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I confini del territorio

57 C ASTANGIA 2013 58 S TIGLITZ 1984.

1.3 I confini del territorio

La Sardegna può suddividersi in numerose subregioni, connotate da specificità geografiche, ambientali, storiche, culturali e linguistiche: tra queste la penisola del Sinis appare, all’interno di un’ulteriore suddivisione del Campidano, come una di quelle maggiormente distinguibili in età moderna per caratteri morfologici peculiari. La connotazione di penisola, la presenza di estese zone lagunari e stagnanti, unitamente all’assenza di centri abitati stabilmente e amministrativamente autonomi rappresentano oggi i caratteri distintivi e peculiari di questa subregione. L’interrogativo su come si siano

BARBARA PANICO

Penisola del Sinis:

fonti per paesaggi dell’archeologia rurale

Tesi di dottorato in Archeologia, Storia e Scienze dell’Uomo Università degli Studi di Sassari

28 definiti questi labili confini e su quali dinamiche storiche ne abbiano determinato percorsi variabili e talvolta singolari ha mosso una serie di considerazioni al riguardo.

Poiché il significato del toponimo Sinis rimane alquanto incerto, è necessario tentare la sua analisi in relazione all’originario ambito topografico. Come scritto sopra, oggi il Sinis è rappresentato come una penisola, delimitata su tre lati da mare e convenzionalmente costretta, verso est, dalla strada statale 292. In questo limitato spazio l’assenza di centri comunali autonomi abitati stabilmente in età moderna ha concorso nel tracciare una linea di demarcazione che non consente ai centri popolati attualmente di entrare a farne parte. Appare probabile che in passato invece il termine Sinis sia stato impiegato per indicare una regione più vasta di quella attuale. Così induce a ritenere l’indicazione di età altomedievale di regio S(anc)ti Marci de Sinis78, utilizzata alternativamente con quella di

Campidano di Milis per indicante lo spazio compreso tra le pendici sudorientali del Montiferru e l’estremità meridionale del Sinis come lo intendiamo oggi.

In sostanza il poleonimo Sinis, forse di origine idronomastica, avrebbe definito nel tempo uno spazio comprendente l’area del Campidano di pertinenza dell’oppidum di S(anc)ti Marci de Sinis; definendo così un Sinis premedievale che da Tharros arrivava a comprendere il versante sud-orientale del Montiferru. Tentare di ricostruire i confini non pare agevole nella scarsità di fonti; tenteremo comunque un percorso a ritroso che trovi ancoraggio nelle vicende storiche. Non conosciamo esattamente l’estensione della territorium tharrense79, ossia del territorio che dipendeva e veniva amministrato dalla

città di Tharros in età romana, ma sappiamo che in epoca medievale il Rio Pischinappiu marcava, verso nord, i limiti dei territori tra i giudicati d’Arborea e del Logudoro. Le fonti scritte infatti forniscono riferimenti precisi per quanto riguarda le sedi diocesane, attestando Carales (Cagliari), Sulci (Sant’Antioco), Forum Traiani (Fordongianus), Senafer (Cornus) e Turris Libisonis (Porto Torres), i cui vescovi presenziarono nel 484 al Concilio di Cartagine80 a cui, tra il VI e VII secolo dovettero aggiungersi altre due sedi

(a Tharros e a Olbia)81. Sono noti dunque i nome delle città che accoglievano le cattedre

78 CASULA 1980, p. 97; ZUCCA 1985, pp. 701-703; FIOCCHI NICOLAI,GELICHI 2001, pp. 368-370.

79 CIL X, 7591

80 Per l’evoluzione dell’organizzazione ecclesiastica della Sardegna si veda SPANU 1998, pp. 143-144. 81 GREG.M. epist. IX, 203, pp. 760-761.

