3. I castelli medioevali in Sardegna
4.2. Le condizioni giuridiche
Molti studiosi ritengono che in tutti e quattro i regni sardi vi fosse
una Carta legislativa che stabilisse le prerogative giuridiche del territorio.
L‟unica testimonianza in questo senso è rappresentata dalla Carta de logu
relativa al Regno di Arborea
39, ma alcuni indizi portano a concepire il suo
utilizzo anche per gli altri tre giudicati.
In Sardegna probabilmente l‟attuazione del diritto e
l‟amministrazione della giustizia provenivano dalla legislazione adoperata
nei primi secoli del millennio, composta maggiormente da episodici
regolamenti ereditari e condizionata ampiamente dalla prevalenza degli
usi. Dalla fine dell‟VIII secolo (quando declinò il dominio bizantino
nell‟isola) all‟inizio delle incursioni saracene le normative introdotte dai
romani non furono avvalorate da un ulteriore supporto legislativo,
restando perciò una consuetudine. Anche lo stesso ruolo del sovrano, o
giudice, pare sia sorto sulla stessa base dell‟uso, con il quale si riconosceva
anche il valore giuridico del ruolo.
38 J.DAY, Uomini e terre nella Sardegna coloniale. XII-XVIII secolo ..., pp. 63-65, stima che tra il
1316 e il 1323 il numero medio dei fuochi fiscali in 100 villaggi censiti era di 37, mentre nel 1358-1359 regredirono a 25 su 147 villaggi; il numero dei villaggi continuò a calare dal 1320 al 1485. Questo successe perché il recupero demografico, iniziato dopo la stabilizzazione del regime catalano, non condusse al ripopolamento dei villaggi precedentemente abbandonati ma alla crescita di quelli sopravvissuti.
39 La lettura e lo studio della Carta de logu di Arborea sono stati affrontati da F.C.CASULA, La
Carta de logu del Regno di Arborea, traduzione libera e commento storico, Cagliari, Edizione dell‟Istituto sui
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In realtà, non si hanno informazioni documentate sulla situazione
precedente alla edizione della Carta de Logu di Arborea, mentre molte
notizie oggi note sono state desunte dall‟analisi di documenti per lo più
contrattuali, come ad esempio i condaghi.
L‟ipotesi dell‟istituzione di carte legislative basate sulla
consuetudine deriva dalla considerazione che i quattro regni sardi
stipulassero accordi giuridici con gli altri Stati e con il Papato
40. Dalla
lettura di questi documenti apprendiamo, ad esempio, che l‟esercizio dei
poteri all‟interno dei regni giudicali non interessava unicamente il sovrano,
in quanto padrone assoluto del territorio, ma vi partecipavano anche
prelati, parenti prossimi
41e agenti reali.
Il potere decisionale, però, restava nelle mani del giudice che, per
garantire la continuità dinastica, associava al trono il figlio primogenito,
nominandolo ad esempio armentarius (cioè camerlengo) o comandante di
una provincia ricca di uomini e redditi
42.
Per le decisioni più importanti del regno in materia di diritto
penale e civile il sovrano era coadiuvato dai bonos homines
43o dalla corona,
40 La maggior parte della documentazione medioevale sarda è contenuta in P.TOLA, C. D. S.
..., t. I-II.
41 A.SOLMI, Studi storici sulle istituzioni della Sardegna nel Medioevo …, p. 70, accenna, infatti, al
fatto che per i giudici sardi era consuetudine tenere stretti i rapporti tra le famiglie governanti. In alcuni documenti regestati e editi da P.TOLA, C. D. S., …, t. I, sec. XI, doc. XX, p. 164 e sec. XIII, doc. LXXVII, p. 358, i pontefici ripetono le lamentele per questa usanza dei sovrani sardi.
