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Destra, Sinistra e le dimensioni valoriali dello spazio politico.

Aperto III) Elementi Saldi IV) Elementi Flessibil

3.1 Destra, Sinistra e le dimensioni valoriali dello spazio politico.

Iniziamo col precisare quale sia il senso delle tre dimensioni valoriali a cui abbiamo più volte fatto riferimento, e quali condizionamenti strutturali giustificano la loro emersione e la loro permanenza, secondo quanto delineato nel Cap.2. In linea generale possiamo affermare che tutte e tre le dimensioni fanno la loro comparsa in seguito a processi di lungo periodo che hanno hanno inciso profondamente sulla struttura e gli assetti delle società europee. La loro permanenza e stabilità va messa invece in relazione al fatto che ognuno di questi processi apre a delle contraddizioni insanabili, determinando quindi dei conflitti endemici in relazione ai valori.

La dimensione tradizione/emancipazione oppone da un lato la credenza in un ordine gerarchico e naturale della società a cui l’individuo sarebbe subordinato, ad una concezione del mondo in cui l’elemento centrale diventa l’individuo e la società diviene solo un mezzo attraverso cui i singoli procedono alla propria autodeterminazione e al raggiungimento di obbiettivi propri. Questa dimensione valoriale, è ovviamente da mettere in relazione al lungo processo di secolarizzazione che ha attraversato le società europee dalla fine del cinquecento in poi, portando alla costituzione della nozione stessa di individuo, ad una concezione contrattualistica della società ed allo sviluppo di istituzioni democratiche, che abbiamo sommariamente descritto nel Cap.1.

Non c’è bisogno di dilungarsi molto per comprendere perché gli uomini si rifacciano ad una qualche idea di un ordine naturale del mondo. Tale riferimento costituisce una costante in tutte le società premoderne in quanto soddisfa il bisogno profondamento radicato nella natura umana di dare un senso alla realtà e di potersi rapportare ad un orizzonte prevedibile di aspettative314. Inoltre, come sottolineava Durkheim, credenze condivise sull’ordine del mondo rafforzano i legami di solidarietà fra i membri di un determinato insieme sociale315. Dal punto di vista della società nel suo complesso, costituisce un fattore di stabilizzazione e di raccordo fra obiettivi individuali e collettivi. Dal punto di vista del singolo, dando ordine all’esperienza, riduce le situazioni di insicurezza e di incertezza. Da un punto di vista politico, le classi dominanti si sono sempre servite del controllo su miti e credenze per legittimare il proprio potere come sacro ed inviolabile e la struttura di disuguaglianze che le avvantaggia come naturale ed irreversibile. La credenza in una gerarchia naturale si rivela funzionale per le stesse classi subalterne razionalizzando, e rendendo così sopportabile sopportabile, la loro condizione di inferiorità. Ma non solo. Su un piano più materiale, legando tutte le componenti della società in una visione organicistica, la credenza in un ordine naturale del mondo crea dei legami di solidarietà fra i diversi membri ed i diversi gruppi di una struttura sociale che fungono da risorse strategiche per la sussistenza degli stessi gruppi svantaggiati.

Se il riferimento ad un ordine tradizionale costituisce, prima dell’avvento della modernità, praticamente una costante universale, diviene più interessante chiedersi allora sotto quali

314 Gia Weber metteva in evidenza questa funzione delle forme culturali (Weber, M, L’oggettività della

scienza sociale, in Il metodo delle scienze storico-sociali, Enaudi, Torino, 2003, ed.or. 1922). Su questa necessità innata di attribuire senso alla realtà ci pare si possa dire si fondi anche l’antropologia interpretativa di Clifford Geertz (Cfr. Geertz, C., Interpretazione di culture, il Mulino, Bologna, 1998, ed.or.1973)

315 Cfr. Durkheim, E., La divisione del lavoro sociale, Edizioni Comunità, Torino, 1999 (ed.or. 1893). E’

importante sottolineare come l’autore avvertisse il pericolo che proprio la perdità di quel carattere di naturalità delle credenze potesse costituire un deterioramento delle forme di solidarietà.

condizioni quest’ordine venga messo in discussione. Come è noto per Weber le religioni ed il potere tradizionale sarebbero state messe in crisi dal graduale processo di razionalizzazione che ha investito la società occidentale producendo quello che egli definisce un ‘disincanto del mondo’316.

Più recentemente Inglehart ha messo in relazione il declino dei valori tradizionali con gli aumentati standard di sicurezza materiale e personale raggiunti dalle società industrialmente avanzate.317

Entrambe le posizioni mettono in evidenza degli elementi importanti che noi vorremmo però rileggere sotto una angolazione diversa.

