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Pensare la Destra e la Sinistra Concettualizzazioni della diade.

Ogni discorso sulla attualità o non attualità, sulla salienza o inconsistenza della coppia destra-sinistra rischia di essere forviante, se non si chiarisce preventivamente la natura di questo fenomeno culturale. Ogni concettualizzazione infatti tende a considerare il fenomeno sotto certi aspetti piuttosto che altri e suggerisce una metodologia per la definizione del suo significato sostantivo. Il rischio è quello di confondere fra loro discorsi diversi e di decretare la mancanza di significato o di validità della distinzione in un campo, secondo i criteri di un altro. Tuttavia anche una eccessiva separazione di questi diversi ambiti di indagine, proficua sul piano analitico, può infine rivelarsi dannosa. Il rischio in questo caso è di avere a che fare con tanti oggetti differenti quante ne sono le concettualizzazioni, perdendo di vista il fenomeno nella sua interezza. Vari aspetti del fenomeno, che ogni concettualizzazione prende in esame separatamente, andrebbero ricombinati in un costrutto unitario, ed è ciò che andremo a fare nel cap.2. Veniamo ora ai modi in cui l’opposizione destra-sinistra è stata concettualizzata. In letteratura se ne possono isolare fondamentalmente tre:

a) classificazione di ideologie e forze politiche; b) frattura socio-politica;

c) dimensione di competizione politica.

Di seguito andremo ad analizzare nel dettaglio ognuna di queste concettualizzazioni, cercando alla fine di mettere in evidenza i limiti e le interazioni reciproche tra questi tre modi di intendere la contrapposizione destra-sinistra.

1.2.1. Destra e Sinistra come classificazione di ideologie e forze politiche. Il modo più

tradizionale per intendere la distinzione destra-sinistra è certamente quello di considerarla come uno strumento per la classificazione di ideologie, e, di riflesso, dei soggetti politici che si rifanno ad esse. Tralasciando, per il momento, la spinosa questione di definire cosa debba intendersi per ideologia, possiamo adottarne una concezione ampia che includa qualsiasi forma di dottrina politica, visione del mondo, riferimento ad ideali e valori, veicolato da una forza politica o a cui questa dice di ispirarsi. Appare evidente che quando ci poniamo la questione se un determinato partito o movimento politico possa dirsi, e in che misura, di destra o di sinistra, lo facciamo in funzione dei suddetti elementi. Questo modo di pensare alla diade destra-sinistra assume come suo oggetto di studio le idee e le dottrine politiche e, pertanto, è più incline a ritenere destra e sinistra come relative ai

sistemi di pensiero che caratterizzano elite ed organizzazioni politiche piuttosto che come sistemi di credenze diffusi a livello di massa. Interrogandosi sulle categorie di destra e sinistra, gli autori che hanno adottato questo approccio hanno inteso scoprire sotto la neutralità semantica dei due termini, un’opposizione logica corrispondente che permetta di ordinare la realtà empirica a cui si riferiscono.

Prima di passare in rassegna i vari significati con cui si è inteso interpretare la distinzione destra-sinistra, ci preme spendere qualche parola sul metodo attraverso cui questo risultato viene raggiunto, in quanto riteniamo che questi sia la fonte di quei fraintendimenti che hanno spesso indotto a decretare prematuramente la crisi o la non validità della nostra coppia concettuale.

Seguendo Marradi43 possiamo ricondurre il significato di classificazione a tre principali operazioni:

1) Operazioni in cui l’estensione44 di un concetto a un dato livello di generalità è divisa in due o più estensioni più ristrette, ciascuna corrispondente a un concetto posto ad un minor livello di generalità; risultato che viene ottenuto stabilendo che un aspetto dell’intensione dei concetti specifici è una differente articolazione parziale del corrispondente aspetto nell’intensione del concetto generale;

2) Operazioni in cui gli oggetti o eventi di un dato insieme sono raggruppati in due o più sottoinsiemi a seconda di similarità percepite nei loro stati su una o più proprietà;

3) Operazioni in cui un oggetto o evento è assegnato ad una classe già costituita attraverso una delle precedenti operazioni.

