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La fase romano-repubblicana tra sufeti e princeps

TERRITORIO COMUNALE DI CABRAS 60 Benas de Marchi

98. Riu Urchi (Sa Gora de Sa Scafa)

2.2 Analisi critica del noto: sistemi e culture tra le pagine della storia 1 Introduzione

2.2.7 La fase romano-repubblicana tra sufeti e princeps

Nell’attribuzione delle tracce materiali alla fase di dominazione cartaginese o piuttosto ad un momento da considerarsi già di pertinenza romana, i contorni appaiono molto sfumati e spesso difficili da definire, se non basati su inquadramenti cronologici di base storiografica. Una lunga tradizione di studi ha infatti evidenziato come, a una fase iniziale del governo romano sulla Sardegna, non corrispondesse un’adesione sostanziale alla causa romana; fattore che si sarebbe concretizzato anche in forme di continuità strutturali e culturali tra gli insediamenti punici e quelli romani. Oggi queste affermazioni vengono sostanzialmente poste in discussione in ragione dell’analisi dei centri urbani661 ma,

sostanzialmente le difficoltà di distinzione - specie quelle basate sui manufatti provenienti da contesti extraurbani - inducono a valorizzare il fattore di tradizione culturale locale sardo-punica che convive e rimane sullo sfondo anche dell’età romana, senza dover necessariamente interpretare il dato come segno di resistenza e contrapposizione al nuovo governo sulla Sardegna.

La Sardegna infatti diviene provincia romana tra I° e II° guerra punica. A seguito della rivolta dei mercenari cartaginesi, sollevatisi per il mancato pagamento degli stipendi, venne richiesto l’intervento da parte di Roma, che dopo iniziali tentennamenti, intervenne militarmente. La pochezza di fonti storiche romane sulla zona è meno scarsa in riferimento al periodo tardo repubblicano. In base alla narrazione di Polibio662 è infatti

possibile ipotizzare che proprio nella città di Tharros venne imprigionato il generale Bolstar da parte dei mercenari cartaginesi, innescando una rivolta che sarebbe poi

660 Fino ad ora si conoscono frammenti di ceramica attica presso Cannevadosu, Conca Illonis, Cuccuru is Arrius, Cuccuru Mattoni, Is Procaxius, Matta tramontis, Mont’e Prama e Sant’Agostino (Cabras); Prei Madau (riola Sardo); Bidda Maiore, Pearba, s’Urachi (San Vero Milis).

661 Da ultimo DE VINCENZO 2016. 662 POL. I, 79,I.

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145 divampata in tutta l’isola. La conquista romana della Sardegna avvenne in tale clima, senza grandi difficoltà, nel 238 a.C.; ma nel corso della seconda guerra punica il centro di Cornus assunse un ruolo da protagonista nel movimento antiromano capeggiato da Hampsicora. L’organizzazione provinciale della Sardinia et Corsica, attuata nel 227 a. C., con la conseguente assegnazione della provincia ad un praetor residente a Karales e l’avvio di una rigorosa esazione fiscale, costituì la premessa della grande rivolta che vide coalizzate le forze sarde con quelle cartaginesi e sembrò in grado di annientare il recente dominio romano. Invece i Punici, sconfitti i rivoltosi e conquistata la città di Cornus, diedero probabilmente avvio alla riorganizzazione e allo smembramento dei territori di pertinenza della città. È infatti possibile che questa venisse punita per l’atteggiamento filo cartaginese con un passaggio di territori dalla città di Cornus alla città di Tharros663.

L’isola conosce una prima fase del governo romano marcata da presidi militari e pattuglie navali sulle coste che tentavano da un lato di rispondere alle attestate razzie cartaginesi nei confronti dei centri costieri, dall’altra di stabilizzare e definire una nuova situazione di fatto.

In questa zona dell’Oristanese si sono localizzati gli avvenimenti narrati da Livio, in merito alla rivolta degli anni 178-176 a.C.664 che condussero i Romani alla vittoria con

l’uccisione di 12.000 Iliensi e Balari. È questo un momento nel quale la Sardegna appare divisa tra una provincia pacata, ed una regione attraversata dalla ribellione dei populi indigeni. Il territorio della provincia pacata può essere definito sulla base degli eventi del 178 a.C., allorquando gli Ilienses, adiunctis Balarorum auxiliis, invasero il territorio provinciale pacificato. Infatti, essendo documentata epigraficamente la localizzazione dei Balari e degli Ilienses, rispettivamente nel nord est (Gallura)665 e nell'area centro

occidentale (Marghine)666 dell'isola, possiamo pensare che l'invasione delle zone pacatae

