’oggetto di conflitto, ma dai rapporti sociali che si creano attorno ad un potenziale elemento di conflitto, con particolare riferimento alle forme di organizzazione politica che traducono un conflitto sociale in conflitto politico. Sebbene per i due autori il fattore organizzativo sia preponderante per poter parlare di un cleavage, essi riconoscono che questi deve altresì basarsi su un insieme di valori e credenze condivise sulle quali possa costituirsi un senso di identità ed appartenenza ad un gruppo. Aggiungiamo, che anche le issue dimensions, devono essere infine ricondotte ad una questione di valori. Le ragioni d ciò verranno meglio spiegate in seguito, ma possiamo riassumerle sinteticamente nel seguente modo: se le issues denotano temi di particolare importanza, questa stessa importanza stessa deve pur essere definita in base ad un qualche criterio di valutazione. I valori quindi possono essere quindi tanto il fondamento di possibili processi di identificazione, quanto nella definizione degli interessi degli individui e delle loro preferenze in termini di issues e di policy.

L’importanza attribuita ai valori come fattore esplicativo dei processi politici è andato crescendo nel tempo a partire dagli anni settanta, come testimonia il volume della prestigiosa serie Belief in Government dell’European Science Foundation del 1995, dall’eloquente titolo di The Impact of Values166, e l’ambizioso programma di ricerca del

165 Cfr. Bartolini S., in Partiti e sistemi di partito, in Pasquino G., (a cura di), Manuale di Scienza Politica,

Bologna, Il Mulino, pp.231-280 ed in particolare Sani G. e Sartori G. (1983), Polarization, Fragmentation and Competition in Western Democracies, in Daalder H. e Mair P. (a cura di) (1983), Western European Party Systems: continuity and change, Sage Publications, Beverly Hills, pp. 307-41.

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World Values Survey. Tuttavia a questo crescente interesse nei confronti del ruolo dei

valori in politica non è avvenuto all’interno di un paradigma teorico unico ma è emersa piuttosto all’interno di ambiti disciplinari differenti, sviluppatesi in maniera indipendente fra loro. Se ciò causa qualche problema di integrazione delle conoscenze, è sicuramente un elemento di stimolo e di conferma del ruolo determinante dei valori.

Un primo contributo al tema è dato certamente dalle ricerche di Ronald Inglehart, che a partire dalla fine degli anni settanta ha rilevato l’emergere di una nuova contrapposizione in grado di strutturare gli atteggiamenti delle popolazioni dei paesi industriali avanzati, linea di contrapposizione interpretata sin da subito in termini di valori proprio per indicare che si tratta di un’opposizione fra orientamenti di fondo che non risultano legati all’appartenenza ad un gruppo sociale, quanto piuttosto dipendenti dal mutare di alcune caratteristiche della struttura sociale. I risultati delle ricerche di Inglehart hanno sicuramente avuto il merito di rimettere in discussione alcuni punti fermi dell’analisi politologica; producendo dapprima una discutibile distinzione tra cleavages strutturali ed ideologici, ma giungendo infine ad una reinterpretazione in chiave di dimensione valoriali delle tradizionali linee di conflitto politico, cioè la frattura laico/clericale e quella fra economia di Stato e di mercato167.

Un altro riconoscimento della centralità dell’elemento valoriale nel comportamento politico proviene dal campo di studi della political cognition. Questo filone di studi si occupa di come gli individui recepiscono ed elaborano l’informazione politica in modo da pervenire a scelte e giudizi. Sin da subito questi studi hanno sottolineato come il ragionamento comune sia improntato a criteri di economia cognitiva. Allora, come sintetizza Sniderman, di fronte alla complessità del mondo politico “è difficile poter spiegare come il cittadino medio riesca ad organizzare in memoria miriadi di opinioni su specifiche politiche, data la scarsa attenzione che presta alla politica: è assai più facile che egli tenga in considerazione un piccolo numero di valori generali che gli forniscono l’orientamento per rispondere ad un largo numero di questioni specifiche.”168 La cosa interessante è che entrambi questi contributi possono essere considerati un evoluzione dei

167 Quest’ultima linea di frattura viene indicate generalmente in letteratura come Left-Right Materialism.

Poiché contestiamo l’appiattimento della contrapposizione destra-sinistra su questa sola dimensione economica abbiamo optato per un sinonimo, anche per non ingenerare confusione nel lettore. Esempi di questa opera di rilettura sono per esempio: Huber, J.D. (1989), Values and Partisanship in Left-right Orientations: Measuring Ideology, in «European Journal of Political Research», vol. 17, 599-621; Inglehart (1984), The Changing Structure of Political Cleavages in Western Society, in Dalton, Flanagan e Beck (a cura di), Electoral Change in Advanced Industrial Democracies, Princeton, Princeton University Press.

