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Confrontarsi con le conseguenze psicologiche ed evolutive del maltrattamento

Nel documento LA COMUNITA' TRA CURA E PROTEZIONE (pagine 61-65)

2 IL PROGETTO EDUCATIVO: UNO STRUMENTO PER IL TRATTAMENTO

2.3 Confrontarsi con le conseguenze psicologiche ed evolutive del maltrattamento

“La progettazione educativa […] non va mai intesa come una metodologia finalizzata esclusivamente all’individuazione di obiettivi educativi, ma come il risultato dinamico dell’integrazione costante tra esigenze educative ed evolutive del singolo e la realizzazione di una qualità relazionale del contesto di comunità che sappia sempre far prevalere un orientamento rispettoso dei diritti evolutivi e personali dei singoli, contrastando logiche burocratiche/organizzative massificanti e omogeneizzanti.”31

I minori che sono inseriti in comunità vengono da esperienze di deprivazione, cioè i loro legami precoci sono stati distrutti o persi, provocando la messa in atto di comportamenti disfunzionali, di sintomi derivanti dai maltrattamenti, dalle trascuratezze o dagli abusi subiti. Il minore che si incontra in comunità ha una mancanza affettiva, ha interiorizzato il senso di vergogna o di colpa e ha difficoltà ad intrattenere una relazione empatica.

30 Ivi, p. 219.

31 P. Bastianoni, M. Baiamonte, Il progetto educativo nelle comunità per minori. Cos’è e come si costruisce, Trento, Edizioni Centro Studi Erickson, 2014.

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Ovviamente questa difficoltà ad entrare in relazione con l’altro non deve fermare l’educatore, il quale di fronte ai rifiuti messi in atto dal minore, a volte anche in modo aggressivo, deve perseverare nella ricerca di un contatto con la pazienza e la sensibilità che la situazione richiede.

Al fine di costruire un buon progetto educativo, ma soprattutto per saper accogliere questi bambini e ragazzi è utile sapere quali siano gli effetti psicologici del maltrattamento e dell’abuso. Per questo motivo gli operatori non solo hanno compiuto degli studi specifici, ma continuano il loro aggiornamento con incontri di formazione.

Per poter realizzare un buon progetto educativo innanzitutto è necessario avere chiaro chi è il bambino o il ragazzo con cui si andrà a lavorare, quali sono le sue esperienze, come sono state elaborate e quindi quali conseguenze hanno prodotto da un punto di vista psicologico ed evolutivo.

Non si può non considerare che la violenza (fisica e/o psicologica) e l’abuso producono una percezione distorta degli adulti nella mente del bambino e che, in generale, le dinamiche maltrattanti sono strettamente connesse alla storia delle relazioni familiari e al loro sviluppo.

La letteratura psicologica ha documentato che il neonato è predisposto alla relazione molto precocemente grazie a prerequisiti innati che possiede. Il ruolo dell’adulto nello svolgere la funzione socializzante è fondamentale affinché il bambino impari ad attribuire significato alle proprie ed altrui esperienze e le carenze nell’interazione precoce producono effetti negativi sullo sviluppo delle sue capacità comunicative cognitive. Ad esempio, quando un neonato sorride, inizialmente non lo fa con intenzionalità, ma la risposta degli adulti a quella azione gli farà comprendere il senso sociale ed interattivo del suo sorriso. “Assume così grande rilevanza non tanto e non solo ciò che il bambino sente o fa, ma l’effetto che i suoi comportamenti e le sue emozioni esercitano sugli altri

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e, soprattutto, il modo in cui gli adulti attribuiscono senso e significato ai segnali che egli emette”.32

La non reazione o la risposta avversa del neonato legata alle disfunzioni e alle irregolarità del ritmo interattivo (coerente modulazione tra movimenti del bambino e discorso dell’adulto33), contribuisce alla costruzione di una

rappresentazione negativa del bambino dal punto di vista dell’adulto, che lo associa a caratteristiche quali l’irritabilità, il pianto eccessivo, un temperamento difficile, ecc.

