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Alla luce di quanto visto finora, è possibile affermare che i PIV rispondano in maniera positiva ad una esigenza importante, ovvero quella di dotare anche il nostro Paese di un documento in grado di determinare degli standard ben precisi e condivisibili per quanto riguarda la disciplina della valutazione. Non sarebbe stato sufficiente proporre di fare riferimento ai già esistenti principi internazionali (IVS) per almeno due ragioni: innanzitutto perché gli IVS sono dei principi cosiddetti high level, ovvero sono soltanto degli standard validi per tutti i Paesi, a partire dai quali è possibile definire una regolamentazione valida per ambiti più circoscritti (nella fattispecie, i singoli Paesi) mentre i PIV (che si ispirano e tentano di allinearsi agli IVS) sono dei principi più dettagliati, dotati di commenti talvolta molto esaustivi, che tentano quindi di disciplinare l’attività in maniera più particolare. In seconda battuta (ma questa osservazione può indirettamente essere ricondotta a quella appena fatta) si è sentito il bisogno di emanare dei principi che tenessero conto, nella disciplina dell’attività, della prassi, della cultura e della legislazione italiane (cercando di modellare i PIV da un lato tenendo conto degli IVS e dall’altro tenendo conto di queste caratteristiche). Per quanto riguarda, quindi, l’allineamento con i principi internazionali, si può dire che l’obiettivo è stato in buona parte raggiunto. È possibile fare questa affermazione alla luce del fatto che alcuni concetti (si pensi, ad esempio, alle configurazioni di valore o alle metodiche di valutazione) sono esposti come equivalenti a quelli delineati dagli IVS, o comunque hanno delle definizioni molto simili. Era molto importante che in Italia avvenisse questo passaggio anche perché, come si è visto trattando lo SSVS No. 1 dell’AICPA (degli Stati Uniti) e il Red Book del RICS (Regno Unito), negli altri Paesi il processo di allineamento ed armonizzazione degli standard a quelli internazionali di riferimento era già iniziato negli anni passati. Questa comune volontà di allinearsi agli stessi standard, ha portato, inoltre, ad un allineamento “indiretto” dei singoli principi nazionali tra di loro. Questo è sicuramente un aspetto importante da sottolineare, perché può avere come conseguenza positiva il fatto di avere delle valutazioni (redatte in Italia, negli Stati Uniti o in altri Paesi) aventi tutte lo stesso schema, simili principi ispiratori e le stesse linee guida. Questo processo può sicuramente contribuire ad allineare le singole valutazioni in modo tale da renderle maggiormente fruibili e confrontabili in tutto il mondo e, aspetto non secondario, può contribuire anche a diminuire il più possibile (non potendola eliminare del tutto) la componente soggettiva delle valutazioni. I PIV,

ovviamente, pur essendo allineati agli altri principi presentano dei punti di forza e dei punti di debolezza rispetto ad essi. Come già sostenuto a più riprese nel presente lavoro, i PIV sembrano essere deboli su certi aspetti riguardanti la disciplina della base informativa per le valutazioni. In particolare, la “carenza” (se così è possibile definirla) riguarda i contenuti che questo importante elemento deve avere: quello che risalta è che negli altri documenti (quelli esteri analizzati e quelli internazionali) viene sempre proposto un elenco dei contenuti minimi necessari per poter definire formata correttamente una base informativa, mentre nei PIV manca un principio dal contenuto simile. Questo avviene nonostante venga espressa a più riprese l’importanza della base informativa, dal momento che essa, se sussistono limitazioni gravi, pregiudica addirittura l’accettazione dell’incarico da parte dell’esperto (si suppone, dunque, che il giudizio sulla gravità della limitazione sia rimesso al parere soggettivo dell’esperto). Rispetto agli altri documenti, si apprezza invece il tentativo dei PIV di fornire un taglio più operativo alla disciplina. Questo tentativo si concretizza nel fatto che i Principi Italiani di Valutazione sono l’unico insieme di standard che fornisce, oltre alla regolamentazione teorica, anche una serie di formule utilizzabili in sede di calcolo: si pensi al caso del calcolo del costo del capitale (per il quale viene fornita la formula del Capital Asset Pricing Model) oppure ai principi relativi ai metodi di valutazione, che sono tutti corredati delle rispettive formule applicative. Il riportare questo genere di informazioni è sicuramente un punto di forza dei PIV rispetto agli altri standard, poiché in tal modo si fornisce agli esperti che decidono di adottarli un set di formule condivise, in modo tale che uno stesso metodo, che prevede uno stesso calcolo, porti a risultati il più simili possibile. I PIV, nonostante l’inclusione delle formule al proprio interno, non hanno il proponimento di conferire al proprio contenuto uno stampo manualistico. Ciò emerge nitidamente dal confronto fatto con il Nuovo Trattato sulla Valutazione delle Aziende. Dai punti presi in esame è emersa chiaramente la differenza sussistente tra un manuale ed un insieme di principi (i quali, comunque, riguardo ad alcune tematiche tentano di avvicinarvisi) sia a livello di informazioni più teoriche, come gli aspetti da prendere in considerazione nella formazione della base informativa e nello svolgimento dell’analisi fondamentale, sia nella parte più operativa (i PIV riportano le formule, ma non riportano mai eventuali correttivi o metodi alternativi, limitandosi alle formule dei metodi più diffusi e conosciuti). In questo senso, si potrebbero quasi definire i PIV come una sorta di “ibrido” tra un manuale e dei principi meno dettagliati, poiché per gli

aspetti sopraelencati sembrano porsi in una posizione intermedia tra questi diversi documenti.

Fatte queste considerazioni, il giudizio che ci si sente di dare ai PIV è, per il momento, positivo. È possibile affermarlo poiché, in prima battuta, con essi l’Italia si dota di propri standard in tema di valutazione (non dovendo così ricorrere all’adozione degli standard internazionali) e, inoltre, si auspica che essi possano aumentare l’affidabilità e l’oggettività delle valutazioni, in modo tale da tutelare i clienti e tutte le altre parti interessate. Sembra necessario, però, fare delle precisazioni. Innanzitutto, è ancora presto per dare un giudizio di merito definitivo sui PIV, in quanto essi sono entrati in vigore da meno di un anno (il 1 Gennaio 2016) e questo periodo sembra troppo poco esteso per poter essere preso in considerazione per giudicare le valutazioni realizzate adottando i PIV (e confrontarle con quelle redatte prima dell’entrata in vigore dei Principi). In secondo luogo, quello che si auspica, anche in questo caso per stare al passo con i rispettivi organismi e principi degli altri Paesi, è una futura obbligatorietà dei PIV (si pensi ad esempio al RICS, che obbliga i propri iscritti ad adottare i principi contenuti nel Red Book): il carattere di volontarietà dei Principi Italiani, infatti, rappresenta una mancanza che può pregiudicare il raggiungimento dell’obiettivo della standardizzazione e della trasparenza (dato che non sono state individuate delle figure obbligate ad adottarli). In ogni caso, la portata innovativa dei PIV e le finalità che li accompagnano sono meritevoli di un parere positivo.