Storicamente, l’ordine tradizionale dell’Europa premoderna, ovvero l’ordine feudale è stato messo in discussione dalla borghesia in ascesa. Come ha evidenziato brillantemente Gouldner318, questo gruppo sociale si è fatto portatore di una visione del mondo radicalmente innovatrice in quanto pur riuscendo ad accumulare e controllare notevoli risorse, aveva un ruolo marginale all’interno dell’ordine della società feudale, incentrata sul controllo della terra e sulle figure del signore, del sacerdote e del servo. In altre parole l’ordine feudale per la borghesia si configurava come completamente inutile, in quanto la escludeva dal potere senza trovare compenso in particolari vincoli di solidarietà che potessero tornarle utili. In questo modo si poneva solo come un ostacolo alle proprie attività ed all’utilizzo delle risorse che aveva accumulato. Generalizzando questo sviluppo storico, possiamo dire che i valori tradizionali vengano messi in discussione, ed emergano quindi valori legati all’emancipazione, ogni qual volta un soggetto o una categoria di soggetti, si trovi in condizione di poter realizzare, senza dipendere dalle istituzioni dell’ordine tradizionale, più possibilità di vita di quelle concesse dal sistema normativo che scaturisce dalla concezione tradizionale del mondo. Ne discende una concezione del mondo per cui l’individuo sarebbe legittimato a cercare la felicità e la sua realizzazione personale con qualsiasi mezzo o comportamento a sua disposizione. L’unico limite morale sarebbe allora costituito dal rispettare l’analoga libertà degli altri individui, secondo il principio del tertium non ledere, cioè di non recare danni ad altri. Si tratta di una concezione della morale radicalmente diversa e contrapposta a quella della tradizione. Per quest’ultima il male è legato all’oltraggio al corpo sociale stesso, mentre da un punto di

316 Cfr. Weber, M., La scienza come professione, La politica come professione, Mondadori, Milano, (ed. or.

1922).

317 Cfr. Inglehart, R., Valori e cultura politica nella società industriale avanzata, Utet, Torino, 1990 e Norris,

P. e Inglehart, R., Sacro e secolare, il Mulino, Bologna, 2007.

vista dell’emancipazione esiste male solo quando ad essere violato è l’individuo nella sua volontà319.

L’orientamento ai valori della tradizione, allora, potrebbe ritenersi ragionevomente favorito da quelle condizioni in cui il soggetto non dispone degli strumenti simbolici e materiali per concepire ed esperire nuove possibilità di vita. La propensione a credere in un’ordine naturale del mondo può quindi essere favorita da condizioni di marginalità, da bassi livelli di reddito ed istruzione, dallo svolgere la propria esistenza in un ambiente poco differenziato e pluralizzato. All’opposto l’adesione ai valori dell’emancipazione è favorata da quelle condizioni in cui il soggetto si trova in un ambiente stimolante e ricco di modi alternativi di condurre la propria esistenza come quello urbano, per esempio, e dal disporre dei necessari mezzi materiali e simbolici.

Ci si potrebbe a questo punto chiedere come una contrapposizione di valori che risale tanto indietro nel tempo continui ancora oggi a persistere, ed anzi come vedremo dai dati a nostra disposizione risulti tutt’oggi la dimensione che struttura con più forza gli orientamenti della popolazione europea. Come dicevamo in apertura, la ragione di ciò va cercata nel fatto che il processo di secolarizzazione ed individualizzazione apre ad una contraddizione insanabile. Se infatti non è pensabile un ritorno alla determinatezza delle società tradizionali, è pure vero che per quanto si spinga in avanti il processo di individualizzazione esso non potrà mai prescindere dal fatto che ogni società per susstitere necessita in un qualche grado di gerarchia, di norme condivise e di un orizzonte di aspettative in grado di assicurare una qualche forma di prevedibilità del comportamento altrui. In altre parole, la nostra società fondate sulla concezione di individui liberi ed eguali, non potrebbero reggersi in piedi, e garantire gli stessi diritti di cui si fanno promotrici, senza qualche forma di subordinazione dei singoli ad un corpo di credenze ed ad un autorità comune. Le nostre società, e gli uomini che le costituiscono, si trovano quindi nel bel mezzo di questà tensione fra due poli, nessuno dei quali sembra poter essere eliminabile, non all’interno dell’orizzonte della modernità320. Possiamo solo oscillare fra i

319 Una simile dimensione è stata empiricamente individuata e spiegata in questi termini da Luca Ricolfi, in

La frattura Etica, L’ancora del Mediterraneo, Napoli, 2002. Egli individua infatti nella popolazione una dimensione morale che suddivide quelli che egli chiama integristi, che cioè pensano che si compia il male quando si viola il corpo sociale nella sua integrità, una concezione che subordina il singolo al tutto, ed i libertari per cui il male esiste solo dove vi è offesa ad altra persona.