Come fa notare l’autore solitamente entrambe le prime due forme di classificazione comportano generalmente una qualche forma di confronto con la realtà empirica. Tuttavia nel primo caso, questo confronto non è per forza di cose necessario, in quanto lo scopo di questo tipo di classificazione è di pervenire alla definizione dell’intensione delle classi costituite, ovvero definire la classe in quanto concetto. Al contrario, il secondo tipo di classificazione muove costitutivamente dall’analisi sistematica delle proprietà di un insieme di casi, in modo da ottenere raggruppamenti, e solo successivamente e

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Le seguenti definizioni di ‘classificazione’ sono tratte da Marradi A., Classificazioni, Tipologie, Tassonomie, in Enciclopedia delle scienze sociali, Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma, 1993, pp.22-30. Dello stesso autore si vedano anche: Metodologia delle Scienze sociali, il Mulino, Bologna, 2007; Id. Concetti e metodo per le scienze sociali, La Giuntina Firenze, 1991. Considerazioni analoghe si trovano in Sartori, G., La politica: logica e metodo nelle scienze sociali, Milano, Sugar Co, 1980.

44 I concetti di intensione ed estensione sono tratti dalla filosofia del linguaggio di Carnap e stanno ad

indicare rispettivamente l’insime di proprietà che connotano il concetto e l’insieme degli oggetti denotati dal concetto.

facoltativamente ci si può porre il problema di far corrispondere ai gruppi così costituiti un concetto che li rappresenti. Questo secondo tipo di classificazione viene considerato dall’autore tipico delle scienze empiriche moderne, più in particolare di quelle che si avvalgono di dati quantificati. Marradi chiama intenzionali le classificazioni del primo tipo ed estensionale quelle del secondo tipo, proprio per indicare che la prima lavora sull’intensione dei concetti, la seconda ordina gruppi di oggetti reali. Il terzo tipo di classificazione consiste in una semplice operazione di attribuzione.

Ora appare evidente che, implicitamente o esplicitamente, gli autori che si sono interrogati sul significato della distinzione destra-sinistra all’interno di questo approccio hanno ricondotto la contrapposizione ad una concezione di classificazione del primo tipo. Ad esempio Bobbio, nell’incipit del suo celebre saggio sull’argomento afferma: “Destra e Sinistra sono due termini antitetici, che da più di due secoli sono impiegati abitualmente per designare il contrasto delle ideologie e dei movimenti, in cui è diviso l’universo, eminentemente conflittuale, del pensiero e delle azioni politiche.”45 La natura di concetti della coppia destra-sinistra, e la loro funzione di strumento classificatorio appaiono qui ben evidenti.

I criteri con cui si procede ad una classificazione logico-formale, sono ben noti, e possono essere fatti risalire alla logica aristotelica. Si tratta della esaustività, della mutua esclusività e dell’individuazione di un fundamentum divisionis.46 Il primo criterio richiede che tutti gli oggetti denotati dal concetto generale debbano trovare collocazione nelle categorie risultanti dalla classificazione. Il secondo fa riferimento al fatto che ogni oggetto deve essere assegnato ad una sola categoria. Il terzo consiste nell’individuazione del criterio attraverso cui operare la suddivisione e che consiste nell’articolazione di una proprietà del concetto generale.

Nel nostro caso, il concetto generale è quello di ideologia o di sistema di idee politiche. Il criterio di distinzione viene allora individuato interrogandosi su quale idea (o ideale, o valore), si incardini la costruzione di suddetti sistemi di pensiero.

Il caso più semplice di classificazione consiste nella dicotomia in cui il concetto generale viene suddiviso in due sole sottoclassi, di cui, per definizione, l’una è la negazione logica

45 Bobbio, N., Destra e Sinistra, Ragioni e significati di una distinzione, Donzelli Editore, Roma, 1999, p.

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A questi criteri per esempio si rifà esplicitamente Bobbio,-tra gli autori che hanno concepito destra e sinistra come una classificazione, sicuramente il più metodologicamente consapevole- nel proseguio del passo precedente, quando afferma: “Destra e sinistra sono due termini antitetici. […] In quanto termini antitetici, essi sono, rispetto all’universo a cui si riferiscono reciprocamente esclusivi e congiuntamente esaustivi.” Bobbio, N., Ibidem.

dell’altra. Ed è in questo senso che è stato interpretato il significato della distinzione destra-sinistra, ricercando cioè coppie di idee che stessero tra loro, grossomodo, in un rapporto di opposizione logica, rispecchiando in questo modo la forza polemica dei due termini e dell’universo politico in generale.

