Nel 2013 è stato pubblicato per i tipi di Franz Steiner un libro a firma di Sebastian Freudenberg, allievo di Hans-Werner Goetz, dal titolo Trado atque dono; come viene specificato nella didascalia, il testo riguarda la signoria terriera privata («private Grundherrschaft») tra i Franchi orientali studiata attraverso la documentazione dei monasteri di Lorsch e di Fulda nel
periodo compreso tra il 750 e il 900
1. In modo efficace l‟autore mette in evidenza già nel sottotitolo il principale problema cui si trova di fronte chi voglia indagare la consistenza, la diffusione e le modalità di gestione di beni che non siano fiscali o ecclesiastici, almeno nei secoli presi in esame: è inevitabile, cioè, condurre la ricerca alla luce, nel riflesso («im Spiegel») di fonti riguardanti il patrimonio di soggetti diversi rispetto a quelli che si intende esaminare (nello specifico, quello di due abbazie regie) per via della perdita degli archivi tenuti dai privati. La nostra conoscenza è quindi mediata ed episodica, problema, questo, che travalica ampiamente i confini geografici e cronologici dati da Freudenberg alla propria opera e assume un‟importanza di portata generale.
Il libro dello studioso tedesco si segnala poi per altre caratteristiche su cui vale la pena di spendere qualche parola: la domanda di fondo cui si cerca di dare una risposta e che orienta la puntuale critica dei documenti riguarda la supposta arretratezza ed inefficienza economica nella conduzione di proprietà ed aziende agrarie da parte dei privati, in netto contrasto con la “spinta propulsiva” propria della gestione di beni pubblici ed ecclesiastici2
. Qui non interessa notare come tale, presunta differenza si sia manifestata, secondo l‟opinione di vari autori, nell‟altrettanto presunta opposizione tra i “primitivi” sistemi di conduzione nei territori ad Est del Reno e le “moderne” aziende dell‟Ovest (opposizione di cui Freudenberg mostra l‟infondatezza); importa piuttosto sottolineare come tale “modernità” consisterebbe nell‟adozione di quel régime domanial
classique la cui più efficace, e per gli studi successivi fondamentale, messa a punto viene ancora
individuata nella relazione tenuta a Spoleto da Adriaan Verhulst nel 19653. La nota tesi dello
1 F
REUDENBERG 2013. 2
Per questo tema, come per quelli accennati successivamente, si veda il primo capitolo del testo, Forschungsstand und Leitfragen, pp. 11-50.
3 V
ERHULST 1966 (ora in ID. 1992, rist. anast.), discussa in FREUDENBERG 2013, p. 12 ss. La tesi dell‟autore tedesco si basa, essenzialmente, sulla considerazione che i vari tipi di organizzazione aziendale propri della private
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studioso belga, secondo la quale i principali agenti della crescita di età carolingia sarebbero stati, soprattutto attraverso la fondazione di monasteri, i sovrani franchi, relegava ad un ruolo secondario (anche dal punto di vista, si potrebbe aggiungere, dell‟interesse storiografico che rivestivano) le realtà aziendali private4; su questa stessa linea, nota Freudenberg, si sarebbe mosso anni più tardi Yoshiki Morimoto nei suoi compendi del 1988, del 1994 e del 20085 relativi agli studi e alle prospettive di ricerca sui polittici, sulla grande proprietà carolingia e, più in generale, sulla storia rurale dell‟alto Medioevo. Morimoto, infatti, riteneva che le aziende altre rispetto a quelle fiscali ed ecclesiastiche, specie se di piccole dimensioni, non rientrassero nel modello del régime domanial e che conseguentemente il loro contributo alla definizione dei caratteri originali del mondo agrario carolingio potesse considerarsi trascurabile6.
Nella sua pur amplissima bibliografia Freudenberg non cita nessuno dei saggi contenuti nel volume Autour de Yoshiki Morimoto. Les structures agricoles en dehors du monde carolingien,
formes et gènese, risultato di un convegno tenuto a Bruxelles nel 2010 i cui atti sarebbero stati
pubblicati due anni più tardi7; i saggi introduttivi dello stesso Morimoto8 e di Jean-Pierre Devroey e Alexis Wilkin9 sono accomunati dal tentativo di ripensare la storiografia e la teoria del régime
domanial classique in rapporto con il cosiddetto modello “allodialista” che, sulla scia delle ricerche
di Robert Latouche10, Georges Duby11, Robert Fossier12, Guy Bois13e Pierre Bonnassie14 considera il sistema curtense una forma organizzativa marginale rispetto alla ben più diffusa proprietà allodiale, estranea all‟adozione di un système bipartit la cui reale importanza sarebbe stata largamente sopravvalutata nella tradizione di studi che lo hanno riguardato. Gli interventi contenuti nel volume su Morimoto muovono proprio dallo sforzo di riconciliare le posizioni di “domanialisti” Grundherrschaft (Fronwirtschaft, Gutswirtschaft, Zinswirtschaft) si presentano in combinazione tra di loro, benché non tutte le combinazioni siano ugualmente frequenti: ivi, pp. 288-289.
Per le più recenti riconsiderazioni del problema relativo al ruolo giocato dai signori laici nella crescita economica dell‟Occidente si veda anche MORIMOTO 1994a (rist. in ID. 2008a) e i saggi raccolti in FELLER 2009, benché il volume sia centrato sul periodo compreso tra XI e XV secolo e sulla questione del prelievo e della conversione dei canoni. 4 Cfr. V
ERHULST 1966, in particolare pp. 152-156 e p. 160, dove Verhulst afferma che il sistema curtense «semble avoir été le fait d‟une politique consciente de la part de la royauté et des grands établissements ecclésiastiques qui, dans la diffusion du régime domanial classique dans des régions moins favorables à son développement, ont joué un grand rôle». Tale opinione sarebbe stata sfumata nel contributo sulla Cambridge Economic History (GANSHOF-VERHULST
1966, per il quale rimando al primo capitolo). 5
MORIMOTO 1988, 1994b (ora entrambi in ID. 2008a) e 2008b, discussi in FREUDENBERG 2013, p. 18 ss. 6 Ibid.
