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Commentare un insieme di dati allo stesso tempo così vasto e frammentario espone al rischio di passare dall‟ovvia ricerca di una spiegazione complessiva e coerente alla caduta nel cosiddetto «mito della coerenza»216, nel tentativo, cioè, di forzare informazioni sparse e lacunose all‟interno di modelli esplicativi generali (e di volerlo fare a tutti i costi), come il sistema curtense, per restituire una ricostruzione compiuta e dotata di senso. A livello pratico questa inclinazione porta con sé una conseguenza potenzialmente rovinosa, quella, cioè, di attribuire la coerenza che cerchiamo di dare al discorso storiografico al linguaggio delle fonti di volta in volta utilizzate (nel nostro caso, gli atti privati).

Quello che ho cercato di fare, dunque, è consistito anzitutto in una disamina degli usi notarili sotto il profilo della terminologia curtense: mi sembra di poter concludere che aspetto formulare

212 Cfr. D

U CANGE, VII, col. 340a. 213 Ivi, nn. 93-94 e le altre fonti citate in C

OLLAVINI 2009c, p. 323, nota 22. 214

COLLAVINI 2009c, p. 321 e nota 14 (soprattutto per il significato di gifori, verosimilmente una forma di albergaria o di corvée pubblica).

215 Cfr. ivi, p. 323.

216 Riprendo, per l‟espressione e per le considerazioni che seguono, T

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(non corrispondente, cioè, alla realtà fondiaria oggetto di una transazione, ma legato a sole esigenze formali) e descrittivo (corrispondente ai beni che sono transatti) convivano, ma che in definitiva il secondo prevalga sul primo; d‟altronde, i notai erano un «personale specialistico»217

, tenuto ad usare in modo mirato locuzioni e singoli termini per non sminuire la validità e l‟efficacia degli atti. Se di coerenza assoluta (e conseguentemente di piena e costante corrispondenza tra testo e caratteri dei beni fondiari) non si può parlare, parlerei comunque di una coerenza sostanziale: e questo, credo, deve portare a valorizzare gli sporadici indizi relativi alle modalità gestionali delle aziende agrarie, che in contesti privi di polittici o di contratti con coltivatori sono spie di una realtà celata e tuttavia presente ed intuibile. Perché parlare di beni dominici, di case dominiche, di terra dominica se il lessico della terra in conduzione indiretta, della proprietà allodiale, della terra riferibile al solo ente proprietario o al signore (il dominio eminente) è ben presente al ceto notarile?

Naturalmente la dipendenza dai notai pone ostacoli: con l‟incastellamento prima e lo sviluppo signorile poi ad un cambiamento dei quadri territoriali fa seguito un cambiamento dei quadri giurisdizionali e, conseguentemente ai due, si determina un cambiamento dell‟usus notarile che, generalizzando, non ha più l‟azienda agraria come termine di riferimento per la redazione delle

cartulae. Le curtes e il système bipartit, dunque, più che scomparire, rimangono sotto una spessa

coltre dovuta all‟affermazione della «signoria territoriale»: in che rapporti questa si sovrapponga (per riprendere le categorie di Cinzio Violante218) alla «signoria rurale» è cosa che raramente le fonti consentono di indagare.

Fatta questa premessa di metodo, veniamo ai dati concreti relativi ai beni delle grandi famiglie laiche di Tuscia. Sembra che forme di bipartizione curtense all‟interno di tali patrimoni fossero presenti un po‟ dovunque, senza tuttavia costituire un modello gestionale fisso e benché tarate sull‟assetto locale della proprietà fondiaria: frammentato in Lucchesia e nel Pisano (come probabile conseguenza di quell‟aumento demografico cui si deve anche il precoce sviluppo comunale delle due città), leggermente più coeso nel Pistoiese, compatto nell‟area amiatina dove la fondazione di corti ex nihilo era favorita dalla bassa antropizzazione della zona. Quasi mai, per le ragioni sopra esposte, riusciamo a spingere l‟analisi addentro e oltre il secolo XI: in alcuni casi, come per gli Alberti, la dimensione castellare prevalse da subito su quella aziendale e si può appena intuire il forte spezzettamento di proprietà e possesso fondiario intorno a Prato e nei possessi albertini in generale; nel caso degli Obertenghi, poi, i nuclei dominici sono attestati nel Pisano e ipotizzabili per l‟Aretino, ma quale peso complessivo avessero tra XI e XII non è dato saperlo; quanto ai Guidi e ai Gherardeschi, infine, isole di economia diretta dovettero esistere, ma non fu su

217 L‟espressione è in P

ETRUCCI 1975, p. 125. Per il notariato pisano e quello italiano in generale rimando alla bibliografia in ROSSI 2013, pp. 101-102, nota 106.

