• Non ci sono risultati.

PRESUPPOSTI ISTITUZIONALI: MINISTERI E ASSESSORATI ALLA CULTURA;

LE POLITICHE CULTURAL

2.1.6 PRESUPPOSTI ISTITUZIONALI: MINISTERI E ASSESSORATI ALLA CULTURA;

I BENI CULTURALI

La maggior parte dei governi del mondo dispone oggi di un ministro della cultura, che è il responsabile delle politiche culturali e il punto terminale di una serie di organismi e istituzioni in cui si articola operativamente l’attività culturale di uno Stato. Del pari, la grande maggioranza degli enti locali, dalle Regioni fino ai Comuni di una qualche consistenza numerica, ha all’interno della sua amministrazione un assessore alla cultura.

Ma non è stato sempre così. Se guardiamo alla Francia, ad esempio, all’inizio del ventesimo secolo l’azione pubblica in campo culturale era concentrata nel ministero della pubblica istruzione, a cui si affiancava un sottosegretario di Stato per le belle arti.

Guardiamo ora ciò che avviene intorno a noi: il gabinetto del sig. Chaban-Delmas è composto di tre ministri e tre sottosegretari che si occupano esclusivamente, o principalmente, delle attività culturali; il ministro di Stato incaricato degli Affari culturali; il ministro dell’Educazione Nazionale; il ministro per la Ricerca Scientifica; poi il segretario di Stato al ministero dell’Educazione Nazionale, il segretario di Stato per la gioventù e gli sport, ai quali si potrebbero aggiungere ancora il segretario di Stato per i rapporti con il Parlamento ed i servizi del Primo ministro che esercitano direttamente la tutela sul patrimonio artistico dello Stato (1).

Il brano che ho citato è del 1970, ed evidenzia come la Francia, che era stata antesignana nel creare un ministro della cultura, rapidamente aveva instaurato già una articolazione di competenze complessa e persino in certi casi controversa. L’autore del brano indicava ulteriori rivoli di competenza culturale che si attribuivano ad altri ministeri: il ministero delle forze armate che organizza programmi di lotta contro l’analfabetismo al suo

l’istruzione degli adulti contadini; il ministero della giustizia che gestisce e controlla stabilimenti destinati al recupero dei giovani devianti; il ministero del lavoro che organizza centri e corsi di formazione professionale per adulti; il ministero della sanità che supervisiona educazione sanitaria, medicina scolastica, centri di assistenza sociale; il ministero degli esteri che si occupa di relazioni culturali con l’estero(2). Insomma, se è vero che esiste uno specifico ministro per la cultura, è anche vero che poi deve condividere la funzione di politica culturale con diversi suoi colleghi di governo.

Ma di cosa si occupa il ministro della cultura francese? La sua competenza abbraccia: lo stimolo alla creazione, l’insegnamento e la formazione, la diffusione delle opere, la conservazione, la ricerca. Per ognuno di questi aspetti, egli predispone dei piani annuali di intervento, predispone le attrezzature, sovrintende al funzionamento, dirige il personale, e per tutto questo propone al ministro dell’economia le spese annuali da iscrivere a bilancio.

La situazione italiana vive una sua specificità, anche derivante dalle peculiarità dell’evoluzione storico-politica del paese. Quello che ha segnato la particolarità della situazione è stata l’esistenza, nel ventennio fascista, di un apposito Ministero della Cultura Popolare, il famigerato

Minculpop, mediante il quale lo Stato interveniva nella cultura in quanto

portatore di valori ufficiali. L’impostazione autoritaria, demagogica e poliziesca di quel ministero ha condizionato anche gli anni del dopoguerra, nel senso che, per comprensibile reazione e diffidenza verso certe impostazioni ideologiche e dogmatiche, la giovane Italia neo-democratica ha evitato del tutto di dotarsi di un ministro della cultura. La costituzione italiana tuttavia assegna un posto di rilievo alla politica culturale. L’art. 9 afferma che “la Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica”, e l’art. 3 comma 2, attribuendo alla Repubblica il

compito di rimuovere gli ostacoli che “impediscono il pieno sviluppo della persona umana”, inevitabilmente attribuisce al governo un compito forte e penetrante di intervento anche sul piano culturale.

Come si esercitava questa funzione, visto che l’Italia, a differenza di numerosi altri Stati europei, nel dopoguerra per diversi decenni non si è dotata di un ministero per gli affari culturali? La politica culturale è stata esercitata dalla presidenza del consiglio, dal ministero della pubblica istruzione e dal ministero per il turismo e lo spettacolo; competenze più marginali, ma pure presenti, sono state attribuite al ministero per gli affari esteri, a quello per gli interni, delle poste e telecomunicazioni e delle partecipazioni statali.