663 MASTINO 2005, pp. 65-66; ZUCCA 2005b, p.75. Risulta dunque possibile fissare fin da allora quei confini, mancati dall’elemento naturale del Rio Pischinappiu, che attraverso curatorie medievali e circoscrizioni ecclesiastiche si mantengono fino a età contemporanea. Per la trattazione del tema si rimanda al capitolo 2.3

664 MASTINO,ZUCCA 2011, pp. 452-453.

665Sulla localizzazione dei Balari nell’entroterra di Olbia siamo informati dal testo rupestre del Riu Scorra Oe di Monti (SS) edito da Piero Meloni (AE 1972, 225) e riedito in GASPERINI 1992,

pp. 292-7, n. 10.

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146 avvenisse da nord, varcato il margo naturale costituito dalla catena montana del Marghine, verso sud, dunque nell'alto Oristanese e nei Campidani. La localizzazione è indiziata sia dal riferimento agli agri sia, e soprattutto dal riferimento alla pestilentia (ossia la malaria) e soprattutto dall’unione dei due fattori. È proprio nelle vaste aree paludose del golfo di Oristano che si localizzò in maniera privilegiata il plasmodio della malaria.

In base a questa identificazione dobbiamo dunque supporre che furono le città della zona, ossia Tharros, Othoca e Neapolis a rappresentare le urbes sociae che richiesero l’aiuto militare al Senato contro l’invasione degli agri da parte degli Ilienses. Il dato è qui rilevante perché concorre alla conferma di un’immagine dell’isola divisa tra provincia pacata e provincia mossa da rivolte indigene, rendendo i nostri territori tra gli scenari protagonisti delle vicende I dati a disposizione ci permettono di evidenziare l’organizzazione militare di questi Sardonioi / Sardi, con le attestazioni delle corazze, degli scudi e della piccola spada, dei castra, dei signa militari667. Del resto il ruolo di

mercenari dei Sardi nell’esercito Cartaginese, attestato in Sicilia sin dal 480 a.C. ad Imera, non può essere ricondotto alle coscrizioni di leva di cartaginesi di stanza nell’isola, ma considerato secondo l’ipotesi di G. Colonna nel quadro del mercenariato in area alto tirrenica e ligure che abbraccia Sardi, Corsi, Elysici, Sordoni. Ambito nel quale troverebbe perfetta corrispondenza la proposta di attribuzione a mercenari sardi in Sicilia della emissione monetale in argento e bronzo con testa femminile a d. con legenda Sardo sul D/ e grappolo d’uva al R/ di cui si conosce un esemplare di sicura provenienza da contrada Mòscala (Carini-PA), ed un nuovo esemplare riconiato su una moneta punico- siceliota con cavallo in corsa668.

Si ricorda l’organizzazione di civitates sardae, rette da principes, Hampsicora, che era dotato della urbs sarda di Cornus, alleati le une e l’altra con i Poeni, già evidenziato in relazione all’organizzazione delle città sarde durante la rivolta del 215 a.C.669.

Il fatto poi che la città di Cornus, ancora alla fine del III secolo a.C. non fosse retta da una amministrazione sufetale di tipo punico, ma da un princeps sardo, che delegava

667 STR. 5, 2, 7 C 225. 668 CUTRONI TUSA, 2003.

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147 all’occorrenza il comando militare al filius e non al princeps più anziano, è un possibile indizio a favore del raggiungimento di un’organizzazione urbana da parte dei Sardi. Per una narrazione più dettagliata inerente gli eventi del bellum del 215 a.C. si rimanda la Capitolo 1.3; qui si vogliono riprendere le fila inerenti la localizzazione della stessa ed il diretto interessamento dell’area in analisi. Seguendo la narrazione liviana si ripropone dunque l’ipotesi di localizzazione della battaglia di Cornus ai margini degli attuali confini del Sinis; è infatti nella pianura immediatamente a nord di Mare 'e Foghe che si potrebbe essere svolta la prima battaglia del 215 a.C. A sostegno di questa ipotetica localizzazione sta l'esistenza di agri espansi verso nord e nord est, sino alle lave basaltiche del Montiferru, che segna il limite colturale tra i campi e i pascoli cespugliati e poi selvosi del Monte di Cornus, rispondendo assai bene alla breve descrizione liviana di una fuga dei resti dell'esercito consumatasi per agros silvasque670. L'area è pedologicamente

