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La fase romano imperiale

TERRITORIO COMUNALE DI CABRAS 60 Benas de Marchi

98. Riu Urchi (Sa Gora de Sa Scafa)

2.2 Analisi critica del noto: sistemi e culture tra le pagine della storia 1 Introduzione

2.2.8 La fase romano imperiale

Il riassetto amministrativo determinato dall’Impero vede ancora la Sardegna unita alla Corsica. L’isola, evidentemente ritenuta pacificata, nel 27 a.C., venne lasciata all’amministrazione da parte del senato, per poi essere affidata alla diretta gestione da parte dell’imperatore. L’iniziale valutazione però si rivelò errata e, a seguito di importanti e ripetuti disordini, iniziò un’altalenante gestione amministrativa della Sardegna affidata, in fasi alterne, al senato o all’imperatore.

Mentre Tharros risulta una città che sostanzialmente ricalca la disposizione degli isolati precedenti, disposti secondo le curve del livello che i terreni della penisola di Capo San Marco impongono, si registrano interventi per la realizzazione di due edifici termali e di un modesto anfiteatro. Le informazioni che possediamo in riferimento all’immigrazione italica nell’isola, si fanno più concrete fra l’età dei Gracchi e quella augustea e ne possediamo un’indiretta testimonianza attraverso la nota iscrizione tharrense728 che

indicherebbe una probabile proprietà senatoria729. Fundania Gallia, probabilmente la

moglie di Terenzio Varrone, ebbe presso Tharros delle proprietà terriere e un dispensator,

725 CAU 2003, pp. 13-18. Analizzato poi da TEATINI 2011, pp. 263-264. 726 TEATINI 2011, p. 264.

727ZUCCA 1985, p. 96; DONATI,ZUCCA 1992, p. 18.

728 CIL X 7893 ---/[---]us Fundan(iae) / Gallae disp(ensator) templum / et maceriem item / pomar(ium) impens(a) sua fecit idemq(ue) / dedicavit. Si veda da ultimoMASTINO 2005, p. 182; ZUCCA 2013, p.

251.

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162 che a Tharri edificò e dedicò un templum con pomarium, probabilmente in onore di una divinità dei campi di cui la targa non menziona nome. Il tempio dovette con probabilità esser votato a Pomona, Flora o Aristeo e la localizzazione rimane incerta730. Alla dea

Flora riconduce un altro elemento rinvenuto nel 1860 nel Sinis. Lo Spano, che ne diede notizia, così scrisse: “Il sig. Chirurgo Salvatore Orrù, intelligente ed amante delle sarde antichità (…) nello scorso mese di aprile ci mandò una statuetta in bronzo, mancante della parte inferiore e del braccio sinistro. Questa statuetta, ci scriveva con lettera in data del 7 (aprile 1860), venne trovata nel Sinis di Santo vero da un pastore nel luogo detto Giarrei, ove si osservano ruderi di antichi fabbricati, frantumi di stoviglie ed altro. La detta statuetta in buono stato, sebbene frammentata e piena di molto ossido, ha una corona di edera in testa. Con la mano destra sostiene una cornucopia, ma non si sa cosa sostenesse con la sinistra, perché è rimasta solo una porzione del braccio. Sopra la tunica ha un’altra veste o manto che le viene a metà coi lembi svolazzanti per dietro, lasciando comparire le ginocchia coperte dalla tunica ben panneggiata, come lo è in tutte le sue parti il manto. La scultura è di buon stile romano. Noi non dubitiamo nel riconoscere in questa bellissima statuetta una dea Flora”731. La statuetta, consegnata al Museo Archeologico Nazionale

di Cagliari, è attualmente dispersa, rimane solo uno schematico disegno (FIG. XXX), in cui è possibile notare che la dea tenga, con la mano destra e posata sul capo, una cornucopia probabilmente piena di frutti e fiori. Sebbene l’iconografia della divinità d’ambiente italico e romano non paia certa, possediamo due rappresentazioni attestanti il tipo presso i Romani: una base di statua rinvenuta a Roma e recante il nome della dea732

ed una testa di Flora raffigurata sulle monete di I secolo a.C.733 La rappresentazione

presenta attributi che facilmente potrebbero essere ricondotti anche ad altre divinità legate ai campi, alle messi e all’agricoltura ma l’identificazione con Flora, effettuata dallo Spano, potrebbe aver colto nel segno; per noi rileva soprattutto l’attestazione di culti legati alla produttività agricola dei campi dall’ager tarrense e sicuramente dalla località

730 Secondo alcune Studiose (TOMEI 2008, pp.116-126; RUGGERI 2011, pp. 301-302) il tempio

menzionato dall’iscrizione potrebbe essere localizzato a Tharros-Murru Mannu nella terza fase del tempio delle semicolonne doriche con il pomerium disposto su un giardino artificiale in cocciopesto. 731 SPANO 1860, pp. 73-75.

732 CIL VI, 30867

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163 di Gerrei, ossia Zerrei in comune di San Vero Milis, nota per la presenza di un nuraghe monotorre734. Nel primo libro del De Re Rustica, Varrone nel presentare il quadro

completo delle principali divinità che sovraintendono al mondo agricolo, secondo un elenco strutturato per coppie, al quarto posto riporta gli dei Robigus e Flora, dei quali specifica il campo d’azione735.

