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5. COSA MANCA AI PIV

5.5 Metodo DCF

PIV

L’idea alla base di questo paragrafo è quella di operare un confronto su come è stata affrontata la descrizione di un criterio (o metodo) di valutazione nei due testi presi in esame nel presente lavoro, i PIV e il Nuovo Trattato sulla Valutazione delle Aziende. Nello specifico, il metodo prescelto è il metodo Discounted Cash Flow (DCF), un metodo finanziario che, per sua natura, fa capo alla metodica di valutazione dei risultati attesi.

Il punto di partenza è rappresentato dalle formule proposte per l’applicazione del modello. I PIV riportano subito due formule rappresentative del metodo DCF, la prima in versione equity side, la seconda in versione asset side:142

𝑉𝑒 = ∑ 𝑛

1

𝐹𝑒𝑡(1 + 𝑘𝑒)−𝑡+ 𝑉𝑒𝑛(1 + 𝑘𝑒)−𝑛

Con:

 Fet: flussi monetari disponibili per gli azionisti

 Ke: tasso di attualizzazione dei mezzi propri, ovvero costo del capitale proprio  Ven: valore terminale al tempo n (al termine del periodo delle previsioni

analitiche)

𝑉𝑎= ∑ 𝑛

1

𝐹𝑜𝑡(1 + 𝑘 )−𝑡+ 𝑉𝑜𝑛(1 + 𝑤𝑎𝑐𝑐)−𝑛

Con:

 Fot: flussi monetari operativi unlevered

 WACC: Weighted Average Cost of Capital (costo medio ponderato del capitale)  Von: valore terminale al tempo n

In seguito, dopo aver riportato le formule con la definizione dei singoli parametri, i PIV sottolineano un concetto di primaria importanza: una condizione necessaria per l’applicazione del metodo DCF (ma, come si ricorda nel principio III.1.36, anche per altri metodi) ed in particolare per l’individuazione dei flussi monetari, è che l’esperto abbia a disposizione dei piani aziendali (elaborati dal management dell’azienda stessa) i quali dovrebbero estendersi per più periodi, almeno fino al momento della stabilizzazione dei driver di valore. Il fatto di assumere come punto di partenza un piano aziendale elaborato internamente non comporta, ovviamente, la certezza dei parametri supposti, poiché i piani si riferiscono a periodi futuri che, per loro natura, sono contraddistinti da incertezza. Ciò che si ottiene dai piani è una mitigazione dell’incertezza e una maggiore autorevolezza delle fonti (basti pensare all’utilizzo di ipotesi riguardanti le variabili interne, nessuno meglio del management aziendale ne può essere a conoscenza). I PIV a questo punto della trattazione riportano i driver di valore necessari per lo sviluppo del metodo DCF. Essi sono:143

 Nopat: risultato operativo al netto delle imposte (unlevered) di pertinenza  CO: capitale operativo investito

 ROIC: rendimento prospettico del capitale operativo investito, ottenuto tramite rapporto tra Nopat e CO

 IR: reinvestment rate, ottenuto rapportando la variazione prospettica del capitale operativo (ΔCO) in un dato periodo t e il Nopat prodotto

 I tassi di attualizzazione ke o WACC, a seconda che si segua l’approccio, rispettivamente, equity side o asset side

I driver sopracitati rivestono una fondamentale importanza per il calcolo del parametro g (rappresentativo del tasso di crescita dell’azienda) utilizzato a sua volta per il calcolo del terminal value. Nello specifico, il tasso g si ottiene dal prodotto dell’investment rate e del rendimento prospettico del capitale:144

g = IR x ROIC

Riguardo questa formula, i PIV ricordano l’importanza della stima del ROIC oltre il periodo delle previsioni analitiche e, riguardo al tasso g, l’assunto fondamentale che non è ragionevole stimare che, nel lungo periodo, un’azienda possa crescere più del proprio settore di appartenenza.

Una volta ottenute queste informazioni, l’esperto deve procedere con il calcolo del terminal value. Per tale calcolo i PIV riportano due formule, a seconda dell’approccio (equity side o asset side) che si sta seguendo.

Calcolo terminal value (approccio equity side):145

VTe= Rn+1(1 − IR) ke− g

Con Rn+1 risultato operativo levered “a regime”.

Calcolo terminal value (approccio asset side):146

VTa=

Nopatn+1(1 − IR) k − g

Con Nopatn+1 risultato operativo unlevered “a regime”.

