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Concezioni morali degli agenti rispetto alla persona detenuta e al contesto carcere

6. LA SORVEGLIANZA DINAMICA IN CARCERE TRA RESISTENZA E

6.1. Criteri alla base della differenziazione delle risposte ai cambiamenti

6.1.1. Concezioni morali degli agenti rispetto alla persona detenuta e al contesto carcere

Nel terzo capitolo si è argomentato come l’ esercizio dell’ autorità da parte degli agenti penitenziari avvenga sulla base delle concezioni morali di cui gli agenti sono portatori e che essi incorporano nella loro condotta professionale (Liebling 2011, p. 485). Si è fatto appunto riferimento al carcere come un vero e proprio “contesto morale” (Kauffman 1988). Le risposte alla prima vignetta ( dimensione 1°: la relazione con la persona detenuta), e più in dettaglio, alla domanda: “come giudica il comportamento di una persona detenuta che in questa situazione minaccia di ricorrere all’autolesionismo?” hanno permesso di svelare delle diversità sostanziali tra gli agenti. Alcuni di loro

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tendevano a non esprimere giudizi in merito al comportamento manifestato dalla persona detenuta ritratta nella vignetta, appellandosi alla necessità di disporre di ulteriori elementi per valutare la situazione, il carattere e le intenzioni de personaggi coinvolti.

- Ricercatrice: Come giudichi il comportamento di una persona detenuta che davanti ad una minaccia di ricorrere a pratiche autolesionistiche?

- Sinceramente io sono abituato a non giudicare gli altri. Proprio per una questione… Ripeto posso soltanto dire che il suo gesto… I regolamenti sono regolamenti quindi hanno delle limitazioni… Dinanzi alle limitazioni purtroppo non si può fare niente salvo che il direttore ha l'autonomia, perché si tratta di un detenuto definitivo… Se è diversamente un detenuto giudicabile allora è l'autorità giudiziaria… Può decidere diversamente… Ripeto… Giudicare… Lo giudico una persona che è sofferente. Una persona che in quel momento evidentemente ha bisogno di parlare con qualcuno, che trova nel familiare con cui chiede di parlare quella persona insomma. (B2, Ispettore Capo)

- Ricercatrice: Come giudichi il comportamento di una persona detenuta che davanti ad un no minaccia di ricorrere a pratiche autolesionistiche?

- Bisogna sempre capire la fonte… Perché deve arrivare al autolesionismo… La capacità del buon carattere sta anche nel comprendere, nel farlo parlare e sfogare in qualche modo. Se il detenuto vede da un lato la comprensione sei un po’ come morfina, anche da parte nostra ci dovrebbe essere questa disponibilità, anche perché poi ti ripeto il concetto vivo bene anche io le sei ore se ho questo atteggiamento di cercare di comprendere, non dico fare lo psicologo o l’educatore, ma un minimo di comprensione ci deve essere.

(B1 Ass. Capo)

Allo stesso modo, altri agenti tendevano a giudicare “comprensibile” il comportamento manifestato dalla persona detenuta raffigurata nella vignetta, proprio perché riconducevano la detenzione ad una condizione sostanzialmente dolorosa ed

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estremamente delicata, che lascia spazio ad un ampio ventaglio di comportamenti, strategie di sopravvivenza e adattamento .

- Ricercatrice: come giudica il comportamento di questa persona detenuta che davanti ad un no minaccia di ricorrere a pratiche autolesionistiche? È comprensibile o lo ritiene fuori luogo?

- È comprensibile fino a un certo punto perché io non ho fatto psicologia, non so cosa significa patire una sofferenza forte vivendo una reclusione a stretto regime com'era quella di Monza, sicuramente c'è un discorso di sofferenza che ognuno la vive in maniera personale, c'è chi la supera con più di energia e chi invece si fa soffocare da questa sofferenza e poi la tramuta nei confronti di se stesso sotto forma di violenza. Non so se è classificabile come persone più deboli o meno deboli rispetto ad altri però io credo che questo dipende dal fatto che noi stiamo facendo questo discorso in un contesto detentivo, ma sono discorsi applicabili anche fuori.

(M7, Ass. Capo)

- Ricercatrice: come giudica il comportamento di questa persona detenuta che davanti ad un no minaccia di ricorrere a pratiche autolesionistiche?

- È una reazione. E purtroppo qui dentro succede che reagiscono così, è un modo per farsi sentire, anche se è sbagliato, però è un modo loro per farsi sentire.

(M18, Agente Scelto)

- Ricercatrice: Come giudica il comportamento di questa persona detenuta che davanti ad un no minaccia di ricorrere a pratiche autolesionistiche?

- Ovviamente non è corretto però delle volte posso anche comprendere che loro sono qui rinchiusi e delle volte ci tengono proprio a vedere delle persone, se non riescono a vederle… Non le sto giustificando, però d'altro canto non le sto nemmeno colpevolizzando, cioè posso comprendere che quell'atteggiamento può essere dovuto anche a determinati stati d'animo, siamo in un carcere e non è facile sicuramente.

