• Non ci sono risultati.

A TTO III (1931)

II. 3 L A CONCEZIONE ESTETICA DEL « SUONO VENEZIANO »

Non è cosa semplice per noi, ascoltatori del 2015 con alle spalle settant’anni e più di registrazioni vivaldiane, provare oggi ad immaginare la reazione e la novità all’ascolto di questo innovativo «suono veneziano», ovvero dello stile esecutivo di Ephrikian. Stando alle testimonianze dirette, è indubbio che il suo disvelamento suscitò una forte reazione nel pubblico; qualcosa di paragonabile all’effetto di una musica mai udita prima, come avviene talvolta all’ascolto di una composizione contemporanea. L’emozione delle prime esecuzioni vivaldiane, ad esempio, trapela nel ricordo di uno dei giovani copisti dell’Istituto, Gianfranco

45 A. EPHRIKIAN, Il suono veneziano, cit., pp. 32-33.

74

Ferrara, che nei primi anni lavorava presso la casa-laboratorio di Ephrikian – vera fucina delle edizioni vivaldiane – sempre sotto la supervisione del direttore trevigiano; e il ricordo della ‘prima’ alla Fenice si rapprende intorno a quella particolare qualità sonora dell’orchestra veneziana, quel «culto del suono goduto anche edonisticamente», «il colore», ricorda Ferrara, «quale verità per un musicista [Vivaldi] le cui idee si nutrirono di queste sensazioni e per le quali il colore strumentale costituisce elemento sostanziale delle sue creazioni»; ed anzi, aggiunge: «tolto il colore a questa sostanza così carnale, corporea le idee in alcuni casi in Vivaldi si riducono a puri scheletri».47 Ha invece del clamoroso la reazione

dimostrata di Malipiero, stando a quanto riportato da Jean-Pierre Demoulin e da Roger-Claude Travers in varie sedi: «nella mia vita ho avuto tre grandi emozioni»,48 amava ripetere il compositore veneziano, «l’esecuzione della Sagra

della Primavera nel 1913, la formidabile esecuzione del “Tristano” sotto la direzione di Guarnieri, e il primo concerto di Vivaldi diretto da Angelo Ephrikian a Venezia nel 1947… perché per la prima volta si ascoltava il vero Vivaldi».49 Fu

davvero qualcosa di paragonabile allo choc di un concert-scandale.

Volendo ora approfondire la concezione interpretativa di Ephrikian, al di là delle penetranti e suggestive parole sul «suono veneziano» – le quali senza dubbio creano un orizzonte di attesa rivolto alla dimensione timbrico-spaziale della musica – vi è un utilissimo strumento di ricerca, ed è l’interazione tra le edizioni delle opere approntate da Ephrikian e la registrazione delle medesime effettuate all’epoca con l’Orchestra della Scuola Veneziana e l’Orchestra del Teatro alla Scala. Si innesca in questo modo un moto circolare di rimandi, dislocazioni e inferenze di senso, fra il tipo di scelte adottate nella presentazione di un testo e il momento della loro esecuzione che, come si vedrà (e in misura maggiore) nel caso di Maderna, identifica anche l’istanza fondante un discorso sulla trascrizione e, più in generale, sull’interpretazione in senso lato di un’opera del passato. Nelle prossime pagine si vedrà come, nel caso dei due direttori-compositori, e limitatamente ad alcuni esempi specifici della cosiddetta musica antica, quel che si intende normalmente come il passaggio alla concertazione altro non è che operazione propriamente di scrittura – seppur non sempre rigorosamente formalizzata e codificata (e quindi facilmente discernibile) – ovvero di fissazione di un dato testo in base a determinati principi di poetica. Si rinsalda qui il legame con il tema generale di questo capitolo, già visto all’opera nel caso di Malipiero, seppur dalla prospettiva di un compositore che non dirige e quindi non concerta: l’idea di un approccio alla musica del passato che non distingue fattivamente tra il momento interpretativo in sé e quello più propriamente creativo, ma che è tutto teso, per contro, a vivificare come opera quel che in origine risulta essere mero

47 GIANFRANCO FERRARA,In memoriam Angeli Ephrikian, in Angelo Ephrikian e la riscoperta vivaldiana,

cit., pp. 59-66: 60.