I PIV chiudono la propria disamina sul metodo DCF con alcune considerazioni riguardo il tasso g ed alcuni accorgimenti che l’esperto deve mettere in pratica nella sua definizione, in quanto il tasso di crescita si lega al concetto di vantaggio competitivo che, data la propria natura, diminuisce nel tempo a causa della competizione sui mercati. L’esperto è tenuto quindi a svolgere un’accurata analisi fondamentale, a tenere

144 Principi Italiani di Valutazione, EGEA 2015, pag. 149 145 Principi Italiani di Valutazione, EGEA 2015, pag. 150 146 Principi Italiani di Valutazione, EGEA 2015, pag. 150

in considerazione diversi fattori quali ad esempio le prospettive di crescita del settore e dell’azienda stessa, le barriere all’entrata, l’intensità competitiva o la minaccia di potenziali sostituti. Tutto questo è finalizzato a dare una rappresentazione il più possibile veritiera del tasso di crescita g, poiché esso influisce in maniera tangibile su tutto il calcolo alla base del metodo considerato.

Sembra corretto sottolineare in questa sede dei lievi errori formali nel nome assegnato ad alcune grandezze: il terminal value, ad esempio, quando inserito nella formula del calcolo del valore col metodo DCF ha un nome diverso (Ve/Vo) rispetto a quello che gli viene assegnato nella formula per il suo stesso calcolo (VT). Lo stesso dicasi per il costo medio ponderato del capitale, talvolta chiamato “k” e talvolta chiamato “WACC” anche all’interno della stessa formula e senza apparenti spiegazioni.

NUOVO TRATTATO

Il Nuovo Trattato sulla Valutazione delle Aziende dedica, data la propria impostazione, ampio spazio ai criteri di valutazione in generale e al metodo finanziario in particolare. Dopo un breve preambolo teorico sui criteri in generale, il testo presenta il metodo DCF riporta la logica alla base di questo criterio. Secondo gli autori, la logica su cui si basa il metodo è che “nel lungo termine nessuna impresa può distribuire dividendi in misura superiore alla sua capacità di generare flussi di cassa”147. Nella parte iniziale dedicata all’argomento, il testo loda la semplicità del metodo e il fatto che esso goda di ampio riconoscimento, essendo uno dei più usati soprattutto nel mondo anglosassone (dove, contrariamente a quello europeo, si prediligono le valutazioni di tipo finanziario rispetto a quelle di tipo reddituale) poiché viene ritenuto più veritiero dell’altro metodo basato sui risultati attesi, ovvero quello reddituale (questo perché, basandosi sui flussi di cassa, dai calcoli vengono tenuti fuori tutti quei costi e ricavi che non hanno natura monetaria, risultando quindi più oggettivo). Allo stesso tempo, si sottolinea un difetto sostanziale di questo tipo di metodo di valutazione: il ruolo principale è giocato dai flussi di cassa nel breve termine, che servono sia per il calcolo vero e proprio sia per stimare quelli a lungo termine. La distorsione è data dal fatto che molto spesso è difficile, se non impossibile, distinguere le componenti transitorie dei flussi di cassa da quelle permanenti (o comunque ricorrenti) e questo potrebbe portare a basare le previsioni su

dati non esatti. Dopo questa introduzione, il Nuovo Trattato, tramite un lungo esempio numerico, introduce la formula proposta per il metodo DCF:148

𝐸𝑉 = ∑ 𝑛 𝑡=1 𝑈𝐶𝐹𝑡 (1 + 𝑊𝐴𝐶𝐶)𝑡+ 𝑈𝐶𝐹𝑛𝑥(1 + 𝑔𝑛+1)𝑥(1 − 𝐼𝑅) (𝑊𝐴𝐶𝐶 − 𝑔∞) (1 + 𝑊𝐴𝐶𝐶)𝑛

Dal valore ottenuto dalla grandezza EV, occorre sottrarre quello della posizione finanziaria netta per ottenere il valore vero e proprio.

Le grandezze utilizzate sono:

 UCF: unlevered cash flow, ottenuto per differenza tra margine operativo lordo, investimenti fissi lordi, incremento di capitale circolante e imposte

 WACC: costo medio ponderato del capitale

 g∞: tasso di crescita di lungo termine dei flussi di cassa (oltre il periodo delle previsioni analitiche)

 IR: tasso di reinvestimento dei flussi di cassa necessario a mantenere la capacità di produrre i flussi di cassa e sostenere la crescita g∞

 UCFn x (1+gn+1) x (1-IR) = UCFC = unlevered free cash flow: flusso di cassa annuo liberamente distribuibile senza compromettere la capacità dell’impresa di produrre flussi di cassa crescenti al tasso g∞