In generale questo modo di considerare la distinzione destra-sinistra si è rivelato poco soddisfacente. Qualsiasi sia l’opposizione concettuale presa come fundamentum divisionis, la classificazione non riesce a soddisfare i requisiti di esaustività e mutua esclusività, offrendo il fianco a quanti sostengono la mancanza di validità e consistenza della diade.47

Riteniamo infatti che questa concezione, da un lato sia troppo riduttiva, dall’altro conduca alla cosiddetta fallacia essenzialista.

Rispetto al primo punto, come abbiamo detto nel paragrafo precedente, le varie destre e sinistre che si sono succedute nella storia, si sono fatte portatrici di sistemi di valori e credenze se non di vere e proprie Weltanschauung, pertanto né possono essere ricondotte ad un unico principio, né tantomeno può esserlo il loro raggruppamento. Abbiamo detto che questi sistemi di idee tendono a sovrapporsi, ma tendiamo ad escludere che ciò avvenga lungo un’unica dimensione concettuale. Questa sovrapposizione sembra avvenire piuttosto per tratti, in modo simile a quanto Wittgenstein ha definito come somiglianze di famiglia48. Per cui se le ideologie A e B, hanno in comune il valore o l’idea x, le ideologie B e C possono sovrapporsi per quanto riguarda l’elemento y, e così via, fino a descrivere una fitta rete di rimandi che tenderà a polarizzarsi in agglomerati più densi, senza però comportare che una delle due parti abbia il monopolio assoluto di un’idea o di un valore, o che si sviluppi una dimensione interamente dispiegata lungo una sola opposizione logica. Anzi, come abbiamo sottolineato le ideologie, così come si sono sviluppate nel pensiero occidentale, tendono a condividere un elevato numero di concetti-chiave, in genere astratti e formali, il cui significato viene specificato dagli altri concetti con cui vengono messi in relazione e dal modo concreto con cui si pensa di tradurli in azione. Per questo, qualsiasi opposizione concettuale si adotti questa non riuscirà né a comprendere tutte le ideologie, né a classificarle in modo univoco in una categoria, ne tanto meno a rispettare l’uso

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Il punto è esplicitamente reso per esempio da Marco Tarchi quando afferma in relazione ai principi di esaustività e mutua esclusività: “I molti tentativi di classificare scientificamente le ideologie ed i comportamenti politici sulla base di categorie come destra, sinistra, e resideulamente centro, non hanno mai seguito queste elementari indicazioni, ed ogni volta che hanno cercato di conformarvisi […] si sono invischiati in aporie in districabili.” Tarchi, M., Destra e sinistra: due essenze introvabili, Democrazia e Diritto, 1995, N.1, pp. 381-396, p.381.

48 Cfr. Wittgenstein, L., Ricerche filosofiche, Einaudi, Torino, 1999 (ed. or. 1953); in particolare il famoso

comune che si fa delle due categorie, cioè ad impedire che un’ideologia o un partito comunemente considerato di destra venga a vedersi dover esser assegnato a sinistra secondo il criterio di distinzione prescelto, o viceversa.

Con questo veniamo al secondo punto: la fallacia essenzialistica. Con questa espressione ci si riferisce alla tendenza a concepire le strutture di distinzioni elaborate concettualmente come un fedele rispecchiamento dell’organizzazione del realtà empirica49. In altre parole si finisce per considerare la classificazione come relativa ad una qualche proprietà intrinseca dell’oggetto di studio. Ad un’essenza appunto. Per questo i significati attribuiti alla distinzione destra-sinistra attraverso questa metodologia tendono ad acquisire un carattere tendenzialmente invariante ed autonomo da altri fattori. Ma così facendo si trovano in stridente contrasto con quella stessa realtà empirica che dovrebbero rispecchiare.

Il punto è stato chiaramente espresso di recente da Revelli, in alcuni passaggi che meritano di essere riportati per intero:

“La qualifica di sinistra o di destra deve essere dedotta da un soggetto storico concreto, il quale esprime nel suo comportamento e nella sua essenza un tale segno politico? O non si tratta, al contrario, di qualifiche che, per loro natura, trascendono i soggetti, e la cui utilità consiste proprio nel permettere ex-post di qualificarli e collocarli nello spazio politico? Se si assumesse il primo tipo di risposta, la conclusione non potrebbe essere che una: destra e sinistra risulterebbero categorie prive di significato non solo nell’immediato presente, ma in assoluto e da sempre. […] Destra e sinistra non possono essere trattate come semplici predicati delle forze politiche concretamente operanti sul piano storico. Non sono cioè le categorie ad essere connotate dai soggetti concreti, ma, all’inverso, sono i soggetti a venire qualificati e denominati dalle proprietà dello spazio politico che di volta in volta occupano o in cui finiscono per collocarsi”50