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29 vescovili ma non abbiamo chiare indicazioni per ricostruire i territori diocesani. Possiamo però dedurre che, una volta costituita la diocesi di Sinis-Tharros una parte di territorio venne enucleato dalla vasta diocesi di Senafer, con un limite posto a nord dal Rio Pischinappiu; andarono a ricalcare sostanzialmente i confini dell’odierna diocesi di Bosa. Sono infatti noti i confini delle diocesi medievali di Oristano e di Bosa, che si pongono come rispettive eredi, in questo settore, delle diocesi paleocristiane di Tharros (Sinis) a sud e di Cornus (Senafer) a nord. Il confine è posto appunto lungo il corso del Rio Pischinappiu, dalla foce nell' insenatura di Is Arenas fino alle sorgenti sul versante sudoccidentale del Montiferru e dalle sorgenti lungo il displuvio meridionale del Monte. A conferma di questo confine può rilevarsi che la curatoria di Campidano di Milis era nota, secondo G.F. Fara (1580) come «Incontrata Santi Marci de Sinnis»82, con

un’estensione sino a Tharros, indiziando così una pertinenza della fascia pianeggiante, immediatamente a sud del Montiferru, al territorio tharrense. Per tornare all’età romana però potrebbe leggersi in questo senso il racconto delle vicende note tra la popolazione rurale sardo-libica-punica del Campidano e le forze militari romane.

Tito Livio descrive l’attracco delle naves longae nel portus di Carales, con i legionari e forse le milizie dei socii condotti in Sardinia da T. Manlius Torquatus in occasione del bellum sardum del 215 a.C.

L’antecedente risale all’anno 216 a.C. (mitescente iam hieme83), quando giunsero al

senato di Roma le lettere dei propraetores T. Otacilius Crassus dalla Sicilia e A. Cornelius Mamulla dalla Sardegna, attraverso le quali si dichiarava che non si

82 «prima est Campidanus de Milis, regio campestris S(anc)ti Marci de Sinis etiam dicta, quae a finibus dioecesis Bosanensis usque ad ostium stagni Maris Pontis occidentalibus fluctibus et inter Maenomenos montes et flumen Tramazae usque ad fines regionis Montis Verri protenditur, frugifera et pascuis satis idonea ingentisque sylva malorum aureorum, citrorum et limonum etiam sponte nascentium nobilitata eiusque odore suff‹usa›, in qua Celsitani populi a Ptolemaeo memorati sedes collocarunt suas. Et interiit antiqua urbs Tarrhae a Ptolemaeo, Tyrus in S(anc)ti Ephysii historia et aliis antiquissimis monumentis dicta, extantque septem oppida Tramazae, Bauladi, S(anc)ti Veri, Narboliae, Senegae, Mileti dicta malorum aureorum sylva insignis et Bonarcadi, ubi est prioratus s(anc)ti Zeni ordinis ‹Camaldoli›. Inde, Meridiem versus, sequitur alia maritima regio, Campidani Maioris dicta, quae insigni planitie usque ad piscosum flumen Thyrsi effunditur fecunda et frumenti feracissima arboribusque domesticis et vineis optime vestita, in qua sunt oppida Cerdiani, Baratilis, Riolae, Noracis, Caprae, ubi antiqua cernitur arx Maris Pontis aquis olim cincta, Norae Caprae, Donigallae, Solanae, Finoguedae, Noracis Nigri, Massamae, Siae Maioris, Villae Longae, Solarussae et Cerfulini ubi Thyrsus fluvius optimas dat sabocas» FARA 1835 ed. E. CADONI, Sassari

1992, pp. 194-195. 83LIV. XXIII, 19, 1.

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30 corrispondeva né lo stipendium, né il frumentum ai milites ed ai socii navales, richiedendo perciò l’intervento del Senato84. Il provvedimento però non arrivò sollecitamente e nel

frattempo i nuovi praetores partirono verso le province loro assegnate85. Mentre

Cornelius Mamulla, di rientro dalla Sardegna, riferì al Senato che nell' isola si preparava un bellum e che varie comunità si accingevano alla defectio86, incentrata su Cornus e i