Durante il principato traianeo si attuò nell’isola una profonda revisione del cursus publicum, che inserendo nuovi tratti viari, in particolare il nodo di Aquae Ypsitanae- Forum Traiani, che di fatto tagliava fuori le città costiere del golfo di Oristano, compresa Tharros. Tuttavia la peculiarità dell’Oristanese nell’antichità, ossia la concentrazione del fenomeno urbano, si manifesta nel golfo di Oristano con Neapolis, Othoca, Tharros e anche con Cornus che conseguentemente si trovavano ad avere assegnati territori di limitata estensione. Proprio la definizione dei loro relativi territoria rappresenta ancora una questione aperta. Le fonti letterarie ed epigrafiche si limitano alla menzione della regio di Cornus, della pertica dei Tharrense e del territorium Neapolitanum. Come scritto nel capitolo 2.3, a cui si rimanda, risale agli anni Trenta del Ventesimo secolo la proposta, da parte di Enrico Besta e Arrigo Solmi, di impiegare i territori delle circoscrizioni ecclesiastiche e delle curatorie medievali736 per riconoscere i limiti dei territori dei

municipi romani e delle diocesi di età paleocristiana. Al di là delle critiche mosse in riferimento a tale sistema737, caratterizzato da atemporalità e sostanziale immobilismo

storico dei territori, riconoscere i limiti dei rispettivi territori di pertinenza delle varie città è un passo ricostruttivo fondamentale nella ricostruzione storica del territorio.738 Un

possibile richiamo all’organizzazione terriera dell’area potrebbe derivare dalla

734 Il Giornale di Sardegna del 31/12/ 2005, pubblicava un articolo a firma di Maria Obinu nel quale veniva data notizia di un recupero della Guardia di Finanza di Oristano, riguardante una statuetta bronzea, alta circa 13 centimetri, rinvenuta presso Capo San Marco. I dati, oltre alla sua altezza ed al materiale nel quale venne realizzata, si limitarono a ricondurre la stessa alla rappresentazione di una divinità femminile ed a richiamare la similarità con quella rinvenuta nella seconda metà del

diciannovesimo secolo a Zerrei.

735 quibus propitiis neque robigo frumenta atque arbores corrumpit, neque non tempestive florent (VARR rust. I, 1, 6). Si veda anche GIANFERRARI 1995.

736 Con il termine curatorìas venivano indicate delle subregioni geografiche, corrispondenti alle

circoscrizioni amministrative dei quattro giudicati nei quali la Sardegna era divisa; corrispondenti al giudicato o regno di Cagliari, Arborea, Gallura e Torres. Sul tema MANCONI,MELE 1998; MELONI

2002; ORTU 2005.

737 TORE,STIGLITZ 1994, p.800.

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164 toponomastica. Nel territorio comunale di Cabras è infatti attestato il toponimo Grisanti, che si localizza a circa 4,5 Km in direzione nord-ovest dalla località di San Salvatore739.

Se inteso come derivazione da Crysanthius o Chrysantus potrebbe provenire da una forma prediale, indicando l’appartenenza del fondo al possessore dell’antroponimo gentilizio. L’importanza dei praedia senatori nell’ager tharrense, assume concretezza maggiore attraverso il rinvenimento di laterizi bollati, che allo stato attuale sembrano attestati esclusivamente nella Sardegna occidentale, a Tharros, nell’agro tharrense (Domu ’e Cubas-San Salvatore e recentemente a Funtana Meiga), a Cornus (Columbaris-Lenaghe), nell’agro di Othoca (Villaurbana e soprattutto nel praetorium di Muru de Bangiu – Marrubiu) con un marchio non attestato altrove740. Il bollo presenta l’iscrizione su due

linee, con lettere a rilievo Probi v(iri) c(larissimi) et / Venustae c(larissimae) f(eminae), probabilmente due coniugi di estrazione clarissima741. Si hanno inoltre i bolli Iuliani / et

Quad( )742 e Probi V(iri) C(larissimi) et Venustae C(larissimae) F(emminae) che

evidentemente testimoniano dell’utilizzo di laterizi prodotti in loco, molto probabilmente nella vicina figlina sopra citata743. Recentemente si sono aggiunte nuove riflessioni in

merito ad uno dei titoli presenti sulle pareti dell’ipogeo di San Salvatore744. Un possibile

cognomen, ben diffuso in ambito prediale in Sardinia, ossia Martinianus che riflette una fase onomastica tardiva e potrebbe rappresentare un ulteriore indizio dell’acquisizione di proprietà tharrensi da parte di personaggi di alto rilievo sociale in età tardoantica745.