218 V

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questo che le due famiglie puntarono nel processo di consolidamento del proprio potere politico e territoriale.

Tutto sommato ritengo che si possa proporre una spiegazione che integri le suggestioni di Morimoto, Devroey e Wilkin con le considerazioni di Chris Wickham219: da un lato, è del tutto plausibile che aristocrazie latamente post-carolinge facessero proprie, anche sul lungo periodo e in forme non compiutamente strutturate, esperienze di gestione agraria sperimentate nella loro “versione classica” nel Nord Europa; dall‟altro, la gestione in riserva non costituisce una modalità di conduzione così particolare da dover essere confinata all‟iniziativa dei sovrani franchi e alla zona tra la Senna e il Reno dell‟VIII e del IX secolo. Una tale limitazione ha senso solo se con «riserva» intendiamo i grandi mansi indomnicati mostratici dai polittici, ma, se prendiamo il termine in un‟accezione più ampia, l‟esistenza di terreni lavorati in economia diretta e la conseguente bipartizione tra dominico e massaricio è di certo presente, anche se per nulla esclusiva: una presenza che supporrei “poligenetica”, atta, cioè, a rispondere a esigenze diverse (dall‟intensificazione produttiva ai principi - polanyiani - di centralità e ridistribuzione) dal complesso delle quali sarebbe forzoso escludere le aristocrazie laiche e per la cui indagine il modello di Verhulst continua a fornire, credo, un fecondo termine di confronto.

219 W

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San Michele di Passignano e le sue proprietà nel XII secolo: un sistema “postcurtense”

1.L’opera di Elio Conti 1

Occuparsi del sistema curtense in Toscana comporta la necessità di confrontarsi con la ricchissima documentazione del monastero di San Michele di Passignano e con gli studi che l‟hanno riguardata. Tra questi2 il punto di partenza e di confronto per il tema in esame è costituito dal fondamentale La formazione della struttura agraria moderna nel contado fiorentino, due volumi del quale vennero dati alle stampe dal «fiorentinissimo»3 Elio Conti nel 19654. L‟opera, ancora oggi insuperata per l‟accuratezza nel trattamento statistico dei dati e per l‟acume interpretativo mostrato dall‟autore, rappresenta la più completa disamina sulle caratteristiche e le trasformazioni della proprietà e del possesso fondiario in Toscana nell‟ambito di una ricerca, per altro, concepita per coprire uno spettro cronologico amplissimo, che portò Conti a spingere la propria analisi fino al secolo XIX.

Si tenga presente che sul sito dell‟Archivio di Stato di Firenze, al pari di quanto era già avvenuto nella redazione di

inventari e spogli di pergamene tra Sette e Ottocento, ci si è limitati a trascrivere la data cronica dei documenti senza preoccuparsi di “modernizzarla”: le date comprese tra il primo gennaio ed il 24 marzo, dunque, mantengono lo stile fiorentino dell‟Incarnazione e bisogna aggiungere un anno per adeguarle al nostro calendario. Segnalerò di volta in volta se si riscontrano incongruenze con l‟indizione. Per l‟individuazione delle pergamene ho indicato tra parentesi quadre, laddove fosse necessario per non confondere tra loro i singoli pezzi, il numero della fotografia on-line.