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Traiamo queste considerazioni essenzialmente dal lavoro di Dumont L., Saggi sull’individualismo, Adelphi, Milano, 1993, e dalle rielaborazioni del suo pensiero in Gauchet, M., Storia di una dicotomia, Anabasi, Piacenza, 1994 e Santambrogio, A., Destra e Sinistra, un’analisi sociologica, Laterza, Roma, 1998.

questi due poli realizzando di volta in volta equilibri differenti. Le preferenze verso quale direzione spingere il punto di equilibrio si trovano d’altronde distribuite in maniera differenziata nella società. Ipotizziamo infatti che sia la stessa distribuzione differenziata di diversi tipi di capitali, risorse, vincoli ed opportunità all’interno della società a fare sì che esistano spazi sociali più orientati alla tradizione e spazi sociali più orientati all’emancipazione.

La seconda dimensione presa in considerazione è quella dell’egualitarismo materiale. Quest’ultima oppone coloro che credono che le disuguaglianze nella distribuzione delle risorse siano da considerarsi imputabili alla società e quindi doverose di essere rimosse attraverso l’intervento dello Stato, a coloro che credono che viceversa le disuguaglianze economiche dipendano da responsabilità individuali.

Anche se tutte le società che abbiano superato la mera economia di sussistenza hanno conosciuto una qualche forma di disuguaglianza nella distribuzione della ricchezza, questa frattura appare come tipicamente legata al processo di industrializzazione. Difatti, la messa in discussione dell’ordine feudale ha comportato anche la messa in discussione della struttura di disuguaglianze che legittimava. Si è creata così una nuova stratificazione sociale giustificata in termini utilitaristici ed individualistici. L’industrializzazione ha rotto quei legami comunitari e solidaristici che fingevano da rete di protezione e per i membri più svantaggiati, lasciando gli individui soli di fronte alle proprie difficoltà nell’assicurarsi la sopravvivenza321. Si può dire che lì’industrializzazione abbia creato una mole mai sperimentata prima di ricchezza, ma abbia al contempo creato anche miseria laddove prima si conosceva solo povertà.

Proprio in virtù dell’aumento esponenziale della ricchezza prodotta diventano enormemente più visibili ed intollerabili le disuguaglianze fra chi detiene il controllo dei mezzi di produzione e chi può offrire solo il proprio lavoro. Si pone quindi la questione della redistribuzione della ricchezza come principale problema sociale e politico del novecento.

Anche qui, si apre una contraddizione insanabile: se da un lato la redistrubuzione della ricchezza e delle opportunità di vita sembra richiedere un ruolo forte dello Stato nell’economia, fino a far prospettare la collettivizzazione dei mezzi di produzione,

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Nei manuali solitamente viene riportato come esempio di quest processo il cosiddetto movimento delle eclosures, con cui nell’Inghilterra del XVI secolo, le terre comuni, che costituivano una risosrsa essenziale per la parte più povera della popolazione rurale, veniva privatizzata dai grandi proprietari terrieri ed adibita a pascolo, fenomeno ben descritto da Marx nel Capitale nel paragrafo sull’espropriazione della popolazione rurale.

dall’altro l’esperienza storica sembra aver dimostrato che solo i sistemi a libero mercato sebrano riuscire a realizzare uno sviluppo economico duraturo. D’altro canto, ancora, il mercato lasciato a se stesso sembra produrre distorsioni e disuguaglianze che conducono a crisi cicliche che sembrano a loro volta richiedere una qualche forma di intervento statale. L’ Europa Occidentale sembrava aver trovato un compromesso nell’idea di Welfare State, dove le distorsioni dell’economia di mercato venivano in qualche modo corrette attraverso la garanzia di determinati diritti sociali. Tuttavia, come è noto, la crisi fiscale degli Stati Nazione ha grandemente compromesso la loro capacità di sodissfare i bisogni essenziali della popolazione, conducendo negli ultimi anni ad un graduale quanto repentina dismissione dello Stato Sociale, in favore di un mercato dei servizi privato.