La presidenza del consiglio si occupava di stampa, editoria, tutela del diritto d’autore, diffusione del libro e del disco. Il ministero della pubblica istruzione si occupava di formazione a vari livelli, di centri di lettura; e poi includeva al suo interno la direzione generale delle antichità e belle arti, la direzione generale accademie, biblioteche e diffusione della cultura; la direzione generale degli scambi culturali. Il ministero di turismo e spettacolo includeva la direzione generale dello spettacolo, che decideva i sostegni pubblici al cinema, al teatro, alla musica; da questo dipendevano anche l’ETI, Ente Teatrale Italiano, e il Centro Sperimentale di Cinematografia.

È importante, per cogliere la funzione principale della politica culturale di uno Stato, precisare cosa sono i “beni culturali”, che lo Stato deve appunto tutelare, conservare, rendere fruibili per la collettività dei suoi cittadini. Una definizione ce la fornisce una commissione parlamentare d’indagine per la tutela e valorizzazione del patrimonio storico, archeologico, artistico e del paesaggio, nota come commissione Franceschini. Nella relazione conclusiva dei suoi lavori, presentata nel 1966, la commissione definisce

ambientale, archivistico ed ogni altro bene che costituisca testimonianza materiale avente valore di civiltà. Pertanto sono beni culturali le cose mobili ed immobili di singolare pregio, rarità o rappresentatività, aventi relazione alla storia culturale dell’umanità. I beni culturali sono beni demaniali; i beni culturali appartenenti a soggetti diversi dallo Stato sottostanno al medesimo regime, che è quello stabilito dalla legge e che comporta l’assoggettamento a disposizioni che ne limitano la facoltà di godimento”(3).

È col primo governo Prodi, nel 1996, che si istituisce in Italia il ministro per la cultura. Le sue competenze raccolgono e riuniscono quelle relative allo spettacolo e quelle relative ai beni culturali. In questa opera di razionalizzazione, beni artistici e patrimonio storico nazionale si accostano, nell’unità ministeriale, allo spettacolo, che per lungo tempo era invece stato legato al turismo. Il decreto legislativo n. 368 del 20 ottobre 1998, poi, istituisce il “ministero per i beni e le attività culturali”, che assorbe il dipartimento dello spettacolo che era stato costituito presso la presidenza del consiglio dei ministri (nel 1993 un referendum popolare aveva abrogato il ministero per il turismo e lo spettacolo, sì che le competenze turistiche passavano alle Regioni, mentre quelle relative allo spettacolo restavano centralizzate con la costituzione di questo dipartimento).

Altra questione alquanto complessa è la distribuzione delle competenze fra Stato centrale ed enti locali. Con la legge 203 del 29 marzo 1995, il parlamento afferma il principio di unitarietà della cultura, ed enuncia il principio del “concorso”, della concertazione della politica culturale fra soggetti istituzionali. La legge Bassanini del 1997 intendeva distribuire i compiti fra Stato, Regioni, Province e Comuni, ma necessitava di provvedimenti attuativi. È invece arrivata, nel 2001, la riforma del titolo V della costituzione, che all’art. 3 prevede che “sono materia di legislazione concorrente…la valorizzazione dei beni culturali e ambientali e la

promozione e organizzazione di attività culturali”; ed ancora che “nelle materie di legislazione concorrente spetta alle regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato”. Il nuovo testo prevede pure che “la potestà regolamentare spetta allo Stato nelle materie di legislazione esclusiva, salvo delega alle Regioni. La potestà regolamentare spetta alle Regioni in ogni altra materia” (4).

Gli effetti concreti non sono chiarissimi. Intanto alcune Regioni hanno provveduto ad emanare leggi su materie culturali specifiche, ad esempio sulle attività teatrali, approvate dai consigli regionali su proposta degli assessori alla cultura. Nel frattempo si dipanava la vicenda della riforma della costituzione voluta dal governo di centro-destra, che modifica ancora le determinazioni in materia, e che tuttavia è stata cancellata dal successivo referendum popolare. Non è escluso che sulla materia si torni nuovamente, alla ricerca di una modifica di alcuni articoli della costituzione che sia finalmente condivisa dalla grande maggioranza dello schieramento politico italiano. Intanto la legislazione “concorrente” si estrinseca in una discreta confusione. Le compagnie teatrali chiedono, e talora, ottengono, finanziamenti per le stesse attività sia dal ministero che dalla regione. Ma, se qualcuno provvisoriamente “gode”, la mancanza di una equilibrata organizzazione complessiva e il costante ridimensionamento delle risorse pubbliche disponibili per la cultura e per lo spettacolo determinano una sostanziale staticità del settore e la frustrazione delle strutture di più recente costituzione, che stentano a trovare spazi e incentivi per la loro attività.

Note

1: J. Rovan, La programmazione culturale in Francia. Prospettive e limiti, in G. Bechelloni (a cura di), Politica culturale? Studi, materiali, ipotesi, Bologna, 1970, p. 146.

2: Ivi, p. 147.

3: cfr. c. Bodo, L’intervento dello Stato nell’organizzazione della cultura in Italia, in G. Bechelloni (a cura di), Politica culturale? Studi, materiali, ipotesi, cit., p. 175 ss.

CAPITOLO II

LA CULTURA COME TRADIZIONE, PRODOTTO, EVENTO

2.2.1 POLITICHE CULTURALI