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La giurisprudenza costituzionale, di merito e di legittimità

Cap 2 La conciliazione dei tempi in ambito europeo e nazionale

2.2 La conciliazione in ambito nazionale

2.2.2 La giurisprudenza costituzionale, di merito e di legittimità

In questa parte verranno analizzate alcune sentenze significative relative al tema della genitorialità e degli strumenti di conciliazione.

Innanzitutto è necessario precisare che per quanto riguarda i profili giurisprudenziali, da sempre hanno giocato un ruolo fondamentale le pronunce della Corte Costituzionale che dalla fine degli anni ’80, a dispetto dell’espressa previsione della carta fondamentale che sancisce l’importanza dei doveri della madre all’interno della

                                                                                                                         

119 Sentenza C. Cost. n. 385/05

120 Saraceno C. “La conciliazione di responsabilità familiari e attività lavorative in Italia:

paradossi ed equilibri imperfetti” op. cit., p. 215

famiglia, hanno ampliato la portata della previsione legislativa del congedo di maternità, comprendendo tra i destinatari anche i padri (principalmente in forza del combinato disposto del principio di uguaglianza ex art. 3 Cost. e del principio di eguaglianza tra i coniugi sancito dall’art. 29 Cost.). Un tale orientamento ha confermato una più equa ripartizione dei compiti di cura e rappresenta un graduale, ancorché imperfetto, processo di sradicamento dei ruoli ripartiti in base al genere.122 La Corte è intervenuta attraverso le cosiddette sentenze additive con le quali viene dichiarata l’illegittimità di una disposizione nella parte in cui non prevede ciò che sarebbe costituzionalmente necessario prevedere. Nell’evoluzione della normativa sulla maternità paternità la giurisprudenza costituzionale è intervenuta nei casi non regolati o illegittimamente regolati dal legislatore, per aggiungere le norme mancanti, necessarie per il rispetto del testo costituzionale123.

Gli interventi più significativi, e che hanno condizionato le scelte legislative successive, sono da individuarsi a partire dalla sentenza n. 1 del 19 gennaio 1987 con la quale la Consulta ha riconosciuto anche ai padri il diritto all’astensione obbligatoria dal lavoro nell’ipotesi di decesso o grave infermità della madre.

In particolare in questa sentenza la Corte aveva evidenziato che il diritto all'astensione obbligatoria dal lavoro assolve alla funzione di tutelare la salute della donna nel periodo immediatamente susseguente al parto, ma anche a quella di consentire e proteggere lo sviluppo del rapporto affettivo tra la madre ed il bambino in tale periodo. Poiché l’art. 6 della L. 903/1977 attribuisce anche alle lavoratrici che abbiano adottato bambini, o li abbiano in affido, la facoltà di astenersi dal lavoro, si conferma come l’astensione sia sganciata dal fatto materiale del parto, essendo non solo un presidio della salute della madre ma anche un valido mezzo per stringere rapporti affettivi indispensabili per lo sviluppo della personalità del bambino. Quindi dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 7 della L. 903/1977 laddove non prevede che il diritto all’astensione dal lavoro e il diritto al godimento dei riposi

                                                                                                                         

122 Rubio-Marin R., “The (dis)establishment of gender: Care and gender roles in the family as

a constitutional matter” op. cit., p. 809

giornalieri, riconosciuti alla sola madre lavoratrice, siano riconosciuti anche al padre lavoratore ove l’assistenza della madre al minore sia divenuta impossibile per decesso o grave infermità.

La Corte precisa che entrambi i genitori sono indispensabili per lo sviluppo della personalità del bambino, riconoscendo anche a livello giurisprudenziale la necessità di un riequilibrio dei ruoli genitoriali. Si richiama nella sentenza “l’orientamento sempre più diffuso secondo il quale i compiti della donna e dell’uomo non vanno ripartiti secondo ruoli distinti e separati, ma devono invece integrarsi reciprocamente tanto nella famiglia quanto nelle attività extra familiari.”

Dopo la sentenza n. 1 del 1987 la Corte ha continuato nel suo percorso verso l’assimilazione124 del ruolo materno e paterno, individuando come oggetto di tutela la protezione dei superiori interessi del minore, il quale ha diritto riguardo la sua cura e la sua educazione ad una paritetica partecipazione di entrambi i genitori, i cui ruoli devono integrarsi tanto nella famiglia quanto rispetto alle attività extrafamiliari125. Tale concetto viene rafforzato anche nella sentenza n. 179/1993 allorquando la Corte indica l’interesse del minore come funzionale al superamento di una rigida concezione delle diversità dei ruoli dei due genitori e dell’assoluta priorità della madre.

