• Non ci sono risultati.

Le proprietà dei ʻcontiʼ: Pisa, il Val d’Arno e Porto Pisano tra proprietà allodiale e beni fiscal

Non sappiamo esattamente in che modo sia avvenuta la selezione dei membri del nuovo ceto comitale voluto da Ugo e Bosone: l‟ipotesi che appare più probabile è quella della promozione di alcune famiglie appartenenti ad un‟élite medio-alta di proprietari terrieri, forse (ma non esistono

43 Ciccone dimentica di segnalare la menzione di Lamberto in qualità di comes nel 1117, che si trova in un documento conservato presso l‟Archivio di Stato di Pisa (d‟ora in avanti ASPi), Diplomatico Acquisto Roncioni, 1118 luglio 3 (stile pisano); su Rosignano, cfr. COLLAVINI 2011, in particolare pp. 138-139. Cfr. in generale COLLAVINI 2010 e di nuovo RONZANI 2007, pp. 684-685 (per la citazione del documento p. 685, nota 23).

44 S

CALFATI, II, n. 105, cit. in CICCONE 1988, p. 127, nota 55. 45

Limitandosi ai ʻconti di Pisaʼ si veda CICCONE 1988, pp. 127-128, ma il tema è implicito anche in RONZANI 2007, p. 685.

46 Qui basti il rimando alla principale guida per una valutazione complessiva del fenomeno signorile in Toscana, ovvero WICKHAM 1996.

47

Sul fenomeno e sulla documentazione relativa si vedano le pagine seguenti e in particolare il paragrafo 5. 48 Cfr. C

ICCONE 1988, p. 129.

49 Sul problema, e parimenti sulle ragioni della scomparsa di questo tipo di soprannomi nel Duecento, si rimanda alle riflessioni in COLLAVINI 2009b.

95

dati a sostegno) già detentrici di una carica pubblica o ecclesiastica50. Nel caso dei ʻconti di Pisaʼ è comunque possibile farsi un‟idea sul loro originario patrimonio terriero osservando la compresenza, e talora la giustapposizione, di due insiemi di beni individuati con locuzioni diverse: da un lato la «terra Rodulfi»51, la «terra et silva de filiis quondam Ghisolfi»52, la «terra Ghisolfinga»53 e la «terra Lambertinga»54, locuzioni che, ferme restando le difficoltà poste da nomi così comuni, sembrano riferibili, con buona sicurezza, ai membri della nostra famiglia, almeno in ragione della loro collocazione geografica; dall‟altro, talvolta confinante con le dette terre55

, la «terra comitorum». Questa «terra dei conti» è stata censita da Gabriella Rossetti, che ha messo in luce come essa non sia mai menzionata prima della comparsa del conte Rodolfo56; inoltre la studiosa ha sottolineato che, sebbene siano piuttosto abbondanti le testimonianze di terre dei conti e dei marchesi di Lucca, la loro individuazione avviene sempre tramite il nome del proprietario (per citare due degli esempi fatti da Rossetti, «terra et vinea de filii quondam Bonifatii comis» nell‟883 o «terra Adalberti marchioni» nel 935)57.

Si può aggiungere che un‟espressione indicante in modo così esplicito l‟appartenenza di un insieme di beni fondiari all‟ufficio comitale e non alle persone investite di tale ufficio è fatto rarissimo: l‟unico parallelo, a mia conoscenza, è rappresentato dal Cartulario di San Quirico di Populonia58, sebbene ulteriori controlli su un complesso più esteso di edizioni (soprattutto di carte private) sarebbero sicuramente necessari59. Ancora, è opportuno rimarcare come la locuzione «terra comitorum» non presenti alcuna oscillazione con la forma, propria del latino classico, di terra

comitum: non stupisce, naturalmente, l‟utilizzo inesatto dei suffissi per il latino notarile di X-XI

secolo e per quello medievale in genere. Importa invece notare come nei nostri atti si ricorra in modo esclusivo al genitivo «comitorum» quando si menzionano questi appezzamenti, un effetto, a mio parere, di due cause parzialmente interdipendenti: la stabilità e la continuità di questo come di altri usi formulari presso il ceto notarile pisano e l‟importanza rivestita da tale insieme di beni come

50 Da ultimo è tornato sul tema Giacomo Vignodelli nel quadro di una ricerca sui dotari di Berta e Adelaide (VIGNODELLI 2012, in particolare p. 276 e il paragrafo 5.2, La strategia regia e l‟origine delle nuove aristocrazie, pp. 286-290).