42 Gli altri figli cadetti svolgevano ruoli amministrativi revocabili. J.DAY, La Sardegna sotto la
dominazione pisano-genovese ..., pp. 61-62, fa l‟esempio di ciò che successe nel giudicato di Torres quando
nel 11150 il sovrano Gonario si ritirò nell‟abbazia di Chiravalle. Suo figlio primogenito Pietro, già associato al potere, successe al trono mentre gli altri tre fratelli furono incaricati della gestione dell‟amministrazione di tre curatorie dalle quali percepirono i proventi. Anche nel Regno di Gallura il sovrano Lamberto Visconti assaegnò nel 1219 al figlio Ubaldo, in occasione del suo matrimonio, la
curatoria del Trexenta (su questo episodio cfr. anche E.BESTA, La Sardegna medioevale …, pp. 185-187, e
La donazione della Tregenta alla luce di una ipotesi solmiana, in Studi di storia e diritto in onore di Arrigo Solmi,
Milano, Giuffrè 1941, vol. I, pp. 381-398; cfr. anche A. ERA, Recensione, in «A. S. S.», vol. XXIII, (1945), pp. 405-412). Mentre nel Regno di Arborea Ugone II conferma il primogenito Pietro come erede del giudicato, le curatorie di Goceano e Marmilla al secondo figlio e quella di Monteacuto al figlio minore (P.TOLA, C. D. S. ..., sec. XIV, doc. LXVIII, p. 360.)
43 I bonus homines sono citati anche nel documento proposto da A.SOLMI, Studi storici sulle
istituzioni della Sardegna nel medioevo ..., p. 316, come la più antica legge dei giudici (la pergamena
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mentre per le funzioni militari il re disponeva solamente di un piccolo
esercito composto da cavalieri rustici armati “alla sardesca”. Gli uomini a
piedi erano in genere i servi; il loro compito veniva stabilito mediante
accordi con chi ne governava le capacità lavorative, e non avevano
nessun obbligo militare nei confronti del sovrano
44.
Le carte legislative sarde germogliarono, probabilmente, già dal
1100, quando anche nel resto della penisola italiana si svilupparono le
regolamentazioni che prevedevano un contributo sia da norme
consuetudinarie, che da leggi sancite da impegni giurati dei titolari delle
massime cariche cittadine. A Genova il Breve della Compagna fu la prima
normativa giurata che stabilì la forma giuridica del Comune, mentre a
Pisa la redazione più antica di leggi fu quella del 1186
45.
Un profondo rinnovamento in campo giuridico in Sardegna si ha
intorno al XII secolo, con la colonizzazione genovese e pisana. Secondo
A. Solmi
46, infatti, furono proprio le due repubbliche marinare a portare
nell‟isola la conoscenza del diritto giustinianeo. Questa tesi è avvalorata
dall‟ingente numero di notai e uomini di legge pisani residenti nell‟isola,
che mantennero il privilegio di essere giudicati secondo le loro leggi e da
propri magistrati
47.
vescovado di Suelli dal prestare giuramento per cause inferiori a cento soldi genovini cum consiliu de sus
hominis bonus de sa terra.
44 Sui rapporti giuridici tra il sovrano e i sudditi cfr. E.CORTESE, Appunti di storia giuridica
sarda, Milano, Giuffrè 1964.
45 M.ASCHERI, I diritti del Medioevo italiano. Secoli XI-XV, Roma, Carocci 2000, pp. 161-165,
suggerisce che il primo impulso per l‟erogazione del testo genovese è stato determinato da un contratto sociale dalla caratteristica istituzionale conosciuto come Breve sequimentis, cioè giurato da un gruppo di persone che aderisce al progetto comunale; per il Comune pisano invece deriverebbe da norme legislative già in uso quali il Constitutum usus e il Constiutum legis, oltre che dai Brevi dei Consoli da cui si apprendono sia norme consuetudinarie sia legislative.
46 A.SOLMI, Studi storici sulle istituzioni della Sardegna nel medioevo ..., pp. 315-319.
47 Anche i documenti ufficiali dei regni sardi furono rogati dagli ufficiali pisani come accade
ad esempio nella donazione della corte di Larathano, nei pressi di Civita, all‟Opera di Santa Maria: que
omnia in tali ordinatione scribere rogavi Rolandum Causidicum Pisane civitatis. Il testo integrale è edito in P.
TOLA, C. D. S. ..., vol. I, sec. XII, doc. X, pp. 184-185; e in F. BONAINI, Statuti inediti ..., vol. I, pp. 279-280, nota 2.
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Un altro esempio si ravvisa nelle pagine degli Statuti pisani
48del
1313: il governo toscano inviava regolarmente nelle sue terre sarde i
rappresentanti, che dovevano indicare nei registri loro affidati le località
presso le quali fungevano le mansioni e quali fossero i testi legislativi che
regolavano la loro attività. Negli Statuti veniva specificato che ciascuno
di essi poteva esercitare la giurisdizione secondo i loro Brevi e secondo la
propria carica
49. Da ciò si desume che esistesse un Breve per il Regno di
Calari e uno per quello di Gallura, seguito anche dai vicari, incaricati di
governare questi due territori, al fine di svolgere le loro mansioni
amministrative.