Il dato importante che viene a perdersi concependo destra e sinistra come una classificazione logico formale è la loro origine sociale. E’ il fatto che si è di destra o di sinistra in base ad una qualche propria caratteristica ma in base ad un processo di categorizzazione sociale che risponde ad una logica completamente differente da quella classica aristotelica51, caratterizzata da criteri meno rigidi e processi di tipo euristico

49 Cfr. Marradi, A., Metodologia…, op.cit., pp. 55-62.

50 Revelli, M., Sinistra Destra, L’identità smarrita, Laterza, Roma, 2007, pp. 22-30. In modo analogo

Laponce ha sostenuto che “l’antitesi destra-sinistra tende a descrivere forze relativa al background più che specifici attori; descrive un paesaggi fisso piuttosto che coloro che viaggiano attraverso di esso.” Laponce, J., Left and right, the topografy of political peceptions, University of Toronto press, Toronto, 1981, p.11.

51 Sul concetto di categorizzazione sociale si veda Fiske, T., Taylor, E., Social Cognition, Mc Graw-Hill,

piuttosto che algoritmico. Non si tratta, insomma, di categorie ‘scientifiche’ elaborate da un osservatore esterno e di cui si possa discutere la validità o l’adeguatezza dell’assegnazione di un oggetto ad una classe, come nel caso della famosa tripartizione delle forme di governo di Aristotele. Piuttosto ci troviamo di fronte a categorie elaborate dagli stessi attori, attraverso cui essi stessi definiscono la propria identità. Pare a questo punto appropriato riportare il richiamo di Bourdieu il quale sostiene che gli scienziati sociali classificano soggetti sociali i quali “sono produttori non solo di attività classificabili, ma anche di attività di classificazione”, costruendo così una conoscenza del mondo sociale, pre-esistente alla attività del ricercatore, “che non si può evitare di includere tra gli oggetti della conoscenza scientifica”52 La contrapposizione destra-sinistra dovrebbe quindi essere intesa, non come strumento per classicare oggetti politici, ma come fenomeno sociale da indagare, come strumento che gli stessi attori utilizzano per attuare ricnoscimenti reciproci e l’attribbuzione nel senso comune, di un soggetto, od oggetto politico, ad una delle due categorie dovrebbe costituire parte integrante dell’analisi.

Andremo ora ad analizzare la questione dei significati associati alla distinzione destra sinistra. Questi possono essere raccolti attorno a due criteri generali principali: a) un criterio temporale; b) un criterio di rappresentazione dello spazio sociale. In un ultimo passaggio c) prenderemo in considerazione altri criteri e soluzioni originali al problema di stabilire un criterio di distinzione fra le due categorie.

a) Il primo si rifà naturalmente all’opposizione tra progresso e conservazione, forse il primo canone distintivo della diade, ad essa quasi congenito, se pensiamo alle tumultuose vicende della Rivoluzione Francese. Così, per esempio, in un datato dizionario di cultura politica troviamo questa definizione alla voce destra: “Sotto questa denominazione si usano indicare i partiti conservatori in genere e talora designare le stesse forze reazionarie.”53 E specularmente per la sinistra: “Si usano indicare con questa espressione i partiti di tendenze democratiche o progressiste in genere.”54 Analogamente, nel 1976, nel

Dizionario di Politica diretto Norberto Bobbio, Nicola Matteucci e Gianfranco Pasquino,

alla voce Destra di Alfio Mastropaolo, si legge: “La destra è il partito della conservazione in generale, ed è quindi costituita da chi si considera soddisfatto del presente, da chi si impegna per il mantenimento dell’ordine attuale.”55 E simmetricamente la sinistra viene

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Bourdieu, P., La distinzione, il Mulino, Bologna, 2006, (ed. or. 1979), p.466.