168 Sniderman, P.M., Brody, R.A., Tetlock, P.E., Reasoning and choice, Exploration in political psychology,

Cambridge Univerty Press, 1991, p.269. Dello stesso avviso anche Feldman, S., Structure and consistency in public opinion: the role of core belief and values, in American Journal of political science, 32, 1988, 414-40.

due paradigmi da cui eravamo partiti. Gli studi di Inglehart appartengono in tutto e per tutto alla sociologia politica empirica e ne condividono l’approccio mascrostrutturale. Gli studi di political cognition del resto, possono essere considerati -sebbene abbiano però origine dall’applicazione dei principi della psicologia cognitiva al campo politico- come un ideale sviluppo delle teorie della rational choice, in quanto prendono piede in campo politico proprio dalla presa di coscienza dell’irrealtà del modello dell’elettore razionale. Pur continuando a focalizzare l’analisi sull’attore inteso come soggetto impegnato nell’opera di interpretare il mondo che gli si pone di fronte e prendere delle scelte, un attore che ragiona e che sceglie, il suo ragionare non viene ricondotto ai canoni della razionalità pura, ma appunto ricostruito a partire da strutture ed euristiche cognitive. La convergenza tra questi campi di studi sulla nozione di valore ci spinge nella direzione di ricercare una sintesi tra la teoria dei cleavages e teoria economica della competizione politica.

Di quest’ultima riteniamo si debba salvare l’idea che l’asse destra sinistra sia uno schema o struttura cognitiva che tiene insieme, o sintetizza, diverse dimensioni di conflitto politico, ed in questo modo permette all’uomo comune di crearsi una mappa dello spazio politico e degli oggetti che lo popolano e di muoversi agilmente al suo interno. Della teoria dei cleavages, possiamo invece salvare l’idea che questi conflitti abbiano un carattere sistemico connesso alla struttura della società, e che quindi il carattere ed i contenuti della distinzione destra/sinistra vadano ricercati in processi duraturi e di lungo periodo, in grado di segnare profondamente la struttura sociale e non in riferimento alla minestra politica cucinata quotidianamente. Più in particolare, alla fine di questo capitolo, cercheremo di proporre una nostra interpretazione secondo cui la contrapposizione destra-sinistra costituisce in realtà una rappresentazione sociale dello spazio politico dove vengono sintetizzate le tre dimensioni che la ricerca empirica ha dimostrato essere quelle più in grado di strutturare gli atteggiamenti delle popolazioni dell’europa occidentale: ovvero tradizione/emancipazione, egualitarismo materiale (sovente indicato come Left-Right Materialism), e materialismo post-materialismo.

Per il momento iniziamo con l’indicare come il riferimento alla nozione di valore permetta di superare alcuni limiti intrinseci dei due modelli classici, ed in particolare le difficoltà nell’interpretare adeguatamente la distinzione destra-sinistra. Non è bene tuttavia parlare qualcosa senza prima averne specificato il significato. All’analisi del concetto di valore verrà dedicato ampio spazio in seguito, per ora ci accontentiamo di una definizione minima e classica, in termini, cioè, di concezione de desiderabile.

Iniziamo con la teoria economica della democrazia, i cui presupposti, come abbiamo piùvolte ripetuto, sono quelli della scuola della scelta razionale, che, per comodità, riassumeremo nei seguenti assunti:

a) esistono solo attori individuali slegati da appartenenze di gruppo;

b) ogni attore ha una chiara gerarchia di preferenze relativamente stabili nel tempo; c) ogni attore agisce in termini di costi/benefici, perseguendo la massimizzazione

della propria utilità;

d) l’attore dispone di tutte le informazioni necessarie per compiere le proprie scelte. Come abbiamo già visto, curiosamente, tali presupposti furono giudicati irrealistici da quelli stessi autori che vengono considerati i padri fondatori dell’approccio. Abbiamo già evidenziato come Schumpeter diffidasse della capacità del cittadino elettore di compiere scelte, non diciamo razionali, ma quantomeno ragionate, in materia politica, a causa di quella che l’autore presupponeva essere una ignoranza pressoché totale ed in definitiva, da buon tecnocrate, incolmabile dal non-esperto, delle problematiche oggetto di dibattito pubblico.

Simon introduceva il concetto di razionalità limitata, mitigando l’assunto della massimizzazione dell’utilità, suggerendo che l’attore si limita ad accettare la prima opzione soddisfacente piuttosto che eseguire in maniera algoritmica il calcolo dei costi e dei benefici di tutte le opzioni di scelta che gli si pongono davanti.