Nel testo si ripete a più riprese la necessità di accrescere l’affidabilità di questo metodo: una modalità proposta per raggiungere l’obiettivo è quella di estendere il più possibile (fino a 10 anni, se non oltre) il periodo delle previsioni analitiche, applicando un tasso di sviluppo costante all’ultimo flusso individuato, per poi giungere al decimo (o oltre) flusso, in base al quale si calcola il terminal value. Questo tipo di provvedimento influisce sul terminal value non solo nel calcolo, ma gli toglie anche peso rispetto al valore finale. A questa osservazione segue un esempio che lascia trasparire il pensiero degli autori: nel Nuovo Trattato si sostiene a più riprese la superiorità (prevalentemente in termini di affidabilità) dei metodi reddituali rispetto a quelli finanziari.149 Fatta questa premessa, si giunge a sostenere che, nella maggior parte dei casi, il metodo finanziario

148 Guatri L., Bini M., Nuovo Trattato sulla Valutazione delle Aziende, EGEA 2005 pag. 550

149 Nel Nuovo Trattato sulla Valutazione delle Aziende sono presenti esempi numerici di comparazione

tra i vari criteri. Il primo che viene presentato, in apertura di capitolo, si chiude a pagina 550 con il criterio DCF che, per quel caso, viene definito “totalmente inaffidabile”

risulta utile nella stima del valore in una situazione particolare, ovvero “quando gli ammortamenti contabili sovrastimano gli investimenti necessari a mantenere nel tempo la capacità futura di produrre reddito”150. Ciò si verifica generalmente o quando i cespiti hanno una vita contabile più lunga rispetto alla vita utile o quando il costo di rimpiazzo dei cespiti è inferiore al loro costo storico151. Se si verifica una delle situazioni sopraesposte, la conseguenza è un capex (investimento in immobilizzazioni tecniche) inferiore agli ammortamenti; questo porta all’utilizzo di particolari configurazioni di reddito, chiamate cash earnings (se si fa riferimento al reddito netto) o cash nopat (se si fa riferimento al reddito operativo unlevered). Vengono definiti entrambi “cash” in quanto sono stati sostituiti gli ammortamenti (che sono oneri contabili non monetari) con una grandezza rappresentativa di un’uscita monetaria (il capex). Secondo gli autori, l’utilizzo di queste particolari grandezze rende più affidabile una stima svolta con il metodo finanziario. Il capitolo del Nuovo Trattato relativo al metodo DCF è corredato da numerosi esempi: per mezzo di uno di questi gli autori sottolineano (ribadendo concetti già espressi precedentemente) i punti di debolezza di questo metodo.

Le accuse mosse a questo criterio di valutazione sono principalmente:  Una eccessiva discordanza tra i dati finanziari e i dati reddituali

 La scarsa affidabilità del metodo, derivante dalla necessità di dover allungare troppo il periodo delle previsioni analitiche per cercare di avere una stima del terminal value plausibile

 Infine, diretta conseguenza del punto precedente, l’eccessiva soggettività del metodo: il risultato è oltremodo dipendente da stime e ipotesi arbitrarie

Alla luce di ciò, il metodo finanziario è considerato più “aggressivo” rispetto al metodo reddituale, perché (secondo il parere degli autori) le previsioni dei piani vengono estese in maniera arbitraria, si sovrastimano i tassi di crescita (per stimare i free cash flow per il calcolo del terminal value, si applica il saggio di crescita previsto per gli ultimi flussi di cassa del periodo delle previsioni analitiche, basato quindi sul passato e non sulle opportunità future) e si sottostimano gli investimenti necessari a mantenere nel tempo flussi di cassa crescenti al tasso di crescita stimato.

150 Guatri L., Bini M., Nuovo Trattato sulla Valutazione delle Aziende, EGEA 2005 pag. 556 151 Guatri L., Bini M., Nuovo Trattato sulla Valutazione delle Aziende, EGEA 2005 pag. 557

Date le numerose distorsioni cui si può giungere con l’utilizzo del metodo DCF, il Nuovo Trattato sulla Valutazione delle Aziende propone tre soluzioni per cercare di rendere le stime effettuate con questo metodo più affidabili e precise.

