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Il Duecento di Massarosa e Massa Macinaia: spunti di ricerca

In quest‟ultima sezione mi limiterò a suggerire alcune piste per un‟indagine futura a partire da una rapida inchiesta sul materiale duecentesco dell‟archivio capitolare di Lucca. Due sono gli aspetti che mi preme mettere in luce e che, credo, siano suscettibili e meritevoli di ulteriori sviluppi: il primo riguarda le trasformazioni della tradizione documentaria inerente alle due località, ma soprattutto a Massarosa, per la quale, come si vedrà tra un attimo, una forte discontinuità è rilevabile solo dalla metà degli anni venti del Duecento; il secondo concerne invece la questione dei canoni, della loro tipologia e del loro peso, nonché, unitamente, il problema della diffusione delle liste di censuari dalle quali si traggono le informazioni più ricche sul tema.

Partiamo dalla tradizione documentaria: come avevo già accennato, i primi venticinque anni del Duecento a Massa Macinaia sono in continuità con il periodo precedente. Le fonti constano di un buon numero di atti attraverso i quali notiamo il perdurare dei contrasti, o almeno del rapporto instabile, tra il Capitolo e i contadini locali, in un susseguirsi di liti (dove gioca un ruolo importante il già ricordato advocatus del Capitolo Morroello), investiture e locazioni124. Per Massarosa, invece, il vuoto documentario si aggrava, al punto da far pensare che il tentativo di pacificazione promosso da Enrico VI e, in qualche misura, ripreso da Ottone IV (che nel 1209 confermò ai canonici tutti i loro beni125) avesse avuto efficacia: stando al regesto manoscritto di Guidi, infatti, nessun atto reca il toponimo di Massarosa fino al 1225, quando un tale Accorso del fu Simone Barbabella viene investito di un «tenimentum et locationem» su tre pezzi di terra a Massarosa126. Si tratta, con ogni verosimiglianza, della stabilizzazione di un rapporto di lavoro precedente: un Accorso di Simone Bambella (che tuttavia potrebbe leggersi proprio Barbabella), infatti, è attestato all‟interno dei frammenti di un elenco di censuari (senza data) utilizzati come pergamene di guardia del Codice 24 della Biblioteca Capitolare, ed è tenuto a versare il medesimo censo per i medesimi appezzamenti

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Si vedano, a titolo di esempio, ASDLu, Capitolare, S. 92 e O. 140, a. 1205 (investiture), S. 87, P. 59, S. 91 a. 1207 (liti), O. 37, a. 1208 (locazione) S. 12, a. 1209 (lite), O. 82, a. 1210 (lite), O. 141, a. 1213 (investitura), S. 13, a. 1213 (investitura), O. 36, a. 1213 (investitura), O. 100, a. 1213 (fissazione di un canone), S. 97, a. 1214 (investitura), O. 109 (promissio di corresponsione di un pagamento), O. 18, a. 1214 (lite), S. 90, a. 1214 (Raniero del fu Primicerio non rivendicherà alcune terre) e così via seguendo il regesto manoscritto di Guidi depositato presso l‟archivio.

125 Il diploma di Ottone IV a favore del Capitolo è edito in W

INKELMANN, n. 34, a. 1209. Su Enrico VI cfr. supra, diploma citato alla nota 120.

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menzionati nel contratto del 1225127. Che si tratti della stessa persona mi pare, dunque, indubitabile: l‟unica differenza tra l‟elenco contenuto nel Codice 24 e la pergamena sciolta (oltre alla descrizione delle confinazioni) consiste nel fatto che, nel primo, Accorso deve versare cinque staia di grano per sei anni, poi le stesse cinque staia e due solidi «in perpetuum», mentre nel secondo dovrà versare cinque staia per un anno, finito il quale vi aggiungerà i due solidi «in perpetuum». Supporrei dunque che la locatio del 1225 abbia costituito una proroga del censo in natura alla scadenza dei sei anni indicati nell‟elenco prima del passaggio al canone perpetuo misto, in natura e in denaro: non è possibile provarlo, ma mi sembra più plausibile ipotizzare una successione elenco-contratto (il primo si daterebbe così al 1219) che non una contratto-elenco: la trascrizione in publicam formam, infatti, rappresentava la più sicura, completa e definitiva regolarizzazione di un rapporto di lavoro, che avrebbe reso certo non impossibile, ma quantomeno superflua l‟ulteriore trascrizione in una lista di censuari: e se anche così fosse stato, nell‟elenco si sarebbe comunque specificato che il canone era già contenuto in una cartula, come di norma avviene.

