• Non ci sono risultati.

Cap 2 La conciliazione dei tempi in ambito europeo e nazionale

2.1 La conciliazione in ambito europeo

2.1.2 La giurisprudenza comunitaria

Un filo comune ricorre nella normativa comunitaria in materia di conciliazione: il monito delle istituzioni per una più equa ripartizione dei doveri familiari e del lavoro casalingo, che deve coinvolgere sempre di più anche i padri, attraverso il superamento degli stereotipi di genere che attribuiscono alle donne e agli uomini caratteristiche e ruoli distinti e separati.

Se l’atteggiamento delle Istituzioni Europee è volto ad un effettivo riequilibrio dei carichi di cura, l’orientamento della Corte di Giustizia tuttavia è stato di indifferenza

verso tale ripartizione, facendo emergere dalle sentenze una tesi della conciliazione dei ruoli piuttosto che una conciliazione condivisa.

La questione della paternità e della condivisione delle responsabilità familiari, presente nelle sentenze qui analizzate, non appare di immediata evidenza ai giudici di Lussemburgo che evitano accuratamente di creare un collegamento tra regole dettate a tutela della madre o di superamento delle disparità di cui sono oggetto del mercato del lavoro e il divieto di discriminazione per sesso o genere73.

Le motivazioni di alcune delle sentenze qui analizzate si sono fondate sulle direttive sulla parità di trattamento, in particolare sulla dir. 76/207/CEE modificata dalla direttiva 2002/7374.

La prima decisione è quella inerente il caso Hofmann del 198475 che rappresenta il paradigma della giurisprudenza della Corte in tema di responsabilità familiari76. Il Sig. Hofmann padre di un figlio aveva ottenuto dal suo datore di lavoro un permesso non retribuito per prendersi cura del bambino mentre la mamma riprendeva il lavoro, per il periodo decorrente dall’ottava settimana fino ai sei mesi di età del bambino. La richiesta della relativa indennità di maternità per tale periodo, gli era stata negata.

Era stata quindi sollevata la questione pregiudiziale in cui si chiedeva se il mancato riconoscimento dell’indennità di maternità al padre lavoratore non fosse in contrasto con la direttiva 76/207/CEE sulla parità di trattamento tra uomini e donne.

La Corte ha ritenuto che il congedo di maternità possa essere riservato solo alla madre perché solo la madre può essere tentata di riprendere prematuramente il lavoro e quindi, secondo le parole utilizzate dalla Corte di Giustizia “si tratta di garantire, in primo luogo, la protezione della condizione biologica della donna durante e dopo la gravidanza (…) e, in secondo luogo, la protezione delle particolari relazioni tra la

                                                                                                                         

73 Calafà L., “Paternità, lavoro e conciliazione” op. cit., p. 41 e 49.

74 Direttiva 76/207/CEE del Consiglio del 9 febbraio 1976 in GU l039 del 14/02/1976 relativa

alla parità nell’accesso agli impieghi, alla formazione professionale e nelle condizioni di lavoro

75 Sentenza della Corte di Giustizia 12 luglio 1984, C-184/83, Hofmann, in Raccolta, 1984,

3047.

donna e il bambino, durante il periodo successivo alla gravidanza e al parto” evidentemente relazioni non equiparabili a quelle esistenti con il padre.

Le formule espresse in questa sentenza sono state ribadite costantemente dalla giurisprudenza successiva confermando una posizione decisamente squilibrata a favore dell’affermazione piena, ma rigida del principio di tutela della lavoratrice madre, su cui gravano tradizionalmente gli obblighi di cura dei figli77.

L’unica sentenza che si discosta è la sentenza Stoeckel del 25 luglio 199178 dove la Corte decide che il divieto posto alle donne del lavoro notturno è in contrasto con la direttiva 76/207, in quanto i rischi derivanti dal lavoro notturno sussistono per tutti i lavoratori e non solo per le donne, riscontrando in questo caso una discriminazione maschile.