distinta in un settore meridionale con suoli su arenarie eoliche ed un settore settentrionale con suoli su alluvioni antiche terrazzate, limitati ad ovest da sabbie eoliche ed a est da rocce effusive. Sul piano altimetrico i suoli su arenarie e su alluvioni si mantengono in un'area di circa tre Kmq su quote comprese tra i 15 ed i 10 metri sul livello del mare, con una debole pendenza in senso NO/SE. Soprattutto si vogliono valorizzare le scoperte archeologiche pertinenti un’urna cineraria degli ultimi decenni del III secolo a.C. con inciso il nome latino di un defunto e di un elmo di tipo «etrusco-italico» risalente all’ epoca della II guerra punica. L’ urna cineraria si riferisce ad un sepolcreto romano di incinerati attribuibile all' ultimo terzo del III secolo a.C. in località Perdu Unghesti, in agro di Riola. Il sito appartiene al sistema di dune eoliche che margina ad occidente il pianoro a nord del Mare Foghe. Secondo le testimonianze degli agricoltori venne in luce una serie di urne cinerarie fittili, biansate e monoansate, caratterizzate ciascuna da un'iscrizione latina graffita sul corpo del vaso. Insieme alle urne furono individuate anche armi non meglio specificate. Nell'ambito di una raccolta privata di Oristano, Raimondo Zucca ha potuto individuare una delle urne venute in luce a Perdu Unghesti671. Si tratta

di una brocca monoansata in argilla giallastra, a corpo ovoidale, con il collo troncoconico

670LIV. XXIII, 40, 4-5.

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148 e orlo estroflesso, fondo ombelicato; ansa a sezione ellittica impostata sulla spalla con attacco all' orlo che reca, tra spalla e collo, due incisioni anulari. Secondo la descrizione fornita la brocca ripete un modello punico documentato sia in Sardegna, per la verità in non numerosi confronti, e sia nel mondo punico extrainsulare del IV-III secolo a.C., con una permanenza ancora nel II secolo a.C672. Alla base del collo della brocca è graffita

l'iscrizione seguente673:

PV. CAIOS

Una formula onomastica bimembre di un Pu(blios) Caios, l'abbreviazione del praenomen in Pu(blios) e la desinenza arcaica del nominativo in -os suggeriscono una cronologia non più recente della fine del III secolo a.C. Il nostro personaggio reca un gentilizio che è documentato in fase repubblicana nel Latium adiectum (Fundi)674

e in Campania (Tegianum)675, indiziando una

sua origine non romana ma latina (probabilmente campana). L'utilizzo di un'urna locale per la deposizione di defunti di

origine extrainsulare suggerisce il verificarsi di un evento straordinario che impose, ad un personaggio non locale, la sepoltura, probabilmente improvvisa, in Sardegna e con materiali prodotti localmente. Questo potrebbe agevolmente spiegarsi con la sepoltura di un immigrato latino, di un mercatores casualmente deceduto nell' isola; ma non può neanche escludersi che il sepolcreto in questione possa appartenere a socii latini dell'esercito di Tito Manlio Torquato caduti nella vittoriosa battaglia di Cornus. A non abbandonare tale ipotesi concorre particolarmente il rinvenimento dei frammenti di un elmo in bronzo attribuibile al periodo della seconda guerra punica e dato come

672 CINTAS 1950, p. 105, nr. 122; BISI 1970, p. 136, tav. XXIV, 11; MAETZKE 1964, pp. 907-929, figg. 22; 30.

673 ZUCCA 1996, pp. 1474-5, nr. 43.

674CIL I2 1557 c= X 6233 =ILS 6280= ILLRP II 6017. 675CIL I2 1685 = X 290 = ILLRP II 674.

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149 proveniente dalla regione fra «San Vero Milis-Riola»676. I frammenti compongono un

elmo costituito da una calotta fusa e rifinita a battitura, di forma allungata superiormente tale da assumere uno sviluppo conico677, ricompreso nella tipologia “Montefortino”678.

Sembra dunque probabile che sia l’urna cineraria di Pu(blios) Caios (considerato che alla battaglia seguiva sempre, per motivi religiosi ed igienici, la sepoltura dei defunti di entrambe le parti, nel sito stesso dello scontro), sia l’ elmo di tipo «etrusco-italico» dell’ Antiquarium Arborense possano attribuirsi a legionari (o a socii) dell’ esercito romano di Tito Manlio Torquato partecipanti alla prima battaglia del 215 a.C. che si localizzerebbe, di conseguenza, tra Riola, San Vero Milis e Narbolia, immediatamente a nord del Mare Foghe. Ciò che qui importa evidenziare è che le vittorie romane del 215 a.C. in Sardegna furono definitive in rapporto a Cornus e alle civitates della Sardegna centro occidentale e T. Manlius Torquatus, ritornato a Roma, poté annunziare ai senatori Sardiniamque perdomitam679.

