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6. LA SORVEGLIANZA DINAMICA IN CARCERE TRA RESISTENZA E

6.2. L’influenza delle caratteristiche individuali, della socializzazione e dei fattori

6.2.2. I fattori relativi alla socializzazione

Nel paragrafo precedente si è discusso di come la percezione di ruolo possa essere drammaticamente influenzata dall’anzianità professionale. Come si è visto, a quest’ultima spesso coincideva un processo di socializzazione ad ambienti carcerari particolarmente ostili e violenti. Questo aspetto veniva ulteriormente rafforzato dall’entrata nel Corpo della polizia penitenziaria in luoghi o momenti storici particolarmente difficili. Le cosiddette “war stories” (Crawley 2004) occupano infatti un posto privilegiato nel complesso simbolico della cultura occupazionale degli agenti penitenziari e contribuiscono ad alimentare l’autorevolezza di coloro i quali hanno un’elevata anzianità professionale e hanno prestato servizio in ambienti carcerari particolari. Allo stesso tempo, le “war stories” contribuiscono a demarcare le differenziazione sostanziale nello stile operativo degli agenti con una considerevole anzianità di servizio rispetto agli agenti più giovani professionalmente.

- Io capisco chi arriva da fuori o arriva che ne so da un istituto come Poggioreale ed è abituato dopo venti o venticinque anni che tutti usano abbassare la testa… che oltre all'ora d'aria e alla socialità non c'è niente da fare. Secondo me è anche una forma di paura che ha il poliziotto a vedere detenuto aperto e autonomo, perché se io lo tengo chiuso sono tranquilla e controllo quello che sta facendo e poi c'è comunque un de - mansionamento nostro, non è il mio caso però se io vedo che il detenuto diventa autonomo mi sta togliendo quelle che sono le mie funzioni, mi vedo come se… senza… come se mi avessero espropriato della mia identità.

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- (la seconda vignetta) Mi rispecchia molto. Io ho avuto molta difficoltà ad adattarmi al regime definitivo di Bollate perché comunque arrivando da un istituto tra virgolette tradizionale, a regime chiuso dove le detenute erano chiuse non dico ventitré ore però erano chiuse venti o ventidue ore mi sono trovata spaesata.

- Ricercatrice: Che cosa ha trovato più difficile?

- Proprio il fatto di vedere le detenute girare tranquillamente per il reparto mi ha lasciato… Il non avere tutto sotto controllo, perché ero abituata ad averne in sezione tipo cinquanta. E sapevo esattamente uno per uno dove si trovavano in quel momento. Mentre qua non era possibile perché nonostante io stavo sul piano loro avevano la possibilità di scendere e andare nei laboratori e quindi mi sembrava di aver perso completamente il controllo della situazione. È stato destabilizzante. Non riuscivo ad adattarmi.

(M12, Assistente, donna)

- Io ho trattato i terroristi e quindi dovevo essere in grado di stare al passo e di tenergli testa anche dal punto di vista culturale e quindi ho avuto la capacità di adeguarmi al loro trattamento. Tanto per dirne una quando io stavo a Trani, all'epoca Trani era un istituto che gestiva detenuti terroristi e stiamo parlando dell'85 e dell'86… Un detenuto terrorista ha cercato di corrompermi. Dicendomi… siccome io ero addetto al vitto… mi disse: guardia non mi porti mai un Tavernello in più … E gli ho detto: guarda… in quei casi la risposta devi darla subito, nell'immediatezza, non devi tergiversare o rispondere evasivamente devi essere chiaro netto subito: immediatamente io gli dissi… all'epoca mio figlio aveva sei o otto mesi… era appena nato…e quindi gli dissi: io quando decido di portarti un Tavernello in più a te mi spoglio della divisa e me ne vengo dalla parte tua, quando vado a casa e prendo in braccio mio figlio io voglio guardarlo negli occhi e voglio che lui sia orgoglioso del proprio padre. Lui alzò le mani, disse: scusami. E da quel momento da tutti i detenuti terroristi avevo acquisito un rispetto maggiore e da allora io in reparto non avevo neanche bisogno di parlare perché loro capivano a gesti quello che dovevano fare.

