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Le conseguenze del maltrattamento e dell’abuso in adolescenza

Nel documento LA COMUNITA' TRA CURA E PROTEZIONE (pagine 78-83)

3 PERCORSI POSSIBILI

3.1 Gli adolescenti nelle comunità

3.1.1 Le conseguenze del maltrattamento e dell’abuso in adolescenza

È accertato che i traumi di tipo cronico o acuto abbiano effetti nel tempo e che questi si possano manifestare anche nell’adolescenza e nell’età adulta. I disturbi post-traumatici da stress si presentato sotto forma di specifici sintomi in conseguenza all’esposizione a un fattore derivante dall’esterno.

I sintomi più comuni e non legati alla specificità del trauma o dell’età sono “memorie intrusive e paure legate all’evento, i cambiamenti di atteggiamento nei confronti delle persone, di alcuni aspetti della vita e del futuro, e comportamenti ripetitivi tramite i quali viene riassunta la situazione […] sogni ripetitivi”51.

Poiché dal trauma deriva un grande stato d’ansia che può minacciare la sopravvivenza dell’individuo, egli applica ciclicamente due strategie di difesa: l’inibizione dei ricordi del trauma e delle percezioni riguardanti l’evento traumatico. Quando queste strategie funzionano, il soggetto abbassa i meccanismi di difesa e di conseguenza i sintomi tornano a manifestarsi: si riattivano così in maniera circolare i controlli difensivi.

La sintomatologia in parte varia a seconda che il fattore dannoso si sia presentato sotto forma cronica o acuta. Per fare questa distinzione è necessario prendere in considerazione diversi fattori, ovvero la durata oggettiva, la percezione soggettiva dell'evento, la capacità di farvi fronte e la sua elaborazione. Ad esempio in relazione alla durata, sia dei maltrattamenti che degli abusi, è stato notato che se i sintomi di un evento acuto sono generalmente incubi, sogni disturbanti, stress, difficoltà nel prendere sonno, ipervigilanza, reazioni esagerate, agitazione e ansia generalizzata, quelli relativi ad un disturbo cronico appartengono più alla sfera depressiva e del distanziamento affettivo.

51 P. Di Blasio, op. cit., p.157.

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Goodwin52 sottolinea come, nelle vittime di abuso sessuale, i disturbi post-

traumatici da stress vengano affrontati diversamente a seconda della fase evolutiva. Se tra i sette e tredici anni c’è la tendenza a coinvolgere in pratiche sessuali i compagni e compaiono incubi e ricordi che riportano a galla le emozioni provate durante il trauma, nella prima adolescenza l’ansia cronica può sfociare nell’abuso di alcool, droghe o in flashback, soprattutto quando si instaurano relazioni affettive intense o durante contatti intimi.

Un aspetto molto pericoloso della reiterazione dell’evento è l'aumento della difficoltà a scindere gli episodi che provoca così il fenomeno dell’interferenza retroattiva. Il rischio è la tendenza a ricordare più facilmente gli espetti positivi o piacevoli rilegati all’ambiente o all’abusante e, al contrario, a rimuovere quelli negativi. In questo senso si spiegano i fenomeni della idealizzazione e della minimizzazione, che si presentano non solo nei bambini, ma anche negli adulti, vittime di abusi nell’infanzia. Non potendo escludere dunque che la lunga durata degli effetti del trauma possano derivare proprio da questi meccanismi, è importante considerare che il trattamento non serve solo per aiutare a rivivere l’esperienza , ma anche ad elaborarla in forme narrative per poterla leggere in modo differente.

Herman53 ha notato che i disturbi che investono gli adolescenti sul lungo periodo

si possono ricondurre a quattro categorie:

- Conseguenze sulla somatizzazione, in questo caso l’ansia cronica derivante dalla paura e all’associazione di uno stimolo ambientale neutro al pericolo, nel tempo si può trasformare in sintomi somatici gastrointestinali, addominali, nausee, tremori, ecc.

52

Cfr. J. Goodwin, “Post-traumatic Symptoms in Abused Children”, in Journal of Traumatic Stress, 1, 1988, pp. 231-237.

53 Cfr. J.L. Herman, “Complex PTSD: A Syndrome in Survivors of Prolonged and Repeated Trauma”, in Journal of Traumatic Stress, 5,3, 1992, pp.377-391.

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- Conseguenze dissociative, si verificano in seguito alle elaborazioni di frammentazione mentale necessarie per delimitare settori della mente che contengono immagini contrastanti di sé e dei perpetuatori della violenza. - Disturbi nelle relazioni affettive, derivano da un cattivo attaccamento,

soprattutto se di tipo ansioso ambivalente, provocando la conseguente paura di essere abbandonati o sopraffatti. Si instaurano rapporti di dipendenza da adulti idealizzati.

- Cambiamenti nell’identità e nella struttura di personalità, l’immagine di sé data dal riflesso che gli altri rimandano viene compromesso creando un senso del Sé distorto, confuso, colpevole e cattivo.

C’è inoltre un elevato rischio che la vittima reiteri l’esperienza traumatica ricercandone i pericoli o cerchi nuove esperienze negative creando danni a se stesso o agli altri.

