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3. I castelli medioevali in Sardegna

4.1. Le condizioni economiche

La decadenza economica della Sardegna iniziò durante la

dominazione vandalica, tra il 455 e il 534, quando l‟isola divenne oggetto

di rapine e rappresaglie che la privarono di risorse economiche e militari.

Neppure le modifiche giuridiche, culturali ed economiche apportate da

Giustiniano nel 534 contribuirono a rialzare l‟isola da una continua

decadenza economica. La situazione peggiorò addirittura nei centri

urbani e nelle coste con la breve conquista gotica, tra il 551 e il 553.

Durante il governo bizantino, per i suddetti motivi, si verificò la

migrazione della popolazione sarda nelle campagne, creando un sistema

economico essenzialmente agricolo.

I funzionari bizantini, inoltre, considerarono l‟isola come un

serbatoio economico da cui poter prelevare ogni risorsa disponibile

1

. Per

questo motivo, intorno al VI secolo, le proprietà fondiarie furono

confiscate ai grandi latifondisti laici ed ecclesiastici, suddivise in piccole

proprietà e date in gestione a uomini provenienti dal basso clero e

dall‟esercito, formato da militari e residenti reclutati sul posto. Le

intenzioni principali furono la diversificazione della coltivazione delle

terre, la sua difesa e l‟intento di evitare un ulteriore acrescimento del

1 Già durante il periodo della conquista vandalica (455-534), come sostiene A.SOLMI, Studi

storici sulle istituzioni della Sardegna nel Medioevo..., p. 39, la Sardegna era torchiata da un sistema tributario

esoso che depauperava le fonti di produzione della richezza determinando lo spopolamento dei centri urbani e causando, di conseguenza, l‟impoverimento delle classi più agiate e l‟incremento di quelle più povere.

Katrine Melis

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potere dei grandi proprietari. A queste nuove categorie di possidenti

furono affidati anche compiti amministrativi e responsabilità di difesa del

territorio

2

.

In questo modo, accanto a questi appezzamenti di terreno, sorsero

centri abitati composti da contadini, i quali, allo stesso tempo, si

assunsero anche il compito di difendere il territorio: ognuno di essi

all‟interno del villaggio possedeva un orto, una stalla, una scuderia e

aveva interessi economici anche fuori dalle mura urbane

3

.

La Chiesa in particolare rappresentava la vera potenza economica

dell‟isola, superando anche la crisi del VI secolo mediante l‟investimento

di tutte le sue risorse nella cura della terra e del patrimonio; tutto ciò fu

reso possibile grazie alle donazioni dei fedeli (che versarono

periodicamente una sorta di tassa per l‟espiazione dell‟anima) e alla

cessione dei fondi mediante enfiteusi

4

. Il vescovo rappresentava

naturalmente la guida sulla quale la comunità faceva affidamento.

Dopo il governo bizantino, con l‟instaurazione dei Regni giudicali

5

,

il territorio fu gestito dai sovrani dei quattro stati in base alle peculiarità

2 Secondo A. GUILLON, La lunga età bizantina politica ed economica, in Storia dei Sardi e della

Sardegna, vol. I, Dalle origini alla fine dell‟età bizantina, a cura di M. Guidetti, Milano, Jaca Book 1987, p.

349, la tendenza del governo di Costantinopoli ad affidare la gestione amministrativa e militare del terriorio sardo a piccoli gruppi di proprietari terrieri, laici ed ecclesiastici, fu dovuta dalla decanza e debolezza del potere centrale nei distretti regionali.

3 La distribuzione di ville e centri urbani accanto ai terreni agricoli fu un‟esigenza necessaria

poiché, secondo A.SOLMI, Studi storici sulle istituzioni della Sardegna nel Medioevo, ..., p. 61, essendo caduta l‟organizzazione militare bizantina, la popolazione locale dovette provvedere alla difesa contro i nemici provenienti dal mare, tanto che furono delegati di poteri straordinari alcuni rappresentanti locali residenti nelle circoscrizioni territoriali più importanti dell‟isola.

