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Cap 3 Strumenti di conciliazione

3.2 Forme di lavoro flessibile

3.3.2 Il congedo di paternità

Il modello “male breadwinner” che ha tradizionalmente caratterizzato la divisione del lavoro in Italia, esercita ancora la sua influenza nell’orientare i comportamenti di donne e uomini, sia perché il modello culturale sostiene maggiormente la partecipazione degli uomini al mercato del lavoro, sia perché il contesto istituzionale non è pronto ad accompagnare un’eventuale intensificazione del lavoro femminile in quanto caratterizzato da limitate opzioni di conciliazione casa-lavoro per le famiglie161.

Le politiche sociali italiane, diversamente da quello che sta accadendo in molti altri contesti nazionali, soprattutto in Europa, contribuiscono al mantenimento di uno statuto incerto e contraddittorio del riconoscimento della capacità di accudimento primario dei padri.

                                                                                                                         

161 Piccitto G, Soddisfazione lavorativa ed equilibrio casa-lavoro: un’analisi di genere, op.

La legislazione sui congedi di paternità disponibili per i padri dopo la nascita del figlio o durante i primi mesi di vita del bambino è stata introdotta o migliorata nei tardi anni ’90 in Belgio, Finlandia, Francia, Paesi Bassi, Norvegia, Portogallo, Spagna e Regno Unito.

La Direttiva del Parlamento e del Consiglio del 5 luglio 2006 n. 2006/54/CE è la prima che all’art. 16 “lascia impregiudicata la facoltà degli stati membri di riconoscere diritti distinti di congedo di paternità”, introducendo la nozione di congedo di paternità162 al fine di incoraggiare gli uomini ad una maggiore partecipazione alla cura dei figli.

Si presumeva che riconoscendo anche ai padri lavoratori un congruo periodo di congedo obbligatorio, anche gli uomini più restii all’idea di assumersi impegni di cura sarebbero stati costretti a farlo; ma soprattutto, molti padri che avrebbero voluto trascorrere più tempo con i propri figli e senza chiedere di fruire del congedo facoltativo, laddove previsto, per timore di incorrere in ricatti, ritorsioni, atteggiamenti di ostilità nel luogo di lavoro, avrebbero potuto vedere realizzato, in questo modo, un loro legittimo desiderio163.

In Italia il congedo di paternità inteso come diritto individuale non trasferibile alla madre è stato introdotto per la prima volta nel 2012 e in via sperimentale, anche se poi è stato prorogato fino ad oggi.

La possibilità per i neo-padri di usufruire del congedo genitoriale, soprattutto relativamente a quello di tipo obbligatorio, è un’innovazione importante, ma l’impatto di tale innovazione per la ridefinizione complessiva delle questioni di conciliazione dipende in larga misura, sia da livello di compensazione sia dal fatto che vi sia almeno una quota di congedo che, se non utilizzata dal padre, viene persa164.

                                                                                                                         

162 All’art. 16 della Direttiva 2006/54/CE su GUUE L204/23

163 Fanlo Cortés I. “Congedi genitoriali, politiche del diritto e diseguaglianze di genere.

Riflessioni sul caso italiano nel quadro europeo” op. cit., p. 44

164 Saraceno C. “Le Politiche della famiglia in Europa: tra convergenza e diversificazione”

Queste due condizioni danno anche maggiore potere negoziale di fronte a datori di lavoro che possono considerare poco affidabili lavoratori maschi che, senza essere obbligati, si comportano come le lavoratrici donne.

La componente maschile prevalente non è interessata al congedo e le indagine fatte non hanno messo in luce alcuna spiccata motivazione individuale a farvi ricorso. Il motivo per il quale gli uomini non vogliono prendere il congedo, sia parentale che di paternità, oltre ai richiamati stereotipi culturali e sociali che influenzano in modo ancora determinante la ripartizione di genere delle responsabilità familiari, risiedono nel generico timore di non trovare più la stessa situazione lavorativa al rientro dal congedo o di dover sopportare conseguenze negative per la propria carriera futura fino alla perdita del posto di lavoro, pratiche che si vedono puntualmente verificate sulle donne madri165.

Ecco perché il ricorso al congedo parentale di tipo facoltativo da parte degli uomini non ha sortito particolari effetti in questi anni, o comunque non ha avuto una diffusione tale da incidere sulle conseguenze negative in termini di mercato del lavoro per le donne.

La scelta politica di introdurre il congedo di paternità obbligatorio per il padre rappresenta sicuramente una svolta culturale e sociale sostenuta anche dall’Unione Europea che ha evidenziato come per aiutare i lavoratori a conciliare la loro vita professionale e familiare, nonché a conseguire un’autentica parità di genere, sia essenziale che gli uomini abbiano diritto ad un congedo di paternità retribuito166. Tuttavia il periodo previsto per il congedo in Italia, attualmente pari a cinque giorni obbligatori ed uno facoltativo, è del tutto insufficiente se non irrilevante per un aiuto effettivo nella redistribuzione dei ruoli familiari. Si discute se la sua previsione appartenga più alla categoria dei permessi che a quella dei congedi167 .