A favorire l’orientamento verso l’egualitarimo materiale o l’individualismo economico, non è soltanto l’esperienza di una situazione di bisogno o di deprivazione relativa, quanto piuttosto la percezione che le condizioni economiche del singolo siano imposte dalla società o siano piuttosto soltanto il frutto delle scelte e dell’impegno dell’individuo. In questo l’occupazione nel settore pubblico o privato, come lavoratore autonomo o dipendente può avere qualche influenza sullo sviluppo di questi atteggiamenti. Banalmente coloro che negoziano giornalmente il loro reddito in un dimensione competitiva saranno maggiormente propensi a valorizzare l’iniziativa privata e l’individualismo economico. Per le altre categorie di soggetti, tuttavia, si tratta di una valutazione molto meno facile, che va oltre l’esperienza diretta dell’individuo e chiede di interrogarsi su dinamiche molto complesse. Per cui gli orientamenti su questa dimensione, in misura maggiore degli altri, risentono dei discorsi ideologici a cui il soggetto è sottoposto.

L’aumento di ricchezza creato dalla industrializzazione ha permesso ad un sempre maggiore numero di persone di affrancarsi dai bisogni più immediati legati alla loro sopravvivenza, facendo così nascere nuovi bisogni e nuove aspettative. Aprendo così a quelli che Ingleheart ha definito valori post-materialistici. Secondo l’autore infatti, aver trascorso gli anni della propria formazione in un ambiente caratterizzato da scarsità economica svilupperà degli orientamenti che poi tenderanno a permanere in direzione dei bisogni legati alla propria sicurezza fisiologica. L’eccezionale crescita in termini di benessere dei paesi occidentali nel secondo dopoguerra ha fatto si che intere generazioni dessero per scontata la soddisfazione dei bisogni legati alla propria sopravvivenza orientandosi verso altri obbiettivi, sviluppando un maggior senso di comunità, una maggiore attenzione alla qualità della vita, le relazioni interpersonali, la cultura, la

partecipazione322. Come abbiamo visto nel Cap.1, questo processo, più che essere un fenomeno generazionale, potrebbe riflettere anche il passaggio da un modello economico basato sulla produzione di massa di beni di consumo ad uno incentrato sulla produzione di servizi e valore aggiunto, dall’industria al terziariato avanzato, dalla produzione hard a quella soft di beni immateriali ed ad alto contenuto simbolico323.

Anche qui si può scorgere una contraddizione difficilmente superabile. Il mondo del post- materiale che si contrappone alla vecchia società industriale ha bisogno per esistere della garanzia della soddisfazione dei bisogni primari, ma queste garanzie erano fornite dalla rigida società fordista del lavoro, mentre vengono meno nel mondo fluido della globalizzazione e della flessibilità324. Per cui, più che rappresentare un passaggio generazionale come nella prospettiva di Inglehart, il confronto fra questi due universi di valore tende a strutturarsi come una caratteristica permanente delle società contemporanee, che contrappone i nuovi ceti popolari ed una classe media ad alto capitale culturale.

Prima di procedere alla rilevazione empirica di queste dimensioni e stimare il loro legame con l’autocollocazione destra-sinistra, abbiamo realizzato una analisi su una ampia lista di variabili selezionate in precedenza e che un raggio molto ampio di possibili atteggiamenti. Operando una analisi in componenti principali325, una tecnica in grado di ridurre un elevato numero di variabili, in poche variabili latenti, abbiamo voluto sincerarci che le tre dimensioni che abbiamo considerato non fossero solo una nostra astrazione teorica ma corrispondessero realmente a dimensioni importanti nello strutturare gli atteggiamenti della popolazione europea.

Prima di procedere con l’esposizione, vorremmo avanzare qualche precisazione sulla significatività dei dati che andremo a presentare. L’analisi sulle liste di item prese in considerazione si è rilevata in grado di spiegare una percentuale di varianza molto bassa: le

322 Cfr. Inglehart, R., Valori e cultura politica nella società industriale avanzata, Utet, Torino, 1990.

L’autore parla anche di riduzione dell’utilità marginale del determinismo economico per intendere che in società caratterizzate da un generale benessere ed una certa redistribuzione di ricchezza viene meno la spinta ad ulteriori politiche redistributive, proprio perché non vengono avvertite come necessità impellenti e si aprono gli spazi per altre istanze.

323 Rimandiamo ai già discusso saggio di Kriesi, H., Il cambiamento dei cleavages politici in Europa, in

Rivista Italiana di Scienza politica, n.1, 1998, pp. 55-80.

324

Cfr. Bauman Z., Modernità Liquida, Laterza, Roma-Bari, 2000; Beck, U., La società del rischio, Carocci, 2008.