Una battuta d’arresto rispetto alla lettura evolutiva della normativa a protezione della maternità data dalla Corte fino a quel momento, si riscontra con la sentenza 150/1994.

Con tale sentenza la Corte, chiamata ad esprimersi sulla legittimità costituzionale in merito all’esclusione di un padre lavoratore subordinato dal diritto di fruire dell’astensione facoltativa nell’ipotesi in cui la madre sia lavoratrice autonoma, ne sostiene l’infondatezza argomentando che per la madre il diritto di astensione si qualifica come primario e costituisce il presupposto indispensabile affinché lo stesso possa essere esercitato in via sussidiaria dal padre.

                                                                                                                         

124 Calafà L., Paternità e Lavoro, op. cit., p. 233

E’ un cambio di prospettiva rispetto al periodo precedente quando la Corte aveva letto la normativa in un’ottica orientata ai valori dell’uguaglianza fra i genitori. Tuttavia negli anni successivi si nota di nuovo un mutamento giurisprudenziale che ricalca quello delle sentenze iniziali grazie anche all’entrata in vigore del D.Lgs. n. 151/2001 che ha riconosciuto al padre lavoratore un diritto individuale e intrasferibile all’astensione dal lavoro per la cura del figlio utilizzabile anche simultaneamente alla madre.

Da segnalare, in questo senso, la sentenza n.385/2005 che estende il diritto all’assenza dei padri liberi professionisti slegandolo dal presupposto della natura subordinata del lavoro. In tale sentenza la Corte dichiara l’illegittimità costituzionale degli artt.70 e 72 del D.Lgs n. 151/2001 nella parte in cui non prevedono che al padre libero professionista spetti il diritto di percepire in alternativa alla madre l’indennità di maternità in caso di affidamento, diritto che in tali articoli era riconosciuto alle sole madri libere professioniste. La Corte ha infatti affermato che “gli istituti nati a salvaguardia della maternità non hanno più, come in passato, il fine precipuo ed esclusivo di protezione della donna, ma sono destinati alla difesa del preminente interesse del bambino, il quale va tutelato non solo per ciò che attiene ai bisogni più propriamente fisiologici ma anche in riferimento alle esigenze di carattere relazionale ed affettivo che sono collegate allo sviluppo della sua personalità”.

Per quanto riguarda la giurisprudenza di legittimità e di merito, i casi analizzati dalla Corte di Cassazione e dagli altri giudici hanno riguardato soprattutto l’individuazione dei limiti all’utilizzo del congedo parentale in relazione alle finalità dello stesso, con pronunce non sempre uniformi.

Il congedo parentale disciplinato dall’art. 32 del D. Lgs 151/2001 nella versione modificata dal D. Lgs. 80/2015 può essere usufruito previo obbligo per il lavoratore di un preavviso non inferiore a cinque giorni. Non si richiede né la motivazione né si dà la possibilità al datore di lavoro di rifiutare il congedo per esigenze aziendali. Il

lavoratore può liberamente scegliere entro i dodici anni del bambino il periodo in cui fruire del congedo parentale.

In alcune sentenze infatti i giudici hanno ritenuto che il diritto del lavoratore di poter scegliere del periodo in cui fruire del congedo fosse preminente rispetto agli interessi dell’impresa, respingendo le richieste dei datori di lavoro di poter rifiutare unilateralmente il congedo126.

Tuttavia in altre sentenze i giudici hanno sostenuto che il diritto a congedo andrebbe contemperato con le esigenze organizzative del datore di lavoro127 non potendo ritenersi che “nessun altro limite, oltre all’onere del preavviso, possa essere frapposto al godimento del congedo parentale, al fine di garantire le esigenze aziendali”.

Inoltre sostengono i giudici in materia di obbligazioni che discendono dal rapporto di lavoro, la buona fede costituisce un principio cardine per cui è necessaria un’equilibrata conciliazione di contrapposti interessi imponendo comportamenti idonei a preservare gli interessi dell’altra parte128.

Questo orientamento risulta completamente di senso opposto rispetto alle sentenze precedenti in quanto stavolta gli interessi dell’impresa sono posti su un piano quasi paritario a quelli del padre lavoratore, o meglio i giudici ritengono che “il diritto del padre all’accudimento in prima persona del figlio non subisca un pregiudizio imminente e irreparabile in caso di richiesta aziendale di una diversa articolazione dei congedi fruiti in forma frazionata”.