51 G

HIGNOLI, n. 53, a. 964 in «Vinea Regi prope locus que vocitatur Pratuscella». 52 Ivi, n. 76, a. 1005 a Lugnano (attualmente una frazione di Vicopisano). 53 Ivi, n. 89, a. 1017 a Orciano Val di Tora.

54

Ivi, n. 170, a. 1075 a «Cascina ubi dicitur Cafaio».

55 Vale per i casi citati alle note 51, 52, 53: non per quello alla nota 54 perché, come si vedrà tra poco, nel 1075 la «terra comitorum» era ormai scomparsa.

56 R

OSSETTI 1973, p. 238. 57

Ibid.

58 Qui l‟espressione terra comitorum indica i beni degli Aldobrandeschi. Per i riferimenti precisi cfr. C

OLLAVINI 2015 (i.c.s.), p. 13, nota 46, dai quali emerge come, in ogni caso, l‟espressione sia soggetta a variazioni formali (si incontrano sintagmi come terra contile e terra comitum), variazioni che sono assenti (lo si vedrà tra un attimo) nei documenti pisani.

59 Un‟indagine sul motore di ricerca dei Monumenta Germaniae Historica digitalizzati mostra come la locuzione (con le possibili varianti di terra comittorum, terra chomitorum, terra chomittorum e con il plurale terrae) sia presente solo in documenti riguardanti Pisa.

96

punto di riferimento geografico nel momento in cui si elencavano confini e pertinenze di un patrimonio fatto oggetto di transazione. Come che stiano le cose, l‟ipotesi più probabile per spiegare la compresenza di «terrae comitorum» e di terre individuate con il nome di un membro della casata risiede, in assenza di solidi indizi di differenze inerenti alle modalità di gestione, nel loro diverso statuto giuridico: fiscali le prime (verosimilmente concesse alla famiglia quando a Rodolfo fu conferito l‟ufficio di comes), allodiali le seconde.

Tornando all‟elenco di Rossetti, dal gruppo di toponimi e microtoponimi riportati dalla studiosa emerge come l‟ubicazione delle «terrae comitorum», analogamente alla terra qualificata con i nomi dei componenti della casata, spazi dagli immediati dintorni della città fino alla campagna del Val d‟Arno, verso est (la località più ad oriente che viene citata è Vicopisano) e poi nella regione meridionale di Porto Pisano. L‟elenco può essere aggiornato con alcuni documenti, sfuggiti a Rossetti, dove si trovano menzioni di «terrae comitorum» che tuttavia non modificano il quadro geografico delineato finora: due diplomi (uno di Ottone III del 99660 e uno di Corrado II del 102761) e le già citate cartulae della Certosa di Calci, dove è confluito l‟archivio di San Vito e dove si trova la più tarda menzione di «terre dei conti», risalente al 1065 per la località di «Vuilicha ubi dicitur Calcinaria», a Porto62.

Salta all‟occhio come questi beni, o almeno la loro particolare denominazione, siano sopravvissuti ben oltre la perdita dell‟ufficio comitale da parte (verosimilmente) di Lamberto; vale dunque la pena di svolgere qualche riflessione sulle ragioni della loro scomparsa, ragioni che, credo, possono gettare luce sul perché tali «terrae» siano attestate fino ad un periodo di molto successivo alla fine della prima guerra arduinica.

Proviamo dunque a ragionare sulle ultime emergenze di questi beni prima della loro eclissi definitiva: negli anni immediatamente precedenti al 1065 «terra comitorum» è attestata a «Cannaiole» (Vicopisano), nell‟appena ricordata «Vuilica», presso la chiesa di San Martino e «al

60 MGH, DD.OII/DD.OIII, n. 223, pp. 636-637 (come confinazione di una terra «extra murum civitatis Pisae») 61

Visto tuttavia da Cinzio Violante: cfr. VIOLANTE 1980, pp. 22 e 27; per l‟edizione del diploma vd. MGH, DD.KII, n. 77, pp. 100-101 (come confine di una «terram sitam inter murum veterem et murum civitatis Pisae» e poi di una «terrulam eidem civitati coniacentem quae dicitur Ortus»).

