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2.4.1 Orientamenti di valore individuali. La concezione dei valori ad un livello puramente

individuale può essere accostata a quella di habitus, nella misura in cui con questa si intenda una struttura cognitiva che ha origine a partire dai condizionamenti esistenziali definiti dalla struttura sociale, sebbene con habitus ci si riferisca ad un insieme di pratiche e con valori a delle finalità.

Possiamo immaginare la società come una superficie su cui vanno ad incidersi, sovrapponendosi, differenti linee o griglie di divisione (sesso, età, reddito, istruzione, zona di residenza, occupazione, razza, religione, ecc.).

Ogni individuo viene ad essere interessato da differenti tipi di relazioni sociali che hanno come effetto di esporlo a determinati tipi di esperienze e condizioni di vita. Un soggetto e contemporaneamente uomo o donna, giovane o vecchio, ricco o povero, occupato o disoccupato, e così via. All’interno di uno spazio sociale generale ogni individuo viene ad essere situato in un suo proprio spazio sociale risultato dall’intersecarsi di tutte le relazioni che lo interessano e che definisce la specificità delle sue condizioni di vita, a partire da cui un soggetto elabora una propria prospettiva esistenziale. E’ facile allora intuire che è l’insieme delle condizioni di vita connesse a questi ‘spazi sociali-individuali’ a determinare situazioni esistenziali fondamentali che si ripetono sistematicamente ed a partire da cui vengono elaborati i valori. Ma non solo, tali condizioni di vita definiscono anche i limiti delle risorse a cui i soggetti possono fare ricorso per far fronte ai loro problemi.

L’insieme dei processi che abbiamo delineato risulta intrinsecamente circolare nella misura in cui i valori fungono da schemi d’orientamento per le azioni dei soggetti, le quali possono contribuire a riprodurre o trasformare le relazioni sociali di partenza.

Tuttavia proprio questa circolarità ci aiuta ad evitare ogni determinismo. Possiamo infatti considerare la struttura come un insieme di vincoli ed opportunità, di elementi oggettivi, in quanto manifestano la tendenza a perdurare indipendentemente dalla volontà degli attori e che quindi costituiscono l’ambiente all’interno del quale ed in relazione al quale, gli attori si muovono, compiano valutazioni, elaborano strategie. Tra la struttura e l’azione si frappone quindi l’attività di elaborazione dei soggetti della propria situazione. La struttura quindi non plasma i soggetti, ma semplicemente fornisce loro gli elementi di base delle loro elaborazioni, i problemi che gli si pongono ed una serie di strumenti per affrontarli. Non c’è nulla di deterministico nell’affermare che i soggetti elaborano le proprie strutture cognitive a partire dalla propria esperienza e al contempo che una misura rilevante delle esperienze di ogni soggetto dipendono dalla sua posizione in una struttura di relazioni sociali, che a certe posizioni corrispondono delle esperienze tipiche.

Tuttavia, non si può nemmeno negare che soggetti sottoposti agli stessi tipi di esperienza abbiano una certa probabilità di giungere a punti di vista simili, specie se questo punto di vista è costruito all’interno di una relazione, specie, se come vedremo, i soggetti non costruiscono le loro idee dal nulla, ma rielaborano in gran parte materiali simbolici che sono già a loro disposizione.

2.4.2 La cultura fra risorsa soggettiva ed identità collettiva. Finora ci siamo riferiti ai

processi cognitivi come se fossero qualcosa di individuale. Questo perché in definitiva è sempre una singola mente individuale ad elaborare le proprie strutture cognitive. Tuttavia postulare un puro piano individuale è una utile fictio analitica, ma non possiamo dimenticare che l’uomo si trova già dall’inizio della sua esistenza gettato in un modo di significati che gli pre-esistono e che penetrano nei suoi modelli mentali.

Non intendiamo, in questa sede, avviare una disamina del concetto di cultura238. Ci limitiamo ad evidenziare che l’idea della cultura come di un tutto monolitico, tendenzialmente statico, dal carattere principalmente normativo è declinata nelle scienze sociali contemporanee.