territoria delle civitates indigene della Sardegna centrale, Roma, che non poteva perdere la Sardegna, decise per un intervento militare nell' isola. Al contempo giunse a Cartagine una legatio di principes delle comunità sarde, che presentò il quadro di un’isola pronta ad insorgere contro il governo romano e le sue ingenti tassazioni; il senato di Cartagine decise finalmente dunque d’ intervenire, oltre che in Spagna, anche in Sardegna con Asdrubale a capo di sessanta navi; ma l’intervento del contingente cartaginese venne rallentato da una tempesta87. Intanto il princeps Hampsicora si pose a capo della rivolta

sarda, mentre il senato romano deliberò nuovi arruolamenti da destinare alla Sardegna sotto il comando momentaneo di Tito Manlio Torquato che, sbarcato a Cagliari, si diresse prontamente verso nord per raggiungere l’Oristanese, cuore del malcontento che aveva il suo epicentro nell' urbs di Cornus. Mentre Hampsicora cercava alleati presso i Sardi Pelliti, lasciò il comando al figlio Hostus e finalmente avvenne la battaglia. Nello scontro furono uccisi 3000 Sardi mentre quasi 800 furono fatti prigionieri; il resto fu dapprima disperso nella fuga per campi e selve; poi si rifugiò in una città di nome Cornus, centro principale di quella zona88.

Gli studiosi che hanno fino ad ora proposto un'interpretazione in chiave topografica degli avvenimenti narrati da Livio, sono stati Antonio Taramelli89, Raimondo Zucca90,

Maurizio Corona91 e Attilio Mastino92; questi arrivano a conclusioni non concordi in

riferimento alla localizzazione precisa in cui avvenne la battaglia93. Al di là della

84LIV. XXIII, 21, 1-6. 85Liv. XXIII, 32, 2. 86Liv. XXIII, 34, 11. 87 LIV. XXIII, 34, 17. 88LIV. XXIII, 40, 4-5. 89TARAMELLI 1918, p. 291, n. 1.

90ZUCCA 1986a; ZUCCA 2001a, p. 63.

91 CORONA 2005.

92 MASTINO 2016.

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31 localizzazione esatta del campo di scontro, che comunque non può non tenere conto dei rinvenimenti e dati archeologici94, qua rileva evidenziare che Livio identifica l'agrum

hostium, nel quale avanza Tito Manlio Torquato e il suo esercito, con la regio di Cornus95.

Infatti, quando la flotta punica riuscì a lasciare il porto delle Baleari, dove aveva riparato le navi a seguito della tempesta e sbarcò in un porto prossimo alla città di Cornus, le forze di Asdrubale il Calvo si poterono unire a quelle dei sardo-punici scampati alla prima battaglia e delle truppe degli indigeni radunate da Hampsicora per tentare di raggiungere Manlio, che intanto retrocedeva verso Cagliari. In un’area centrale del Campidano arrivarono alla battaglia che vide la sconfitta dei sardo-punici e la vittoria dei romani. Di questo secondo campo di battaglia Livio riporta un unico e generico dato: il bellum avvenne nell' ager dei socii populi Romani, dunque immaginiamo nel Campidano. Gli scampati alla battaglia tornarono alla Cornus fortificata,96 che fu poi posta sotto assedio

e infine espugnata97.

Questa breve esposizione risulta utile al fine di affermare che probabilmente, come ammenda per il sostegno dato ai rivoltosi, Cornus si vide sottrarre parte del suo territorio e proprio la parte più fertile.

È dunque possibile ribadire l’ipotesi che l’ager tharrensis potesse essere delimitato a nord dalla regio di Cornus, a Sud e a Ovest dal mare e ad est dal fiume Tirso estendendosi al Campidano settentrionale, noto nel Medioevo come Campidanus Sancti Marci de Sinnis a cui ci riconducono sia l’estensione delle diocesi di Arborea e Bosa, sia il limite tra il Giudicato d’Arborea e il Giudicato del Logudoro98. Il confine tra le due diocesi è da

identificarsi con il Rio Pischinappiu che rimarca uno dei limiti tra i due giudicati, con