Altri Brevi li ritroviamo a disposizione dei Podestà di Terranova e
Orosei e dei Rettori di Villa di Chiesa e Domusnovas
50.
Le tipologie consuetudinarie si istituirono in qualsiasi società e
comunità sviluppatasi attorno ad una realtà castrale in tutta la penisola
italiana. In Sardegna furono però le potenti famiglie pisane e genovesi ad
introdurle e codificarle
51.
48 Pubblicati da F.BONAINI, Statuti inediti ..., voll. I-II, in cui sono inseriti i Brevi del Comune
di Pisa che regolavano l‟organizzazione politica e amministrativa della città e dei territori ad essa soggetti.
49 F.BONAINI, Statuti inediti ..., vol. II, doc. LVI, pp. 69-71, doc. CXLVII, p. 617, trascrive gli
Statuti in cui si specificano le cariche ricoperte dai vicari dei Regni di Callari e Gallurii, dai castellani, dai podestà di Terranona e Orosei, e dai rettori di Villa di Chiesa e Domus Nova. I funzionari sono invitati ad esercitare la loro giurisdizione in queste terre secondo la forma dei loro Brevi. Nei capitoli del Breve, gli Anziani del Popolo di Pisa notificano ai notai di Terranova l‟ordine di effettuare una copia dei documenti e dell‟altre scripture eseguiti durante la loro carica.
50 Secondo F. ARTIZZU, La Sardegna pisana e genovese..., p. 196, i Brevi non contenevano
solamente le disposizioni relative all‟attività dei funzionari ma regolavano anche la vita comunitaria. L‟esempio che cita l‟autore è quello dello Statuto di Iglesias (Villa di Chiesa) indicato come Breve, risultando così l‟ambivalenza dei termini. Il Breve era indirizzato, quindi, non soltanto agli ufficiali di governo ma anche alla comunità quando dettava norme per lo svolgimento della vita sociale.
51 Le istituzioni comunali, introdotte in Sardegna dai Pisani rispondevano a particolari
esigenze pratiche e giuridiche. J.DAY, La Sardegna sotto la dominazione pisano-genovese. Dal secolo XI al secolo
XIV ..., pp. 148-149, ha analizzato le direttive amministrative divulgate dal Breve del Comune di Pisa
del 1286 secondo le quali ci doveva essere conformità fra gli statuti di Castello di Cagliari, relativo all‟amministrazione della giustizia, e il Breve dei castellani del castello (redatto da uomini esperti scelti dal Comune). Anche Villa di Chiesa (attuale Iglesias) godeva di una costituzione comunale elargita in principio dai conti di Donoratico. A questo proposito. A. SOLMI, Studi storici sulle istituzioni della
Sardegna nel medioevo ..., pp. 302-303, indica che già nel 1283 era retta con un reggime comunale, durante
il primo dominio dei Donoratico: ebbe un potestas, eletto ed inviato pro magnifico et potente viro domino
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La base giuridica dei Brevi rappresentava il preludio per
l‟istituzione dell‟incastellamento
52, inteso come vincolo che lega l‟abitante
al castello e lo sottopone agli obblighi castrensi fino a costituire una
comunità territoriale che si raggruppa e organizza attorno ad esso
53.
La territorialità come elemento aggregante di ville, castelli e città,
uniti in un unico vincolo giuridico, veniva considerata come il
presupposto da cui si doveva partire per avviare l‟attività burocratica. I
territori che circondavano le comunità cittadine e castrensi riguardavano
campi coltivati e ettari boschivi dediti al pascolo del bestiame o incolti
(saltus)
54che, servendo per la sopravvivenza della struttura stessa,
facevano parte dell‟amministrazione “statale”.
Fino a tutto il XVIII secolo in Sardegna non esisteva la proprietà
poiché era limitata agli usi e costumi civili dai diritti baronali e regi. La
stessa Carta de logu concepiva la proprietà individuale di animali ma non
di terreni
55. Nella Carta veniva distinta la proprietà della villa come
comunitaria (destinata al benessere della comunità) e lottizzata fra gli
abitanti per un uso temporaneo e dietro il pagamento di un canone
Montorsi 1906-1907, doc. 29, p. 330); cfr. su questo argomento anche F.ARTIZZU, Aspetti della vita
economica e sociale di Villa di Chiesa attraverso il «Breve», in Pisani e Catalani nella Sardegna medioevale, Padova,
CEDAM, 1973.