238 In relazione alla molteplicità di significati che può assumere il termine cultura, un riferimento classico

anche se ormai datato è costituito da Kroeber, A.L., Kluckhohn C., Il concetto di cultura, il mulino, Bologna, 1982 (ed. or. 1963). Più agile e recente Cuche D., La nozione di cultura nelle scienze sociali, il Mulino, Bologna, 2006. Utilissime introduzioni sull’argomento da cui abbiamo tratto numerose indicazioni e suggestioni sono Crespi F., Manuale di sociologia della cultura, Laterza, Roma-Bari, 2003, Sciolla L., Sociologia dei processi culturali, il Mulino, Bologna, 2006, Belardinelli S., Allodi L., Sociologia della cultura, Franco Angeli, Milano, 2006.

Una delle definizioni di cultura attualmente più accreditate e riportate è quella dell’antropologo Clifford Geertz, per il quale il concetto denota “un modello di significati trasmesso storicamente, significati incarnati in simboli, un sistema di concezioni ereditate, espresse in forma simboliche per mezzo di cui gli uomini comunicano, perpetuano e sviluppano la loro conoscenza ed i loro atteggiamenti verso la vita.”239 Dove i simboli stanno per “astrazioni dall’esperienza fissate in forme percepibili, incarnazioni concrete di idee, atteggiamenti, giudizi, desideri o credenze.”240

Una delle più lucide descrizioni di come i significati vengano astratti dall’esperienza e trasmessi ci è fornita da Berger e Luckmann, i quali teorizzano un processo attraverso cui gli uomini costruiscono il loro mondo sociale composto di tre momenti: esteriorizzazione, oggettivazione, interiorizzazione.

Con il primo termine gli autori, facendo riferimento all’insufficienza istintuale che caratterizza l’essere umano, intendono sostenere che l’essere umano è portato a riversarsi nel mondo esterno per creare un suo ambiente sociale. Il fulcro dell’essenza umana viene quindi individuato nell’azione e nelle relazioni che questa produce. Le azioni che si ripetono frequentemente vengono “cristallizzate in uno schema fisso”241. E qui, quanto ci è dato di capire dal testo, siamo ancora al livello delle strutture cognitive individuali, sebbene elaborate all’interno di una relazione sociale. Una azione ripetuta diventa una istituzione sociale nel momento in cui è soggetta ad una tipizzazione reciproca da parte di più attori-esecutori. Il processo di oggettivazione subentra nel momento in cui le istituzioni devono essere trasmesse alle nuove generazioni. L’esperienza sociale in questione viene quindi ‘cristallizata’ attraverso il ricorso a simboli oggettivamente validi, in primis il linguaggio, divenendo in questo modo indipendente dai soggetti che l’hanno messa in essere, ponendosi di fronte a loro come una entità esterna. La validità di queste oggettivazioni viene rafforzata con apposite strategie di legittimazione che vanno dalla creazione stessa di un vocabolario (ovvero l’atto stesso di costituzione di simboli intersoggettivamente validi) alla costituzione di universi simbolici242.L’interiorizzazione è invece il processo attraverso cui il soggetto apprende i significati socialmente condivisi e li fa propri e così facendo acquisisce anche una determinata identità.

239 Geertz, C., La religione come sistema culturale, in Antropologia interpretativa, il Mulino, Bologna, 2006

(ed.or. 1973), p.113. Dello stesso autore si veda anche Interpretazione di culture, il Mulino, Bologna, 2008, (ed.or. 1973)

240 Ibidem, p.116.

241 Berger P., Luckmann, La realtà come costruzione sociale, il Mulino, Bologna, 2006 (ed.or. 1966), p.82 242 Per universi simbolici I due autori intendono “corpi di tradizione teoretica che integrano diverse sfere di

Di questo approccio alla cultura ci preme sottolineare tre aspetti:

a) la cultura è concepita come un insieme organizzato di elementi oggettivi e sovraindividuali (Berger e Luckmann riprendono esplicitamente da Durkheim la convinzione secondo cui la cultura costituisce una realtà sui-generis);

b) la cultura si mostra come un sistema di soluzioni consolidate ai problemi tipici di una comunità o gruppo sociale243.

c) viene stabilito un forte nesso fra cultura, identità e appartenenza ad un gruppo, in ragione del processo di socializzazione attraverso cui questa viene interiorizzata. I valori, in quest’ottica, i valori culturali, possono essere intesi come le finalità, gli eventi- fine, ed i modi di comportamento, promossi ed incoraggiati, da quel gruppo sociale, in base alla sua esperienza cumulata nel tempo e che vengono a costituire gli elementi costitutivi dell’identità di quel gruppo. Non ci sono motivi evidenti per rigettare questa visione della cultura e dei valori culturali. Piuttosto notiamo che nella società moderna questi i tre caratteri che abbiamo messo in evidenza, entrano sempre più in crisi.