53 Basso, A., Dizionario di cultura politica, Avtas, Milano, 1946, p.216. 54 Ibidem, p. 589.

55 Mastropaolo, A., Destra, in Dizionario di Politica (a cura di) Bobbio, N, Matteucci N., e Pasquino, G.,

descritto come “lo schieramento del progresso e del cambiamento: tutti coloro che si impegnano per rinnovare l’ordine esistente.”56

Ciò è perfettamente comprensibile se pensiamo che l’atto di nascita della divisione destra- sinistra risale alle votazioni del luglio 1789 sulla prerogativa del veto regio e la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino. Per agevolare le operazioni di conteggio dei voti i favorevoli si disposero alla sinistra del presidente dell’Assemblea i contrari a destra. Da una parte i fautori del cambiamento, dall’altro quelli dello status quo. La stessa scena si ripete nel periodo in cui la frattura viene definitivamente istituzionalizzata cioè nel fiorire di monarchie costituzionali successive alla restaurazione. A destra gli ultras monarchici, sostenitori addirittura di un ritorno al passato, a sinistra liberali e democratici con le loro istanze di cambiamento economico, sociale e politico della società. Del resto l’idea stessa di progresso è uno dei frutti più significativi dell’illuminismo, matrice culturale dell’ideologia liberale. Da lì deriva la convinzione nella perfettibilità della natura umana e nella possibilità per l’umanità nel suo complesso di muovere verso stadi di sviluppo sempre più avanzati e desiderabili, l’idea di un senso evolutivo della Storia. Lo stesso Marx riconoscerà alla borghesia una funzione rivoluzionaria e il merito di avere spezzato le catene del vecchio ordine feudale57. Tuttavia, nel pensiero di Marx, questo rappresenta ancora passaggio transitorio avendo semplicemente sostituito un sistema di dominio con un altro. Egli pone il movimento comunista all’interno del medesimo movimento evolutivo della Storia, come sua avanguardia, ed assegna al proletariato il compito di condurla verso il suo stadio ultimo di una società senza classi, composta di produttori associati. Per cui anche il pensiero socialista e comunista può dirsi figlio dell’illuminismo. Ne consegue che entrambe le ideologie che in successione storica hanno caratterizzo la sinistra presentano un forte tratto progressista. Dall’altro lato, “la caratteristica principale del pensiero conservatore è stata la diffidenza verso il cambiamento radicale in tutte le sue forme.”58 Questa connotazione della contrapposizione destra-sinistra è stata messa in crisi in un primo momento dal manifestarsi di un fenomeno come il fascismo, un’ideologia o movimento, che presentava insieme aspetti rivoluzionari e richiami a valori tradizionali. Tuttavia, sia perché il fascismo, almeno alle sue origini, si proponeva come una forza al di là della destra e della sinistra, sia perché con la fine della seconda guerra mondiale il fenomeno sembrava,

56 Ibidem, p. 923.

57 Marx, K., Il manifesto del partito comunista, Laterza, Roma, 1996 (ed. or. 1848), pp. 5-13. 58

almeno nelle sua espressione partitica, sradicato dalla vita politica dei paesi occidentali o ridotto ad un residuo marginale, l’equivalenza tra destra e sinistra, e dall’altro lato, e progresso e conservazione ha continuato grossomodo a reggere. Piuttosto sono stati gli ultimi decenni a porla in discussione, in una maniera che attualmente pare irreversibile. La crisi del Welfare State, che può essere considerato il punto focale per comprendere i cambiamenti sociali e politici avvenuti negli ultimi trent’anni, ha prodotto effetti sconvolgenti tanto a destra che a sinistra. Nel decennio ’80-’90, la sinistra, dopo aver rinunciato ormai da tempo al proprio programma ‘massimalista’ e rivoluzionario di cambiamento della società, ha visto compromesso e in parte smantellato, anche il programma ‘minimalista’ su cui aveva ripiegato, basato su una graduale estensione di una piattaforma di diritti sociali. La marcia della Storia sembrava essersi invertita. La parola d’ordine è diventata ‘salvare il salvabile’. Se non si può ottenere di più in termini di redistribuzione della ricchezza, che almeno si difenda il più possibile di quanto si era riusciti a conquistare. Nel campo avverso si è invece assistito all’emergere della cosiddetta Nuova Destra e all’affermarsi dell’ideologia neoliberista. Quest’ultima risulta da una commistione di elementi tratti dalle tradizionali ideologie liberali e conservatrici. Dal punto di vista del criterio temporale, quindi, una chimera; la sintesi di due sistemi di pensiero per lungo tempo opposti in relazione al cambiamento. In pratica, si è trattato di