62 S

CALFATI 1977, n.46.

Fornisco qui di seguito l‟elenco completo delle menzioni di «terra dei conti» che ho potuto trovare: già citate da Rossetti sono le attestazioni, relative a Pisa e al Val d‟Arno, in GHIGNOLI, n. 53, a.964 a Pratuscella e a «Padule Autjuli»; FALASCHI, n. 7, a. 965 «in civitate vetere»; ivi, n. 9, a. 975 a Montione presso Gello; ivi, n. 12, a. 978 di nuovo a Pratuscella; MDL, V/3, n. 1590, a. 984, «ad Chulu di Ghorgu prope civitate Pisa»; GHIGNOLI, n. 72, a. 987 a Cascina; FALASCHI, n. 20, a. 999 «in loco Catallo»; ivi, n. 24, a. 1002-1003 «a Sancto Puntiano»; GHIGNOLI, n. 85, a. 1012 a Tursciano; ivi, n. 87, a. 1015 a Vico in località «Peretulo»; CIONI, n. 1, a. 1027, «subter muro vetere»; ivi, n. 2, a. 1028 a Soarta; CATUREGLI (manca in GHIGNOLI), n. 130, e CIONI, n. 5, a. 1054 a Ghezzano; quanto a Porto Pisano, GHIGNOLI, n. 72, a. 996 a Vuaralda; ivi, n. 76, a. 1005 a Lugnano; ivi, n. 80, a. 1007, di nuovo a Vuaralda.

Si ricordino poi le citazioni di «terra comitorum» nei diplomi citati alle note 58 e 59.

Quanto all‟archivio della Certosa di Calci, le terre dei conti sono citate in SCALFATI 1977, n. 31, a. 1063 nella zona di Porto (a «Cannaiole», «Vuilica», San Martino e «al Pereto»), n. 41, a. 1064 (a «Seteri»), n. 46 a. 1065 (a «Vuilicha ubi dicitur Calcinaria»).

97

Pereto» (località site nella zona di Porto) in data 29 agosto 106363, poi a «Seteri» (Setteri, di nuovo a Porto) nel 106464, attestazioni contenute all‟interno di due vendite dirette a Bonuccio di Guinizo (che agisce per il monastero di San Vito65) ed effettuate, per la parte di terreni a lui spettante, da Ugo di Guido; nel 1065, poi, suo fratello Ghisolfo (discendente di Ghisolfo II) cede al medesimo Bonuccio, tra le altre cose, la propria parte di petiae di terra site a «Cannaiole», San Martino, «al Pereto» e Setteri. Molto interessante risulta il confronto tra le cartulae del 1063 e del 1064, da un lato, e quella del 1065 dall‟altro: se si leggono le confinazioni delle petiae nei luoghi succitati, infatti, si nota che queste sono assolutamente identiche nei tre documenti, fatta eccezione per la terra del fu Donuccio, divenuta terra del fu Rodolfo (ma si tratta, credo, del medesimo ceppo famigliare e dunque del medesimo appezzamento: Donnuccio di Ildebrando era nipote del «quondam» Rodolfo II), e proprio per la nostra «terra comitorum», divenuta «terra domini regi». Se ne traggono alcune considerazioni importanti: tra 1063 e 1065 i due fratelli procedettero all‟alienazione delle loro quote di proprietà fondiaria nei medesimi luoghi e sui medesimi terreni con vendite fittizie (le prime due erano effettuate in cambio di un anello e di una spada, della terza non viene indicato il prezzo); scopo dell‟operazione sembra essere stato quello di cautelarsi dal rischio di ulteriori confische dopo quelle che, tra 1064 e 1065, dovettero trasformare la terra dei conti in terra regia (non tutta, però: evidentemente il processo era ancora in corso, dal momento che la cartula del 1065, come già detto, contiene l‟ultima menzione di «terra comitorum» a Calcinaia); per raggiungere l‟obiettivo si ricorse alla cessione dei beni presenti nell‟area (anzitutto allodiali, ma non escluderei in via d‟ipotesi che ne fossero compresi anche altri di origine pubblica) a favore del cenobio di San Vito, la cui espansione patrimoniale sarebbe continuata progressivamente fino al

63 S

CALFATI 1977, n. 31. 64

.Ivi, n. 41.