48 R.-C.TRAVERS, Entretien avec Angelo Ephrikian, cit., p. 49 («J’ai eu trois émotions dans ma vie»). 49 J.-P.DEMOULIN, Angelo Ephrikian e gli amici de «le Cercle Vivaldi de Belgique», in Ricordo di Angelo

Ephrikian, cit., pp. 26-27. La «formidabile esecuzione» di Antonio Guarnieri, citata dal compositore, era

avvenuta nel 1909; allora il ventisettenne Malipiero poté ascoltare, verosimilmente per la prima volta, la musica del capolavoro wagneriano nella sua prima esecuzione a Venezia.

75

documento del passato, rimanendo fedele, non al testo, ma al «pensiero» dell’autore; donde un approccio rivolto in maniera molto concreta ed esclusiva all’esecuzione e alla performance accordata al presente.

Riguardo all’esecuzione della musica strumentale di Vivaldi, sono in tutto tre i dischi, monoaurali e a trentatré giri, che contengono registrazioni di Ephrikian degli anni Quaranta e Cinquanta: un disco miscellaneo del 1951 dell’etichetta Period, un secondo del 1953 dell’americana Colosseum, anch’esso miscellaneo, che ripubblica su un solo supporto i tre 78 giri Durium del 1948 con l’Orchestra della Scala; e infine un terzo disco del 1953 dell’americana Stradivari, interamente dedicato a concerti «con molti strumenti».50 Essi comprendono nove

concerti di Vivaldi, tutti incisi per la prima volta su disco e tutti naturalmente eseguiti sulle edizioni Ricordi; tra questi, cinque trascritti da Ephrikian dai manoscritti conservati presso le Raccolte Foà-Giordano di Torino (si faccia riferimento a questo elenco per le successive citazioni dei dischi e delle edizioni a stampa, che da ora si riterranno implicite):

1. PERIOD SPLP 514 (1951), solo lato A

1) Concerto in Sol min. per archi e cemb. RV 155 (F. XI n. 6) 7’50’’

Ediz. a cura di G. F. Malipiero, Milano 1947 (Tomo 11)

2) Concerto in Do min. per 2 vni, archi e cemb. RV 510 (F. I n. 14) 8’43’’

Ediz. a cura di G. F. Malipiero, Milano 1949 (Tomo 60)

Orchestra della Scuola Veneziana,51 Angelo Ephrikian

2. COLOSSEUM CLPS 1029 (1953; registrazione: 1948), solo lato A

1) Concerto in Do magg. ‘Per la Solennità di S. Lorenzo’ per 2 fl., 2 ob., 2 cl., 2 vni, 12’50’’ archi e cemb. RV 556 (F. XII n. 14)

Ediz. a cura di A. Ephrikian, Milano 1949 (Tomo 54)

2) Concerto in Si bem. magg. ‘La notte’ per fg., archi e cemb. RV 501 (F. VIII n. 1) 10’50’’

Ediz. a cura di A. Ephrikian, Milano 1947 (Tomo 12)

3) Sinfonia in Si min. per archi ‘Al Santo Sepolcro’ RV 169 (F. XI n. 7) 6’35’’

Ediz. a cura di A. Fanna, Milano 1947 (Tomo 22)

Aldo Montanari, fagotto

Orchestra del Teatro alla Scala, Angelo Ephrikian

3. STRADIVARI STR 621 (1953; registrazione: 1952)

1) Concerto in Sol min. ‘La notte’ per fl., fg., archi e cemb. RV 104 (F. XII n. 5) 10’29’’

Ediz. a cura di A. Ephrikian, Milano 1948 (Tomo 33)

50 Si rimanda al già citato contributo di R.-C.TRAVERS, 3ème période: Le temps du «monauraul», cit., pp.

23, 32, 37 (dal quale sono tratte queste e le successive informazioni sulla discografia) per la precisazione di altri dettagli tecnici e la segnalazione di ulteriori ristampe. Cfr. n. 2 del presente capitolo.

