Cap 3 Strumenti di conciliazione
3.2 Forme di lavoro flessibile
3.2.1 Il part-time
In Unione Europea, i dati raccolti da Eurostat relativamente al lavoro a tempo parziale evidenziano come la quota dei lavoratori tra i 20 e i 64 anni nell'Unione Europea la cui attività lavorativa principale risulta a tempo parziale sia salita in maniera lenta ma costante per passare dal 14,9 % nel 2002, al 19,0 % nel 2015, e poi scendere lievemente al 18,7 % nel 2017. Tali dati però risultano decisamente sbilanciati verso la popolazione femminile.
Nel 2017 infatti, in Unione Europea la percentuale delle donne occupate con un lavoro part-time risultava del 32%, contro il 9% di quella degli uomini.
138 Marino M., “La conciliazione dei tempi di vita e di lavoro: una policy per le donne e per
Il part-time ha da sempre avuto non solo la funzione di strumento prioritario di flessibilità ma anche di strumento contrattuale idoneo ad offrire concrete opportunità di lavoro in presenza di impegni familiari139, in quanto consente di mantenere il contatto con il luogo di lavoro ma al tempo stesso di avere una gestione dei tempi familiari soddisfacente.
Se poi si analizzano i dati italiani140, possiamo vedere come il part-time rappresenti effettivamente una valida strategia di conciliazione al quale ricorrono più del 38,3% di madri con un figlio e quasi il 50% di quelle con 2 figli.
La motivazione prevalente per lavorare a tempo parziale è proprio quella di avere più tempo da dedicare ai figli e alla famiglia (oltre il 70% dei casi).
Ciò significa che una parte considerevole delle famiglie affronta le responsabilità derivanti dalla cura dei figli riducendo l’impegno lavorativo delle madri141 per le quali il part-time rappresenta un valido strumento di conciliazione in quanto consente loro di trovare e mantenere un’occupazione anche dopo la nascita dei figli.
Tuttavia se da un lato il part-time aumenta la partecipazione al mercato del lavoro della componente femminile, il rischio è che le competenze dei lavoratori a tempo parziale siano sottoutilizzate e confinate in occupazioni a cui viene attribuito un valore inferiore rispetto ad un impiego a tempo pieno.
In Italia, infatti, il lavoro part-time si rivela spesso penalizzante in termini di carriera e in genere non è facile tornare ad un impiego a tempo pieno, finita “l’emergenza” familiare142.
Estendere la parzialità del tempo lavorativo al ruolo ricoperto, significa che coloro che hanno un contratto a tempo parziale oltre ad avere retribuzioni minori con
139 Salazar P. “Part-time e telelavoro nel decreto sulla conciliazione vita-lavoro” in Il
Quotidiano Giuridico 27/08/2015
140 Istat Avere figli in Italia negli anni 2000 - Approfondimenti delle indagini campionarie
sulle nascite e sulle madri dell’Istat su https://www.istat.it/it/files/2015/02/Avere_Figli.pdf
141 Bozzao P. “Le questioni di genere nella protezione sociale del lavoro discontinuo” in
Lavoro & diritto 3/2010 p. 404
142 Tanturri M.L., “Demografia e Lavoro femminile: le sfide della conciliazione in
notevoli sacrifici anche sul versante contributivo previdenziale, avranno anche minori possibilità di fare carriera.
Questo perché spesso si scambia il presenzialismo per produttività e se il lavoro è organizzato secondo schemi troppo rigidi, le forme di lavoro flessibili possono essere penalizzate.
Nelle organizzazioni infatti prevale spesso una cultura della presenza, basata sul tempo trascorso nell’organizzazione, che non sempre corrisponde alle ore di lavoro effettivo, ma la disponibilità ad una presenza aziendale è sufficiente per differenziare coloro che possono dedicare all’azienda la maggior parte del loro tempo e coloro che non possono/vogliono a causa di altre esigenze.
E’ un circolo vizioso soprattutto per la componente femminile: le inferiori condizioni economiche, unite alla mancanza di strutture pubbliche dedicate all’infanzia, costringono le donne ad abbandonare il lavoro dopo il primo figlio, o a optare per un lavoro a tempo parziale.
Più che uno strumento di conciliazione, in questo caso il part-time risulta una scelta obbligata, sia per la mancanza di opportunità di lavoro full time, sia perché i troppi impegni familiari non consentono altra forma di lavoro.
Laddove il part-time è prevalentemente femminile, come nel nostro paese, favorisce una divisione fortemente asimmetrica del lavoro domestico143.
A livello normativo il 25 giugno 2015 è entrato in vigore il D.Lgs n. 81 del 15 giugno 2015 avente ad oggetto il riordino della disciplina del part-time.
Con il decreto viene meno la distinzione tra part-time orizzontale, verticale e misto, vengono riformate le disposizioni relative al lavoro supplementare e data la possibilità all’azienda di pattuire o inserire clausole elastiche anche in mancanza di una disciplina ad hoc nel contratto nazionale, in un’ottica di rilancio e di valorizzazione dell’istituto sia dal punto di vista della flessibilità che della conciliazione.
143 Tanturri M.L., “Demografia e Lavoro femminile: le sfide della conciliazione in Demografia
In realtà il decreto, nel bilanciamento di interessi tra tutela del lavoratore ed esigenze organizzative aziendali, sembra privilegiare queste ultime, consentendo alle aziende di utilizzare il lavoro supplementare o il lavoro straordinario rispetto all’orario pattuito con ampi margini di “libertà”. Benché sia consentito al lavoratore di rifiutarsi in caso di comprovate esigenze lavorative, di salute, familiari o di formazione professionale, le note differenze tra i rapporti di forza tra le parti contrattuali, avrebbero probabilmente richiesto una maggiore garanzia per il lavoratore in termini di preavviso144.
Relativamente all’aspetto della conciliazione nel decreto si prevede la possibilità di trasformare il rapporto di lavoro a tempo pieno in rapporto di lavoro a tempo parziale, in sostituzione del congedo parentale.
Anche in questo caso la novità non è così dirompente in quanto la disposizione si sovrappone a quella già prevista dal D. Lgs. 80/2015 in tema di fruizione ad ore del congedo parentale.