65 Si potrebbe pensare, naturalmente, che Bonuccio fosse un semplice privato e che i documenti in questione siano stati inglobati nell‟archivio di San Vito solo in un secondo momento in quanto monimina: tuttavia, il carattere fittizio delle vendite e l‟evidente rischio di una confisca dei beni per evitare la quale si ricorre alla devoluzione di tali beni a un monastero (elementi che chiarirò tra un attimo, ma sull‟aspetto fittizio delle cessioni cfr. anche supra) mi fanno credere che Bonuccio sia un curatore degli interessi temporali di San Vito e non un semplice privato. Come ulteriore indizio in questa direzione si consideri che il figlio di Bonuccio, Sasso, sarà il destinatario di due ulteriori vendite effettuate dai conti di Porto nel 1080 e nel 1095 (SCALFATI 1977, nn. 95 e 134): nel primo atto Ugo del fu Guido e la moglie Bellica gli cedono quattro pezzi di terra e ricevono un anello d‟oro del valore di alcuni solidi (ma dove ci sarebbe dovuto essere il numero si trovano spazi bianchi); nel secondo vendono beni in Sartiano, Griminignagio e Carbonaia in cambio di un anello d‟oro pro 280 solidi; un‟altra vendita fittizia, dunque, oppure, vista l‟indicazione dell‟equivalente in denaro, il saldo di un debito. Come che stiano le cose, nel 1095 Sasso e la moglie avevano già venduto, e contemporaneamente donato «pro anime nostre remedio» da nove anni al monastero di San Gorgonio dell‟isola Gorgona (di cui San Vito era una cella) beni siti a Sartiano, Carbonaria, Amule, Stagno e Montemassimo per l‟alta cifra di 1500 solidi (ivi, n. 116); 500 di questi sono loro restituiti nello stesso giorno, in cambio della promessa di non molestare San Gorgonio nel possesso dei beni di Stagno e Montemassimo (ivi, n. 117) e mi spingerei ad ipotizzare che i restanti mille siano stati loro resi in un‟analoga pagina repromissionis andata perduta, il cui contenuto avrebbe potuto riguardare l‟impegno a non rivendicare i patrimoni terrieri in Sartiano, Carbonaria e Amule. Tutto sommato, considerando il carattere simulato di questo complesso di operazioni e conseguentemente il loro valore più politico che economico, trovo improbabile che Bonuccio e Sasso agissero da semplici privati: ringrazio il prof. Ronzani per i consigli riguardo a questo problema.

98

periodo compreso tra XII e XIII secolo66; infine, accogliendo la tesi di Ronzani, bisogna aggiungere che un processo analogo (ma non sondabile sulle fonti) potrebbe essere avvenuto una trentina di anni prima con la fondazione del monastero suburbano di San Paolo a Ripa d‟Arno e la corrispondente dotazione patrimoniale di cui i ʻcontiʼ sarebbero stati i principali fautori.

Per tirare le conclusioni, mi pare sensato affermare che la formula di «terra comitorum» sia sopravvissuta fino alla metà del secolo XI mantenendo la propria originaria connotazione pubblicistica; tuttavia tale connotazione dovette essere percepita come una minaccia per l‟integrità dei possedimenti dei ʻcontiʼ solo in momenti determinati, corrispondenti con ogni verosimiglianza a puntuali ricognizioni condotte da funzionari regi o marchionali in singole zone della Tuscia; solo così, credo, si può spiegare perché l‟alienazione della «terra dei conti» a favore di enti religiosi sia stata diluita nel tempo e non abbia costituito un‟iniziativa immediata per prevenire il rischio di requisizioni subito dopo l‟insediamento di Bonifacio di Canossa nel 1027.

Siamo dunque arrivati alla seconda metà del secolo XI: da questo momento in avanti la storia delle proprietà dei ʻcontiʼ si lega inestricabilmente al fenomeno castrense e al loro nuovo ruolo di signori territoriali. L‟importanza del fatto merita una trattazione a sé, per la quale rimando al paragrafo 5; ora, invece, è necessario affrontare il problema riguardante il modo in cui le proprietà erano dirette ed organizzate.

Documenti correlati