2

Già Robert Davidsohn aveva consultato il ricco fondo di Passignano (DAVIDSOHN 1896, ed. it. - cui faccio riferimento - 1956, p. 172 e passim). All‟opera dello studioso tedesco faceva seguito il volume, per l‟epoca rivoluzionario, di Johan Plesner (PLESNER 1934, ed. it. ID. 1979, alla quale mi rifarò). Dopo Conti (per il quale cfr. nota 4), ad appuntare la propria attenzione su Passignano sarebbe stato Philip Jones, benché all‟interno di contributi di carattere più generale sulla storia agraria di tutta la Toscana (soprattutto JONES 1968, in italiano in ID. 1980 - dal quale citerò d‟ora in avanti -, cap. VII, pp. 377-433). Del contado fiorentino in rapporto al vescovado della città si è occupato George Dameron (DAMERON 1991, in particolare cap. II, pp. 68-92), ma il problema delle forme di gestione delle proprietà non occupa molto spazio (ivi, p. 86 ss. e soprattutto pp. 87-88 per ciò che concerne la - supposta e non davvero dimostrata - dismissione degli obblighi curtensi e delle riserve dominiche). Da ricordare, naturalmente, gli studi di Chris Wickham: tra i suoi lavori fondati in tutto o in parte sul Diplomatico passignanese bisogna segnalare WICKHAM 1996, ed. it. 1998, riguardante la disputa di Figline Valdarno tra due chiese locali (la pieve di Santa Maria e la canonica di San Bartolomeo); e ID. 2000, soprattutto pp. 279-364. Sul problema dell‟incastellamento in area fiorentina è oggi fondamentale il volume di Maria Elena Cortese (CORTESE 2007; su Passignano cfr. p. 22 e passim). Le più recenti raccolte di interventi relativi a Passignano sono PIRILLO 2009 (ai cui saggi si farà riferimento via via) e MORETTI 2014. Si veda anche FAINI 2010, in particolare il cap. II, pp. 21-126, per il quale cfr. infra. Come segnalato nel capitolo sull‟Amiata, si è dedicato ad una rapida escussione degli elenchi di censuari passignanesi il giapponese Yoshiya Nishimura (cfr. NISHIMURA 2012). Sulla documentazione del nostro monastero si fonda, infine, una parte del recente contributo di Simone Collavini su signoria ed élites rurali (COLLAVINI 2012).

Le opere elencate sono quelle che, almeno in senso lato, toccano problemi di storia socio-economica e sono state dunque utilizzate nella trattazione seguente: non è questa la sede per una bibliografia completa degli studi basati sul Diplomatico di Passignano e basta quindi sottolineare come l‟eccezionale ricchezza di questo fondo abbia attratto specialisti di campi molto diversi. Sulle pergamene passignanesi, ad esempio, si basa l‟importante (e discusso) lavoro di Emanuele Casamassima su tradizione corsiva e tradizione libraria (CASAMASSIMA 1988); o ancora (benché attinga in ampia misura anche ad altre serie archivistiche) l‟articolo di Giulia Ammannati sulla scrittura dei notai fiorentini tra X e XI secolo (AMMANNATI 2009).

3 Mutuo l‟aggettivo da C

HERUBINI 2009, p. 3. 4 C

ONTI 1965 e CONTI 1965b; il secondo dei due (Monografie e tavole statistiche, secoli XV-XIX) non sarà qui oggetto di una trattazione specifica in ragione dell‟ambito cronologico interessato, che è troppo tardo.

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Il lavoro dello studioso muoveva da un originario interesse per la storia agraria della campagna di Firenze nel Quattrocento, interesse a causa del quale egli si era visto costretto a volgere la propria attenzione ai secoli precedenti per indagare la nascita di quella struttura agraria moderna (la mezzadria poderale) da cui il libro prendeva il titolo e che era già giunta ad una piena maturazione nel XV secolo. In questo quadro, il problema della presenza e delle caratteristiche del sistema curtense non poteva non essere il momento d‟avvio delle riflessioni di Conti, ma l‟estrema scarsità di fonti altomedievali per l‟area fiorentina gli permise di esplorare il tema solo in modo largamente congetturale: e infatti Conti dovette avvalersi del modello curtense, confinandone l‟uso ai grandi patrimoni ecclesiastici e “temperandolo” con l‟importanza rivestita, nel complesso delle campagne italiane, dalla piccola proprietà allodiale prima di esporre i risultati dello studio sul territorio campione di Passignano e di Poggialvento nel secolo XI (periodo a partire dal quale la documentazione si fa più abbondante ed organica).

Nelle pagine seguenti si tenterà, dunque, questa doppia operazione: da un lato si saggerà la tenuta delle argomentazioni di Conti nel definire gli aspetti della struttura agraria nell‟area passignanese dopo il Mille in rapporto all‟annosa questione del dissolvimento della curtis classica; dall‟altro si proverà ad estendere la ricerca ad un periodo, il XII secolo, su cui Conti non ebbe mai modo di mettere a punto un contributo esaustivo e che ci metterà di fronte all‟esistenza di forme di gestione della terra definibili come “postcurtensi”5

. Quale significato preciso debba essere attribuito all‟aggettivo risulterà chiaro, spero, dal prosieguo del testo.

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