4 La pratica dell‟enfiteusi secondo A.GUILLON, La lunga età bizantina politica ed economica, in

Storia dei Sardi e della Sardegna ..., pp. 353-359, si allargò con l‟usanza della trasmissione ereditaria fino

alla terza generazione, così che si svilupparono diverse modalità nella coltivazione terriera: tanche o serrati e vidazzone.

5 Sull‟origine dei regni in Sardegna E.BESTA, La Sardegna medioevale, Palermo, A. Reber 1908-

1909, vol. II, p. 264, ipotizza che l‟indipendenza da Bisanzio durò fino al X secolo e che l‟indipendenza dei giudicati si affermò nell‟XI secolo. Nel frattempo comunque mancano fonti che accertino la continuità dei rapporti della Sardagna con Bisanzio nell‟ambito di aiuti militari e navali in cambio di tributi, per questo motivo A.SOLMI, Studi storici sulle istituzioni della Sardegna nel Medioevo …, pp. 56-57, ipotizzò che l‟indipendenza dall‟Oriente fosse già in atto prima dell‟XI secolo e che debba essere fatta risalire all‟VIII o al massimo al IX secolo; cfr. su questo argomento anche F.C.CASULA,

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del suolo. Nei territori di montagna si sviluppò un‟economia agro-

pastorale, mentre nei litorali si crearono i presupposti per un successivo

sviluppo dell‟economia mercantile e commerciale.

All‟inizio dell‟XI secolo parte importante di queste terre era di

proprietà del giudice, il quale elargiva donazioni territoriali a parenti,

grandi proprietari, monasteri ed enti ecclesiastici; solitamente

comprendevano un certo numero di domus (un centro con terre coltivate,

vigne e saltus)

6

.

Con la crescita demografica che si sviluppò dopo il Mille si

moltiplicarono i centri abitati, rappresentanti la base istituzionale ed

economica dei regni sardi e predisposti al controllo capillare del

territorio.

Le ville litoranee si ingrandirono invece grazie alle attività

mercantili e commerciali; queste ultime date in gestione alle due città

marinare di Pisa e Genova, giunte per soccorrere gli isolani quando gli

Arabi invasero il territorio in quel periodo

7

, ottenendo in cambio di poter

frequentare liberamente i porti sardi.

Negli anni successivi, i sovrani isolani affidarono con più

insistenza l‟amministrazione di parte dei loro territori agli ordini religiosi

e alle chiese cattedrali di Pisa e Genova, che gestirono i beni tramite

proprie organizzazioni economiche chiamate Opera (ripettivamente di

6 Secondo M.TANGHERONI, L‟economia e la società della Sardegna (XI-XII secolo), in Storia dei

Sardi e della Sardegna, vol. II, Il Medioevo. Dai Giudicati agli Aragonesi, a cura di M. Guidetti, Milano, Jaca

Book 1987, p. 159, i territori di proprietà del sovrano che venivano dati in concessione erano suddivisi in: domus, domestias (insediamenti minori dediti maggiormente all‟allevamento) e habitat (orientato verso un‟attività agricola e composto da insediamenti familiari con piccoli appezzamenti coltivati a vigne, orti e frutteti).

7 I due Comuni italiani giunsero in Sardegna tra il 1015 e il 1016 per aiutare gli isolani nella

lotta contro Mujahid. In F.CORONA, Guida dell‟isola di Sardegna, Cagliari, GIA EDITRICE 1991, pp. 12-13, si asserisce che i giudici, non riuscendo a sconfiggere la potenza saracena, chiesero aiuto alle due repubbliche di Pisa e Genova nel 1004, tramite l‟intercessione del pontefice Giovanni XVIII, e nel 1015. La vicenda dell‟impresa pisana in Sardegna è ricordata anche dall‟autore del Liber maiolichinus de

gestis pisanorum illustribus: poema della guerra balearica secondo il cod. pisano Roncioni aggiuntevi alcune notizie lasciate da M. Amari , a cura di C.CALISSE, Roma, Forzani 1966, quando descrive, un secolo dopo, la guerra nelle Baleari condotta dai Pisani contro gli Arabi.