Tuttavia la giurisprudenza di legittimità sembra essersi definitivamente orientata a favore della natura incondizionata di tale diritto, esercitabile dal prestatore di lavoro senza necessità di una specifica autorizzazione, preavvisando il datore di lavoro secondo le modalità ed i criteri definiti dai contratti collettivi e comunque con un

                                                                                                                         

126 Ordinanza tribunale di venezia 7 settembre 2001 in Lavoro nella Giurisprudenza n.10/2001

p. 1052

127 Ordinanza Tribunale Trieste, 13 luglio 2007 in Lavoro nella Giurisprudenza n. 11/2007 con

nota di Slataper “Congedi Parentali e buona fede oggettiva” p. 1114

128 Ordinanza Tribunale Trieste 25 luglio 2007 in Lavoro nella Giurisprudenza n. 11/2007 con

termine non inferiore a cinque giorni, come stabilito dall’art. 32, 3° comma del Testo Unico sulla tutela della maternità e paternità129.

E’ necessario evidenziare però che il principio di buona fede applicato al rapporto di lavoro che impone di tenere comportamenti corretti verso l’altra parte, è stato alla base anche di altre sentenze della Corte di Cassazione secondo le quali il congedo parentale può essere esercitato dal padre solo per la finalità riconosciuta per quella determinata tipologia di assenza.

L’ultima sentenza in ordine di tempo è la n. 509 dell’11 gennaio 2018130 che ha confermato il licenziamento del lavoratore che aveva esercitato il diritto al congedo parentale non per la cura diretta del bambino, bensì per attendere ad altra attività di lavoro, ancorché incidente positivamente sulla organizzazione economica e sociale della famiglia.

La concessione del congedo parentale si fonda sulla necessità di sostenere i bisogni affettivi e relazionali del figlio, per cui il lavoratore che nel periodo concesso a titolo di congedo parentale non presta attività a favore del figlio, tiene una condotta per la quale è ravvisabile il licenziamento.

In questo caso infatti la Corte parla di un utilizzo “abusivo” del congedo parentale. Essa rileva una condotta contraria alla buona fede, o comunque lesiva della buona fede altrui, nei confronti del datore di lavoro, che “in presenza di un abuso del diritto di congedo si vede privato ingiustamente della prestazione lavorativa del dipendente e sopporta comunque una lesione dell’affidamento da lui riposto nel medesimo”, mentre nei confronti dell’ente di previdenza erogatore del trattamento economico rileva l’indebita percezione dell’indennità e lo sviamento dell’intervento assistenziale.

La Corte ha comunque specificato che relativamente alle attività idonee a giustificare il suo licenziamento, non è necessario che il lavoratore eserciti il diritto per svolgere

                                                                                                                         

129 Granaglia V., “Brevi note sulla funzione del congedo parentale” in Giur. It. Luglio 2016 p.

1688

130 Sentenza Cass. Sez. Lav. 509 dell’11 gennaio 2018 in Diritto pratica del lavoro n. 26/2018

pp. 1675 e ss. Dello stesso tenore anche una sentenza del 2008 della Corte di Cassazione n. 16207

un’altra attività lavorativa, essendo sufficiente che si dedichi a qualunque altra attività non direttamente relazionata alla cura del bambino.

In tale sentenza la Corte richiama la sua precedente sentenza n. 16207 del 2008 allorquando aveva ritenuto che lo svolgimento di un’altra attività durante il periodo richiesto dal lavoratore di essere collocato a riposo per godere di un congedo parentale configurasse un comportamento idoneo ad integrare il licenziamento per giusta causa, in quanto l’esercizio di tale diritto era avvenuto per finalità diverse da quelle per le quali era stato accordato. In tale sentenza infatti la Corte precisa che la presenza del padre accanto al bambino è imprescindibile e nonostante non possa essere intesa alla stregua di una “rigida sovrapponibilità”, non può ammettersi una cura soltanto indiretta, per interposta persona mediante il solo contributo ad una migliore organizzazione della vita familiare.

Si nota come anche la Corte di Cassazione così come già ribadito più volte dalla Corte Costituzionale individui il diritto al congedo di paternità volto alla difesa del preminente interesse del bambino, il quale deve essere tutelato, oltre che per i bisogni più fisiologici, anche per ciò che attiene i bisogni affettivi e relazionali al fine dell’armonico e sereno sviluppo della sua personalità e del suo inserimento nella famiglia.