I correttivi proposti sono:152

 L’introduzione di maggiorazioni al costo del capitale  L’uso di redditi, anziché flussi di cassa

 L’uso di un DCF a più stadi

Il primo correttivo, la maggiorazione al costo del capitale, ha come obiettivo lo sconto dei rischi che caratterizzano i flussi dei risultati attesi. Si attua nella stima del terminal value applicando, invece di un tasso di crescita g uguale alla crescita stimata per l’ultimo periodo di previsioni analitiche, un tasso di crescita maggiorato. Questo procedimento ha il vantaggio di allineare il risultato della stima a quello di una stima effettuata con il metodo reddituale; di contro, ha il grande svantaggio (così come l’applicazione del metodo senza correttivi) di essere una correzione completamente arbitraria e soggettiva, che non può basarsi su dati solidi ed affidabili. La formula con l’utilizzo di questo correttivo assumerebbe questa conformazione153:

𝐸𝑉 = ∑ 𝑛 𝑡=1 𝑈𝐶𝐹𝑡 (1 + 𝑊𝐴𝐶𝐶)𝑡+ ∑ 𝑈𝐶𝐹𝑡 (1 + 𝑊𝐴𝐶𝐶 + 𝑚𝑎𝑔𝑔. )𝑡 𝑚 𝑡=𝑛+1 + 𝑈𝐶𝐹𝑚𝑥(1 + 𝑔𝑚+1)𝑥(1 − 𝐼𝑅) (𝑊𝐴𝐶𝐶 + 𝑚𝑎𝑔𝑔. −𝑔∞) (1 + 𝑊𝐴𝐶𝐶 + 𝑚𝑎𝑔𝑔. )𝑚

Con l’elemento “magg.” Che consiste nella maggiorazione del costo del capitale esposta precedentemente.

Il secondo correttivo proposto prevede, nel calcolo del terminal value, l’utilizzo di grandezze reddituali in luogo dei flussi di cassa. Questo porta alla formazione di una formula “mista”, poiché nel calcolo del terminal value si utilizzano grandezze reddituali, mentre nel periodo di previsioni analitiche si continuano ad usare i cash flow (che, se l’impresa è in crescita, sono per forza inferiori ai flussi reddituali dei periodi corrispondenti, dato che, al contrario di questi ultimi, comprendono componenti di segno negativo dovute ad investimenti). Questa discordanza tra i due elementi comporta la necessità di ricomprendere nella stima del terminal value i benefici apportati da tali

152 Guatri L., Bini M., Nuovo Trattato sulla Valutazione delle Aziende, EGEA 2005 pag. 577 153 Guatri L., Bini M., Nuovo Trattato sulla Valutazione delle Aziende, EGEA 2005 pag. 593

investimenti: tipicamente ciò può essere fatto tramite l’utilizzo di un tasso di crescita g maggiore (rispetto a quello che si sarebbe stimato con il metodo DCF “classico”). Così come nel caso precedente, la scelta del tasso g porta problemi di soggettività. Secondo gli autori, data questa considerazione, è diffusa la pratica di applicare ai flussi reddituali un multiplo ottenuto da imprese comparabili. Questo porta ad un diverso tipo di distorsione, dato dal fatto che si affiancano stime di valori assoluti con stime di valori relativi. La formula, utilizzando questo correttivo, diviene154:

𝐸𝑉 = ∑ 𝑛 𝑡=1 𝑈𝐶𝐹𝑡 (1 + 𝑊𝐴𝐶𝐶)𝑡+ 𝑁𝑂𝑃𝐴𝑇𝑛𝑥(1 + 𝑔𝑛+1)𝑥(1 − 𝐼𝑅) (𝑊𝐴𝐶𝐶 − 𝑔) (1 + 𝑊𝐴𝐶𝐶)𝑛

Nella quale si può notare l’utilizzo del nopat (grandezza reddituale) nel calcolo del terminal value.

Il terzo ed ultimo correttivo, il DCF a più stadi, si introduce un terzo elemento temporale, intermedio tra il periodo delle previsioni analitiche e il terminal value, utilizzando tassi medi di crescita costanti in ognuno dei periodi. Generalmente, per il periodo intermedio si assume un tasso di crescita uguale a quello del settore di appartenenza dell’azienda, mentre per l’ultimo periodo (terminal value) si assume il tasso di crescita uguale a quello dell’economia. La formula che si ottiene è155:

𝐸𝑉 = ∑ 𝑛 𝑡=1 𝑈𝐶𝐹𝑡 (1 + 𝑊𝐴𝐶𝐶)𝑡 + ∑ 𝑈𝐶𝐹𝑡𝑥(1 + 𝑔𝑖𝑛𝑑𝑢𝑠𝑡𝑟𝑦)𝑚 (1 + 𝑊𝐴𝐶𝐶)𝑡 𝑛+𝑚 𝑡=𝑛+1 + 𝑈𝐶𝐹𝑛+𝑚𝑥(1 + 𝑔𝑖𝑛𝑑𝑢𝑠𝑡𝑟𝑦)𝑥(1 − 𝐼𝑅) (𝑊𝐴𝐶𝐶 − 𝑔∞) (1 + 𝑊𝐴𝐶𝐶)𝑚

Con gindustry = tasso di crescita del settore e g∞ = tasso di crescita dell’economia.