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Santa Maria e di S. Lorenzo)

8

. Nei quattro regni isolani, infatti, non si

verificò il fenomeno del feudalesimo classico, sviluppatosi nel resto

d‟Europa come un‟organizzazione sociale gerarchica basata sullo

sfruttamento servile e sull‟immobilità sociale unita al frazionamento

politico-amministrativo. L‟amministrazione centralizzata non consentì

sostanzialmente l‟emancipazione dei grandi proprietari terrieri sotto il

profilo giuridico poiché essi non potevano essere titolari dei rispettivi

feudi e non avevano poteri legali sui loro servi e dipendenti, inoltre il

loro patrimonio consisteva in pascoli e bestiame

9

.

Le donazioni territoriali che i sovrani giudicali elargirono ai sudditi

e agli ordini monastici servirono per colonizzare terre incolte

10

,

presiedute in primo luogo dall‟autorità giudicale, alla quale si unirono

successivamente i proprietari terrieri

11

.

Il progresso demografico avvenuto nell‟isola tra il XII e il XIII

secolo permise l‟estensione delle colture di tipo tradizionale, senza

8 Sulla distribuzione dei territori giudicali cfr. A. PINNA, Il castelliere arborense nel confine

settentrionale, in Castelli in Sardegna (Atti degli incontri sui castelli in Sardegna dell‟Arxiu de Tradicions,

2001-2002) a cura di S. Chirra, Oristano, S‟Alvure 2002, p. 36, e anche B.FOIS, Territorio e paesaggio

agrario nella Sardegna medioevale, Pisa, ETS 1990, pp. 91-113, in cui si sottolinea che la proprietà giuridica

spettava esclusivamente al sovrano e che i vari ordini manastici del continente vennero chiamati per lavorare e costruire nel territorio loro assegnato, seguendo codici e leggi per poterlo governare. Il documento in cui sono inserite queste notizie è stato edito da P. TOLA,Codex Diplomaticus Sardiniae, in «Historiae Patriae Monumenta», Torino, Regio Tipographeo 1861-1868, t. I, secolo XI, doc. VII, pp. 153-154 (d‟ora in poi abbreviato C. D. S). Sull‟inserimento degli ordini monastici in Sardegna cfr. anche G.ZANETTI, I Camaldolesi in Sardegna, Cagliari, Editrice sarda Fossataro 1974; F.ARTIZZU, Studi

sui Vittorini in Sardegna, Padova, CEDAM, 1963; A.SABA, Montecassino e la Sardegna medioevale: note storiche

e codice diplomatico sardo-cassinese, Montecassino, Badia di Montecassino 1927.

9 J.DAY, Uomini e terre nella Sardegna coloniale. XII-XVIII secolo..., pp. 9-10, sostiene che i servi

erano suddivisi secondo il numero di giornate di lavoro, alla settimana o al mese, dovute a diversi padroni e venivano utilizzati a seconda della necessità.

10 Secondo F.CHERCHI PABA, Evoluzione storica dell‟attività industriale ed agricola, caccia e pesca in

Sardegna, Cagliari, Fossataro 1974, p. 89, i monaci furono chiamati proprio per bonificare e rendere

produttivi i terreni incolti. La richiesta di aiuto proprio a gruppi religiosi fa capire il riavvicinamento dei sovrani alla Chiesa cattolica, come viene riferito da un documento edito da P. TOLA,C. D. S. ..., t.

I, secolo XI, doc. X, p. 156, in cui il pontefice Gregorio VII invita i sovrani sardi a ritornare sotto l‟egida della Chiesa di Roma.

11 B. FOIS, Territorio e paesaggio agrario nella Sardegna medioevale ..., p. 91, asserisce che

probabilmente le prime donazioni territoriali dei giudici fossero stabilite con la convinzione che i monaci avrebbero reso fertili le terre assegnate, riguardanti non solo campi agricoli ma anche pascoli boschivi.

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importanti innovazioni tecnologiche. Nuove tecnologie non furono

introdotte né dai nuovi feudatari italiani né dagli ordini monastici o dalle

chiese cattedrali di Pisa e Genova, in quanto loro interessi principali

furono la riscossione dei tributi e dei diritti consuetudinari

12

.

