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A TTO III (1931)

III. 2 L A POSIZIONE STORICA DI M ADERNA INTERPRETE

Provando ora a collocare la posizione di Maderna, fin qui ritratta, sullo sfondo storico delle teorie dell’interpretazione del secondo dopoguerra (soprattutto del primo decennio 1945-1955, e con particolare riferimento all’esperienza di Darmstadt), si notano subito alcune peculiarità che la contraddistinguono nell’alveo di quella tendenza estetica generalizzata (pur certo internamente differenziata) di un movimento verso l’oggettività e di una concomitante tensione verso la riduzione della presenza del soggetto interpretante.53 S’apre qui lo spazio di una breve riflessione.

51 Colloquio inedito con Bruno Maderna, cit., pp. 67-68.

52 B.MADERNA, «La révolution dans la continuité», in Bruno Maderna – Heinz Holliger, cit., p. 36.

53 Cfr. SIEGFRIED MAUSER, Tendenzen nach 1945, in Musikalische Interpretation, hrsg. von Hermann

Danuser, Laaber Verlag, Laaber 1997 («Neues Handbuch der Musikwissenschaft», 11), pp. 415-423 («eine Interpretationsästhetik, die auf radikale Weise möglichst alle Anteile mitgestaltender Subjektivität ausmerzen trachtete. Die systematisch entfaltete Omnipräsenz kompositionstechnischer Strukturen führte – ganz in der Tradition aktualisierenden Interpretationsanspruchs – zur weitgehenden Eliminierung des ausführenden Subjekts bzw. zur Etablierung eines Begriffs von musikalischer Ausführung, der sich am Maßnahmen objektiver Dekodierung orientierte»; Ivi, p. 415). Sul medesimo argomento cfr. Im Zenit der

Moderne, cit., bd. 2, pp. 149-165 (§ Interpretationsästhetischer Paradigmenwechsel); Neue Musik und Interpretation,

fünf Kongreßbeiträge, hrsg. von Hermann Danuser und Siegfried Mauser, Mainz, Schott 1994 («Veröffentlichungen des Instituts für Neue Musik und Musikerziehung Darmstadt», bd. 35);

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Prima di addentrarci nei dettagli del caso, è bene anzitutto precisare che tale assunto, tanto nella teoria54 quanto nella pratica esecutiva,55 a Darmstadt non è

mai coinciso con l’idea utopica di una soppressione o eliminazione della figura dell’interprete; piuttosto con la rappresentazione di un variabilissimo intreccio di relazioni con il testo musicale,56 attivo nella contemporaneità tanto quanto nelle

epoche precedenti. All’inizio degli anni Cinquanta, quel che tende a razionalizzarsi è semmai l’organizzazione interna dell’opera, che nel processo compositivo si precisa, si «oggettiva» come la somma (o la sottrazione) di campi di possibilità, di virtualità latenti, percorribili sempre secondo le operazioni di una logica razionale. (Boulez nel 1954 parlava per l’appunto dell’opera musicale «non più architetturata, ma intrecciata»).57 A questo processo corrisponde nondimeno,

sul fronte della notazione musicale, un aumento, un’intensificazione della discretizzazione testuale, ovvero una maggiore possibilità di codifica di tutti quei parametri che non siano l’altezza e la durata. Per contro, all’organizzazione dell’opera si contrappone l’attività umana, ove risiede invece quel coefficiente di irrazionalità e di imprevedibilità – la «sorpresa»,58 come la definisce Boulez – che

contraddistingue l’attività di composizione come quella di interpretazione. Tali operazioni risultano sempre basate su scelte di tipo soggettivo.

54 Su questo, si veda ad esempio la seguente progressione di saggi di Boulez (1954, 1957 e 1963-

1980), rispettivamente: 1. PIERRE BOULEZ, «…Vicino e lontano», in ID., Note di apprendistato, Einaudi, Torino

1968, pp. 165-181 («L’opera si limita dunque a una specie di brandello probabile fra tanti altri brandelli; e quel che si è creduto “oggettivo” ed esente da qualsiasi responsabilità del compositore, in definitiva non è che la più incerta e la meno voluta delle probabilità. / Vediamo al contrario l’opera come una successione di rifiuti in mezzo a tante probabilità; occorre fare una scelta, qui appunto risiede la difficoltà così bene elusa dal desiderio espresso di “oggettività”; Ivi, p. 181); 2. ID., Alea, in ID., Note di apprendistato, cit., pp.

