Cap 2 La conciliazione dei tempi in ambito europeo e nazionale
2.2 La conciliazione in ambito nazionale
2.2.1 La normativa nazionale
La legislazione italiana a tutela dello stato di maternità è stata introdotta nella prospettiva di tutelare, assicurandole una protezione adeguata, la condizione fisica della donna in stato di gravidanza e puerperio, che potrebbe essere gravemente compromessa dalla prosecuzione dell’attività lavorativa, oltre che per impedire che lo stato di maternità si traduca in un fattore discriminante violando l’effettiva parità dei diritti proclamati dall’art. 3 e 37 della Costituzione.
E’ con questa prospettiva che viene emanata la Legge n. 1204 del 1971 che prevede una serie di prescrizioni a tutela della condizione di salute della donna in gravidanza, come il divieto al trasporto e al sollevamento dei pesi, nonché a lavori pericolosi, faticosi ed insalubri, oltre al divieto di adibire ad attività lavorativa la donna per un totale di cinque mesi di cui due precedenti la data presunta del parto e tre successivi retribuiti con un’indennità pari all’80% della retribuzione.
In tale normativa, l’art. 7 prevede anche la possibilità di un ulteriore periodo di sospensione di natura facoltativa della durata di sei mesi da utilizzare in modo anche frazionato durante il primo anno di vita del bambino retribuito con un’indennità pari al 30% della retribuzione.
Viene anche introdotta la possibilità di usufruire, durante il primo anno di vita del bambino, di due periodi di riposo anche cumulabili durante la giornata. Detti periodi hanno durata di 1 ora, sono considerati ore lavorative ai fini retributivi e consentono alla donna di uscire dall’azienda. Nel caso di orario giornaliero inferiore a sei ore il riposo è uno solo. Sono i permessi per allattamento già concessi anche dalla precedente normativa, ma la nuova formulazione, eliminando ogni riferimento
all’allattamento, consente anche alla madre che non provveda direttamente per scelta o per necessità all’allattamento, di usufruire di tali riposi.
Tale normativa amplia la tutela della lavoratrice rispetto alla precedente disciplina in quanto prevede il divieto di licenziamento durante il periodo di gestazione, legandolo non alla presentazione di una certificazione al proprio datore di lavoro, bensì ad una condizione oggettiva di gravidanza.
Nella legge 1204 del 1971 “Tutela delle lavoratrici madri” il soggetto giuridico posto al centro del bilanciamento vita lavoro era inconfutabilmente la lavoratrice subordinata, nessuna traccia era invece rinvenibile riguardo ad un coinvolgimento dei padri lavoratori93.
Il riconoscimento di particolari diritti nei confronti delle lavoratrici, spesso in chiave derogatoria rispetto ai principi che regolano il rapporto di lavoro subordinato, quali i congedi, ha determinato anche situazioni di disuguaglianza con effetti negativi dal punto di vista economico e professionale a danno delle lavoratrici, concorrendo a determinare caratteristiche di maggiore rigidità della manodopera femminile alimentando la convinzione che essa sia meno competitiva rispetto a quella maschile94.
In molti settori vi è un’indubbia maggiore propensione del datore di lavoro a privilegiare la candidatura maschile nella fase di costituzione e sviluppo del rapporto di lavoro, motivata dalla maggiore possibilità di assenza e discontinuità di prestazione delle donne impegnate nei compiti di cura familiare, rispetto agli uomini. Il periodo di inattività per una donna dopo aver utilizzato sia il congedo di maternità che interamente il congedo parentale espone la donna ad un grosso rischio discriminatorio all’interno del mercato del lavoro95.
93 Vettor T. “Conciliare vita e lavoro: la prospettiva del Diritto del Lavoro dopo il Jobs Act”
Giappichelli, 2018, p. 12
94 Scarponi S., “Il lavoro delle donne fra produzione e riproduzione: profili costituzionali e
citizenship” Lavoro e diritto no. 1 (inverno 2001), p. 102
95 Panzeri P, Viale V. “Europa e conciliazione Una proposta di sistema per rilanciare
Tale evidenza empirica, sommata alla necessità di una valorizzazione delle esigenze di tutela del minore e degli aspetti affettivi e relazionali tra il genitore e il bambino, ha condotto, attraverso un lungo percorso normativo e giurisprudenziale, ad estendere l’operatività degli istituti collegati alla maternità anche alla figura del padre la cui presenza è riconosciuta altrettanto fondamentale di quella materna nella cura e nella crescita del bambino96.
La prima apertura in questo senso si ha con la Legge 903 del 1977 di recepimento della direttiva europea n. 76/207/CEE con la quale veniva estesa la fruibilità di alcuni istituti di tutela previsti dalla L. 1204/71 anche al padre in alternativa alla madre. Se il combinato disposto della legge n. 1204 del 1971 e n. 903 del 1977 ha continuato a tutelare prioritariamente la relazione naturale tra madre e bambino, pur tentando attraverso una serie di correttivi, di adeguarsi ad una visione dei rapporti fra i coniugi diversa dal passato97, è solo con la L. n. 53/2000 su impulso della direttiva 96/34/CE che i genitori cominciano ad essere ritenuti entrambi titolari di un ruolo fondamentale nella crescita e nell’educazione dei figli che si evidenzia anche e soprattutto nella possibilità di astenersi dall’attività lavorativa per soddisfare le esigenze di conciliazione.