Le grandi famiglie pisane e genovesi, stanziatesi nei territori sardi,

introdussero sia alcune tipologie feudali ed elementi di sviluppo

comunale come il “comune libero” e l‟economia di mercato

13

.

L‟economia di scambio consisteva nell‟inviare i prodotti isolani negli scali

commerciali pisani e genovesi: i mercanti cercarono progressivamente di

ottenere franchigie e privilegi per assicurarsi il monopolio dei traffici

marittimi anche a discapito degli stessi sardi

14

.

Questa tendenza stimolò l‟attività commerciale e marittima,

mediante l‟esportazione di prodotti quali grano, orzo, formaggio, cuoio e

pelli, metallo e sale marino, ma non si verificò un equanime scambio

economico verso l‟isola

15

. A Pisa e Genova venne concesso di

frequentare liberamente i porti effettuando il commercio del sale in

12 J.DAY, Uomini e terre nella Sardegna coloniale. XII-XVIII secolo ..., pp. 22-23, quando parla del

declino della conduzione diretta della terra, sostiene che “i nuovi padroni si contentavano di intascare i tributi e i diritti consuetudinari e di esigere dai servi le giornate di corvée, né più né meno di quanto avevano fatto i loro predecessori sardi”.

13 Il libero comune secondo J.DAY, La Sardegna sotto la dominazione pisano-genovese. Dal secolo XI

al secolo XIV, traduzione di I. Mattei, P. Eandi e A. Comba, Torino, UTET 1987, pp. 148-149, fu

introdotto in Sardegna dai Pisani nella seconda metà del XIII secolo e assunto come espressione del dominio mercantile.

14 J.DAY, Uomini e terre nella Sardegna coloniale. XII-XVIII secolo ..., pp. 18-20, parla di questo

periodo, compreso tra il 1100 e il 1250, come “liberista”, cioè un semplice procedimento economico basato sullo scambio che assicurava la rendita delle terre così dette coloniali. Effettuare operazioni commerciali risultava, infatti, abbastanza proficuo per la carenza di denaro e l‟abbondanza di manodopera servile; cfr. anche le “composizioni pisane” pubblicate da F.ARTIZZU, Rendite pisane nel

giudicato di Cagliari (1316), in «A. S. S.» (1957), vol. XXV, pp. 1-98.

15 Secondo P. MALANIMA, Uomini, risorse, tecniche nell‟economia europea dal X al XIX secolo,

Milano, Mondadori 2003, p. 257, la crescita del “presente” preso in considerazione è stata determinata da quella del suo “passato”: essa risulterà maggiore quando nel “passato” si investe in conoscenza e in ricerca nel momento in cui il prodotto pro-capite è maggiore. L‟autore propone l‟esempio delle economie agricole del passato che non conoscevano la crescita esponenziale e lo sviluppo economico era basato sull‟assunzione dei rendimenti marginali del lavoro in quel preciso momento che non veniva sviluppato all‟aumento della popolazione e investito in altre attività, determinando in questo modo un lento sviluppo di risorse alternative.

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cambio del controllo militare delle coste

16

. Col tempo aumentarono i

privilegi verso le due città marinare: nel 1080 il giudice Mariano di Torres

concesse ai Pisani l‟esenzione di tutti i tributi commerciali e assicurò

garanzie per i loro traffici

17

; nel 1104 il giudice di Cagliari Turbino

concesse all‟Opera di santa Maria di Pisa quattro donnicalie (cioè corti)

con casolari, terre, servi e bestiame

18

; in Gallura, nel 1113, i Pisani

ottennero alcune terre dalla giudicessa Padulesa de Gunale

19

; nel 1138

all‟arcivescovo pisano fu concesso il diritto di primazia sui vescovadi di

Civita e Galtellì

20

e due centri agricoli, ceduti dal vescovo di Galtellì e

acquisiti tramite gli operai dell‟Opera di Santa Maria

21

. Nell‟Arborea il

giudice Costantino favorì la penetrazione dei monaci di San Zeno, che

ottennero il libero commercio e l‟immunità in cambio di un aiuto

militare. A questi religiosi venne affidata, inoltre, la gestione del

16 A.SOLMI, Sul più antico documento pisano scritto in lingua sarda, in «A. S. S.» (1907), vol. VIII, p.

50, asserisce inoltre che nell‟isola ci sia stato un consolato pisano all‟epoca della conquista delle Baleari. Questo dato dimostrerebbe l‟inserimento precoce delle colonie toscane.