In aggiunta a queste riflessioni teoriche, una numerosa serie di studi empirici in campo politologico169, ha messo in discussione la competenza politica, o expertise, o sofisticazione politica, del cittadino medio. Al di là delle specificità e delle implicazioni derivanti da questi studi, nonché dalle critiche che vi sono state mosse, un dato emerge chiaramente: i cittadini elettori compiono le loro scelte politiche basandosi su poche e frammentarie informazioni.

A questi rilievi aggiungiamo quelli che Pizzorno170, in lungo e serrato confronto-scontro con la teoria della scelta razionale, ha mosso al principio del calcolo utilitaristico che regge questo impianto concettuale. Secondo l’autore, in campo politico, questo approccio fa coincidere i benefici esclusivamente con le utilità derivanti da un provvedimento

169 Campbell, A., Converse, P.E, Miller W.E. e Stokes, D.E, The american voter, New York, Wiley, 1960;

Converse, P., The nature of Belief system in Mass Publics, in D.E Apter, Ideology and discontent, New York, Free Press, 1962, pp. 206-261; Luskin, R.C., Measuring political sophistication, in ‘American Journal of political science’, n.4, pp.856-99.

170 Cfr. Pizzorno, A., Le radici della politica assoluta ed altri saggi, Feltrinelli, Bologna, 1993, in particolar

modo la parte prima La partecipazione e la scelta, pp.83-185. Si veda anche il saggio Le difficoltà della razionalità in Pizzorno A., Il velo della diversità, Feltrinelli, Bologna, 2007.

governativo (in termini di policy, o outputs del sistema politico), ed i costi con l’insieme dei mezzi e delle azioni impiegati per raggiungere tale fine, siano essi l’atto di informarsi, di partecipare alla vita politica o di andare a votare. Ciò che ne deriva è che i costi superano puntualmente i benefici, come testimoniano il proliferare di paradossi all’interno della scuola, per cui un individuo autenticamente razionale, o più precisamente, mosso solo dal principio di massimizzazione dell’utilità, dovrebbe non partecipare alla vita politica. In particolare, Pizzorno si rifà al famoso paradossi del free-rider messo in evidenza da Olsen, ed al cosiddetto paradosso dell’elettore.

Il primo in estrema sintesi recita: perché un individuo dovrebbe sostenere il costo della produzione di un bene pubblico, se poi, questo tipo di beni, proprio per la loro natura pubblica, non ammettono l’esclusione di alcuno dalla loro fruizione?

E’ evidente che se un individuo seguisse fino in fondo la logica della massimizzazione della propria utilità lascerebbe infine che siano gli altri a sostenere i costi di questa produzione per poi goderne i benefici. Ed è altrettanto evidente che se ogni individuo applicasse questa medesima logica, sarebbe impossibile pervenire alla produzione di qualsiasi bene pubblico. La teoria della scelta razionale ha fatto fronte a questo paradosso essenzialmente in due modi:

a) chiamando in causa categorie come il senso di responsabilità; ma in questo caso si snatura l’assunto secondo cui l’attore è mosso esclusivamente dal principio di massimizzazione della propria utilità;

b) facendo appello alla capacità dell’organizzazione che richiede partecipazione di distribuire ricompense e punizioni in modo da incentivare la partecipazione. Tuttavia l’esistenza stessa di questa organizzazione richiede un qualche grado di partecipazione che deve a sua volta essere giustificato.

Il paradosso dell’elettore muove dal seguente interrogativo: dal momento che nessuna elezione è mai stata decisa da un singolo voto, perché mai il singolo elettore dovrebbe sobbarcarsi il costo di andare a votare se la sua azione è tendenzialmente ininfluente? Anche in questo caso, ovviamente, se generalizzassimo questo ragionamento e il comportamento che ne deriva arriveremmo alla conclusione che le elezioni non potrebbero avere luogo. Anche in questo caso valgono le osservazioni precedenti. In particolare, se per spiegare il comportamento di voto si recuperano categorie quali quelle di lealtà, fiducia, appartenenza, si mina il presupposto, fondamentale nella teoria economica della competizione politica, che l’elettore sia interessato solamente ad ottenere politiche che corrispondano alle sue preferenze.