In primo luogo se la cultura ha una valenza pragmatica, il cui primo scopo è quello stesso di dare un senso, un ordine al mondo, essa non può non essere messa in discussione dal ritmo incessante dei cambiamenti tipici delle società moderne, che non solo rendono obsolete le soluzioni che l’esperienza sociale aveva elaborato in risposta ai problemi dell’esistenza, ma mutano anche continuamente la natura e la forma stessa dei problemi che individui interagenti si trovano ad affrontare.

In secondo luogo, mano a mano che il mondo sociale si fa più complesso (aumenta la differenziazione funzionale), aumentano allo stesso tempo le cerchie sociali e gl universi simbolici a cui un soggetto può appartenere o fare riferimento. Ciò significa che diviene più difficile che un soggetto definisca la propria identità sulla base di una sola appartenenza sociale in quanto questa rappresenta solo una parte delle sue esperienza e delle sue condizioni di vita. Allo stesso modo anche gli orientamenti che costituiscono la cultura di uno specifico gruppo si rivelano insufficienti e parziali.

Non sorprende allora come i nuovi orientamenti all’interno della sociologia della cultura tendano a concepire la cultura più come un’insieme di risorse che i soggetti utilizzano in maniera strategica piuttosto che come qualcosa che si impone ai soggetti con forza

243 “La trasmissione del significato di una istituzione è fondata sul riconoscimento sociale di quella

istituzione come una soluzione permanente ad un problema permanente della collettività data” (Ibidem, p.103)

coercitiva, o come entità monolitiche date una volta e per sempre che definiscono in maniera univoca le loro identità.

Particolare fortuna ha incontrato a questo proposito la metafora elaborata da Ann Swidler della cultura come una cassetta degli attrezzi da cui i soggetti traggono strumenti per dare forma alla propria azione.244 Per correttezza dobbiamo però riportare che l’autrice elabora la sua concezione della cultura in netta ed aperta opposizione ad una concezione della cultura come composta di valori. Per la Swidler infatti, la cultura fornisce ai soggetti stili e strategie piuttosto che le finalità verso cui tendere l’azione. Data la centralità che assegniamo in questa trattazione ai valori, ci preme sottolineare alcuni punti tesi a dimostrare come una concezione ‘strumentale’ della cultura come quella sottolineata dall’autrice non sia necessariamente incompatibile con la nozione di valore, almeno nell’accezione ‘cognitivista’ che abbiamo cercato di proporre in questa sede.

In primo luogo va evidenziato come il vero obbiettivo polemico della Swidler sia la teoria dell’azione di Talcott Parsons. Le riserve dell’autrice nei confronti della nozione di valore andrebbero pertanto rapportate all’uso che Parsons fa di tale concetto.

In secondo luogo, l’autrice, come abbiamo detto, afferma che la cultura fornisce agli attori strategie e stili d’azione piuttosto che finalità. Sebbene l’autrice sostenga che non bisogna intendere la nozione di strategia come “piano elaborato coscientemente per raggiungere un fine”, concezione che in modo esplicito riporta alla questione delle finalità e quindi dei valori, ma piuttosto come un “modo generale d’organizzare l’azione che può permettere di raggiungere diversi obbiettivi di vita”245.

Subito dopo l’autrice aggiunge che questi elementi dipendono, tra le altre cose anche da visioni del mondo. Altrove fa dipendere l’azione da “l’immagine del mondo nel quale un individuo si trova a d agire”246. Ci pare allora che la questione dei valori, cacciata dalla porta, rientri dalla finestra se solo siamo disposti a riconoscere, come avviene in ogni loro concettualizzazione, una funzione di orientamento, e quindi a concepirli come elementi fondamentali di ogni visione, immagine o mappa del mondo sociale.

Terzo. L’autrice propende per una concezione pratica dell’origine degli elementi culturali, non dissimile a quella proposta in questa sede. Come noi, si richiama al concetto di habitus di Bourdieu come un insieme di disposizioni durevoli che integrano l’esperienza passata e

244 Swidler A., Culture in Action: Symbols and Strategies, American Sociological Review, Vol.51, N.2, 1986,

pp.273-286.