325 L’analisi in componenti principali è una tecnica di analisi multivariata che riduce un insieme di variabili

in un numero ridotto di costrutti detti appunto componenti. Ogni componente è il risultato di una combinazione lineare di tutte le variabili originarie, ed in questo modo ne riproduce la varianza in comune. Ogni componente spiega una quota minore di varianza della precedente, in quanto va operare solo sulla varianza non rappresentata dalla combinazione lineare antecedente. Per lo stesso motivo le componenti estratte sono per necessità matematica indipendenti, o ortogonali tra loro. Per approfondimenti su questa tecnica si consulti Di Franco, EDS: Esplorare, descrivere e sintetizzare i dati, Franco Angeli, Milano, 2001.

prime tre dimensioni coprono poco più, nel migliore dei casi, del 30% della varianza totale. Tuttavia ciò non vuol dire che l’analisi non sia significativa, cioè che nel campione non siano presenti strutture di atteggiamenti di una certa potenza. Piuttosto questo basso tasso di varianza spiegata va attribuito ad un artificio statistico dovuto al gran numero di variabili utilizzate. Infatti replicando l’analisi con un numero ridotto di indici la percentuale delle prime tre dimensioni sale ad oltre il 60%, raggiungendo quindi valori più che accettabili, anche se certo non molto alti. Ciò vuol dire che presumibilmente esistono nei campioni esaminati strutture di una certa forza che strutturano gli atteggiamenti, ma che tuttavia non spiegano tutto, rimane, cioè, una zona d’ombra non illuminata dalla nostra analisi.

Di seguito invece riportiamo dei prospetti sintetici per ogni rilevazione che riassumono le analisi in componenti principali ritenute più soddisfacenti. In particolari nei prospetti vengono presentate le dimensioni rilevate, il loro grado di correlazione con la variabile ‘autocollocazione degli intervistati sull’asse sinistra-destra’326 e la percentuale di varianza spiegata da ognuna di esse. Il numero di dimensioni prese in considerazione è in funzione della loro significatività statistica.

Tab.3.1 Analisi in componenti Principali, 1989-94.

Componenti Interpretazione Corr. S/D %Varianza %Cumulata

1 Tradizione/Emancipazione ,339 24,315 24,315

2 Ambientalismo -,105 9,246 33,561

3 Egualitarismo Economico -,330 7,603 41,165

Fonte: World Values Survey, Indagine 1989-1994

Tab. 3.2 Analisi in Componenti Principali: 1999-2005.

Componenti Interpretazione Corr. S/D %Varianza %Cumulata

1 Tradizione/Emancipazione ,316 18,918 18,918

2 Fiducia nella democrazia -,083 8,324 27,242

3 Laicismo -,010 6,765 34,007

4 Egualitarismo Economico -,225 5,622 39,629

5 Ambientalismo -,224 5,116 44,745

Fonte: World Values Survey, Indagine 1999-2005

326 La correlazione con questa variabile ci fornisce una stima non solo dell’intensità de legame fra le

dimensioni estratte e la distinzione destra-sinistra, ma anche della direzione di tale rapporto. Infatti, essendo la variabile autocollocazione una scala ordinata che assegna il punteggio più basso alla sinistra e quello più alto alla destra, le dimensioni che presentano una correlazione a segno negativo devono essere interpretate come caratterizzanti la sinistra, viceversa quelle a segno positivo definiscono proprietà più associate alla destra.

Tab.3.3 Analisi in Componenti Principali 2005-2009.

Componenti Interpretazione Corr. S/D %Varianza %Cumulata

1 Tradizionalismo/Emancipazione ,190 11,185 11,185

2 Autoritarismo/Attenzione per i Diritti Civili -,096 9,122 20,308

3 Lassismo civico ,016 8,394 28,702

4 Maschilismo ,114 7,769 36,471

5 Materialismo/Valori Espressivi -,006 7,612 44,083

6 Ambientalismo -,076 6,457 50,540

7 Egualitarismo Economico -,335 5,946 56,486

Fonte: World Values Survey, Indagine 2005-2009

Il nome dato ad ogni dimensione estratta è frutto e responsabilità dell’interpretazione del ricercatore che ha agito tenendo presente le variabili che hanno contribuito di più alla composizione di ogni dimensione. Le dimensioni che presentano lo stesso nome, sono definite grossomodo in tutte e tre le rilevazione dalle stesse variabili. La composizione delle dimensioni è riportata nella tabella 3.4; il lettore potrà così giudicare dell’adeguatezza