Da una ricerca54 effettuata su un gruppo di 36 bambini, tra i quattro e quindici

anni, accolti presso le due comunità del CBM di Milano, è emerso che i comportamenti etero diretti più frequenti sono: atteggiamenti irritanti verso gli altri, attacchi fisici verso gli altri, distruzione di oggetti altrui, atti di vandalismo. Tra quelli autodiretti troviamo più spesso: azioni impulsive, attenzione eccessiva per chi sta male, essere vittima di piccoli incidenti. Dai dati emerge che in relazione all’età e al sesso le aggressioni, sia rivolte all’esterno sia verso il Sé, sono più frequenti nei ragazzi più grandi ( tra i 12 e i 15 anni) rispetto alla fascia intermedia. Mentre per quanto riguarda i comportamenti autolesionisti sembra che questi siano frequenti tra i più piccoli (4-7 anni) e tra i più grandi. Per la fascia d’età 12-15 anni sono emersi altri due elementi caratteristici, sembra cioè che questi ragazzi abbiano più difficoltà a legarsi affettivamente agli educatori e i loro sentimenti siano rivolti ad una diminuzione delle prospettive future per sé e nelle relazioni amicali.

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Sembra che aver vissuto situazioni di pericolo per la propria integrità fisica solleciti maggiormente i comportamenti eterodiretti, rispetto a chi invece ha subito abuso sessuale. Il rischio è che il minore assuma modalità distorte di percepire la realtà sociale e quindi, non controllando i suoi impulsi adeguatamente, venga etichettato come deviante e ribelle, per finire in un circolo vizioso di azioni e retroazioni negative, “come se alla percezione si sé negativa si associasse anche quella di un mondo popolato di aggressori verso cui riversare la rabbia e l’ostilità. Come sappiamo, la gravità di queste reazioni in età adolescenziale rappresenta una miscela esplosiva da cui prendono spunto quei gravi comportamenti autolesivi e nel contempo aggressivi che caratterizzano le conseguenze a lungo termine della violenza.”55

3.1.1.1 Il trattamento degli adolescenti vittime di maltrattamento e abuso in comunità

Come abbiamo detto la crisi adolescenziale è un transito psichico e per questo è rappresentativa delle difficoltà nel mantenere la continuità del senso di Sé al variare delle esperienze e degli incontri.

“La comunità si mette in relazione al paziente come portatore di un processo di cambiamento, offrendo condizioni di costanza sufficientemente solide per poterlo effettuare.”56

A questo proposito ci si è interrogati su quali siano queste condizioni ambientali che permettono il cambiamento e troviamo risposta in una ricerca di Whiteley e Collis57 e confermata successivamente, nella quale si sostiene che la metà degli

eventi significativi si sia verificata non tanto nei gruppi formalizzati di terapia, ma negli spazi liberi, di condivisione, nelle relazioni spontanee della vita quotidiana e tali eventi siano riconducibili generalmente a comportamenti più che a parole.

55

Ivi, p. 195.

56 A. Ferruta, G.Foresti, M. Vigorelli (a cura di), op. cit., p. 76.

57 J.S. Whiteley, M. Collis, “The therapeutic factors in group psychotherapy applied to the therapeutic

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Sembrerebbe quindi che nel lavoro che compie la comunità sui ragazzi, l’aspetto psicoterapeutico in senso stretto, per quanto indispensabile, non sia l’unico ad agire come trattamento, ma che influisca fortemente anche la quotidianità attraverso la condivisione degli spazi, dei tempi, delle regole e delle routine. Qui si può progredire grazie al gruppo e allo stesso tempo l’equipe può lavorare al livello individuale, organizzando la giornata dei singoli in modo differente, flessibile e variabile in base alle esigenze sia professionali sia relazionali.

In comunità si può instaurare un rapporto diverso da quelli vissuti fin qui, al soggetto vengono fornite occasioni e strumenti per rompere i meccanismi disfunzionali pregressi e per aprirsi a nuove possibilità.

Quando la comunicazione verbale non funziona o non è possibile in un certo momento, si deve passare all’azione: a volte i gesti sono molto più significativi delle parole e soprattutto comunicano qualcosa in modo esplicito, diretto ed immediato, facendo sentire il ragazzo capito, cercato e “ascoltato”.

Una volta stabilita una relazione fondata sulla fiducia reciproca si potrà trasformare l’agito in parole, diventate ora comprensibili, udibili, che diventano così condivisibili e quindi interiorizzabili.

Se la direzione intrapresa è quella del cambiamento, prima di arrivare all’indipendenza è necessario che si manifesti una regressione, che l’adolescente torni cioè al punto in cui qualcosa nel suo sviluppo si è interrotto. Una volta che si siano individuate le mancanze e i traumi che hanno prodotto l’arresto del sano sviluppo psichico e/o fisico, è possibile progredire nuovamente. La comunità in questo senso offre non solo gli strumenti tecnico-professionali adeguati a questa operazione (educatori, personale medico, psicologi), ma anche la sicurezza e la stabilità necessari per fare questo passaggio.

“La dimensione del percorso è quella elettiva per le comunità per adolescenti, che possono accompagnare una crescita psichica fisiologica con interventi che permettono di fare esperienze e di acquisire insight sul mondo interno. […] La

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dimensione che la comunità può predisporre è quella del tempo, il percorso, cioè la capacità di ospitare l’adolescente per il tempo necessario perché dentro di lui

avvengano processi di maturazione, preservando da agiti che

comprometterebbero una scelta troppo precoce di tipo ipomaniacalmente identitario, realizzata più per sfuggire all’angoscia dell’incertezza di non sapere chi si è, che per una soluzione individualizzante trovata (maternità precoce, emigrazioni esilianti, scelte affrettate del genere sessuale ecc.).”58

Nel documento LA COMUNITA' TRA CURA E PROTEZIONE (pagine 78-83)