Tornando alla città di Tharros, precedentemente sede di un insediamento policentrico in età nuragica, forse fenicia, poi probabile capitale punica della Sardegna, la staessa conosce una fase recessiva durante i primi tempi della conquista romana. Questo avvenne probabilmente in ragione dell’atteggiamento filo-punico espresso dalla sua classe dirigente680 ma anche in conseguenza dei mutati interessi commerciali che ora

privilegiavano le rotte verso il Tirreno piuttosto che quelle verso il Mediterraneo occidentale, nelle quali Tharros era certamente più proiettata. Ciò si rispecchia in quelle persistenze culturali di impronta punica che Tharros restituisce in ambito religioso681 e

676 Antiquarium Arborense, Deposito con la sola indicazione di provenienza «San Vero Milis-Riola» su un foglietto di carta. Per la notizia in merito si veda ZUCCA 1996, pp. 1474-1475; MASTINO,

ZUCCA 2011, pp. 441-443.

677 Dimensioni dell’elmo: altezza cm 23, 5; diametro alla base cm 23, 5; fascia a rilievo inferiore decorata a scanalature oblique: altezza cm 0, 85; bottone sommatale: altezza cm 2, 3 (base superiore: diametro cm 1,45; fregio di ovuli superiore (9 ovuli): altezza cm 0,8; fregio di ovuli inferiore (11 ovuli): altezza cm 0, 9); paragnatide destra superstite: altezza cm 14, 9; larghezza massima cm 14, 3; spessore cm 0, 3.

678 QUESADA SANZ 1999. Noto anche nella letteratura inglese come Jockey-cap (ROBINSON 1975, p.13) e tedesca come Kappenhelm (DINTSIS 1986, pp. 149-168).

679LIV. XXIII, 41, 7.

680 Si è ipotizzato che nel porto di Tharros fosse sbarcata la flotta inviata da Cartagine nel 215 a.C. in sostegno della rivolta antiromana capeggiata da Hampsicora.

681 Cil VIII 12941 con la probabile attestazione del culto di Baal come S(aturnus) A(ugustus) ancora nel II secolo d.C.

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150 amministrativo682, oltre che nelle produzioni di cultura materiale. Nel 77 a.C. una breve

menzione della città in Sallustio potrebbe alludere ad un ruolo giocato da Tharros e dal suo porto nel conflitto tra ottimati e popolari. In quell' anno l’ex console del 78, Marco Emilio Lepido, imbarcatosi a Cosa con il suo esercito fedele alla causa dei populares si diresse in Sardegna, meditando di guadagnare alla sua causa la provincia. Probabilmente almeno una città si attestava a favore di Lepido e dei populares, in quanto nel secondo libro delle Historiae sallustiane troviamo la menzione della città sarda di Tharros. È opinione prevalente tra gli studiosi ritenere che questa menzione sia giustificata dal ruolo giocato da Tharros sia nell’ accogliere la flotta di Lepido, sia, dopo la morte dell’ex console in Sardegna - presumibilmente nella stessa Tharros - nel successivo trasporto delle sue truppe, unite a quelle di Perperna, in Spagna dove andarono a rafforzare in maniera determinante l'esercito sertoriano683.

La città romana da un lato si adegua, per le caratteristiche geomorfologiche della penisola di Capo San Marco estrema del Sinis e agli spazi della città cartaginese, dall' altro propone profonde riqualificazioni in funzione del nuovo modello urbano, soprattutto durante l’età imperiale, in particolare dalla seconda metà del I secolo a.C.684. Progressivamente la città

si aprì alle nuove formule culturali; così si realizzarono santuari, monumenti e piazze che consentono di scrivere la fase di monumentalizzazione della città a partire dalla seconda metà del I secolo a.C. Lo statuto cittadino di Tharros è del tutto incerto fino al periodo severiano, entro il quale si suppone plausibilmente il raggiungimento dello statuto coloniale685. In tempi imperiali, non meglio specificabili, la precedente viabilità ricavata

sul fondo roccioso in arenaria fu sostituita da una via principale in senso nord / sud che

682 Con l’attestazione dell’amministrazione della città da parte di sufeti ancora nei tempi del dominio romano sull’isola.

