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Conclusioni: verso un’economia dei censiers?

Nel 2007 Yoshiya Nishimura ha dedicato un articolo ai tre esemplari editi degli elenchi di censuari presenti nel Diplomatico amiatino128. Le tesi avanzate dall‟autore suscitano alcune perplessità ed è difficile accoglierne l‟assunto fondamentale, secondo il quale sarebbe avvenuto un passaggio dai libelli alle liste. Innanzitutto perché dall‟ultimo contratto con coltivatori al primo elenco passa più di un secolo e si crea così un vuoto documentario troppo ampio per essere ignorato; e inoltre perché tali liste sono appena tre nell‟arco di due secoli e solo la prima (chiamata, nell‟edizione di Kurze e Marrocchi, Z1 e redatta all‟inizio dell‟XI129

), copre più luoghi: si può, certo, fare appello alla dispersione del materiale d‟archivio per spiegare una tale scarsità, ma rimane il fatto che gli elenchi non sostituirono affatto il livello con coltivatori di IX secolo e, al più, si può affermare che essi costituiscano una piccola eccezione in un quadro dove le attestazioni relative ai redditi estratti dai dipendenti rurali, semplicemente, mancano130.

Mi sembra altrettanto arduo sostenere che il censo in denaro, testimoniatoci come unica tipologia di canone di tutti e tre gli esemplari, sia stato economicamente più conveniente per San Salvatore: facendo leva sull‟opinione di Bruno Andreolli131, Nishimura puntella la propria tesi affermando che le angariae dovettero avere un valore prima di tutto simbolico, di rafforzamento del controllo sugli uomini, perché le riserve erano troppo piccole per avere bisogno di pesanti carichi di

corvées132. Andreolli fondava quest‟ultima considerazione sull‟assenza di testimonianze relative ai

prebendarii133: ciò, però, non prova per nulla che i beni in economia diretta fossero esigui, ma solo che non erano coltivati tramite manodopera servile e la gravosità delle corvées indica che proprio queste furono il mezzo prescelto per mettere a frutto le cellae.

Invischiarsi nell‟annosa questione della maggiore convenienza di un tipo di canone rispetto ad un altro rischia di essere improduttivo; piuttosto, bisogna sottolineare il carattere “mirato” della redazione di questi documenti. Nel primo, infatti, si elencano casi di località menzionate per la prima volta tra l‟ultimo decennio del X secolo e il primo decennio dell‟XI134

, casi di località dove il

128 Il già citato N

ISHIMURA 2007a.

129 CDA III/1, pp. 152-161. Per l‟analisi e la datazione del pezzo cfr. W

ICKHAM 1989, p. 117, nota 36.

130 Trovo rappresentativa dell‟idea fondamentale che percorre il contributo di Nishimura la seguente frase: «At the monastery of Monte Amiata the lists of rents had to be redacted continuously, or at least intermittently, during the following centuries, as the succeeding lists (Z2, Z3) indicate» (NISHIMURA 2007a, cit. p. 33).

131 Il già citato A

NDREOLLI 1983, ora in ID. 1999, pp. 111-127. 132 N

ISHIMURA 2007a, pp. 35-36. 133

ANDREOLLI 1983, ora in ID. 1999, pp. 111-127, dal quale cfr. pp. 119-120.

134 È il caso di San Cassiano e Piancastagnaio, concesso per la prima volta in un privilegio papale del 1002 (CDA, n. 218). «Voltiole» è concesso per la prima volta in un‟offerta del conte Bernardo (ivi, n. 214, a. 1000) e poi confermata in due privilegi successivi di Enrico II (ivi, n. 221, a. 1004 e n. 226, a. 1007). «Burgoricho» è ceduto per intero al

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monastero da tempo aveva dei possedimenti, ma che vengono riconfermati all‟interno di quel ventennio135, e infine casi relativi a luoghi ove si verifica un consistente riassetto dei beni fondiari tramite imponenti concessioni livellarie136; quanto ai due esemplari di secolo XII, invece, le zone interessate sono le stesse nelle quali si concentrarono gli assalti e le ruberie compiuti dagli Aldobrandeschi a danno dei possessi monastici137. Sembra, cioè, che la stesura delle liste rispondesse a puntuali ricognizioni effettuate nelle aree in cui, tramite un‟inquisitio, si cercava di rinsaldare la fedeltà dei pensionari di San Salvatore verso il monastero stesso quando essa era stata da poco stabilita oppure era minacciata dall‟esterno.

