• Non ci sono risultati.

L’asimmetrica dialettica malipierana di materia-pensiero, ripresa nelle sue intermittenti attestazioni all’interno degli scritti del compositore, descrive così un orizzonte teorico che fortifica e giustifica le moltissime opere di recupero e salvataggio tentate e condotte in porto da Malipiero; offre dunque un fondamento alla sua particolare sensibilità di rapportarsi alla musica del passato.

Tale fondamento, pur nella scomposta e tipica asistematicità dell’autore, apre ad una prospettiva che è senz’altro di tipo interpretativo, laddove l’attenzione verso l’opera del passato è rivolta alla comprensione del significato del suo «pensiero» (o l’«intuizione»), piuttosto che alla studio dei mezzi della sua rappresentazione (la «materia»), la quale, come s’è visto, coincide in senso lato con l’idea di notazione e scrittura. I suoi assunti di base, per così dire, possono essere qui riassunti in tre punti in progressione:

1. intangibilità del segno grafico autoriale, condotta quasi all’estremo di una sacrale inviolabilità della lezione notata ‘così come appare’ (si ricordino i commenti sulla decifrazione delle stampe monteverdiane e dei manoscritti vivaldiani): inviolabilità dunque del documento testuale;

2. rinvio ad un significato dell’opera che è comunque irreducibile al segno medesimo; dunque il rinvio ad una ulteriorità di senso che è sempre latente – se non addirittura coercizzata – nel documento testuale. Il segno grafico, pur assunto intangibile, viene così declinato in un’accezione negativa, come il limite necessario ma stringente del pensiero (l’esempio del Monteverdi «sinfonista» si interpreta in questa prospettiva);

3. la vivificazione, o meglio, l’attualizzazione del «pensiero» medesimo in accordo al presente, a questo punto resa necessaria come un atto di liberazione (si dirà meglio a breve); vivificazione che è resa possibile soltanto attraverso un atto interpretativo.

Si noterà la palese contraddizione tra punto 1 e punto 3, laddove l’atto interpretativo, legandosi alla scrittura (e dunque facendosi trascrizione), va a disattendere l’assunto, quasi ossessivo in Malipiero, dell’inviolabilità della lezione autoriale. Rinviando al prossimo paragrafo (§ I. 3) lo scioglimento di tale contraddizione, può valer ora la pena avvicinare il particolare metodo malipierano, per così dire, che mette in pratica questa inconciliabile progressione di principi, ed è operativo nei suoi recuperi della musica del passato. La rappresentazione che ne fornisce Malipiero è quella di una bizzarra quanto inverosimile «filologia medianica», mero prodotto del suo intuizionismo, la quale rifugge deliberatamente ogni pretesa di scientificità e la ricerca di una verosimile

24

oggettività: «antepongo alla scienza del critico l’intuizione»,82 scrive rivolgendosi

idealmente ad Alfredo Casella, a proposito dei limiti dell’analisi e dell’interpretazione musicale; e quasi una legge morale appare il suo quindicesimo pensiero, dal libro curato da Gino Scarpa:

ho sempre obbedito a un principio per me indispensabile: ho inesorabilmente scartato e distrutto ciò che era frutto della mia volontà anziché del mio istinto.83

Se da un lato questo avvalora il riferimento alla dialettica dell’intuizionismo sopra abbozzata, dall’altro si accorda, quale dichiarazione di metodo (di pseudo- metodo), all’immagine del proprio operare, fornita ad hoc e reiterata con convinzione da Malipiero per tutto il corso della sua vita: l’idea di un possibile contatto istintuale, di una comunicazione non mediata dalla ragione, tra coscienze musicali diverse e lontane nei secoli. Un accordo dunque fuori dalla scienza e dalla ragione tra ‘intuizioni’ e ‘pensieri’ all’opera, separati nel tempo ma legati da speciali motivi di affinità.84 Si tratta di una posizione istintiva, pervasa

dall’intuizionismo dell’autore e sarcasticamente anti-intelletualistica e anti- storicistica (in quanto ostinatamente antiaccademica, è probabile; e più per il gusto della polemica che per ingenuità); ed anche nutrita di una forte dose di autoironia. Tale visione, vivificata dai guizzi e dalla vena letteraria dell’autore, si declina in un variopinto apparato di immagini e raffigurazioni di vivida icasticità – questa è la sua faccia per così dire pubblica, quale emerge dagli scritti. È tutta una lunga serie di immedesimazioni, incarnazioni e reincarnazioni, contatti medianici e possessioni, che dal primissimo dopoguerra al beffardo Così parlò Claudio Monteverdi (1967) ed oltre,85 risulta in sé coerente e crescente per intensità. Vale la

pena di riportare alcuni brevi stralci – alcuni molto noti e rivolti al caso principale di Monteverdi – i quali possono offrire un’immagine di questo crescendo:

Forse un grande musicista, immedesimandosi nei suoi precursori, potrebbe completare le opere abbandonate a metà, e allora non si avrebbero

82 ID.,Così mi scriveva Alfredo Casella (1913-1946), in ID., Il filo d’Arianna, cit., pp. 159-194: 193. Del

tutto simile per tenore e contenuti, seppur riferito ad un oggetto diverso, risulta: «L’analisi dei concerti vivaldiani non richiede una grande sapienza in chi all’intuizione non voglia anteporre la retorica»; cit. in ID., Antonio Vivaldi: il Prete rosso, cit., p. 26.

83 L’opera di Gian Francesco Malipiero, cit., p. 340. Vale la pena qui rinviare a quel che si discuteva nella

nota 36; in particolare che per Malipiero il musicista «non può rinunziare a quello stato di incoscienza, che essendo stato di grazia, gli dà facoltà di creare suo malgrado, e che non ha nulla a che vedere, o meglio è in contraddizione con ogni specie di sofisma»; cit. L’armonioso labirinto, cit., p. 36.