245 Swilder A., op. cit., p.277. 246

che fungono da matrice di percezioni, valutazioni ed azioni, che è grossomodo quello che vogliamo intendere proponendo una concezione cognitiva dei valori.

In definitiva, a differenza della Swidler che sembra quasi espungere i valori dal regno della cultura, noi intendiamo i valori come elementi, tra gli altri, che compongono la cassetta degli attrezzi culturali dei soggetti. Come gli altri elementi culturali anche i valori vengono usati strategicamente, nel senso che vengono rielaborati o modificati nel loro ordine gerarchico, al mutare delle circostanze.

Una tale concezione della cultura porta a porre una maggiore attenzione alla dimensione soggettiva della medesima, cioè al modo in cui i significati vengono fatti propri, interpretati, rielaborati e vissuti dai soggetti. Le oggettivazioni culturali a cui un soggetto ha accesso sono un serbatoio di risorse a cui gli individui fanno ricorso per dare senso alla propria esperienza ed indirizzare il proprio agire. Tuttavia i soggetti, in questa loro opera di appropriazione ed interpretazione di significati culturali non sono esenti da vincoli. Vi sono innanzitutto quelli derivanti dall’interazione che spingono a tenere conto di un insieme di aspettative, regole e routine. Ma soprattutto dal nostro punto di vista vi sono i condizionamenti strutturali di cui abbiamo detto in precedenza.

Paradossalmente possiamo affermare che più l’uomo diventa individuo, più la sua posizione sociale (intesa come non in senso ristretto come posizione nel processo produttivo, ma come spazio sociale occupato in un sistema di differenziazioni che si sovrappongono) diventa centrale nella definizione del suo modo di vedere il mondo. Il senso di appartenenza ad un gruppo o ad una comunità può sortire l’effetto di mettere in secondo piano le differenze nelle condizioni individuali, accomunando tutti i suoi membri sotto una medesima appartenenza ed una visione del mondo comune247.

Più i gruppi e le comunità si indeboliscono, più si affievolisce la loro capacità di stringere a sé i suoi membri attraverso vincoli di lealtà e di solidarietà legandolo ad un certo modo di vita; più l’uomo rimane solo con se stesso nell’affrontare i problemi connessi alle sue condizioni di esistenza.

Tuttavia, nonostante abbiamo in questa sede, notevolmente enfatizzato la componente soggettiva della cultura, ed anzi proprio in ragione di questo, pensiamo sia possibile fare riferimento a delle ‘culture’, riconducibili a particolari combinazioni di condizioni

247

Per esempio questo è stato ritenuto il meccanismo operante nelle cosiddette sub-culture politiche territoriali, in cui l’appartenenze sub-culturale cementata dall’ideologia politica o dalla religione, riusciva a mettere in secondo piano, in ambito politico, altre linee di divisione come quelle per esempio legate agli interessi di classe. (Cfr. Triglia, C., Le subculture politiche territoriali, Feltrinelli, Milano, 1983).

strutturali, senza però ricadere nella vecchia categoria di appartenenza ad un gruppo. Ciò significa che tali ‘culture’ vengono fruite senza che si sviluppi una identificazione con un gruppo sociale specifico. Con questo vogliamo dire che ci sono insiemi di condizionamenti strutturali che tendono a presentarsi in configurazioni stabili definendo tipi di esperienze simili o omologhe per ampie fasce di popolazione, che non necessariamente formano una comunità o un gruppo sociale, ma che sono portate dai problemi che la struttura pone loro ad adottare orientamenti valoriali e repertori culturali simili.

2.4.3 Il concetto di cultura politica. Le considerazioni che abbiamo svolto sinora sulla

concezione di cultura in generale, trovano applicazione anche in riferimento ad un concetto più attinente all’oggetto specifico della nostra trattazione, cioè il concetto di cultura politica. Si tratta di un concetto a cui ci rivolgiamo con qualche riserva in quanto rivesto di connotazioni specifiche che lo rendono poco adatto alla nostra analisi, che sono state superate solo dai contributi più recenti in materia.

Il concetto, come è noto, si impone nel lessico politologico attraverso l’opera di Gabriel Almond e Sidney Verbe, The Civic Culture248, un ambizioso tentativo di comparazione fra cinque democrazie occidentali (Usa, Gran Bretagna, Messico, Italia e Germania), basato su dati di sondaggio, e che si colloca nell’ambito degli studi sullo sviluppo politico.