7 D
EVROEY-WILKIN2012a. 8 M
ORIMOTO 2012. 9
DEVROEY-WILKIN 2012b. 10 L
ATOUCHE 1956 e edd. successive. 11 D
UBY 1962 e edd. successive. 12 F
OSSIER 1987 (ed. or. 1982), in particolare p. 581 ss. 13
BOIS 1989. Sul volume cfr. la sintesi in MORIMOTO 1994a, che nella terza sezione dell‟articolo si sofferma su un problema al quale qui non si avrà modo di dedicare spazio, ovvero il rapporto tra città e campagna.
14 Qui basta il rimando a B
ONNASSIE 1990, in particolare p. 100 ss. per un confronto tra modello “domanialista” ed “allodialista”: si vedano, comunque, anche i lavori precedenti dello stesso autore.
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e “allodialisti” attraverso una proposta di metodo in grado di soddisfare entrambi: utilizzare il modello curtense quale termine di confronto per l‟analisi delle proprietà fondiarie «al di fuori del mondo carolingio» (per tradurre le parole del titolo) in un‟ottica essenzialmente comparativa, in grado, cioè, di rendere conto della maggiore o minore distanza dal modello elaborato da Verhulst15.
Il libro di Freudenberg e i saggi su Morimoto forniscono un buon punto di partenza per l‟argomento che mi accingo a trattare, ovvero le caratteristiche della proprietà fondiaria laica in Tuscia tra X e XII secolo. La ricerca che ho condotto, in verità, non ricalca precisamente le linee d‟indagine tracciate in questi due testi, per ragioni che è bene mettere in chiaro.
La prima differenza, macroscopica, riguarda l‟arco cronologico preso in considerazione:
Trado atque dono, infatti, si concentra sul periodo pre-carolingio, carolingio e post-carolingio; più
ampio, invece, è lo spettro temporale su cui si soffermano gli interventi dedicati allo studioso giapponese, ove l‟attenzione è centrata sulla curtis di età merovingia e carolingia nonché alla transizione dal latifondo romano alle forme di coltivazione e di organizzazione aziendale altomedievali (penso soprattutto al saggio di Guy Halsall e, per Bisanzio, a quello di Peter Sarris)16: il nucleo d‟interesse, tuttavia, è fondamentalmente uguale a quello del volume di Freudenberg. Nella trattazione che segue, invece, si partirà dal X secolo, ovvero dal momento in cui compare la famiglia laica alla quale dedicherò più spazio, quella dei cosiddetti ʻconti di Pisaʼ, mentre affondi sul periodo precedente avverranno solo nel confronto con le altre casate aristocratiche e con i relativi insiemi patrimoniali.
La seconda differenza consiste nel fatto che le pagine seguenti avranno per oggetto i beni di delle grandi famiglie laiche e la piccola e media proprietà allodiale emergerà principalmente attraverso il confronto con quest‟ultima, senza diventare argomento di un‟indagine specifica. Questa scelta comporta la necessità di un chiarimento terminologico: ho preferito parlare di «proprietà dell‟aristocrazia laica» piuttosto che di «signoria terriera privata» sia per evitare di pronunciarmi fin da subito sull‟origine e sulla natura fiscale o privata di tali proprietà (che, come vedremo in particolar modo per i ʻcontiʼ, deve essere attentamente valutata), sia per non utilizzare un termine come signoria/Grundherrschaft dalle forti connotazioni extra-economiche, atto cioè, per riprendere le parole di Giovanni Tabacco, a «indicare un sistema di rapporti implicante un nesso fondamentale fra ordinamento fondiario e ordinamento del potere»17. Mi concentrerò, nella misura in cui le fonti lo permetteranno, sul primo dei due poli individuati da Tabacco, su problemi di ordinamento fondiario: di signoria si potrà propriamente parlare solo per la fase finale del periodo considerato, quando nella documentazione si faranno chiari gli indizi relativi all‟esistenza di diritti e 15 M ORIMOTO 2012, in particolare pp. 270-271. 16 H ALSALL 2012 e SARRIS 2012. 17 Cit. T
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di prerogative giurisdizionali detenuti da élites famigliari e ad un ambito territoriale all‟interno del quale essi si esercitano.
Al di là delle differenze, però, è opportuno rimarcare le ragioni che mi hanno indotto ad utilizzare i due testi come punti d‟avvio generali per un‟analisi particolare: l‟opera di Freudenberg muove dal tentativo di testare il modello curtense su insiemi fondiari che non appartengono agli enti religiosi sulle cui proprietà, e naturalmente sulla documentazione ad essa relativa, tale modello è stato costruito; i saggi dedicati a Morimoto, come ho in parte già detto, suggeriscono di utilizzare la categoria di régime domanial come termine di paragone per apprezzare la diversità di modi in cui si concretizzava l‟organizzazione e la messa a frutto di terreni e aziende agrarie. Sono, questi, i presupposti da cui vorrei muovere e che credo giustifichino l‟attenzione per le proprietà delle grandi famiglie laiche toscane, peraltro scarsamente indagate, in generale, sotto il profilo della gestione dei beni fondiari.
Prima di entrare nel vivo dell‟argomento, però, è bene inquadrare brevemente le vicende che interessarono la famiglia dei cosiddetti ʻconti di Pisaʼ tra X e XII secolo.