683 ZUCCA 2005a, pp. 259-260.

684 Sulle caratteristiche generali e sulla topografia della città si veda: PESCE 1966; ZUCCA 1993; GIUNTELLA 1995; ACQUARO et al. 1999; ZUCCA 2005a.

685 L’iscrizione [ka]lend(arium) r[eipublica?] e Tar[hensium] […] IIv[ir] (ELSard, add. B57) concernente il kalendarium cittadino e la presenza di un duoviro e l’iscrizione turritana Aug(usti) lib(ertus) e tabular(ius) pertic(ae) Turr(itanae) et Tarrh(e)ns(is) ( CIL X7951) pertinente un archivio provinciale dei territori di Turris e di Tarrhi rappresentano i due indizi più concreti in ragione del fatto che il duoviro è un magistrato che in Sardegna sembra caratterizzare le colonie così come l’associazione di Tharros a Turris, colonia certa, induca a ritenere altamente probabile l’equiparazione di statuto delle due, oltre a potersi ipotizzare una relazione tra i compiti del liberto imperiale e le controversie legate ai confini tra praedia imperiali e i fundi dei coloni delle due perticae.

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151 superava un dislivello di circa 20 metri, parallela ad una via orientale e ad un'altra occidentale. Mentre nel III secolo d.C., la città venne dotata di un acquedotto che utilizzava le acque di un pozzo situato a sud di San Giovanni di Sinis adducendole, con un percorso di 580 metri su arcate, muro continuo e forse in galleria, sino ad un castellum aquae, dislocato all' incrocio tra la via derivata dalla strada extraurbana e la via principale verso il colle di Murru Mannu; ma fenomeni di slittamento dei suoli argillosi verso occidente e resero l’acquedotto di Tharros ben presto inutilizzabile.

Possiamo ipotizzare che le aree più fertili dell’entroterra tharrense venissero destinate o proseguissero nella destinazione a produzione di cereali, specificatamente grano. Questo, unitamente al dato della progressiva pressione fiscale esercitata sull’isola, motiva le continue insurrezioni e il malumore che le fonti registrano da parte dei Sardi ma lasciano, anche intravvedere possibili scenari socio-economici verosimili per la penisola del Sinis durante questa fase storica. Solo nel 227 a.C. la Sardegna diviene, unitamente alla Corsica, provincia e sottoposta ad un governo personale e diretto di un magistrato militare. Che ritroviamo attestati con certezza nel 77 a.C. quando, Marco Emilio Lepido sbarcò a Tharros nella ricerca di sostegno alla causa dei popolari.

Gli indicatori materiali che vengono ricondotti a questa fase sono sostanzialmente limitati alla ceramica a vernice nera, dalla produzione campana A a quelle definite B-oidi, fino alle produzioni di imitazione locale o regionale. A queste si aggiungono le stele funerarie, di una tipologia particolare ma ben testimoniata nel Sinis, cronologicamente collocabili tra I secolo a.C. e I secolo d.C. Sono stele che riproducono in maniera più o meno schematica un volto e un busto umano, considerate o frutto di un’evoluzione, intesa in senso popolaresco, della tradizione punica al contatto con le nuove esperienze e tradizioni686 o come derivate dalla cultura di immigrati libici687. Il risultato si traduce in

forme piuttosto varie, sebbene sempre con una fattura alquanto povera e semplice, di stele aventi funzioni funerarie che si possono considerare espressione di una composita popolazione che, se anche integrata da immigrazioni, può compiutamente definirsi

686 In riferimento a questa tipologia di reperti il sito più rappresentativo è sicuramente quello di Bidda maiore.

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152 sarda688. E’ da rilevare come molti nuraghi, tra quelli disposti a basse quote e in

corrispondenza delle aree maggiormente pianeggianti, abbiano avuto una frequentazione in età romana, testimoniate da numeroso materiale di superficie689. Che questo materiale

sia poi da attribuire ad una frequentazione stabile e magari insediativa oppure sporadica ed episodica, in assenza di scavo, è alquanto difficile da stabilire. Si può comunque ricondurre, con probabilità la diminuzione di contesti noti per questa fase ad una duplice motivazione, da un lato ciò pare essere parzialmente determinato dalle ricerche territoriali finora svolte690, dall’altro lato conferma l’iniziale dichiarazione di oggettiva difficoltà di

riconoscimento di forme materiali per questa fase, che sembra invece caratterizzarsi per un proseguo di mode, stili, istituzioni e produzioni caratteristiche della cultura tradizionale punica che si può dire ormai tradizionale sarda691. D’altra parte non può

escludersi che l’apparente riduzione dei centri possa corrispondere ad una effettiva