A sua volta questo modo di concettualizzare il bambino, influenza la relazione e le risposte emotive del neonato. “Lo sviluppo delle emozioni è strettamente connesso alla interazione con gli adulti, alcuni tra i principali meccanismi di regolazione e di acquisizione delle competenze emotive vengono intaccati nei primi rapporti se il bambino vive a contatto con una madre trascurante o abusante. […] i genitori o le madri maltrattanti tendono ad accentuare le emozioni negative, quelli trascuranti a presentare un numero ridotto di emozioni ed entrambi ad interagire verbalmente molto poco col bambino. Lo sviluppo della conoscenza delle emozioni è facilitata essenzialmente dall’osservazione delle emozioni altrui […] Le difficoltà riscontrate nei bambini maltrattati e trascurati dipendono quindi anche dal fatto che gli adulti usano un numero ridotto di emozioni positive oppure una prevalenza di emozioni negative che inevitabilmente riducono la gamma espressiva a disposizione del bambino”34.

Si può ben capire come la difficoltà nel regolare le proprie emozioni e nella capacità di comprendere e valutare quelle altrui, si rifletta sul processo di socializzazione, sia con gli adulti sia con i pari: la tendenza a leggere i comportamenti altrui come negativi e l’ansia che si verifichino eventi sfavorevoli genera reazioni di rabbia e di ostilità ovvero strategie di evitamento, che

32 P. Di Blasio, Il bambino maltrattato, Milano, il Mulino, 2000, p.55. 33 Ivi , p.58.

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impediscono al bambino la comprensione profonda e l’elaborazione delle esperienze emotive complesse come ad esempio la colpa e la vergogna. Queste sono espressioni emotive complesse che compaiono intorno al primo anno di età e sono strettamente correlate “alla socializzazione, alle pratiche educative, al contesto culturale e richiedono anche capacità cognitive più evolute di valutazione di sé, degli altri, delle aspettative sociali e di autoconsapevolezza. […] colpa e vergogna hanno origine dalla percezione del fallimento di standard post dall’esterno o interiorizzati […] richiedono che il bambino abbia acquisito un primo iniziale senso della propria identità.”35

Il bambino maltrattato prova frequentemente queste emozioni e vive nell’ambivalenza tra la colpa, di cui è pronto a prendersi la responsabilità in modo indifferenziato rispetto alle circostanze (poiché hanno capacità cognitive ancora limitate per poter distinguer il danno che loro creano dagli effetti derivanti dall’ambient), e di vergogna, derivante dal fallimento dei tentativi con cui cerca di difendersi e giustificarsi.

Se il senso di colpa ha una funzione adattiva che può essere positiva, provare empatia e voler riparare un danno che si ha provocato, quando si lega alla vergogna diventa negativamente pervasivo, intenso, stabile e cronico.

Le emozioni di colpa e di vergogna spesso sono vissute dal bambino nella stessa situazione, si rivela quindi difficile differenziarle. Perché avvenga questo processo mentale occorrono due condizioni evolutive: “una più complessa e sofisticata capacità di <<valutazione secondaria>> che consenta di differenziare tra il Sé e la situazione [e] l’abilità di distinguere le caratteristiche distintive del Sé e del comportamento.”36 Questo lungo processo evolutivo si realizza intorno

agli otto anni.

35 Ivi, p.63.

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Se un bambino è vittima di maltrattamento e/o di un abuso in un momento della sua crescita in cui questo sviluppo non è ultimato, non essendo ancora in grado di distinguere dentro di sé il significato delle diverse emozioni o di capire cosa prova per l’aggressore, si trova in una posizione di maggiore vulnerabilità e confusione che lo indurrà a colpevolizzarsi e a vergognarsi di se stesso. Se chi perpetua il danno è un familiare, il bambino vivrà un’ambivalenza molto forte tra la colpevolizzazione e la rabbia per l’incapacità a sottrarsi e ad opporsi all’aggressore e i sentimenti positivi che questo comunque suscita. Questa ambivalenza verrà espressa tramite il comportamento, i giochi o il disegno37.

Nel documento LA COMUNITA' TRA CURA E PROTEZIONE (pagine 61-65)