Pur avendo trattato per tutto il capitolo l’argomento del metodo finanziario con prospettiva asset side, in chiusura dello stesso, in un box, gli autori riportano tutte le formule già analizzate anche secondo la prospettiva equity side (delle quali, quindi, non

154 Guatri L., Bini M., Nuovo Trattato sulla Valutazione delle Aziende, EGEA 2005 pag. 593 155 Guatri L., Bini M., Nuovo Trattato sulla Valutazione delle Aziende, EGEA 2005 pag. 594

è presente una trattazione specifica). Le formule con prospettiva equity side assumono le seguenti configurazioni156:  Formula classica: 𝑊𝐹 = ∑ 𝑛 𝑡=1 𝐶𝐹𝐸𝑡 (1 + 𝑐. 𝑜. 𝑒. )𝑡+ 𝐶𝐹𝐸𝑛𝑥(1 + 𝑔𝑛+1)𝑥(1 − 𝐼𝑅) (𝑐. 𝑜. 𝑒. −𝑔) (1 + 𝑐. 𝑜. 𝑒. )𝑛 Con:

CFE = cash flow to equity (flussi di cassa levered) c.o.e. = costo dei mezzi propri

 Formula con maggiorazione del costo del capitale:

𝑊𝐹= ∑ 𝑛 𝑡=1 𝐶𝐹𝐸𝑡 (1 + 𝑐. 𝑜. 𝑒. )𝑡+ ∑ 𝐶𝐹𝐸𝑡 (1 + 𝑐. 𝑜. 𝑒. +𝑚𝑎𝑔𝑔. )𝑡 𝑚 𝑡=𝑛+1 + 𝐶𝐹𝐸𝑚𝑥(1 + 𝑔𝑚+1)𝑥(1 − 𝐼𝑅) (𝑐. 𝑜. 𝑒. +𝑚𝑎𝑔𝑔. −𝑔∞) (1 + 𝑐. 𝑜. 𝑒. +𝑚𝑎𝑔𝑔. )𝑚

 Formula con utilizzo di grandezze reddituali per il calcolo del terminal value:

𝑊𝐹 = ∑ 𝑛 𝑡=1 𝐶𝐹𝐸𝑡 (1 + 𝑐. 𝑜. 𝑒. )𝑡+ 𝐸𝑛𝑥(1 + 𝑔𝑛+1)𝑥(1 − 𝐼𝑅) (𝑐. 𝑜. 𝑒. −𝑔) (1 + 𝑐. 𝑜. 𝑒. )𝑛 Con:

En = risultato reddituale levered

 Formula DCF a due stadi: 𝑊𝐹 = ∑ 𝑛 𝑡=1 𝐶𝐹𝐸𝑡 (1 + 𝑐. 𝑜. 𝑒. )𝑡+ ∑ 𝐶𝐹𝐸𝑡𝑥(1 + 𝑔𝑖𝑛𝑑𝑢𝑠𝑡𝑟𝑦)𝑚 (1 + 𝑐. 𝑜. 𝑒. )𝑡 𝑛+𝑚 𝑡=𝑛+1 + 𝐶𝐹𝐸𝑛+𝑚𝑥(1 + 𝑔𝑖𝑛𝑑𝑢𝑠𝑡𝑟𝑦)𝑥(1 − 𝐼𝑅) (𝑐. 𝑜. 𝑒. −𝑔∞) (1 + 𝑐. 𝑜. 𝑒. )𝑚

Dalle considerazioni fatte fin qui, è possibile sostenere che entrambi i testi svolgono, seppur con livelli di approfondimento diversi (dovuti essenzialmente alla loro natura, i PIV di linee guida e il Nuovo Trattato di manuale) un’ottima analisi riguardo al metodo di valutazione DCF. La differenza sostanziale che emerge è l’attenzione posta dal Nuovo Trattato sulla Valutazione delle Aziende riguardo ai punti di forza e di debolezza e, una volta identificati questi ultimi, alla ricerca di correttivi al metodo. Questo è l’aspetto che forse manca ai PIV, pur ribadendo la chiarezza e la puntualità dell’analisi condotta in entrambi i testi.