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(B2, Ispettore)

- Io preferivo lavorare prima con i marescialli e la gente dell’esercito che se anche avevano la quinta elementare ti mandavano avanti un carcere. Questi nuovi commissari sono tutti laureati ma non capiscono niente di galera.

(8S, Ass. Capo)

- Non puoi pretendere da un uomo di 56 anni di fronteggiare ‘sti cornuti (i detenuti) giusto per rendere il concetto. Indirettamente si diventa insofferenti ai richiami dei superiori e allora è chiaro che mando la malattia. Dicevo prima, io ero il comandante di reparto, non titolare, ma sostituivo il comandante quando andava in ferie. Perché prima cosa succedeva? Che tra tanti ispettori sceglievi il meno scemo, era ugualmente scemo ma meno degli altri e faceva il comandante del carcere e aveva uno studio grande come questo, e venire qui a fare la sorveglianza generale significa scendere di competenza e parlare alla pari…dici… (fa il gesto: chi te lo fa fare). Cioè, è umiliante, però l’ho fatto per risparmiare il gasolio, quindi per un discorso economico (…) Io ho gestito detenuto di uno spessore criminale notevole, i killer delle carceri, noi avevamo una sezione dove stavano sei killer delle carceri, quelli che tagliavano le teste alle persone in galera… Cosa vogliono venirci a raccontare questi che non capiscono niente? Che quando entravi in sezione entravi, credimi, con la paura, e anche se io ero vaccinato a tutte le malattie infettive entravi in sezione e ti preoccupavi perché questi erano criminali non solo dentro ma anche fuori. (elenca dei nomi di persone detenute) Di cosa stiamo parlano? Prima di entrare in sezione tu che eri il comandante indiscusso ti perquisivano per motivi di sicurezza ed era giusto che fosse così, cioè una storia d’Italia che loro ( i nuovi commissari) non vivranno mai e non sanno manco che è esistita. Io ho chiuso la massima sicurezza, chiamiamola così, con gli irriducibili delle brigate rosse, quelli che si sono presi la paternità degli omicidi di Biagi e D’ Antona. Ma di cosa stiamo parlando? Non sanno quanto ci costa parlare di queste cose, scusa se ho parlato in dialetto barese ma è per rendere l’idea. Questi detenuti si ritenevano prigionieri politici, ma che stiamo a dire? Sai cosa significa? Che noi eravamo lo Stato, gli

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oppressori politici! Lo chiamavano campo di Trani, non il carcere di Trani. Questa è storia, è la realtà. E allora io come mi posso misurare con un direttor che l’altro giorno andava solo all’università. Non mi posso misurare perché ho acquisito esperienze sul campo, lavorative. Allora io quello che voglio a questa età è il rispetto, perché questo simbolo qua (il grado) significa rispetto. Io non voglio altro che essere rispettato per quello che sono e per quello che ho fatto nella mia carriera. Cinquantasette anni anagrafici non è niente ma per un agente è il massimo a cui puoi arrivare.

(B5, Ufficiale)

- (in riferimento alla seconda vignetta) Qua parla di un agente con diversi anni di servizio, quindi potrei essere io e non un qualche collega giovane. Io spiego sempre ai colleghi che noi siamo stati istruiti, almeno fino a quando mi sono arruolato io, che al detenuto gli dovevamo stare col fiato sul collo. Gli dovevamo mordere le caviglie. Perché qualsiasi movimento che faceva il detenuto non dovevamo cogliere e capire le sue intenzioni. Con la sorveglianza dinamica tanti non si ritrovano. Stamattina lei non c'era quando qua è stata detta messa. C'era un collega che è andato in pensione e il prete gli ha detto: volete rientrare a far parte da polizia penitenziaria? E questo collega, vecchio stampo, perché quello ha combattuto con le brigate rosse, gli ha detto: se cambiano le cose dentro le sezioni. Perché i detenuti devono stare sotto di noi. Quindi non è facile. Noi fino a qualche anno fa siamo stati addestrati per essere cani da guardia. Adesso l'amministrazione dice: no adesso voi dovete fare i cagnolucci da salotto. Perché adesso devi stare là a controllare. Mentre prima dovevi stare con il fiato sul collo. Dovevi mordere le caviglie al detenuto. Invece adesso… questo per noi è… forse per quelli che entrano adesso è questa la prospettiva normale, per noi è difficile capirla!