51 Riguardo al disco Period del 1951, sulla cui copertina compare il nome di Angelo Ephrikian

accanto a quello della Litschauer Kammerorchester Wien, valga la testimonianza diretta di Travers, per cui l’orchestra in questione «n’est pas le Litschauer Kammerorchester Wien, comme mentionné sur le disque, mais son ensemble de la Scuola Veneziana (précision donnée à ma demande par Angelo Ephrikian en 1979)»; cit. Ibidem, p. 23.

76

2) Concerto in Si bem. magg. ‘Funebre’ per ob., salmoè, vno, 2 vle, vc., archi 11’40’’ e cemb. RV 579 (F. XII n. 12)

Ediz. a cura di A. Ephrikian, Milano 1949 (Tomo 51)

3) Concerto in Do magg. per 2 fl., ob., salmoè, 2 trb., 3 vni, 2 vle, 2 vc., 2 cemb. 9’58’’ e archi RV 555 (F. XII n. 23)

Ediz. a cura di G. F Malipiero, Milano 1952 (Tomo 142)

4) Concerto in Fa magg. per 2 ob., fg., 2 cor., vno, archi e cemb. RV 569 (F. XII n. 10) 14’56’’

Ediz. a cura di A. Ephrikian, Milano 1948 (Tomo 43)

Guido Novello, flauto – Remo Fantuzzi, violino

Orchestra del Scuola Veneziana, Angelo Ephrikian

Prima di impegnarci in mirati confronti tra partiture e registrazioni, come è stato proposto sopra – e ancor prima di tematizzare il problema della trascrizione – si rende necessario premettere (almeno) due riflessioni di rilievo generale, cui va aggiunta una piccola digressione integrativa:

1. v’è subito un elemento da rilevare (seppur di palese derivazione statistica), ed è una caratteristica evidente del primo Ephrikian. Il dato della discografia conferma la fedeltà ad un canone di titoli vivaldiani tutto sommato stabile e poco variato (in larga parte di opere curate da lui stesso), che è sempre ricorrente dalla ‘prima’ storica alla Fenice alle tre serate alla Scala, dal ciclo dell’Ora vivaldiana finanche ai primi concerti con l’Orchestra Italiana da Camera negli anni Cinquanta:52 si tratta circa di una ventina scarsa di concerti, tutti

appartenenti alle prime tre serie Ricordi (si tace qui di proposito il discorso sulla musicale vocale).

2. V’è poi un filo rosso che lega idealmente gli eventi principali del ‘biennio ephrikiano’ 1947-1949 sopracitati e questa breve rassegna discografica, ed è una predilezione dei concerti cosiddetti «con molti strumenti» (coincidenti in larga parte con quelli della serie XII del catalogo Fanna) rispetto a quelli solistici, pur all’interno di un ideale esecutivo che, già dalle prime manifestazioni del 1947, viene speso a favore di un’esplorazione di tutti i generi musicali della produzione vivaldiana – si ricordi la breve nota di Ephrikian per l’Autunno Musicale Veneziano del 1947, poi riproposta alla Scala nel ’48. (Un’ipotesi del genere, peraltro, viene avvalorata anche dal riscontro sulle edizioni approntate da Ephrikian: delle ventinove partiture curate dal direttore in quel biennio, dieci possono dirsi «concerti con molti strumenti», percentuale assai maggiore di qualunque altro genere affrontato.)53 La predilezione di Ephrikian, già nella scelta

52 Si vedano ad esempio alcuni tra i primissimi concerti di Ephrikian con la suddetta orchestra

trasmessi dalla RAI: «Radiocorriere», XXXII, n. 4, 23-29 gennaio 1955, p. 23; «Radiocorriere», XXXII, n. 29, 17-23 luglio 1955, p. 21.