Questa digressione si giustifica alla luce del fatto che Accorso di Simone inaugura, a tutti gli effetti, un periodo di maggiore visibilità documentaria per Massarosa: da quell‟anno, infatti, il numero di atti riguardanti la nostra località procede di pari passo con quello di Massa Macinaia, con una svolta improvvisa che merita di essere spiegata. Ora, nel 1226 l‟imperatore Federico II emana un diploma a favore degli abitanti di Massarosa, nel quale prende «universos homines de Massagrossa» sotto la sua protezione e conferma (ma di fatto introduce, oppure reintroduce avvalendosi delle misteriose litterae cassate dal padre128) le bonae consuetudines et libertates già riconosciute, dice, dai suoi predecessori, aggiungendo che d‟ora in avanti i Massarosesi potranno eleggere i propri consoli, fatti comunque salvi diritti e prerogative del Capitolo129.

Rispetto al diploma di Enrico VI, nel quale, in definitiva, si ribadiva la sottomissione di Massarosa ai canonici, il documento federiciano rappresenta non soltanto un atto genericamente più favorevole agli uomini «de Massagrossa», ma, con il riconoscimento della magistratura consolare, costituisce la vera e propria carta di fondazione del comune rurale. L‟aumento di atti privati di cui si è parlato prima non ha inizio esattamente dopo la promulgazione del diploma, e tuttavia la vicinanza cronologica dei due eventi pare troppo stringente per non supporre un qualche

127 ASDLu, Bibilioteca Capitolare, Codice 24. Nel verso della seconda carta del bifoglio iniziale troviamo Accorso di Simone Bambella, che ricompare nel recto della seconda carta del bifoglio finale; dal momento che il nome e il censo da pagare sono ripetuti in modo uguale (viene solo omessa una parte di testo per via di un banale saut du même au même) e che la seconda attestazione si colloca un rigo sopra rispetto all‟impaginazione generale, la ripetizione ha probabilmente valore di richiamo. La lettura «Bambella» sembrerebbe potersi inferire dalla presenza del titulus orizzontale sul latino «Babelle», ma per i soprannomi è del tutto usuale che le abbreviazioni siano usate in modo libero; unitamente alle analogie con il contratto di tenimentum di cui ho parlato nel corpo del testo, ritengo che «Babelle» possa sciogliersi tranquillamente con «Barbabelle». Ringrazio molto la prof.ssa Giulia Ammannati per l‟aiuto e per i consigli a riguardo.

128 Cfr, supra e nota 120. 129 Edito in H

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collegamento tra di essi; quale fosse e come si concretizzò, non è facile dire. La mia ipotesi è che il diploma del 1226 abbia portato ad un lentissimo, graduale affrancamento dello ceto originariamente semiservile di Massarosa (gli eredi dei manentes di X secolo e degli homines afferenti al dominico ancora nel 1183) e, conseguentemente, alla necessità di regolamentare per via contrattuale alcune situazioni prima basate su consuetudini orali, oltre che a rintuzzare le rinnovate aspirazioni dei signori di Montemagno130. Beninteso, questo processo non significò un allentamento della signoria e degli obblighi collettivi imposti dal Capitolo sul castrum e sulla Iura, anzi: i numerosi registri notarili cui ho accennato nell‟introduzione stanno, mi pare, a dimostrare il contrario. Ma se la

formazione della signoria fu resa possibile dall‟originario assetto curtense di Massarosa,

dall‟estensione delle terre dominicali e dal connesso, stabile gruppo di semiservi che vi lavoravano (con un parallelo fenomeno di incastellamento), il suo mantenimento nel corso del Duecento si basò sull‟esercizio dei diritti e del prelievo signorili slegati dallo status giuridico dei suoi abitanti.

Rimane a questo punto aperta una domanda: che fine fece l‟appena citato assetto curtense? Come si configurò l‟organizzazione aziendale? Una lettura puntuale della documentazione duecentesca potrà dare risposte più esaustive di quella che mi accingo a proporre e che ci porta, tuttavia, ad un punto di cruciale importanza, l‟annunciata questione dei canoni e della loro evoluzione.