40-53 («è certamente logico ricercare una forma che non si fissi, una forma in evoluzione che si rifiuterà, ribelle, alla propria ripetizione; per tagliar corto, una virtualità. […] La composizione ha il dover di celare a ogni momento una sorpresa e un “beneplacito” nonostante tutta la razionalità che ci si deve imporre peraltro per arrivare a una solidità certa. Ed eccoci dunque, ancora per un’altra via traversa, all’irrazionale»;

Ivi, pp. 44-45); 3. ID., Tempo, notazione e codice, in ID., Punti di riferimento, Einaudi, Torino 1984, pp. 62-68 («Consideriamo dunque la notazione come un mezzo, non come un principio di generazione. Dirò che nell’espressione: struttura trascritta (o figura annotata), il primo termine è generatore, non essendo il secondo che la sua codifica. In nessun caso è possibile prendere la stessa codifica per il messaggio da trasmettere, anche se la codifica possa essere a sua volta considerata come suscettibile di influenzare il messaggio»; Ivi, p. 68). Su argomenti affini spaziano poi (almeno) L.BERIO, La “nuova musicalità”, in ID., Scritti sulla musica (1956), a cura di A. I. De Benedictis, Einaudi, Torino 2013, pp. 7-13, e ID., Aspetti di artigianato formale (1956), ibidem, pp. 237-253; HENRI POUSSEUR, La nuova sensibilità musicale 3, in ID., Scritti, a

cura di Gabriele Bonomo e Luigi Pestalozza, Ricorid-Lim, Milano 2007, pp. 301-314 (ed. or ID., La nuova sensibilità musicale, «Incontri musicali: Quaderni internazionali di musica contemporanea diretti da Luciano

Berio”, n. 2, Suvini Zervboni, Milano, 1958, pp.3-37: 28-37).

55 Si vedano i rilievi di Ulrich Mosch sull’esecuzione dei cicli integrali dei Klavierstücken di

Stockhausen, ad opera di David Tudor (1959), Aloys Kontarsky (1965) e Herbert Heck (1985); o anche l’esempio trattato da Gianmario Borio dell’esecuzione della Phantasy op. 47 di Schönberg effettuata da Rudolf Kolisch e Eduard Steuermann (Darmstadt 1954); cfr. rispettivamente ULRICH MOSCH, Bindung und Freiheit: Zum Verhältnis von Neur Musik und Interpretation, in Neue Musik und Interpretation, cit., pp. 8-15

GIANMARIO BORIO,Analisi ed esecuzione: note sulla teoria dell’interpretazione musicale di Theodor W. Adorno e Rudolf Kolisch, «Philomusica on-line», vol. 2, n. 1, 2003

(<http://riviste.paviauniversitypress.it/index.php/phi/article/view/02-01-SG01/1>).

56 U.MOSCH, Bindung und Freiheit, cit., p. 14 («Darstellen eines “musikalischen Zusammenhangs”»). 57 P.BOULEZ, «…Vicino e lontano», cit., p. 179.

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Il problema dell’oggettività in sé è dunque qualcosa che si direbbe estraneo al concetto stesso di interpretazione. D’altro canto non si può eludere il fatto che termini come «oggettivo» e «oggettività» abbiano una riconosciuta evoluzione e variabilità lessicale all’interno della storia delle teorie dell’interpretazione,59 né si

può sottovalutare l’importanza della componente ideologica e autoreferenziale sottesa a questo tipo di rappresentazione.