53 Come risulta dal catalogo Fanna, curati da Ephrikian tra il 1947 e il 1949 sono otto «concerti per

complessi vari» (F. XII nn. 1, 2, 3, 5, 10, 11, 12, 14), due «concerti per violino con altri archi solisti» (F. IV nn. 1 e 2), cui si fa riferimento sopra. Seguono poi sei concerti per violino (F. I nn. 1, 2, 6, 7, 9, 10), cinque concerti per archi (F. XI nn. 1, 2, 4, 5, 10), tre concerti per fagotto (F. VIII nn. 1, 2, 3), due concerti per oboe (F. VII nn. 1, 2), un solo concerto per flauto (F. VI n. 1), uno per violoncello (F. III n. 1) e una

77

del repertorio, si orienta dunque verso partiture in cui possa sperimentarsi un’abbondante varietà di timbri e colori orchestrali, e un certo contrasto nel dialogo tra i soli strumentali. Sorprende rilevare come questo interesse risulti di fatto un unicum nell’intero mercato discografico mondiale degli anni 1948-1955, in mezzo a quella varietà, pur ricca e differenziata, di titoli e opere vivaldiane tipiche dell’epoca che precede il boom delle Quattro stagioni. Dati alla mano, in quegli anni un disco tutto dedicato a «concerti con molti strumenti», peraltro con musica mai incisa come quello edito da Stradivari Records nel 1953, non ha termine di paragone alcuno, e le frequentazioni del genere concertistico in questione rimangono certo sporadiche e occasionali – e relegate perlopiù al solo titolo del concerto RV 577 ‘Per l’orchestra di Dresda’ – al confronto invece con la larghissima mole delle registrazioni di concerti per strumento solista, in particolare quelli per violino solo e orchestra.54

Volendo ora trarne spunto per compiere una breve digressione, non si esagera se si vorrà scorgere qui una volontà programmatica, fondata su un’incipiente quanto innovativa sensibilità nei confronti del mezzo discografico: la capacità di intendere il disco (e la discografia), non come semplice supporto atto alla compilazione di opere incise, ma come progettazione artistica, al servizio di un preciso orientamento editoriale e poetico.55 Questa coscienza, qui soltanto

espressa in nuce, verrà sviluppata da Ephrikian pochi anni più tardi, durante l’esperienza alla direzione dell’Arcophon (1963-1972), in largo anticipo sulle consuetudini dell’epoca (soprattutto se riferita al mercato della cosiddetta “musica classica”). In quella sede il direttore si renderà capace di attendere a tutte le fasi di progettazione e realizzazione dei dischi, dalla trascrizione dei manoscritti musicali alla microfonatura dell’orchestra – «perché soltanto [il direttore] sa cosa vuole e nessun altro può saperlo»56 – fino al montaggio e alla correzione dei nastri

registrati e addirittura alla scelta delle copertine per i vinili, riproponendo il «sonata per complessi vari» (F. XVI n. 2). Cfr. Opere strumentali di Antonio Vivaldi (1678-1741): catalogo numerico tematico secondo la catalogazione Fanna, cit.

54 Tale consapevolezza traspare, si direbbe, dalle stesse note di copertina del disco Stradivari STR

621, scritte anonime, dove si afferma che «the four works presented here are among that 550 sonatas, symphonies and concertos which lay unpublished and, to all intents and purposes, buried in several library collections following the musical eclipse that the immensely popular Vivaldi suffered directly after his death. […] Vivaldi’s achievements in other fields have still to be plumped, but each new concerto that is unearthed adds to the impressive total of advances he made beyond his predecessors in the concerto form. His concertos may be divided into two groups, the concerti grossi where the tutti are balanced against a varying number of solo instruments, and the concerti with a single solo instrument. Towards the end of his life, concerti grossi, with their polyphonic textures, were habitually considered church works while the solo concertos with homophonic writing based on the operatic style, were thought to be for popular enjoyment and secular performance. Many of Vivaldi’s concerti grossi which he designated concerti ripieni or

concerti per archi, are really forerunners of the modern symphony, while the solo concerti, with their single

mood, free imaginative play, and virtuoso solo instruments, lead directly into the modern concerto».

55 Come già intuiva felicemente Dal Fabbro, per Ephrikian «il disco non è un mezzo per comunicare

la musica, ma la comunicazione stessa, ossia la musica, in un concetto totale d’interpretazione di cui fanno parte in eguale misura i propositi filologici e storici, tecnici ed espressivi, di rivelazione e di proposta»; cit in BENIAMINO DAL FABBRO, Discografia come interpretazione, in Ricordo di A. Ephrikian, cit., pp. 16-18: 16.