                                                                                                                         

165 Torelli F. “La difficile condivisione del lavoro di cura. Spunti sui congedi parentali”, 2010

Lavoro e Diritto

166 Risoluzione del Consiglio e dei Ministri incaricati dell’occupazione e della politica sociale,

riuniti in sede di consiglio (2000/C 218/02), Considerando 26

167 Gottardi D. “La condivisione delle responsabilità genitoriali in salsa italiana” in Lavoro e

Da notare anche il diverso trattamento economico previsto per il congedo di paternità, che dà diritto ad un’indennità giornaliera a carico dell’Inps del 100% della retribuzione rispetto a quello fermo all’80%, salvo migliori condizioni introdotte dalla contrattazione collettiva, del congedo di maternità.

Nel rapporto commissionato dal Parlamento Europeo nel 2015168 viene evidenziato che la maggior parte dei paesi hanno un congedo di paternità superiore a 10 giorni lavorativi.

Figura 3.5 Durata del congedo di paternità degli Stati membri (durata giorni lavorativi)                  

Fonte:  European  Parliament

                                                                                                                         

168 European Parliament - “Maternity, paternity and parental leave: Data related to duration

and compensation rates in the European Union.” 2015 al sito

http://www.europarl.europa.eu/RegData/etudes/STUD/2015/509999/IPOL_STU(2015)509 999_EN.pdf

Nonostante la rilevazione si riferisca all’anno 2015 quando in Italia il congedo di paternità era pari ad un giorno, la misura attualmente prevista pari a cinque giorni risulta comunque fra quelle più basse introdotte dai vari paesi (fig. 3.5).

Ricapitolando quindi in Italia abbiamo un congedo di paternità introdotto assai tardivamente, limitato nella durata e le cui aspettative di utilizzo permangono molto limitate nella cultura aziendale169.

Tuttavia cambiare la cultura predominante e le abitudini dei singoli non è così facile, così come non risulta facile mettere in atto tutte quelle condizioni sociali necessarie a soddisfare i bisogni delle famiglie attraverso una ripartizione dei compiti fra uomini e donne che sia più equilibrata.

Come abbiamo visto il Parlamento Europeo solo il 4 aprile 2019 ha approvato la proposta di direttiva relativa all’equilibrio tra attività professionale e vita familiare per i genitori e i prestatori di assistenza sulla base della proposta della Commissione europea che prevede 10 giorni di congedo di paternità dopo la nascita di un figlio, da retribuirsi al livello del congedo di malattia.

Una volta entrata in vigore, dopo l’adozione formale anche del Consiglio, l’Italia avrà tre anni di tempo per adeguarsi alle nuove regole.

                                                                                                                         

169 Naldini M. “Prima e dopo la nascita del figlio. Da coppie moderne a famiglie tradizionali”

Convegno scientifico “La società italiana e le grandi crisi economiche 1929-2016” 25-26 novembre 2016

Conclusioni

In un libro di seconda elementare, un esercizio sui verbi richiede ai bambini di costruire alcune frasi con alcuni soggetti e tre verbi, di cui uno deve essere cancellato perché non “adatto” ai relativi soggetti.

I soggetti sono, la mamma, il papà, il sole, l’acqua, il cavallo, lo scoiattolo.

Ecco che alcune delle frasi corrette risultano essere “il sole illumina e sorge”, “l’acqua scorre e lava”, “la mamma cucina e stira”, “il papà lavora e legge”.

La foto dell’esercizio, pubblicata circa un mese fa su Facebook, ha scatenato moltissime polemiche, sollevando un dibattito circa il linguaggio “sessista” utilizzato nei libri di testo, spesso frutto di stereotipi di genere.

Il caso non è isolato, anzi.

Basta ricordare che solo qualche mese fa, su un libro di musica per le elementari, un brano recitava “La mamma lava, stira, cucina mentre canticchia una canzoncina. Il babbo invece gioca a pallone, fuma la pipa con il nonno Gastone”.

Nel nostro sistema scolastico vi sono una quantità smisurata di libri di testo pieni di immagini di “mamme congelate nel modello della casalinga anni Cinquanta e di papà capifamiglia dai modi vagamente autoritari, dediti al lavoro e alla gestione economica della famiglia”170.

Ecco che il padre guida la macchina più grande, svolge un lavoro più retribuito che lo vede poco presente in casa ma con abbastanza tempo per guardare il calcio in televisione, o per andare in palestra. La mamma invece è quella che si preoccupa di lavare, stirare e cucinare, che organizza feste e compleanni e che è responsabile dell’educazione dei figli.

Tutti questi stereotipi di genere possono sembrare una sequenza di luoghi comuni, tuttavia nell’immaginario collettivo una simile rappresentazione non sorprende, almeno in Italia.