52 Elemento indispensabile del potere sul castello e sul territorio era il possesso della torre
principale, che poteva anche essere oggetto di concessione a sé, separata del trattamento giuridico del
castrum. Utili a questo proposito sono i documenti reperiti in F.SCHNEIDER, Regestum volaterranum ..., doc. 303, p. 106 (datato Volterra, agosto 2, 1212: […] concedimus spaczum in cassero de Castelnovo pro
hedificanda turri pro comuni Vult. […] turrisanum pro custodienda turre hedificanda in dicto spaczo faciam iurare salvare ad honorem et salvamentum comunis […]), doc. 325, pp. 122.
53 Lo studio sulla territorialità castrense viene affrontato da P.VACCARI, La territorialità come
base dell‟ordinamento giuridico del contado nell‟Italia medioevale ..., pp. 94-99.
54 Anche se A.SOLMI, Studi storici sulle istituzioni della Sardegna nel medioevo ..., pp. 219-220,
sostiene che come saltus potrebbero essere annoverati anche le case coloniche e i campi coltivati, ritenendo che specialmente in questi luoghi si aveva bisogno di una difesa materiale che proteggesse la terra dai danni degli animali e degli uomini; anche B.FOIS, Territorio e paesaggio agrario nella Sardegna
medioevale ..., pp. 94-113, 155-198, studiando l‟attività agricola delle terre sarde dall‟analisi dei condaghi
pervenutici, affronta un‟analisi accurata sulla divisione e protezione delle terre e sulla distribuzione di campi, vigne e pascoli.
55 Le norme sul pascolo e l‟agricoltura in terreni comunitari sono inserite nella parte
riguardante il codice rurale relativo alle “ordinanze sulle vigne, sui campi di cereali e sugli orti”. La trascrizione di questa parte della Carta si può leggere in F.C.CASULA, La Carta de Logu del Regno di
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annuo: la suddivisione riguardava l‟uso della terra data in vidazzone,
destinata alla semina
56, e padru, riservata la pascolo
57. La proprietà di
questi territori quindi era imperfetta perché lo sfruttamento era sempre
condizionato dalla rivendicazione della villa
58. Il proprietario del terreno
era il giudice e gli abitanti ne usufruivano secondo il suo volere.
La suddivisione territoriale dei Regni sardi era affidata al curator,
dipendente diretto del sovrano, che aveva il compito di organizzare le
ville e la distribuzione delle terre, regolare l‟uso privato delle terre
pubbliche e soprintendere la determinazione dei confini dei saltus, oltre
che rappresentare la giurisdizione ordinaria del distretto. Il curator
controllava anche le funzioni militari esercitate dal maiore de scolca, per ciò
che concerneva la difesa delle ville, e dal maiore de rennu, per quanto
riguardava il debito militare
59.
Con
l‟inserimento
delle
famiglie
italiane
all‟interno
dell‟amministrazione dei distretti fu dato rilievo a due altri tipi di
funzionari
60: i castellani e gli ufficiali di porto
61. L‟introduzione di queste
56 I terreni agricoli erano anche condivisi da più contadini come si legge nelle “ordinanze”:
[…] ordinamus chi qualunca persona chi hata haviri vingia, o terra boyda in castiu, sia tenuda de contribuiri, e pagari
pro rata […]; tutto il testo è edito in F.C.CASULA, La Carta de Logu del Regno di Arborea ..., pp. 176-179.
57 La legge sancita sulla Carta de Logu stabilisce che chiunque abbia del bestiame debba
usufruire anche di cavallari o vaccari per seguire adeguatamente gli spostamenti degli animali, in modo che non si dirigano a pascolare in terreni adibiti a funzioni diverse. Cfr. a tale proposito F.C.CASULA,
La Carta de Logu del Regno di Arborea ..., pp. 192-193.
58 Al maiore de villa era affidata la buona gestione dei terreni. Nelle “ordinanze”, infatti, il suo
incarico comprendeva il controllo delle vigne e dei campi insieme a otto probiuomini nel caso in cui ci fossero le ville grandi, sei in quello di ville medie e quattro uomini per piccoli villaggi (F.C.CASULA, La
Carta de Logu del Regno di Arborea ..., pp. 166-169).