(S9, Ass. Capo)

Da questi stralci di interviste si può notare come la socializzazione ad un ambiente militare e gerarchico (precedente alla smilitarizzazione del Corpo avvenuta nel 1990), unita ad una considerevole esperienza professionale in sezioni di alta o massima

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sicurezza contribuisca all’interiorizzazione di significati identitari connotati da una profonda conflittualità, segnati dal ricordo della violenza e della paura sperimentata nel corso dello svolgimento delle proprie mansioni. Generalmente, questi poliziotti penitenziari si dimostrano recalcitranti ad accettare le innovazioni nelle modalità di gestione dei detenuti e spesso e volentieri esprimono sentimenti fortemente negativi nei confronti della sorveglianza dinamica (rabbia, frustrazione, sentimento di svalutazione). Questa differenza è emersa soprattutto nelle risposte fornite in riferimento alla seconda vignetta, laddove veniva chiesto all’intervistato di commentare il disagio espresso da un agente ritrovatosi a prestare servizio in una sezione a sorveglianza dinamica, dopo aver maturato una consistente esperienza lavorativa in un diverso istituto con regime di alta sicurezza. Allo stesso modo, l’influenza della socializzazione a contesti lavorativi particolari è emersa nella comparazione delle testimonianze raccolte nel carcere di Milano – Bollate (nato come istituto ad alta impronta trattamentale, con un personale mediamente giovane di servizio) ed il carcere di Bari (dotato di due sezioni ad alta sicurezza, con personale anziano professionalmente). In alcune interviste è stato possibile riscontrare come la socializzazione ad ambienti carcerari fortemente conflittuali, ma anche più semplicemente la lunga esperienza professionale in qualità di poliziotto penitenziario, abbia comportato conseguenze importati non solo a livello della propria identità di ruolo, ma anche del proprio sé privato, dunque di alcuni tratti caratteristici della personalità degli agenti al di fuori degli ambienti lavorativi.

- Vabbè io sto molto a ridere e scherzare ma in realtà sono un po' una doppia facciata, perché in realtà io sono cambiato molto. Infatti mia moglie i primi anni mi diceva… che ho cambiato faccia. A volte faccio fatica a capire qual è la vera maschera e qual è la mia vera realtà perché di fronte ai detenuti mi hanno detto che sono abbastanza glaciale, riesco… Anche perché con il detenuto devi evitare di fare… Non è che puoi farti vedere a fare… comunque non puoi farti vedere debole perché se no ne approfittano psicologicamente… Bollate è un'altra cosa, va bene, però io parlo dei tempi in cui si giocava sul fattore psicologico e tu dovevi reagire. Io mi sono ritrovato con dei detenuti che si tagliavano, pieni di sangue e usare delle frasi del tipo: bene quando hai finito io ti aspetto fuori dal corridoio e ti faccio andare in infermeria.. Cioè è dura perché è un modo… perché loro poi con la scusa che si tagliavano poi potevano uscire… Poi ci sono le guerre fra di loro, magari si tagliano

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perché uno ha fatto un dispetto all'altro… Era difficile vivere questa cosa. Io ho sempre cercato di avere un velo di protezione, probabilmente per una questione di reagire a questa cosa che sicuramente non faceva star bene nemmeno me però. Alla fine sono diventato così adesso paradossalmente quando parlo con una persona mi guardo sempre intorno. Ed è bruttissimo, ma un po' tutti, tutti hanno questo problema serio. Se stessimo parlando al Duomo io guarderei raramente in faccia lei, ma mi guarderei sempre intorno. Ma poi è bello perché tu ti guardi intorno e i ladri li vedi subito. Dici: guarda ma quello sta rubando! Sono situazioni strane che vedi subito e adesso anche mia moglie si guarda sempre intorno (e ride). Non so neanche spiegare come avviene, mi viene spontaneo e basta.

(M15, Ass. Capo)

- Io sono entrato in carcere ed ero puro, avevo diciotto anni e sono passati quasi trentacinque anni. Sono entrato e non dicevo parolacce, non ero un violento. Adesso mi rendo conto che parlo e ragiono come o peggio del detenuto.

(B23, Uomo, Sottoufficiale).

6.2.3. I fattori relativi all’organizzazione