                                                                                                                         

170 Biemmi I., “Educazione sessista, Stereotipi di genere nei libri delle elementari”, Torino,

Non solo, se guardiamo i commenti del post “la mamma cucina, il papà lavora” ci rendiamo conto che non sono tutti commenti indignati. In molti non capiscono dove sia l’errore, qualcuno ritiene che comunque serve qualcuno che stiri o cucini o comunque c’è chi ritiene normale che la donna debba seguire le proprie “attitudini”. In una tale situazione possiamo capire come sia difficile anche solo parlare di conciliazione tra tempi di vita e di lavoro, o di bilanciamento dei carichi familiari, o di divisione delle responsabilità di cura, a discapito dello sviluppo dell’occupazione, della competitività delle imprese ma soprattutto del benessere degli individui e delle relazioni tra le famiglie.

Giunti a questo punto e tutti d’accordo sulla necessità di fare qualcosa almeno per riuscire ad avere una conciliazione fra i tempi di vita e di lavoro che risulti più equilibrata fra i due generi, la domanda da porsi è “cosa fare?”.

E’ sicuro che non esiste né una soluzione unica né una rapida, ma si può ottimisticamente credere di iniziare un percorso sia sul piano normativo che su quello culturale.

Per quanto riguarda il piano normativo sarebbe scorretto non riconoscere che, almeno negli ultimi tempi, qualcosa è cambiato.

Il legislatore comunitario e quello italiano hanno introdotto misure di attenzione verso i padri e strumenti in grado, se non altro, di mettere in discussione questa predefinita ripartizione dei ruoli.

Pensiamo, per quel che qui interessa ed afferente l’ambito lavorativo, all’istituto del congedo di paternità fissato in almeno 10 giorni nella proposta di direttiva appena approvata dal Parlamento europeo, o all’introduzione dello smart-working, ma anche al “tradizionale” congedo parentale.

Tuttavia è necessario potenziare tali strumenti, prevedendo modalità di utilizzo molto più favorevoli per i padri e che, relativamente all’aspetto economico, prevedano una remunerazione adeguata.

Inoltre anche la più giusta delle leggi è destinata a non produrre effetti se non accompagnata da cambiamenti culturali nei comportamenti, ma soprattutto nella mentalità delle persone.

Mettere in discussione l’intero sistema e i ruoli che ne conseguono, cambiare il modo di pensare e di agire, guardare agli altri con un approccio costruttivo, è forse la parte più difficile, sembra una vera rivoluzione.

Innanzitutto partiamo dalla famiglia e trasformiamo la conciliazione in condivisione dei carichi familiari. Sembra una frase con un’accezione negativa, ma la partecipazione in famiglia, il tempo trascorso con i figli, la possibilità di vederli crescere e contribuire alla loro educazione, è un’opportunità non un peso.

I padri non fruiscono di queste opportunità spesso per motivazioni legate ad una visione tradizionale della divisione di genere del lavoro, secondo la quale le mamme hanno maggiore competenza nel lavoro di cura, il bambino è più attaccato alla madre e soprattutto nei primi anni di vita la presenza del padre non è necessaria171.

Tuttavia vi è un’opinione diffusa che non siano solo i padri ad avere tale visione, Spesso sono le madri stesse a non voler cedere o condividere con il padre alcune attività considerate finora prerogativa esclusiva del loro ruolo materno.

A volte le donne di fronte alla scelta fra dedicare più tempo al lavoro o più tempo alla famiglia optano per la seconda strada nella convinzione, tutta “rosa”, che la mamma è sempre la mamma e che l’uomo in casa e con i figli non saprebbe far bene come una donna.

La spiegazione di tale convinzione potrebbe essere individuata nel fatto che i modelli di genere spesso generano delle gabbie che imprigionano la libertà di espressione delle singolarità e imprigionano sia le donne che gli uomini. Nonostante non vi sia un riconoscimento esplicito e consapevole di queste gabbie, donne e uomini ne sono condizionati e tendono a perpetrare tali stereotipi e retaggi di genere172.

                                                                                                                         

171 Zanatta A.L., “Il coinvolgimento dei padri nella cura dei figli” op. cit. p. 472

172 Biemmi I., Leonelli S., “Gabbie di genere: Retaggi sessisti e scelte formative” Torino,

E allora se rivoluzione deve essere, che lo sia ad ampio spettro, mettiamoci tutti in discussione. Le mamme e i papà, ma anche gli insegnanti, le istituzioni, i mezzi di comunicazione, l’industria pubblicitaria, la società tutta, in modo tale da far apparire quegli stereotipi come un qualcosa di arretrato e oramai superato.

Perché oggi i papà lavorano e leggono, ma cucinano anche, e sempre di più si occupano della cura dei figli e dei carichi domestici.

Le mamme cucinano e stirano ma lavorano, leggono e perché no chi vuole può anche fumare la pipa.

Perché non è questione di maggiore o minore idoneità o attitudine. E’ solo questione di essere tutti liberi di scegliere.

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