In conclusione, credo ci si debba rassegnare ad ammettere che per i secoli centrali del Medioevo non sia possibile fare la storia agraria dei beni di San Salvatore: non sappiamo, infatti, cosa si nascondesse sotto la coltre dei canoni in denaro corrisposti dai redditales elencati nelle nostre liste. Qualche sopravvivenza di beni in gestione diretta, stando alle attestazioni di dominici138, dovette esserci anche in un paesaggio segnato dalla presenza di castelli, ma non è possibile dire nulla di più. Forse la totale assenza di cartulae con coltivatori e di contratti di

tenimentum si spiega con lo smarrimento di una parte delle pergamene, di un saccus communium cartarum (e forse più di uno) perduto o scientemente scartato: ma questa è destinata a rimanere

un‟ipotesi e bisognerà aspettare il 1200, e soprattutto gli anni successivi all‟arrivo dei Cistercensi (1228) perché si possa riprendere in mano la storia rurale del Monte Amiata.

monastero dal marchese Ugo di Tuscia (ivi, n. 211, a. 995), poi riconfermato nei già citati privilegi imperiali del 1004 e del 1007. Corbaia compare per la prima volta in Z1 ed è poi citata in CDA, n. 229, a. 1009.

135 Tintinnano (testimoniata già nel IX secolo, ma nel 991 il monastero viene investito di beni defraudati «in loco Tentinano» nella chiesa di Sant‟Alessandro a Rocca d‟Orcia e nel 996 Ottone III conferma la corte di San Clemente «in Titinano»: cfr. ivi, nn. 207 e 212 e, per tutte le attestazioni del toponimo, CDA III/2, pp. 320-321), Corsignano (sortes lì possedute sono registrate sin dalla prima metà del IX secolo, ma riconfermato in ben tre privilegi imperiali - quelli già ricordati del 996, del 1004 e del 1007 -), Campusona (la «corte de Campusona» è confermata nel diploma enriciano del 1004, ma è attestata fin da CDA, n. 120a, a. 841).

136 Sono i casi di Callemala e Albinita: la prima rientra nei due libelli del 962 e del 995, la seconda nel primo dei due (ivi, nn. 201 e 210).

137 All‟inizio di Z2 si trova la rubrica «Pensiones Sancti Salvatoris»: sappiamo cioè che i censi erano destinati al monastero, ma non siamo completamente sicuri di quale fosse la provenienza dei censuari. Ora, il fatto stesso che gli abitanti non siano suddivisi per luoghi mi fa sembrare ragionevole che si trattasse di homines che lavoravano nelle dirette pertinenze del monastero se non nel primo nucleo di Borgo San Salvatore, su cui abbiamo notizie abbondanti solo nel „200 e che costituisce l‟antenato dell‟attuale comune di Abbadia San Salvatore. L‟unico indizio per una più precisa individuazione geografica è «Poiu», che ricorre anche in una cartula promissionis risalente al 1087 dove si parla di Santa Maria «in Poio usque a puteum de Cippo Nigro» (cit. CDA, n. 316 e non 319 come indicato nell‟edizione: si tratta di una località a Serra de Ruga, nei pressi di Radicofani, per la cui identificazione cfr. RONZANI 1993, p. 33). Di passaggio, si noti anche che Z2 è probabilmente un frammento, uno dei registri seguenti ad un‟inquisitio destinato a far parte di un insieme più ampio (l‟idea non è mia: ringrazio la prof.ssa Giulia Ammannati per avermela suggerita). In Z3, invece, tutti i luoghi nominati sono compresi nella zona tra Montelaterone e Lamule. Si tratta delle zone che tra gli anni ‟80 del secolo XI fino al 1108, cioè fino alla restituzione di Albinita, erano state nelle mire degli Aldobrandeschi. (cfr. COLLAVINI 1998, p. 112 ss.): proprio per questo proporrei una datazione interna a quel trentennio o immediatamente successiva al 1108 - e la seconda ipotesi mi sembra in definitiva la più verosimile.

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Uomini e terre del Capitolo di San Martino di Lucca: la tradizione documentaria di Massarosa e Massa Macinaia (X-XIII secolo)

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