delle battaglie. Deve comunque tersi conto del rinvenimento di un’urna cinerarie della fine del III secolo a.C. con l’incisione di un nome latino. L’una, di fattura locale, è una brocca monoansata di tradizione punica che conosce svariati esemplari in Sardegna. Se giustamente interpretata, l’iscrizione Pu(blios) Caios depone a favore di un defunto di origine extrainsulare. Questo rinvenimento unitamente

all’individuazione, avvenuta nel 2011, di alcuni frammenti di un elmo bronzeo del tipo “Montefortino”, ascrivibile al periodo della seconda guerra punica induce a valutare questi elementi come indizi della presenza in zona dell’esercito di Tito Manlio Torquato.

94 ZUCCA 2001a.

95 Come rilevato anche in TARAMELLI 1919, p.291; MELONI 1980, p. 61; MASTINO 1979, p. 34.

96ZUCCA 1986a, p. 386.

97LIV. XXIII, 41, 5

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32 quello d’Arborea a sud del fiume e quello del Logudoro a nord; estendendo dunque il territorium tarrense all’originaria estensione della diocesi di Sinis.

Quindi l’agro tharrense potrebbe essersi esteso a sud fino al corso terminale del Fiume Tirso e a nord fino al Campidano di Milis, come richiamato da Gian Francesco Fara nel 1580, sebbene una fonte così tarda, imponga cautela.

In un passato ancora più remoto la questione verte sui modelli di lettura dei sistemi territoriali o “cantoni” nuragici99; l’individuazione dei confini del cantone nuragico del

Sinis non trova accordo tra gli Studiosi e necessità di ulteriori dati100. Sostanzialmente la

presenza dell’imponente nuraghe S’Urachi e l’assenza di una struttura altrettanto imponente in tutta l’area del Sinis ha condotto diversi a ritenere possibile che questo si ponesse come probabile central-place di un grande cantone comprendente il Montiferru sud-orientale e il Sinis propriamente detto101, mentre altri propongono una differente

chiave di lettura che separa la penisola del Sinis in una organizzazione insediativa a se stante102.

I confini del Sinis propriamente detto risultano quindi non netti e fossilizzati, ma fortemente condizionati dalle vicende storiche oltre che dagli aspetti geografici, i sui limiti appaiono come frutto di un processo storico di territorializzazione. Ecco perché nell’affrontare questa ricerca si è resa necessario affrontare questo argomento che diviene fondamentale per la comprensione delle motivazioni alla base delle quali l’indagine territoriale si è più volte allargata e ristretta nel tentativo di comprendere le dinamiche insediative e le motivazioni delle stesse, secondo una concezione dello spazio non interpretato come rigida cornice all’interno della quale gli eventi accadono103.

Enrico Besta e Arrigo Solmi, agli inizi del XX secolo, avanzarono la proposta di utilizzare le circoscrizioni ecclesiastiche e le suddivisioni amministrative dei giudicati per definire i territori cittadini della Sardegna romana104. Tale criterio, che presupporrebbe una

99 Vedi da ultimo CICILLONI 2009, pp. 300-303.

100 La Sardegna nuragica sarebbe divisa da una serie di comparti territoriali, delimitati e gestiti

autonomamente da comunità impegnate nella salvaguardia e difesa economica del proprio territorio (CONTU 1990, p. 95).

101 Su questa linea si vedano TORE,STIGLITZ 1992, pp. 89-104; TRONCHETTI, VAN DOMMELEN 2005, pp.

198-199; STIGLITZ 2007, 89-96; SPANU,ZUCCA 2011, p. 27e p. 47; ZUCCA 2014, in particolare pp. 82-83

102 USAI 2005, p. 25 nota 15; USAI 2014, p. 61, nota 41.

103 TORRE 2002, p. 449.

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33 estrema fissità nell’organizzazione territoriale a prescindere da diversità delle strutture socio economiche, politiche e culturali appare riduttivo105, mentre risulta maggiormente

efficace tentare di apportare nuovi dati attraverso l’uso di una molteplicità di approcci differenti.

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Cap. 2. Il Sinis nella storia