La «mitopoiesi» dell’oggettività, ben prima degli anni di Darmstadt, può essere individuata come un tratto identitario di una precisa epoca, ed appartiene soprattutto ai compositori e agli interpreti della prima generazione della modernità musicale – da Stravinskij a Hindemith, da Schönberg60 allo stesso

Malipiero – quale razionale e volontaria presa di distanza dall’estetica della soggettività del romanticismo. Proprio Malipiero, si diceva sopra (§ I. 3), definisce l’esecutore come «un più o meno perfetto apparecchio trasmittente che deve rinunziare alla propria personalità per compiere la missione che gli è stata affidata», constatando però che «purtroppo molti esecutori si ribellano, deformando le opere che interpretano, si illudono di creare. Nasce da questa deformazione quella degli ascoltatori che reagiscono contro la monotonia dei programmi appassionandosi per gli esecutori “originali”». Tale visione si sposa, perlomeno a parole, col principio editoriale della «copiatura», dunque di una restituzione semidiplomatica o semianastatica delle opere di Monteverdi e Vivaldi; una prospettiva del tutto simile domina peraltro il pensiero di Ephrikian, il quale, beninteso sempre a parole, relegava l’attività interpretativa quasi all’oggettivismo di un’esibizione documentaristica.61

Fatta questa premessa intorno al problema dell’oggettività

nell’interpretazione, possiamo ora approcciare la disamina della posizione di Maderna sul fondale storico del secondo dopoguerra e, in particolare, degli anni di Darmstadt.

59 HERMANN DANUSER, Vortragslehre und Interpretationstheorie, in Musikalische Interpretation, cit., pp. 271-

320; in partic. pp. 272-285 (§ Etappen der Geschichte).

60 Cfr. IGOR STRAVINSKIJ, Poetica della musica, Edizioni Studio Tesi, Pordenone 1987, pp. 89-99

(L’esecuzione); PAUL HINDEMITH, AComposer’s World: Horizons And Limitations, Harvard University Press,

Cambridge (Mass.) 1952, pp. 129-147 (Cap. 7 – Performers), in partic. pp. 132-134 e 143-147; ARNOLD

SCHÖNBERG,Style and Idea, a cura di Leonard Stein, Faber and Faber, London 1975, pp. 319-364 (Part

VII: Performance and Notation); alcuni dei saggi ivi contenuti si leggono in traduzione italiana in ID.,Analisi e pratica musicale, Einaudi, Torino 1974, pp. 44-48 (L’avvenire degli strumenti dell’orchestra), 62-64 (Strumenti musicali meccanici); cfr. anche Ibidem, pp. 13-17 (Problemi dell’insegnamento dell’arte), 30-33 (La partitura semplificata per lo studio e la direzione) 49-50 («Bisogna dirigere la musica da camera?» Risposta ad alcuni punti). Sulla

concezione schönberghiana, cfr. HERMANN DANUSER, La teoria dell’interpretazione musicale di Schönberg, in

Schönberg, a cura di Gianmario Borio, Il Mulino, Bologna 1999, pp. 201-210; MARKUS GRASSL,REINHARD

KAPP, Einleitung, in Die Lehre von der musikalischen Aufführung in der Wiener Schule, Verhandlungen des

Internationalen Colloquiums Wien 1995, hrsg. von M. Grassl und R. Kapp, Böhlau Verlag, Wien 2002 («Wiener Veröffentlichungen zur Musikgeschichte», Bd. 3), pp. XVII-XXXVII.

61 Cfr. supra, § II. 2 :«l’interprete nulla può fare che non debba trovare una giustificazione storica; la

sua fantasia è legata indissolubilmente dalla forza della tradizione, che è conoscenza razionale degli elementi storici in seno ai quali l’opera d’arte ha avuto la sua culla. […] L’atto creativo si giudica con criteri estetici: l’atto interpretativo con criteri storici».

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Per quel che riguarda la teoria dell’interpretazione, l’esperienza darmstadtiana, perlomeno nel decennio 1945-1955, si pone in continuità con la discendenza del pensiero schönberghiano, e il suo più vivido documento è rappresentato dal seminario Neue Musik und Interpretation, tenuto nel 1954 ai corsi estivi da Adorno, Rudolf Kolisch ed Eduard Steuermann. Esso venne articolato su cinque giornate e, a dispetto del titolo, fu rivolto soprattutto a considerazioni di tipo teorico e alla disamina di alcuni problemi relativi all’op. 59 n. 2 di Beethoven e dell’op. 3 di Berg.62

Gli elementi di continuità tra il pensiero di Schönberg e quello dei suoi tre allievi sono significativi, e si fondano su una comune concezione estetica dell’opera musicale: essa appare come la rappresentazione del pensiero musicale dell’autore – dunque della sua volontà – la quale si esplicita e acquisisce senso attraverso la formulazione di nessi logici, razionali e ripercorribili, tra livelli gerarchici di strutturazione interna e molteplici funzioni formali.63 Il contenuto

dell’opera – per esteso anche il suo contenuto per così dire umano – coincide formalisticamente con la rappresentazione del pensiero musicale medesimo, dunque con le operazioni logiche e mentali atte alla sua realizzazione. In tal senso, per Schönberg e i suoi allievi la struttura e il contenuto di una composizione sono dunque elementi «oggettivi», e l’analisi, volta al riconoscimento di quei nessi logici su cui si fonda l’opera, è il presupposto dirimente per una corretta e valida esecuzione.