17 Il documento è edito in A.SOLMI, Studi storici sulle istituzioni della Sardegna nel Medioevo ..., p.

421.

18 Il documento è edito in P. TOLA,C. D. S. ..., t. I, sec. XI, docc. I-II, pp. 177-178.

19 Il documento, edito per primo da P. TOLA, C. D. S. ..., t. I, sec. XII, doc. X, pp. 184-185, e

successivamente da F. BONAINI, Statuti inediti della città di Pisa dal XII al XIV secolo, Firenze, Vieuxeuss 1870, vol. I, pp. 279-280, nota 2, è datato 1113 e recita: Ego Domna Padulesade Gunale, et filia quondam Comita [...] et mulier quondam Torchotori de Zori regis Gallurensis dono et offero […]curtemintegram quam habeo in loco et finibus Larathano positam in Sardineepartibus in Regno Gallurensi et in Curatoria de Civita.[…] Similiter dono et offero suprascripte Ecclesie meam portionem Ecclesie cui vocabulum est Santa Maria posite iuxta eadem curtem cum omnibus suis servis et ancillis seu pertinentiis. Padulesa de Gunale, figlia del fu Comita e vedova di Torchitorio de Zori, giudice di Gallura, dona alla Chiesa di S. Maria di Pisa la corte di Larathano, situata nella curatorìa di Civita, con le relative pertinenze, e una parte della chiesa di S. Maria, contigua alla stessa corte, con le relative pertinenze.

20 Il documento preso in considerazione è quello edito da N. CATUREGLI, Regesta Chartarum

Italiae. Regesto della chiesa di Pisa, Roma, Istituto italiano per il Medioevo 1938, doc. 365, pp. 243-244,

poiché risulta più attendibile cronologicamente, insieme a quello edito da P. JAFFÈ, Regesta pontificum, Graz, Akademische Druck 1956, doc. 7890, p. 880: 1138, aprile 22, Roma, […] accepimus in Galluriensi

judicatu duos Episcopatus, Galtellinensem videlicet et Civitatensem […]. Il pontefice Innocenzo II assegna a

Baldovino, arcivescovo di Pisa, e ai suoi successori, il diritto di primazia sui due vescovati del giudicato di Gallura: Civita e Galtellì. Il documento edito da P. TOLA, C. D. S. ..., t. I, sec. XII, doc. XLIX, p. 212, riporta la datazione del 1138, maggio 1.

21 In F.ARTIZZU, Documenti inediti relativi ai rapporti economici tra la Sardegna e Pisa nel Medioevo,

Padova, CEDAM, 1961-1962, vol. I, pp. IX-XIII, XV, si apprende che i due villaggi di Civita e Galtellì vennero ceduti in prestito in cambio di una somma di denaro data dall‟Opera di Pisa al vescovo galtellinese per coprire le spese del vescovado; quest‟ultimo si impegnava a restituirla entro due anni.

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monastero di Santa Maria di Bonarcado

22

con nove chiese e beni di varia

natura: ancelle e servi, terre coltivate, vigne, aree boschive (saltos), pascoli

e bestiame

23

.

Nel Regno di Torres numerose donazioni territoriali furono

concesse ai Cassinesi, ai Vallombrosani e ai Benedettini, ai quali si

aggiunsero i Cistercensi

24

.