Il problema di fondo che muove la ricerca è quello di identificare i motivi che in alcuni paesi hanno permesso il mantenimento di una stabile democrazia. Nella prospettiva dei due politologi americani il sistema politico presenta un assetto culturale stabile e organizzato che dà forma e senso alla sua struttura. In questa visione la cultura politica diviene una variabile indipendente in grado di spiegare numerosi aspetti dell’agire e dei sistemi politici, presentandosi come ”l’anello di congiunzione tra micro e macropolitica”249 all’interno della quale i fenomeni micro cadono nel campo motivazionale degli individui e quelli macro si riferiscono al complesso di strutture, ruoli e funzioni del sistema politico. La congiunzione avviene perché la cultura politica controlla gli eventi mentali che a loro volta motivano i comportamenti nei termini dei quali è possibile concettualizzare la macropolitica.

In base ai dati raccolti, gli autori giungono alla conclusione che la democrazia potrà durare nel tempo solo in quanto (e dove) sostenuta da una civic culture, ossia da un ideal-tipo di

248 Almond, G., e Verba, S., The Civic Culture. Politics Attitudes and Democracy in Five Nations, Princeton

University Press, 1963

249

cultura politica che combinando deferenza verso l’autorità e attivismo, è particolarmente congeniale al funzionamento di un regime democratico. Gli assi portanti della cultura civica sono la credenza nella legittimità delle istituzioni politiche e la percezione da parte dei cittadini della conformità dell’elite ai valori della guida democratica (l’uguaglianza di trattamento, l’osservanza di regole giuridiche, ecc.) associate al fatto che i cittadini indipendentemente dal loro effettivo comportamento politico, valorizzano in vario modo le norme del sistema partecipatorio ed elettorale.

Per Almond allora la cultura politica è costituita dall’ “insieme degli orientamenti dei membri di una società nei confronti della politica”250 altrove come “l’insieme di atteggiamenti, credenze, orientamenti nei confronti della politica caratteristici di un sistema politico in un dato periodo”251 o ancora come “dimensione psicologica del sistema politico”252. Gli autori individuano tre componenti fondamentali di un orientamento individuale verso la politica: una cognitiva relativa alle conoscenze o credenze relative alla politica; una seconda affettiva che riguarda i sentimenti personali nei confronti delle strutture d’autorità; e infine una valutativa che prende in considerazione i giudizi e le opinioni dei soggetti sui fenomeni politici.

In generale dietro queste definizioni agisce il paradigma parsonsiano struttural funzionalista, secondo cui il ponte tra la dimensione soggettiva ed oggettiva viene realizzato attraverso la socializzazione di valori condivisi all’interno della comunità. Inoltre, se la cultura politica è “la dimensione soggettiva del sistema politico, deve essere concepita come un insieme scomponibile di orientamenti nei confronti delle diverse strutture e aspetti del sistema stesso.”253 L’autore, con Powell, rapporta quindi la cultura politica a tre differenti livelli in cui viene scomposto il sistema politico: a) sistema: inerente alla struttura dei ruoli, alla struttura istituzionale, l’identità nazionale; b) processo: che riguarda l’io come attore politico; c) politiche: dove gli atteggiamenti individuali sono messi in relazione agli output del sistema.

Particolarmente celebre è la tipologia con cui viene organizzato il secondo livello di analisi. Infatti l’insieme degli orientamenti verso il processo politico relativamente al grado di consapevolezza dei cittadini e della loro potenziale influenza viene articolato in tre categorie: a) parochial: proprio di quei cittadini che non manifestano alcuna o scarsa consapevolezza del sistema di cui fanno parte; b) suddita: tipica di quei casi in cui i

250 Almond, G., e Verba, S., op.cit., p 13.

251 Almond, G., e Powell G. B. , Politica Comparata Il Mulino Bologna, 1966, pag.55. 252 Idem, p.38.

253

cittadini formulano richieste di politiche nei confronti del potere ma non sono disposti ad intraprendere azioni di protesta od ad organizzarsi o associarsi per intervenire in prima persona nel sistema politico; c) partecipante: cittadini orientati ad interessarsi attivamente della vita politica.

Coerentemente al tipo di cultura politica prevalente in una società possono essere individuati tre diversi tipi di strutture politiche, con l’obiettivo di costruire una