La posizione della Corte di Giustizia circa l’effettiva parificazione dei ruoli ha continuato a non essere chiara. Nella causa Abdoulaye79 viene confermata la specialità del ruolo della donna, tutelata per la sua funzione naturale, a discapito del padre, estraneo, in realtà al solo evento della nascita, ma non ai carichi conseguenti.80 Tale causa riguarda la possibilità di estendere ai padri il versamento dell’assegno forfettario alle lavoratrici donne che fruiscono del congedo di maternità. La Corte ritiene che, poiché l’assegno ristora “gli svantaggi professionali” a seguito dell’allontanamento dal lavoro che il congedo di maternità comporta, la situazione della madre non è analoga a quella del padre e quindi non è estendibile al padre la misura dell’assegno.

Secondo la Corte quindi è necessario effettuare una comparazione tra le situazioni dei lavoratori e delle lavoratrici e solo allorquando queste siano analoghe dovranno essere disciplinate nello stesso modo secondo quanto previsto dal principio della parità delle retribuzioni sancito nell'art. 119 (141) del Trattato CE. In questo caso

                                                                                                                         

77 Calafà L., “Paternità, lavoro e conciliazione” op. cit., pag. 42

78 Sentenza della Corte di Giustizia 25 luglio 1991, C-345/89, Stoeckel, in Raccolta giur.,

1999, I-4047

79 Sentenza della Corte di Giustizia 16 settembre 1999, C-218/98, Abdoulaye e a., in

Raccolta, 1999, I-5723

però i lavoratori di sesso maschile e quelli di sesso femminile si trovano in una situazione differente, che esclude una violazione di detto principio.

Nella sentenza Griesmar81 un magistrato padre di tre figli chiedeva il riconoscimento dei benefici della maggiorazione di anzianità contributiva per il calcolo delle pensioni di vecchiaia prevista dalla disciplina francese solo a favore delle lavoratrici. La Corte sostiene che vi è violazione del principio di parità retributiva nel caso in cui tali benefici riservati alle lavoratrici, non si estendano anche ai lavoratori, ma solamente nel caso in cui questi ultimi siano in grado di dimostrare di avere effettivamente partecipato alla cura e all’allevamento dei propri figli.

La Corte ritiene che il vantaggio deve essere accordato anche al lavoratore di sesso maschile che si trovi in una situazione analoga, cioè il padre deve dimostrare di aver partecipato alla cura dei figli per fare in modo di avere gli stessi benefici della donna. Ecco che ritorna la distinzione tra i ruoli di genere, se per quello femminile è scontata la cura dei figli, quello maschile deve darne dimostrazione.

Un altro caso in cui la Corte effettua un giudizio di comparabilità su situazioni a confronto è il caso Lommers82.

La questione è relativa ad un regime di riserva femminile previsto dal ministero dell’agricoltura che consente alle lavoratrici dipendenti del ministero madri di bambini di avere alcuni posti sovvenzionati negli asili nido, mentre i figli dei dipendenti di sesso maschile possono beneficiare di tali posti solo in caso di necessità riconosciuta dal datore di lavoro.

Il sig. Lommers è dipendente del ministero ma non la moglie che risulta esercitare un’attività professionale presso un altro datore di lavoro. Il diniego del Ministero dell’Agricoltura di riservare un posto in asilo nido per il figlio del Sig. Lommers è stato giustificato dal fatto che la distinzione basata sul sesso operata dal Ministero deriva dalla volontà di far fronte ad una situazione di comprovata inferiorità

                                                                                                                         

81 Sentenza della Corte di Giustizia 29 novembre 2001, C-366/99, Griesmar, in Raccolta

2001, I-9383

82 Sentenza della Corte di Giustizia 19 marzo 2002, C-476/99, Lommers, in Raccolta 2002, I-

numerica nel ruolo dei dipendenti di sesso femminile nell’organico del ministero e della relativa scarsità di posti negli asili nido, quindi come uno strumento valido per perseguire l’uguaglianza sostanziale tra uomini e donne incentivando la presenza delle donne in quel contesto lavorativo e le loro possibilità di carriera.

La Corte riconosce legittimo il diniego alla richiesta del Sig. Lommers in quanto nonostante la disposizione operi una disparità di trattamento basata sul sesso, questa ha lo scopo di “autorizzare provvedimenti che, pur apparendo discriminatori, mirano effettivamente ad eliminare o a ridurre le disparità di fatto che possono esistere nella realtà della vita sociale” anche se tuttavia potrebbero rischiare di contribuire a perpetrare una distribuzione tradizionale dei ruoli tra uomini e donne.