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- Ricercatrice: Come giudica il comportamento di questa persona detenuta che davanti ad un no minaccia di ricorrere a pratiche autolesionistiche?

- Alla fine è comprensibile perché è in una situazione di privazione della libertà ed è probabile che si arrivi ad uno sconforto anche per un no.

(M5, Agente)

Questi agenti concepivano la natura umana come sostanzialmente complessa, riconoscendo il carattere situazionale, se non contingente, delle scelte e dei comportamenti degli individui. Riprendendo quanto argomentato nel terzo capitolo, essi tendevano a manifestare una concezione “tragica” del mondo (Liebling 2011).

Altri agenti, al contrario, tendevano ad esprimere giudizi sostanzialmente negativi in merito al comportamento manifestato dalla persona detenuta ritratta nelle vignette. Tale comportamento veniva giudicato infatti come inopportuno, sbagliato, talvolta incomprensibile. Tali giudizi venivano espressi sulla base del fatto che, per questi agenti, all’identità del “detenuto” “dovrebbe” corrispondere un comportamento improntato all’obbedienza, alla sottomissione, all’accettazione.

- Ricercatrice: Come giudica il comportamento di questa persona detenuta che davanti ad un no minaccia di ricorrere a pratiche autolesionistiche?

- Ha problemi sicuramente. Non è che alla prima minacci di fare autolesionismo. È un modo per arrivare allo scopo utilizzando il discorso di fare autolesionismo perché tanti usano il discorso dell’ autolesionismo per arrivare ai loro scopi.

(8S, Ass. Capo)

- Ricercatrice: E come dovrebbe comportarsi un agente davanti ad una persona detenuta che…

- (riferendosi alla persona detenuta) Deve stare calma e aspettare se ha possibilità. Perché comunque se ha già definito le ore e la cosa è in più dovresti avere pazienza. - Ricercatrice: E che cosa pensa di un detenuto che davanti ad un no minaccia di

ricorrere a pratiche autolesionistiche? - È sbagliato. Non va bene.

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(2S, Ass. Capo)

- Se il detenuto arriva a minacciare di ricorrere a pratiche autolesionistiche, questa cosa non la condivido perché vuol dire che il detenuto non ha recepito il luogo in cui si trova. Se è abituato fuori a comandare, a dire… Sono problemi suoi.

(B18, Ass. Capo)

- Ricercatrice: Come giudica il comportamento di questa persona detenuta che davanti ad un no minaccia di ricorrere a pratiche autolesionistiche?

- È sbagliato. Secondo me è sbagliato, anche perché non risolve la situazione. Deve cercare di arrivare diversamente… Di spiegare in altri modi le sue motivazioni perché vuole avere le ore di colloquio perché ha esigenze particolari per questo colloquio. Anche se alla fine è tutto fine a se stesso, perché se hai sei ore di colloquio al mese... Quello è quello che hai al mese.

(M14, Assistente)

- Ricercatrice: E come giudica il comportamento del detenuto?

- Un detenuto non dovrebbe neanche chiedere visto che ha già avuto a disposizione la possibilità di fare il colloquio. Quindi dovrebbe dire alla persona cara di tornare quando può farlo.

- Ricercatore: Quindi non è una richiesta che lei giudica legittima?

- No non lo reputo proprio legittimo. Però nel momento in cui lo chiede gli si dà la spiegazione e glielo si fa a capire.

(M3, Ispettore)

- Ricercatrice: E come giudica il comportamento di un uomo che davanti ad un minaccia di ricorrere a pratiche autolesionistiche?

- Se lo devo giudicare io personalmente non lo giudico una persona tanto a posto con la testa perché quello che fa all'interno di un istituto, se sta fuori ne fa di peggio quindi se non riesce ad inserirsi in un contesto in cui gli viene data l'opportunità… Che già hanno un atteggiamento sbagliato all'interno…

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(M11, Ass. capo)

Nelle testimonianze di questi agenti è riscontrabile quel dualismo di fondo di cui Colvin (1977) e Kauffman (1988) hanno reso conto, e che porta a catalogare e ricondurre gli individui entro due classi opposte e ben distinte: quelle dei “buoni” e dei “cattivi”. Riprendendo la classificazione proposta da Liebling (2011), questi agenti sembrano adottare una visione “cinica” della realtà.

Entrambe le modalità, quella “tragica” e quella “cinica”, sono state riscontrate in tutte e tre le carceri analizzate, sebbene con una frequenza significativamente diversa. Mentre tra gli agenti in servizio a Milano – Bollate predominava una concezione “tragica”, a Bari la modalità “cinica” pareva di gran lunga la più frequente, mentre a Sondrio si registrava una divisione quasi simmetrica tra agenti che manifestavano l’uno o l’altra concezione. Non solo. Tendenzialmente, alla modalità “tragica” sembravano corrispondere pareri positivi rispetto alla sorveglianza dinamica, mentre la relazione tra una concezione “cinica” e le risposte ai recenti cambiamenti organizzativi pareva essere meno lineare, sebbene si può affermare che tra i “cinici” fosse più frequente un parere sostanzialmente negativo.

6.1.2. La relazione con gli individui reclusi: le concezioni relative