• Non ci sono risultati.

PER UNA CONCEZIONE DINAMICA DELLA CULTURA Proviamo a riassumere, con l’aiuto di Bauman che fa il punto della

Articolo 14 Ogni popolo ha diritto alle proprie ricchezze artistiche, storiche e culturali Articolo 15 Ogni popolo ha diritto a che non gli sia imposta una cultura ad esso

1.7 PER UNA CONCEZIONE DINAMICA DELLA CULTURA Proviamo a riassumere, con l’aiuto di Bauman che fa il punto della

situazione in maniera convincente. Nella sua analisi del concetto di cultura, e della schiera numerosissima di definizioni che di essa si sono accumulate nel tempo e nelle diverse discipline, il sociologo ritiene di intravedere tre grandi categorie, in cui tutte quante quelle definizioni possono raggrupparsi. La prima è quella che classifica quale “cultura come concetto gerarchico” (1). Si tratta di tutte quelle accezioni in cui l’acquisizione di cultura comporta un accrescimento individuale, che crea differenze, quantitative e qualitative, fra persona e persona. Insomma siamo su quel piano in cui ha senso dire che si possiede più cultura o meno cultura, che si è più avanti o più indietro in una ipotetica scala gerarchica. In tal senso si può parlare di elevazione spirituale (o di bassezza spirituale, di accrescimento o di imbarbarimento), proprio perché si pone un sistema di valori. È una concezione “classica e tradizionale, la quale afferma e propone un ideale di formazione individuale”(2).

E, conseguenza significativa, “se lo si intende in senso gerarchico, il termine cultura non può nemmeno venir adoperato al plurale” (3).

Tuttavia Bauman propone altre due categorie in cui raggruppare le tante definizioni che si danno della parola cultura. La seconda la intende come concetto differenziale fra comunità di persone, separate per collocazione temporale, ecologica e sociale (4). Vi rientrano tutte le definizioni che guardano alla storia, allo sviluppo evolutivo, alle caratterizzazioni dei singoli popoli e degli specifici gruppi di individui.

È l’accezione della cultura più propriamente e ricorrentemente utilizzata dalla sociologia; e in tal senso non si considera la cultura, ma “le culture”. C’è una terza grande categoria, che concepisce la cultura come concetto di genere, ossia ciò che distingue l’umanità da qualsiasi altra cosa (5). È

l’accezione massimamente accolta dall’antropologia. Vi rientrano tutte le concezioni che vedono nella cultura qualcosa che gli uomini hanno e gli animali no, sia che si tratti di un “abito” di usi e costumi, sia che si tratti del linguaggio, sia che si tratti della creazione e condivisione di un universo simbolico.

Nella fase finale della sua riflessione, Bauman recupera, in qualche modo, una funzione “alta” della cultura, e torna a riconoscerle una potenzialità di riscatto fondamentale; lo fa tuttavia laicamente, non rifacendosi alle vecchie categorie della borghesia edificante, ma piuttosto all’esigenza dello studioso, smaliziato e disilluso, di rintracciare ancora un senso forte nel suo agire e nel suo indagare la realtà. Scrive:

la cultura è il solo lato della condizione umana in cui si fondono la conoscenza della realtà umana e l’interesse dell’uomo per l’autorealizzazione e il perfezionamento. Quello culturale è il solo sapere che non si vergogni della sua partigianeria e della sua prospettiva acquisitiva (6).

Per Bauman la sociologia non deve considerare la cultura come una categoria, ma deve invece assumere la posizione culturale. Che ammette una molteplicità di realtà.

La cultura è l’esclusività dell’uomo, nel senso che di tutti gli esseri viventi solo l’uomo è in grado di mettere alla prova la propria realtà per cercare un significato, una giustizia, una libertà e un bene più profondi, sia individuali che collettivi. (…) Mediante la cultura l’uomo è in uno stato di costante rivolta in cui, come direbbe Camus, realizza e crea i suoi propri valori, in quanto la rivolta non è un’invenzione intellettuale, ma un’esperienza e un’azione umana (7).

È questa la nozione di cultura che a me interessa, e che – mi pare – tiene conto della lezione che proviene dai cultural studies.

Per gli artefici dei cultural studies una cultura è tale se è socialmente condivisa, ma è difficile stabilire i limiti di questa condivisione, e non si tratta di una realtà monolitica. Del resto, una medesima società può ospitare al suo interno orientamenti culturali differenti e in conflitto tra loro: in questo senso, come sottolineava soprattutto Thompson ragionando sulla sottocultura operaia (8), la cultura è anche un campo di tensioni, compromessi e conflitti permanenti fra diversi gruppi sociali.

Proverei, a questo punto, a proporre, come base su cui imperniare la mia riflessione sulle politiche culturali, una nozione di cultura che si potrebbe indicare come delimitata, individuale e dinamica.

Delimitata perché, piuttosto che andare a coincidere con lo stesso concetto di società, interessa una definizione di cultura che ne precisi e caratterizzi il campo. Questo, tuttavia, non più nel senso etico-edificante proveniente dalle definizioni di origine letteraria, ma cogliendo la specificità della dimensione culturale all’interno delle dinamiche sociali complessive. Individuale perché nella società degli individui, tipica della modernità, l’accento viene posto sulle scelte – e sui problemi – che l’individuo è obbligato a compiere, in una dorata e talora insostenibile solitudine.

Dinamica perché la società della “modernità liquida”, di cui parla Bauman, non risolve mai definitivamente il problema dell’acquisizione culturale, ma costringe ad un’opera continua di ridefinizione della propria conoscenza e della propria identità.

Assumerei pertanto la cultura come un insieme di pratiche, di rappresentazioni e di significati della realtà di cui i soggetti sono tanto i produttori quanto i fruitori: essa è un patrimonio immateriale disponibile a ciascuno, entro una società data, in ragione delle opportunità e delle risorse di cui dispone, della sua sensibilità e delle sue potenzialità intellettive.

Precisati, in qualche modo, i concetti, si tratta ora di vedere come si muovono i protagonisti delle attività culturali, e principalmente i soggetti pubblici.

Nei prossimi capitoli proverò ad esaminare più da vicino le politiche culturali, sia nelle loro caratteristiche generali che in alcune manifestazioni concrete; cercando, preliminarmente, di chiarire le relazioni che le legano (e le influenzano) all’etica, al diritto, alla scienza politica.

Note

1) Z. Bauman, Cultura come prassi, Bologna, 1973, p. 15.

2) F. Remotti, Cultura, in “Enciclopedia Einaudi”, Torino, 1978, p.641. 3) Z. Bauman, Cultura come prassi, cit., p. 19.

4) Ivi, p. 31. 5) Ivi, p. 63. 6) Ivi, p. 267. 7) Ibidem.

PARTE II