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Il trattamento dei giovani autori di crimini violenti in comunità

Nel documento LA COMUNITA' TRA CURA E PROTEZIONE (pagine 87-92)

3 PERCORSI POSSIBILI

3.1 Gli adolescenti nelle comunità

3.1.3 Il trattamento dei giovani autori di crimini violenti in comunità

Prima di procedere con il trattamento dell’adolescente violento bisogna ricordare le peculiarità che questa tappa evolutiva porta con sé, infatti la personalità non è ancora completamente strutturata, la maturità raggiunta può variare molto nel grado, i cambiamenti biologici fanno emergere una serie di pulsioni interne che l’adolescente tende a trasporre nella realtà esterna e ciò accade anche in relazione alla ridefinizione identitaria, mai semplice, che avviene rispetto a quella dell’infanzia.

È importante capire cosa l’adolescente ci vuole comunicare attraverso le azioni violente, ad esempio se con questi atti cerca di esternalizzare, di rendere concreto un malessere interno oppure se il suo sviluppo si è fermato per qualche ragione, portandolo a non sentire il senso di colpa.

65 Cfr. www.ncjrs.org.

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Cogliere queste differenze e individuare la radice dell’aggressività orienta i professionisti nella diagnosi e nel trattamento.

Spesso l’adolescente che viene preso in carico dalla Magistratura sta esplicitando un suo disagio attraverso il reato, di conseguenza diviene necessario per l’operatore instaurare una relazione emotiva, in cui è lui stesso a mettersi in gioco, creando in tal modo la base perché si sviluppino quei “processi trasformativi delle difficoltà maturative concretizzate attraverso il reato.”66

Questa relazione deve essere portare l’adolescente a considerare l’operatore attendibile, affidabile e contenitivo. Per facilitare questo processo il setting deve avere delle componenti strutturate, come l’orario, la frequenza e la durata dei colloqui, la sede dove si verificano. È importante che si definiscano i luoghi e i tempi in cui il giovane sa di poter trovare un punto di riferimento e di confronto. Allo stesso tempo però deve anche essere elastici, nel senso che ci si deve adattare alle reali esigenze e caratteristiche dell’utente. Il grado di elasticità è dato in buona parte dalla capacità dell’operatore di interpretare le azioni-reazioni del ragazzo e modulare di conseguenza (tenendo a mente il modello teorico a cui si ispira) le sue risposte, adattandosi allo stato mentale e ai tempi necessari a quell’adolescente per elaborare ciò che gli sta accadendo.

Per creare le condizioni di cambiamento del mondo interno dell’adolescente, e di conseguenza anche il suo modo di relazionarsi, è molto utile fare riferimento a degli strumenti di orientamento psicanalitico, quali:

- Il transfert: […] quella parte ineliminabile del rapporto interumano che implica l’ineludibile trasferimento sull’operatore di conflitti e bisogni inconsci.

- Il controtransfert: inteso come la risposta emozionale indotta nell’operatore dall’impatto relazionale con lo specifico problema evolutivo posto dall’adolescente nell’ambito penale in cui si trova.

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- L’interpretazione: la restituzione, in una modalità resa pensabile e quindi condivisa nella relazione, dei contenuti mentali risolti, modulati in base ai tempi di “digestione” psichica dell’adolescente, così da poter progressivamente consentire la graduale introiezione delle funzioni pensanti dell’operatore. Per fornire un’interpretazione pertinente alla specificità del bisogno, nel “qui ed ora” della relazione, è necessaria la preliminare decodifica del proprio transfert e del controtransfert al fine di ovviare al rischio di contro-reagire alle problematiche poste, omologando il proprio Sé all’altro, in un’identificazione sterile e confusa67.

Così come il setting anche la diagnosi deve essere caratterizzata da flessibilità, nel senso che deve tenere conto degli stati emotivi del ragazzo. L’osservatore deve instaurare una relazione e inserire le risposte emotive all’interno della storia affettiva del soggetto e del suo ambiente di vita. Deve inoltre saper sospendere il suo giudizio valutativo per poter essere realmente ricettivo, poiché il rapporto stesso che l’operatore riuscirà ad instaurare sarà parte della diagnosi e del conseguente trattamento. Tanto più riuscirà ad approfondire la conoscenza del soggetto e la sua sofferenza psichica, tanto più questo rapporto potrà essere uno strumento efficace al fine del processo trasformativo.

Non c’è ovviamente una terapia valida ed utilizzabile per tutti i casi, ma ci si può riferire ad approcci differenti in base all’ipotesi teorica o al focus cui si riferiscono.

Il Parental Management Training (PMT) sembra portare dei risultati nel modificare i comportamenti violenti, ma per i preadolescenti ha effetti maggiori sul lungo termine e trova dei limiti con le famiglie gravemente multiproblematiche, non in grado di assumersi la responsabilità del trattamento. La Terapia Familiare Funzionale (FFT) è totalmente indirizzata alla famiglia e si rifà ai principi sistemici e cognitivi, cerca quindi di risolvere le problematiche

67 Ivi, p. 224-225.

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interpersonali lavorando sulla reciprocità e il sostegno all’interno del nucleo familiare.