Le donazioni della potente famiglia turritana degli Athen ai

Camaldolesi s‟inserirono in un programma di potenziamento del

territorio perseguito dai sovrani isolani mediante la fondazione dei

monasteri capaci di rivoluzionare il ciclo produttivo con tecniche agrarie

largamente diffuse in Europa ma non ancora presenti nell‟isola

25

. La

propensione ad assecondare l‟inserimento di ordini monastici portò il

beneficio di un graduale sviluppo economico e demografico, creando i

presupposti per l‟edificazione di villaggi e centri abitati accanto a

strutture difensive.

22 Sulla fondazione, la struttura architettonica e il territorio annesso al monastro di S. Maria di

Bonarcado cfr. R.CORONEO, Architettura romanica dalla metà del Mille al primo „300, Nuoro, Illiso 1993, pp. 103-116.

23 Le attività dei monasteri sono documentate nei registri monastici chiamati condaghi. Questo

termine, di origine bizantina, indica il codice in cui fu trascritto l‟insieme di documenti pergamenacei relativi all‟acquisizione dei beni e alla loro amministrazione. La consacrazione della chiesa di S. Maria di Bonarcado risale al 1146. Su questo condaghe cfr. Il Condaghe di Santa Maria di Bonarcado, a cura di M. Virdis, Nuoro, Illiso 2003, doc. 1, p. 7 (in seguito abbreviato C. S. M. B.).

24 Le attività di questi ordini monastici sono documentate nei condaghi a noi giunti: oltre a

quello di Bonarcado sono stati reperiti Il Condaghe di San Nicola di Trullas, a cura di P. Merci, Nuoro, Illiso 2001 (in seguito abbreviato C. S. M. T.); Il Condaghe di San Michele di Salvennor, a cura di P. Maninchedda e A. Murtas, Cagliari, CUEC 2003 (in seguito abbreviato C. S. M. S.); Il Condaghe di San

Pietro di Silki. Testo logudorese inedito dei secoli XI-XIII, pubblicato da G. Bonazzi, traduzione e

introduzione a cura di I. Delogu, Sassari, Libreria Dessì 1997, e cfr. anche Il Condaghe di San Pietro di

Silki. Indice-glossario generale, verifica del testo sul manoscritto, a cura di A. Satta, Sassari, Libreria Dessì 1982

(in seguito abbreviato C. S. P. S.); Il Condaghe di San Gavino: un documento unico sulla nascita dei giudicati, a cura di G. Meloni, Cagliari, Centro di studi filosofici sardi 2005 (in seguito abbreviato C. S. G.); e il più recente ritrovamento de Il Condaghe di Luogosanto, a cura di G. Fois, M. Maxia, Olbia, Taphros 2009 (in seguito abbeviato C. L).

25 Addirittura si rileva dalla lettura del C.S.N.T. ..., che il patrimonio del priore comprendeva,

oltre il territorio attorno alla chiesa, anche vaste estensioni di terreno adibite a pascoli e agricoltura e abitate dai servi; possedimenti fondiari che raggiungevano un‟estensione di cinquanta o sessanta ettari ad alta produttività, specialmente cerealicola; inoltre è utile anche lo studio di R. CORONEO,

Architettura romanica ..., p. 63, in cui è analizzata la struttura architettonica della chiesa e del relativo

Katrine Melis

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J. Day

26

, nel suo studio sull‟individuazione delle capitali giudicali,

ritiene che i giudici furono indotti a costruire castelli e strutture difensive

in luoghi adatti alla dimora o all‟inserimento di corti regie. L‟idea parte

dal presupposto che, essendo le dimore regali itineranti almeno fino al

XIV secolo, i sovrani sardi cercarono di individuare nei loro territori

alcune residenze momentanee adatte all‟attività di governo. Essi furono

propensi ad edificarle lontano da centri e territori in mano agli ordini

monastici o alle colonie di mercanti pisani e genovesi.

Per il Regno di Calari, ad esempio, si asserisce che, quando nel XII

secolo s‟insediarono i mercanti stranieri sulle spiagge della capitale, l‟area

dell‟antica città romana fu resa abbastanza insicura tanto da provocare

uno spostamento della sede reale prima presso Flumini (di cui oggi non

resta traccia), poi, mediante la costruzione di palazzi, presso

Decimomannu e Santa Gilla

27

.