739 IGM 216 I NE vedi PAULIS 1987, p. 72.

740 L’esempio di Muru de Bangiu può considerarsi ad oggi l’unico praetorium certo (ZUCCA 1992; SPANU,ZUCCA 2005; SANNA,ZUCCA 2009; LEVEAU c.s. grazie al rinvenimento epigrafico (AE 1992,

982). Il sito restituisce attestazioni di II e III secolo e sporadiche tracce di frequentazione fino alla prima età bizantina. Stupisce la pochezza isolana in riferimento a questo tipo di strutture, il cui termine polisemico non rende chiari i criteri per una possibile identificazione, ma che comunque possiamo immaginare presenti, più numerosi, anche in Sardegna nella quale dimensioni e vocazione rurale dovettero rendere la viabilità e le annesse strutture di servizio elementi di basilare importanza. Un praetorium è ipotizzato anche per Bacu Abis-Carbonia (SPANU,ZUCCA 2005, p.685, Fig. 14) e Sa

Presones- Bonorva (MASTINO,RUGGERI 2009), in quest’ultimo caso le dimensioni appaiono molto

ridotte rispetto ai canoni consueti.

741 SPANU,ZUCCA 2005, p. 683; MASTINO,ZUCCA 2011,p. 474; ZUCCA 2014, p. 347. 742 (CIL XV 1957) ZUCCA 1987, pp. 674-675.

743 Per Tharros si veda PESCE 1957, p. 323. Per Domu’e Cubas ZUCCA 1981, p. 18, nota 19 (CIL X 8046, 34 e CIL X 8046, 17a, 39).

744 PANICO,SPANU,ZUCCA 2015, p.

745 Giulio Paulis registra Martinzani (Bauladu); Nuraghe Martinzana (Bulzi); Martingiani (Busachi); Martingiana (Laconi); Marinzanu (Modolo); Feurra Martingiani (Neoneli); Martinzana (Nughedu San Niccolò); Nuraghe Martingiana (Orroli); Nuraghe Martinzana (Ozieri); Perda Martingianu (San

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165 Ancora una proprietà senatoria potrebbe essere indicata da due esemplari di sigilli per sacculi del clarissimo Quietus proveniente da San Giorgio, con il marchio, composto da lettere a rilievo: Quieti v(iri) c(larissimi)746. Dunque, benché non confortato da fonti

letterarie o giuridiche, è possibile affermare la probabile presenza di latifondi imperiali, afferenti poi al demanio bizantino e l’esistenza, certa in età vandalica e bizantina, di fundi privati ed ecclesiastici.

Sebbene non si abbiano dirette attestazioni sulla specifica area in analisi da parte di autori d’età imperiale, è possibile avanzare ipotesi, che solo il proseguo delle ricerche saranno in grado di dimostrare o smentire. La rete di insediamenti rurali sparsi nel territorio, in funzione dell’allevamento (bovino, ovino, caprino) e di una agricoltura minoritaria dovette essere infrastrutturata in rapporto alla necessità di assicurare il trasporto delle derrate agricole fino ai porti d’ imbarco, tenuto in particolare conto dell’assetto idrico dell’area. Si spiega così la ricca serie di ponti, quale il Pontizoppu747 e il grande ponte di

Tramatza sul Rio Canargia748, ma anche i ponti minori del territorio di San Vero Milis,

presso il centro del nuraghe S’ Uraki749 e il vadum latum (guado largo) del Rio Cispiri a

Baulado. Una viabilità minore che andava a raccordarsi al grande asse litoraneo occidentale della via a Tibulas Sulci750.

Il quadro generale sulla Sardegna romana e sul Sinis romano, richiamano realtà similari e note maggiormente per altri contesti provinciali. L’impressione che si ricava è quella di una moltitudine di fondi, più o meno piccoli, o forse per la maggior parte poco estesi, dai quali non poteva certo prodursi solo grano ma, dando credito alle fonti751, si allevano

cavalli, buoi e suini: si estraevano minerali e materiali lapidei. Al di là del centro di Tharros, che in realtà non raggiunse mai forme particolarmente estese, le campagne erano disseminate di piccoli insediamenti, disposti prevalentemente in relazione alla viabilità. Essi dovevano far parte di un sistema produttivo a carattere privato752 che si alternava ai

Vero Milis).

746 SPANU,ZUCCA, 2005, p. 687; ZUCCA 2014, pp. 347-348. 747 TORE,STIGLITZ 1987, p. 457, nr. 47.

748 FOIS 1964, pp.50,-51.

749 TORE,STIGLITZ, DADEA 1988, p. 459, n. 43. 750 MASTINO 2005, pp. 373-382.

751 PIGA,PORCU 1990. 752 COLAVITTI 1996, p. 649.

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166 latifondi753. Dobbiamo anche immaginare che la maggioranza dei lavoratori impiegati in

campagna fosse personale salariato o magari gruppi di braccianti stagionali, oltre ai coloni che, come apprendiamo proprio da una lettera di Gregorio Magno sulla Sardegna, prestavano lavoro salariato su terre di terzi754. La condizione di colonus era probabilmente

quella della maggioranza degli abitati delle campagne e possiamo pensare fossero cittadini liberi o schiavi che, unitamente al proprio nucleo familiare, coltivavano la terra d’altri versando un canone. In questo sistema organizzativo le ville avranno poi avuto il compito di accumulare e gestire il traffico destinato al commercio di derrate.