Adorno acquisisce da Schönberg l’idea dell’interpretazione quale «riproduzione» (Reproduktion) di una struttura coesa e oggettiva,64 dunque

chiarificata attraverso l’analisi: «la vera riproduzione è l’immagine radiografica dell’opera», appunta il filosofo nel 1954, coniando un famoso slogan: «il suo compito è rendere tangibili tutte le relazioni, tutti gli aspetti del nesso musicale, del contrasto, della costruzione che stanno di sotto della superficie – questo mediante l’articolazione del fenomeno sensibile».65

Al contempo v’è in Schönberg e, soprattutto, negli allievi un’apertura verso il problema di tutti quei parametri diversi dall’altezza e la durata, i quali non vengono sottoposti a una rigorosa discrettizzazione notazionale: per il maestro sono «solo un mezzo dell’interpretazione», preposti alla chiarificazione di «ciò che è immutabile ed è stabilito nel rapporto delle altezze con la scansione temporale»66 – ovvero il pensiero musicale – e in virtù di questo status ancillare,

62 Cfr. G. BORIO, Analisi ed esecuzione, cit., p. 3/14.

63 Cfr. RUDOLF STEPHAN, Il pensiero musicale in Schönberg, in Schönberg, cit., pp. 113-127.

64 H. DANUSER, La teoria dell’interpretazione musicale, cit.; cfr. in partic. p. 203, dove si traduce il

seguente frammento schönberghiano, non datato, ma risalente ai primi anni Venti: «Il principio supremo di ogni riproduzione musicale dovrebbe essere: rendere suono ciò che il compositore ha scritto, in modo tale che ogni nota sia veramente ascoltata e che tutti gli eventi, successivi e simultanei, si trovino in un rapporto reciproco tale per cui in nessun momento vi sia una voce che copre le altre, ma al contrario ognuna contribuisca a che tutte le voci si distinguano chiaramente l’una dall’altra» (ed. orig. in A. SCHÖNBERG, For a Treatise on Performance, cit., p. 319).

65 Cit. in G. BORIO, Analisi ed esecuzione, cit., p. 4/14 (ed. orig. THEODOR W.ADORNO, Zu einer Theorie

der musikalischen Reproduktion, hrsg. Von Henri Lonitz, Suhrkamp, Frankfurt am Main 2001, p. 9).

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possono essere suscettibili di «modifiche». Per gli allievi, in particolare per Adorno e Kolisch, si tratta di elementi «para-linguistici», o mimico-gestuali, che sono condizione necessaria dell’interpretazione medesima, in quanto testimoniano di uno strato mimetico implicito nell’opera; essi si combinano, fondendosi in unità, con l’immagine razionalizzata dell’opera, come viene fornita dal lavoro di analisi.67

Raffrontata ora ai paradigmi interpretativi degli anni 1945-1955, la posizione di Maderna appare certo eccentrica, seppur non si possa dire in aperta contrapposizione con le teorie qui brevemente riassunte. Sebbene anch’egli avverta il problema di una dialettica tra oggettività e soggettività (ma posta in termini differenti, quale compresenza di qualità intrinseche derivanti da un medesimo dato notazionale; cfr. infra, § III. 4),68 e su questo probabilmente è

lecito misurare una certa influenza del pensiero interpretativo di Hermann Scherchen,69 permangono alcune significative divergenze, in materia di

interpretazione, rispetto alla genealogia di pensiero viennese-darmstadtiana, qui brevemente riassunta. In questo probabilmente si esalta la caratteristica principale di Maderna musicista: quella di essere, insieme a Boulez, il più noto compositore- direttore della sua generazione.