84 Molto nota, una sorta di rivendicazione di questo operare si trova nel primo paragrafo di Adrian

Willaert, e i suoi discendenti: «Per quanto possa sembrare impossibile, non si può escludere che un

compositore del nostro tempo sia capace di prendersi d’amore per un musicista del passato […] e che riesca ad immaginarne la personalità tanto da riconoscerla persino in certi manoscritti anonimi. L’amore e l’entusiasmo possono, ove esistano veramente, fare di questi e ben altri miracoli»; cfr. ID., Adrian Willaert, e i suoi discendenti, in ID., Il filo d’Arianna, cit., p. 75.

85 Cfr. ANNALISA CIMA, G. F. Malipiero a Venezia, All’insegna del pesce d’oro, Milano 1968 («Occhio

25

più a deplorare né anacronismi, né deformazioni, e si potrebbe invece esultare per la rinascita di qualche capolavoro.86

La trascrizione dei 14 Tomi [delle opere di Monteverdi] è stata una meravigliosa esperienza, uno stimolo molto fecondo e se per quasi dieci anni abbiamo abbandonato l’edizione monteverdiana [tra il 1932 e il 1941, anni di pubblicazione rispettivamente del XIV e XV Tomo] è perché siamo partiti per un lungo viaggio nel mondo misterioso della nostra fantasia […].

Non sappiamo se attribuirlo alla nostra immaginazione o qualche altro indefinibile sentimento, certo è che ci illudiamo di aver ridato alla luce “tutte le opere” di Claudio Monteverdi senza deformarle e senza incontrare difficoltà di interpretazione o dubbi sulla grafia originale perché lo spirito di Claudio Monteverdi ci ha guidati.

Se qualche volta, come pare sia accaduto nelle “sacrae catiuncolae” possiamo aver letto male certi segni convenzionali, non siamo convinti del nostro errore perché, se Monteverdi non ci ha avvertiti vuol dire che egli forse preferisce la nostra apparentemente erronea interpretazione a quella dei falsi eruditi. In questa edizione molto è dovuto a fenomeni medianici, e poi non è detto che per avvicinarsi alla musicologia sia indispensabili di essere negati alla musica.87

Lo spirito di Claudio Monteverdi mi ha guidato sempre, ed oso dire che, se sono caduto in qualche errore involontario, è l’autore che ha voluto correggersi, o impedire ch’io peccassi di superbia annunziando come perfetta la mia edizione.88

Devo confessare un peccato di superbia: mi pare di assistere a un caso di metempsicosi, ma alla rovescia.89

Soltanto la fede e l’entusiasmo possono riuscire a riabilitare, forse per vie medianiche, il singolare fra i geni musicali, difatti ecco un messaggio da me captato:

L’anno 1967 sarà il mio anno, […].

Per rivivere mi è indispensabili la reincarnazione […]. ………

Così parlo Claudio Monteverdi. Questo documento mi ha riempito di gioia, in esso e con esso il divino Claudio mi dà ragione.90

«Così parla un folle, o un gabbamondo, oppure un ‘illuminato’», sorrideva, ma forse non troppo, Guglielmo Barblan.91 E salvo credere ai fantasmi, si tratta

86 ID.,L’orchestra, cit., p. 26. Può essere significativo che il passo citato non si trovi nella prima

redazione del testo, Orchestra e orchestrazione, cit., di tre anni prima (1916-17), considerando il fatto che le prime edizioni di musica antica curate da Malipiero appaiono soltanto nel 1919, sotto l’egida dannunziana dei Classici della musica italiana. Benché riferito ad un confronto in absentia, questo potrebbe dirsi il primo esempio di una sensibilità ‘crescente’.

87 ID., Commiato, in Tutte le opere di Claudio Monteverdi, nuovamente date alla luce da G. Francesco

Malipiero, Nel Vittoriale degli Italiani, Gardone Riviera 1942, Tomo XVI:Musica religiosa, III, p. 525.

88 L’opera di Gian Francesco Malipiero, cit., pp. 274-275. 89 G.F.MALIPIERO, Claudio Monteverdi. Commiato, cit., p. 98.

90 ID., Così parlò Claudio Monteverdi, cit., pp. 12-16 (corsivi dell’autore). Si aggiungano da ultimo anche i

due paragrafetti ‘oracolari’ tratti dai Pensieri, in ID., Il filo d’Arianna, p. 281.

26

evidentemente di boutades che oggi possono solo far divertire;92 a meno che non le

si consideri come un mascheramento, orchestrato da Malipiero, e perpetrato ai danni dei suoi detrattori per farsi beffa di loro, e mistificare le proprie idee.

Ora, al di là della facciata pubblica dei «fenomeni medianici», e forti dei punti fermi individuati a proposito dell’intuizionismo, possiamo senz’altro avvicinare dal di dentro lo pseudo-metodo malipierano ‘di lavoro’, quel suo metodo interpretativo della musica del passato che si produce in così tante «edizioni» ed «elaborazioni». L’occasione s’offre proprio da quelle bistrattate «interpretazioni deformanti» su cui si indugiava da principio. O per meglio dire, l’occasione s’offre a partire dalle critiche che Malipiero rivolgeva a queste edizioni, fatte da altri – altri che non è mai possibile meglio individuare – commisurando i suoi giudizi negativi (e per contro le sue scelte compiute durante l’opera di trascrizione), all’unica voce o spirito o fantasma che il compositore poteva ascoltare: quella della propria poetica.

I.3 INTORNO ALLE «EDIZIONI» DELLE OPERE DI MONTEVERDI E DI VIVALDI