59 Il curatore esercita anche il controllo su altri funzionari dello stato al suo servizio, come gli
armentarii, i maiores de scolca, i mandatores de rennu ecc. A.SOLMI, Studi storici sulle istituzioni della Sardegna
medioevale ..., pp. 160-163, asserisce che la distinzione tra funzione militare e civile era decaduta già
dall‟epoca bizantina e il capo della circoscrizione territoriale, cioè il curator, era ormai l‟unico rappresentante del governo.
60 Le cariche di giudice, argentario, curatore e sindaco sopravvivranno solo nel Regno di
Gallura anche dopo la conquista del territorio da parte del Comune di Pisa. Sulle funzioni di questi ufficiali cfr. J.DAY, La Sardegna sotto la dominazione pisano-genovese ..., pp. 60-67.
61 Il Regno di Gallura, occupato dopo la morte del giudice Nino Visconti dal Comune di Pisa,
fu dotato di ufficiali addetti ai porti delle maggiori città del territorio; come ci informa il Liber fondachi ..., pp. 232-237, il maiore de portu era una figura risalente all‟epoca giudicale (la più antica testimonianza di questo ufficio è analizzata da E.BESTA,Liber judicum turritanorum ..., p. 15, e risale al documento del 1082, da cui risulta che a Torres agiva al servizio del giudice un maiore de portu)
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due figure dirigenti fu resa necessaria soprattutto con l‟inasprimento delle
guerre tra i quattro regni e fra questi e le casate genovesi e pisane.
Queste particolari condizioni economiche e giuridiche permisero
l‟erezione di castelli o la valorizzazione di altri già esistenti, utilizzati
come strumento di difesa ed elemento di aggregazione della popolazione.
Coloro che si sarebbero occupati del castello, soggiornando al suo
interno, avrebbero usufruito del “contratto di custodia” (chiamato in
questo modo nella penisola italiana), che aveva una durata temporanea,
con l‟obbligo di custodirlo e di mantenere integra l‟efficienza militare
62. Il
castrum, però, non era ceduto solo in custodia, potendo anche essere dato
in pegno come oggetto di concessione
63, quasi sempre legato anche al
territorio circostante
64.
I rapporti fra il castello e il territorio divennero quindi ancora più
complessi perché il castrum, assumendo una “personalità giuridica”, potè
esercitare alcuni diritti sulla popolazione locale
65. Uno di questi diritti era
il prelievo fiscale, grazie al quale si poteva costituire un piccolo esercito
permanente a seconda delle possibilità del territorio: da dieci a venti
62 Il contratto di custodia descritto da P.VACCARI, La territorialità come base dell‟ordinamento
giuridico del contado nell‟Italia medioevale ..., pp. 90-94, riguardò successivamente non solo gli abitanti del
castello ma anche tutti coloro che risiedevano nelle immediate vicinanze.
63 In Sardegna secondo lo studio di A. SOLMI, Studi storici sulle istituzioni della Sardegna nel
medioevo ..., pp. 222-225, le forme di contratto erano quattro: la compravendita (compora), la permuta
(tradura o cambiu), la donazione (dadura) e la transazione (campaniu). La base giuridica del contratto era quasi sempre l‟accordo volontario delle parti.
64 I sovrani sardi, tramite concessioni territoriali, diedero vita ad un rapporto giuridico di tipo
feudale con le famiglie pisane e genovesi; questo spiega la natura delle prestazioni: questi territori chiamati donnicalias non rappresentano solo un‟estensione data in beneficio (in cui si esercitava la mercatura e si usufruiva di contributi e prestazioni personali) ma anche una concessione immunitaria che dava diritto ad una giurisdizione autonoma poiché il giudice associava a quel territorio una parte dei diritti giurisdizionali. Secondo A.SOLMI, Studi storici sulle istituzioni della Sardegna nel medioevo ..., pp. 279- 281, vi è un documento in P.TOLA, C. D. S. ..., vol I, sec. XII, doc. XCII, p. 206, che identifica la
donnicalias con la curtes, aggiungendone la clausola feudale: Et si forsitan evenerit quod inde aliquid furatum fuerit et furta inventa fuerint, volumus ut furta parientur sicuti ad regnum pariantur.
65 Secondo P.VACCARI, La territorialità come base dell‟ordinamento giuridico del contado nell‟Italia
medioevale ..., pp. 94-95, il castello era considerato, innanzi tutto, un mezzo di protezione (oltre che un
centro di governo giurisdizionale e amministrativo) grazie al quale la popolazione aveva privilegi e diritti sul esso e per tale motivo si sentiva obbligata a stringersi intorno ad esso.
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