56 Cit. in GIANNA ROSSI, Una bottega di musica al servizio della cultura, «Radiocorriere», XLV, n. 46, 10-16

78

medesimo ideale di produzione da bottega che aveva acceso in origine il fuoco della riscoperta vivaldiana (in particolare la fruttuosa interazione tra l’attività dell’Istituto Vivaldi e l’Orchestra della Scuola Veneziana). Come precisa lo stesso Ephrikian, la programmazione di una pubblicazione discografica «è anzitutto un fatto di cultura, evidentemente non disgiunto dalla sua soluzione commerciale», e va sempre posto «in relazione al materiale musicologico che riusciamo a reperire. […] Il punto di partenza è quasi sempre l’intenzione di esplorare una regione oscura nell’opera musicale di un determinato autore».57 E a proposito della fase

del montaggio dei nastri, è lo stesso Ephrikian che richiama la propria autorialità dichiarando: «soltanto io mi ritengo autorizzato a scegliere, a giudicare qual è la parte migliore di quanto ho fatto».58 Il disco è dunque un progetto culturale nel

quale giunge a compimento un certo ideale estetico, che si concretizza in tutte le fasi della sua realizzazione e che trova la propria ragion d’essere nella resa acustico-sonora di una determinata opera. Se questo, come si vede, contraddistingue il pensiero di Ephrikian degli anni Sessanta, è certo perché attecchisce su una terreno già adeguatamente dissodato dalla sperimentazione sul timbro orchestrale intrapresa alla fine degli anni Quaranta e negli Cinquanta e, giocoforza, dall’esplorazione pionieristica di tanta musica inedita e mai eseguita, come quella vivaldiana, all’epoca vera «regione oscura».

Dopo questi primi rilievi di impianto generale, occorre ora introdurre due elementi dello stile esecutivo del direttore trevigiano, i quali lo avvicinano di molto al pensiero di Malipiero come è stato presentato nelle pagine precedenti (§ I. 3). Nella concezione interpretativa di Ephrikian rimane forte il rifiuto di ogni pratica improvvisativa, specie nella realizzazione del continuo, e per contro v’è il convincimento di affidarsi a una parte strumentali interamente scritta e realizzata, sempre affidata al clavicembalo e, al massimo, raddoppiata al grave da un violoncello solo. Il clavicembalo, anzi, «ha funzione di puro colore armonico», precisa il direttore, e «[nell’edizione delle opere] ne è stato escluso ogni atteggiamento contrappuntistico che assolutamente nulla può aggiungere (ma molto può togliere) alla sublime chiarezza del pensiero vivaldiano».59

In secondo luogo resta ferma in lui l’opposizione all’introduzione degli strumenti antichi in orchestra, così come v’è il rigetto di una Aufführungspraxis storicamente informata. Un esempio essenziale di questa concezione si ha in una noticina, posta da Ephrikian a piè di pagina all’inizio del secondo movimento, Largo e cantabile, del concerto RV 556 ‘Per la solennità di San Lorenzo’ (registrato, si ricordi, nel 1948 per i dischi Durium):

Di fronte alle prime battute di questo “Largo” si trova la seguente nota: “Clarini solo e arpeggio con il Leuto – Un Violoncello – Un Violino pizzicato – Tutti il Basso.” Si tratta probabilmente di una indicazione dello

57 Ivi. Si veda anche oltre, sempre lo stesso: «dopo la scoperta, incomincia il lavoro musicologico: si

trascrive il manoscritto, si commenta, se ne predispone il materiale, e poi finalmente si passa all’esecuzione. Fra la predisposizione del materiale e l’esecuzione, molto spesso c’è un lungo e sfibrante periodo di studio».