Secondo Pizzorno l’insistenza con cui si propongono questi paradossi, piuttosto che spingere alla ricerca di pezze di appoggio od ad uno stiramento innaturale dei concetti dovrebbe portare a rivedere l’assunto secondo cui l’attore muove principalmente dal proprio interesse, inteso come massimizzazione dell’utilità attesa da un provvedimento governativo. Secondo Pizzorno bisognerebbe partire dalla constatazione che i bisogni sono indotti socialmente e “la loro soddisfazione è fruita socialmente, ha luogo cioè attraverso un implicito o esplicito confronto sociale”171. Per effettuare il calcolo dell’utilità bisogna postulare che i criteri di valutazione di un soggetto si mantengano costanti nel tempo, specie se vi è uno scarto temporale tra il momento in cui viene espressa una preferenza ed il momento in cui si fruirà di una utilità. In altre parole la definizione di un interesse presuppone la definizione di una identità. Dice Pizzorno “L’identità di un individuo può soltanto consistere nell’identificabilità di esso da parte di altri individui (un gruppo, un pubblico, un’entità collettiva qualsiasi, insomma un sistema di relazioni). Affinché possa avvenire la valutazione di un interesse, cioè il calcolo dei costi e benefici, occorre che al soggetto calcolante venga assicurato il riconoscimento di una collettività identificante. Da essa riceverà i criteri che rendono possibile la definizione degli interessi.”172

La definizione degli interessi si basa allora sulla definizione di criteri di valutazione, ma che cosa sono dei criteri di valutazione se non valori (cioè come vedremo in seguito concezioni del desiderabile)? Ne possiamo dedurre che l’intero sistema di rappresentanza, per definizione rappresentanza degli interessi, sia in realtà un sistema di rappresentanza di valori o sistemi di valori.

Anticipiamo sin da ora un punto che ci distanzia da Pizzorno. Per l’autore la definizione di bisogni richiede l’identificazione con un gruppo, con una istituzione sociale e politica, o, per seguire la terminologia dell’autore, con una cerchia di riconoscimento o sistema di solidarietà, sui cui giudizi conformare la propria azione a certi criteri. Dal nostro punto di vista, affinché un soggetto che occupa una certa posizione in un sistema sociale sia spinto a tendere verso certi valori, non è sempre necessario questo processo di identificazione con un gruppo o una istituzione. E’ piuttosto la capacità oggettiva del sistema di relazioni nel definire le condizioni di vita del soggetto in termini di vincoli ed opportunità a influenzare i suoi orientamenti. Fermo restando che i processi di identificazione rimangono un elemento imprescindibile e che la politica consiste in gran parte in quest’opera di definizione e redifinizione delle identità collettive, l’identificazione in corpo collettivo

171 Pizzorno, A., La politica…, op. cit., p.165. 172

deve basarsi però su un qualche elemento su cui sia possibile fondare un riconoscimento. Un qualche elemento che faccia dire ‘questo gruppo o questo partito mi rappresenta’, e data l’importanza che rivesta l’identificazione, l’investimento emotivo ed esistenziale che comporta, questo qualcosa non può che essere un valore, nell’accezione etimologica di qualcosa a cui si da valore. In seguito cercheremo di dimostrare come alla struttura sociale possa corrispondere una struttura degli orientamenti valoriali, esperiti individualmente, sulle quali possono fondarsi differenti possibilità di riconoscimenti.

Torniamo ora alla critica della teoria economica della democrazia ed osserviamo in che modo i rilievi sopra esposti si applichino al modo in cui viene concepito l’asse destra- sinistra.

Il principale risultato dell’applicazione dei postulati della scuola della scelta razionale alla concezione dell’asse destra-sinistra, è quello, abbastanza curioso, di concepire una dimensione ideologica, non in base a credenze, ma in base a issues, cioè ad una serie di argomenti rilevanti, su cui il cittadino elettore avrà delle specifiche preferenze in termini di

policy. Ciò deriva espressamente dal presupposto di considerare l’elettore mosso

esclusivamente da interessi utilitaristici.

Cosa non va in questo modo di concepire l’asse destra-sinistra? C’è che entra in contraddizione palese con la funzione che, all’interno di questo approccio, l’asse destra- sinistra svolge nel sistema politico. Downs infatti introduce l’ideologia nel suo modello economico della democrazia come strumento per fare fronte all’incertezza ed ai costi dell’informazione. L’asse destra-sinistra costituisce la dimensione in cui le diverse ideologie vengono comparate. Si tratta di uno strumento che permette di realizzare una euristica cognitiva. Tuttavia poi le ideologie non vengono concepite come visioni del mondo ma in termini di proposte programmatiche. E dal momento che i programmi dei partiti si distinguono in merito a diverse issue dimension diviene necessario uno strumento che le sintetizzi173. Ma se l’asse destra-sinistra deve sintetizzare diverse issues dimension, e le diverse opzioni di policy su ogni issue, non può chiaramente essere composta di questi stessi elementi ma piuttosto di qualcosa che si rapporti a quest’ultimi permettendo