Sotto questo profilo, gli elenchi di censuari duecenteschi costituiscono una fonte preziosissima e non sfruttata (tralasciano di analizzarli, per quel che mi consta, tanto Jones quanto Kotel‟nikova), benché sia arduo reperirli per il più volte ricordato utilizzo degli stessi elenchi come pergamene di guardia e, congiuntamente, per la difficoltà (impossibilità?) di effettuare un riassemblaggio dei singoli frammenti131. Tra quelli che ho avuto modo di trovare e vedere emergono alcuni dati importanti per il nostro tema: riferimenti al dominicum di Massarosa sono assenti (un dato che pare confermato dai registri relativi alla Iura del Capitolo) e sembra quindi che la bipartizione curtense non avesse più quell‟utilità descrittiva ancora riscontrabile nel 1183; forse perché già in fase di destrutturazione, non credo che sia sopravvissuta alla fine del XII secolo e al diploma federiciano. Parallelamente, non si riscontrano differenze tipologiche tra i canoni riscossi nelle diverse località dove i canonici avevano beni, e viene da pensare che la reale discrepanza tra i

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Oltre al tenimentum di Accorso di Simone Barbabella, si vedano ASDLu, Capitolare, M. 182, a. 1225 (lite con i signori di Montemagno), N. 129, a. 1226 (locazione di un mulino), A.8, a. 1227 (condanna di Aldobrandino di Montemagno), N. 117, a. 1229 (investitura), N. 185, a. 1229 (investitura), N. 158, a. 1230 (investitura), N. 122, a. 1231 (sentenza), R. 213, a. 1232, R. 191, a. 1233 (documenti che riguardano i Montemagno), M. 172, a. 1233 (lite con il pievano di Pieve a Elici), N. 118, a. 1234 (concessione di terre). La media di documenti prodotti riguardanti Massarosa diviene, a questo punto, relativamente stabile per il resto del secolo.

131 Oltre ai frammenti in ASDLu, Biblioteca Capitolare, Codice 24, esempi si trovano ivi, Codice 25. Poi ASDLu, Capitolare, 003 e ivi, A+6.

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possessi del Capitolo riguardasse la possibilità o l‟impossibilità di esercizio delle prerogative signorili, non tanto la maggiore o minore gravosità del prelievo.

Quanto al tipo di censi, prevalgono le riscossioni in natura rispetto a canoni in denaro che, senza scomparire, paiono confinati all‟ambito delle imposizioni dal valore anzitutto ricognitivo132

; sembra, insomma, di poter rilevare una situazione analoga a quella del secolo precedente, dove la moneta certo non sparisce (i libri Rogitorum mostrano un inequivocabile avanzamento dell‟economia di credito133

), ma si prediligono censi riscossi in beni alimentari. Il sempre più alto grado di commercializzazione cui i cereali andarono incontro nel corso del Duecento fornisce, credo, un buon modello di spiegazione per il fenomeno134, così come per l‟appiattimento dei canoni su tutta la popolazione rurale e per la conseguente, definitiva cessazione dell‟utilità della separazione tra dominicum e massaricium nella gestione aziendale.

Per concludere, vale la pena di notare come la tradizione documentaria di Massarosa e Massa Macinaia ci aiuti a rendere conto dell‟assetto insediativo attuale, accentrato nel primo caso e disperso nel secondo; differenza, questa, che trovò nel mancato incastellamento di Massa Macinaia la propria ragion d‟essere. Congiuntamente, mostra come l‟importanza di un luogo per un ente ecclesiastico (misurata sulla proprietà posseduta e sul grado di controllo esercitato) sia inversamente proporzionale al numero di atti in cui quel luogo compare; laddove la presa fu forte, come a Massarosa, non ci fu bisogno di ricorrere ai notai fino a quando la dialettica con le magistrature comunali non impose questa necessità, relativamente nuova. A Massa Macinaia, invece, un longevo ceto di medi proprietari rese ineludibile il ricorso al notariato e ai tribunali, con conseguente produzione di cartulae, nel tentativo di affermare un potere sulla località rimasto, tuttavia, sempre malfermo e instabile.

132 Benché le pergamene siano tagliate, canoni in denaro sembrano emergere in ASDLu, Capitolare, 003, cc. 1, 2, 3, 4. 133 Cfr. supra, paragrafo 2.

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Diffusione e modalità gestionali delle proprietà fondiarie appartenenti all’aristocrazia laica in Tuscia: un confronto a partire dalla documentazione sui ʻconti di Pisaʼ (X-XII secolo)

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