58 Ivi.

79

strumentale che si riferiva ad una qualche occasionale esecuzione in forma inconsueta.60

Inappuntabile, e senz’altro degno dei migliori escamotage sofistici di Malipiero visti in precedenza. Ancor più dirimente appare la nota introduttiva al concerto RV 579 ‘Funebre’, inciso poi nel 1952, dove un inconsueto organico concertante di salmoè e tre viole all’inglese viene sostituito «per evidenti ragioni timbriche» da un moderno corno inglese e da un trio d’archi formato da due viole e un violoncello: con buona pace delle viole antiche, «non rimane, oggi, che sostituirle».61

Veniamo ora al discorso sulla trascrizione e prendiamo ad esempio i cinque concerti editi a cura da Ephrikian, di cui il direttore ha effettuato una registrazione (RV 104 ‘La notte’, RV 501 ‘La notte’, Rv 556 ‘Per la solennità di S. Lorenzo’, RV 569, RV 579 ‘Funebre’).

L’ascolto delle incisioni completa il significato delle trascrizioni effettuate, collegando ogni segno della partitura alla sua realizzazione sonora, e soprattutto permette di verificare quest’aderenza all’interno di un’operazione di recupero condotta, in tutte le sue fasi, da un’unica e sola autorialità. Non va dimenticato che il fine ultimo dell’operazione di Ephrikian è la restituzione di un suono orchestrale inaudito, definito quasi miticamente «il suono veneziano», quale avrebbe impressionato Rousseau e De Brosses e come si può interpretare dai documenti esistenti – è dunque operazione di recupero tutta concentrata sull’emancipazione, o meglio, sulla (re)invenzione di una certa qualità acustica- sonora della musica vivaldiana. Ephrikian stesso ce ne fornisce prova affermando che la musica di Vivaldi è «un’onda sempre rinnovata di invenzioni sonore», come citavamo all’inizio del paragrafo, e che «la vita delle sue partiture è nel suono, che il suono vi opera prodigiosamente dal di dentro, che solo la luce del suono ne rivela l’autentica struttura». Si capisce dunque come, in questo orizzonte poetico, il momento della concertazione sia fondante l’essenza stessa dell’opera, e coincida con quel principio di vivificazione ricercato al pari da Malipiero nelle sue trascrizioni, e al contempo oggettivato nei suoi scritti.

Lo scarto, per così dire, rispetto al pensiero di Malipiero, è che il testo licenziato da Ephrikian per tutti e cinque i concerti in questione può essere senz’altro inteso come la sua personale concertazione delle opere (si inizi a vedere fig. 1); concertazione che all’ascolto risuona in maniera del tutto aderente ai minimi dettagli del testo stampato, e che per necessità si presenta adeguata ai criteri editoriali della serie Ricordi, dunque quale integrazione del direttore al testo tràdito. È questo lo spazio di libertà in cui si muove Ephrikian. Giova il fatto che le edizioni a stampa, in tutti e cinque i concerti sopraindicati, siano state pubblicate in un momento successivo alla loro prima esecuzione in concerto, dunque a seguito di un periodo di messa a punto e di fissazione dei dettagli, come è lecito ritenere (l’edizione di RV 556 ‘Per la solennità di S. Lorenzo’, che è del 1949, è addirittura successiva alla pubblicazione del 78 giri Durium del 1948, in cui è

60 A.VIVALDI,Concerto in Do magg. F. XII n. 14 [RV 556] ‘Per la solennità di S. Lorenzo’, cit., p. 42. 61 ID.,Concerto in Si bemolle magg. F. XII n. 12 [RV 579] ‘Funebre’, cit.

80

incisa per la prima volta. La stessa modalità, peraltro, si verifica anche negli anni Sessanta rispetto alle edizioni delle opp. IV e XII di Vivaldi, pubblicate solo in seguito all’incisione Arcophon, come s’è detto).

Non pare rilevante distinguere in questi casi, anche solo in maniera astratta, tra un ipotetico segno del trascrittore e quello dell’esecutore-concertatore, dal momento che le due figure coincidono nella stessa persona; e d’altronde una tale distinzione non è esprimibile se si considerano le finalità ultime dell’operazione intrapresa, rivolte all’emancipazione di una determinata sonorità orchestrale (riassumibile nella formula del «suono veneziano») – e beninteso, non come operazione mentale, ma come obiettivo da conseguire nella performance. Del resto,