Anche la Terapia Multisistemica (MST) è principalmente rivolta alla famiglia, ma tiene conto anche degli altri sistemi a cui l’adolescente appartiene, come la scuola, il gruppo dei pari, ecc. Può comprendere quindi più interventi, in modo da cogliere le diverse dinamiche relazionali e come queste interagiscono tra loro. C’è poi un approccio che si focalizza sul gruppo dei pari, che si propone di lavorare sul rendimento scolastico e sulle condotte aggressive, che, ad esempio, è risultato essere efficace per contrastare il bullismo. Trova il suo limite nei gruppi composti da soli maschi.

Il Cognitive Problem Solving Skills Training parte dall’assunto che i comportamenti violenti derivino in parte dall’interpretazione errata degli eventi, quindi si propone di modificare le distorsioni cognitive che non permettono all’adolescente di entrare in una corretta relazione con l’altro. Utilizzando giochi di ruolo, incentivi e punizioni, il terapeuta è molto attivo in questo tipo di trattamento.

Al trattamento psico-sociale si può affiancare quello farmacologico, se necessario, per attenuare gli episodi violenti, ma esso non può essere il solo intervento. Negli adolescenti l’uso del farmaco può essere rischioso, non solo per quanto riguarda il dosaggio, ma anche perché essi potrebbero investire la terapia di fantasie di tipo “magico”, mettendo così a repentaglio l’alleanza terapeutica. Gli adolescenti che attuano un abuso sessuale si trovano in una situazione particolare: la percentuale di sexual abuser che è affetta da psicopatologie è piuttosto alta e oscilla tra il 60 e il 90%. Anche qui non c’è un intervento unico che valga per tutti i casi, ma al contrario dopo un’attenta valutazione si sceglierà la strategia più adeguata. In generale però si è riscontrato che si ha una maggiore possibilità di successo se la famiglia viene coinvolta: la psicoterapia individuale

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non basta e al contrario il confronto con gli altri aiuta a combattere la negazione, il primo ostacolo da abbattere per poter lavorare al fine di evitare recidive.

Tra gli interventi troviamo:

- L’approccio cognitivo-comportamentale: associa l’atto deviante ad un problema di apprendimento, quindi lavora con strumenti diversi per correggere le problematiche di comunicazione e socializzazione pregresse. - Il progetto psico-educativo: esso “può fornire un correttivo alle distorsioni cognitive, ai deficit di competenza sociale e di capacità a controllare gli impulsi, oppure può essere diretto a facilitare la comprensione nei confronti della vittima, a chiarire i valori relazionali della sessualità, a gestire la rabbia o i propri bisogni in maniera accettabile o a imparare a rilassarsi e a ridurre la frustrazione. Sono di solito, tecniche che vengono rivolte al gruppo dei pazienti.”68

- Il SAFE-T è un programma rivolto specificatamente al sexual abuser e alla sua famiglia, lavora principalmente sui rischi di recidiva affrontando non solo la tematica dell’abuso, ma anche i bisogni specifici dei vari membri, come ad esempio tendenze depressive o attitudini antisociali, costruendo così allo stesso tempo una strategia di intervento sia sulla famiglia sia sull’individuo, si educa a comunicare ed a sentire empatia con la vittima.69

Anche nelle situazioni di abuso, il trattamento psico-sociale può essere accompagnato a quello farmacologico, anche se questo va adottato con molta cautela e generalmente è usato per gli abuser gravi, che non abbiano meno di 17 anni di età.

Concludendo, in seguito ad una valutazione/diagnosi, il Giudice deciderà se c’è margine per poter lavorare con il minore e quindi se metterlo alla prova o meno.

68 G. Ingransci M. Picozzi, op. cit. p. 173.

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Come abbiamo già detto, una risposta giudiziaria di tipo contenitivo e punitivo non è sufficiente per produrre un cambiamento nell’adolescente e diminuire il rischio di recidiva: Winnicott spiega l’azione deviante dell’adolescente associandolo allo sviluppo della relazione madre-bambino, sostenendo che in realtà quella del minore è una richiesta a gran voce di essere fermato e di ricevere attenzioni70, allora se così fosse è bene tendere le orecchie e cogliere questa

richiesta. Ciò che è importante tenere sempre a mente è che tutto quello che gli adolescenti sentono, condividono, sperimentano nella comunità diventa parte del loro patrimonio personale. Attraverso le buone prassi degli operatori, di un buon tempo e un buono spazio in cui le relazioni si sviluppano si dà a questi ragazzi degli strumenti che potranno riutilizzare in futuro. Non dobbiamo infatti dimenticare che il percorso comunitario ha un termine, fuori il mondo reale li attende ed è molto meno sensibile e comprensivo rispetto ai loro bisogni e ai loro vissuti.

Nel documento LA COMUNITA' TRA CURA E PROTEZIONE (pagine 87-92)