Nel rispetto del principio di non discriminazione di cui alla direttiva 76/207/CE, nel caso in cui i dipendenti di sesso maschile si assumano da soli la custodia dei figli, essi possono usufruire delle stesse condizioni dei dipendenti di sesso femminile. L’appartenenza al genere rappresenta una sorta di meccanismo automatico: la donna ha posti sovvenzionati negli asili nido, l’uomo no, a meno che non si assuma da solo la cura dei figli. La Corte assume quale presupposto che tale ruolo sia scontato nel caso della madre confermando la tradizionale divisione dei ruoli.

Nella sentenza Lewen83, secondo la Corte non osta al principio di parità di retribuzione l’aver subordinato l’erogazione della gratifica natalizia alla condizione che il lavoratore si trovi in servizio attivo al momento della sua concessione.

Pur considerando illegittima l’esclusione dalla gratifica natalizia, senza prendere in considerazione il periodo di lavoro svolto durante l’anno, è necessario evidenziare che il congedo parentale successivo a un congedo di maternità è utilizzato in maniera preponderante da lavoratrici donne, per cui una tale disciplina sfavorisce un numero più alto di donne che di uomini potendosi rilevare un certo rallentamento verso l’affermazione del principio di discriminazione indiretta84.

                                                                                                                         

83 Sentenza della Corte di Giustizia 21 ottobre 1999, C-4333/97, Lewen, in Raccolta 1999, I-

7243

84 La nozione di discriminazione indiretta di genere viene introdotta dalla Direttiva 97/80 che

stabilisce all’art. 2, secondo comma, che ssussiste discriminazione indiretta quando una posizione, un criterio o una prassi apparentemente neutri colpiscono una quota nettamente

In anni più recenti si è riscontrata una lieve apertura della Corte verso la consapevolezza del riparto delle responsabilità familiari tra i coniugi anche al fine di combattere gli stereotipi di genere intorno ai ruoli di cura come si può constatare nella sentenza Roca Álvarez85.

La questione riguardava la richiesta inoltrata dal Sig, Roca Álvarez al proprio datore di lavoro per poter usufruire del permesso detto “per allattamento”. Tale permesso gli era stato negato per il motivo che la madre del bambino non era una lavoratrice subordinata. Il sig. Roca Álvarez, al fine di contestare la decisione del proprio datore di lavoro aveva presentato ricorso ai competenti organi giurisdizionali, che avevano deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte la questione pregiudiziale.

La Corte rileva che la normativa nazionale, che riserva esclusivamente alle madri lavoratrici subordinate la titolarità del diritto ad un permesso retribuito per allattamento, osta al principio di parità di trattamento, che vieta qualsiasi discriminazione in ragione del sesso.

L’esclusione del riconoscimento di un autonomo diritto del padre non trova, infatti, una adeguata motivazione nella disciplina nazionale. Nonostante il beneficio del congedo sia qualificato espressamente “per l’allattamento”, la possibilità per il padre di potersene avvalere dimostra come il permesso sia svincolato dal fatto biologico dell’allattamento al seno e si traduca in un tempo da dedicare alla cura del bambino86.

La Corte rileva inoltre che il fatto che solo la madre avente lo status di lavoratore subordinato sia titolare del diritto a beneficiare del permesso mentre il padre avente lo stesso status possa soltanto usufruire di questo diritto senza averne la titolarità, è “tale da perpetuare una distribuzione tradizionale dei ruoli tra uomini e donne

                                                                                                                                                                                                                                                                                 

più elevata di individui di uno dei due sessi, a meno che tale disposizione, criterio o prassi siano adeguati e necessari, e possano essere giustificati da ragioni obiettive non basate sul sesso.

85 Sentenza della Corte di Giustizia 30 settembre 2010, C-104/09, Roca Álvarez, in Raccolta

2010, I-8661

86 Cappuccio L. “Corte di Giustizia: la non discriminazione in base al sesso e l’efficacia

mantenendo gli uomini in un ruolo sussidiario a quello delle donne per quanto riguarda l’esercizio della loro funzione genitoriale”.