L’impianto della disciplina legislativa ha cercato di apportare adeguamenti ai mutamenti sociali intervenuti integrando i principi di tutela della maternità con quelli di parità sostanziale tra i generi98 con un approccio più ampio che non si limiti alla protezione del posto di lavoro delle donne in congedo di maternità, ma che preveda strumenti di condivisione in grado di riequilibrare i carichi familiari.
La legge n. 53/2000 infatti attribuisce ai lavoratori di entrambi i sessi, identificati con il termine “genitori”, il congedo parentale con il presupposto di assolvere alle
96 Di Stefano E., “Parità di trattamento fra uomini e donne nelle condizioni di lavoro:
un’analisi giurisprudenziale” 16/05/2011, Gruppo di Pisa, p. 11
97 Calafà L., “Strumenti di conciliazione: un approccio giuridico. Il caso dei congedi” in atti
del Convegno Nazionale ed Europeo “Che genere di conciliazione Famiglia, Lavoro e Genere equilibri e squilibri”. Torino 28-29 maggio 2003. Paper on line reperibile al sito https://www.cirsde.unito.it/sites/c555/files/allegati/22-03-2016/calaf-.doc_pdfcvt.pdf
98 Gottardi D. “La condivisione delle responsabilità genitoriali in salsa italiana” op. cit., p.
esigenze di carattere relazionale e affettivo collegate allo sviluppo della personalità del bambino, garantendo una paritetica partecipazione di entrambi i coniugi alla cura e alla educazione della prole, senza distinzione o separazione dei ruoli fra uomo e donna99.
Già dal titolo della legge “Disposizioni per il sostegno della maternità e della paternità, per il diritto alla cura e alla formazione e per il coordinamento dei tempi delle città” risulta chiara la volontà del legislatore di disciplinare in una prospettiva più ampia l’intera materia, favorendo un maggior coinvolgimento dei padri nella cura dei figli e focalizzando l’attenzione delle regioni e degli enti locali sull’importanza di riorganizzare i tempi delle città.
Nel testo si trova un ampio rimando all’introduzione di misure, pratiche, modelli di organizzazione del lavoro flessibili, ma anche al piano di politiche temporali per il territorio, a partire dagli orari delle città, dei servizi pubblici e delle attività commerciali. Vengono infatti chiamati a far parte del sistema di conciliazione tanto gli enti locali quanto le istituzione del mondo del lavoro.
In particolare l’art. 9 della L. n. 53/2000 titolato “Misure per conciliare tempi di vita e tempi di lavoro” modificato dalla Legge n. 69/2009, si affianca ai congedi, per consentire l’emersione di modalità conciliative, non riconducibili alla sola “assenza dal lavoro”, e aperte a soggetti diversi dai titolari dei diritti ai congedi100, le aziende, nella quali vengono sperimentate azioni positive da ricondurre ad una delle tre sottocategorie indicate dal legislatore.
La prima categoria riguarda progetti per consentire alle lavoratrici e ai lavoratori di usufruire di particolari forme di flessibilità degli orari quali part time, telelavoro e lavoro a domicilio, banca delle ore, orario flessibile in entrata o in uscita, sui turni e su sedi diverse, orario concentrato. Interessante è anche il riconoscimento di quei
99 Bazzocchi V., Lucati I. 201 “Parità di Genere nell’UE e Riflessi nell’ordinamento
Italiano”. 2012, p. 69 Dipartimento per le pari opportunità. Europeanright.eu
100 Tinti A.R., “Conciliazione e misure di sostegno. Sulle azioni positive di cui all’art. 9 della
progetti che, in aggiunta alle misure di flessibilità, prevedano sistemi innovativi per la valutazione della prestazione e dei risultati.
La seconda ipotesi riguarda programmi ed azioni volti a favorire il reinserimento delle lavoratrici e dei lavoratori dopo un periodo di congedo parentale o per motivi comunque legati ad esigenze di conciliazione.
La terza ipotesi invece riguarda progetti che, promuovano interventi e servizi innovativi in risposta alle esigenze di conciliazione dei lavoratori anche nell'ambito dei piani per l'armonizzazione dei tempi delle città, richiamando gli enti locali sull’importanza di tale azione.
E’ un approccio innovativo che ricomprende nella nozione di lavoro non solo l’attività produttiva remunerata, ma anche l’attività complessiva che è svolta nell’arco della vita, facendo risaltare il tempo dedicato al lavoro di cura che investe anche i periodi destinati alla formazione e coinvolge in vari modi le istituzioni soprattutto a livello locale101.
Come riflesso del disegno affermatosi in sede comunitaria, si introduce quindi l’idea che le politiche di conciliazione debbano giocarsi su diversi versanti e necessitino della compartecipazione di una pluralità di attori.
Innanzitutto sono chiamati in causa gli enti locali cui viene affidato il compito di creare le necessarie condizioni di contesto per limitare la subordinazione di uomini e donne ai vincoli temporali imposti dalla città. Seguono poi le parti sociali incaricate di sviluppare e introdurre strumenti di flessibilità lavorativa nell’ambito di accordi di lavoro e al contempo di promuovere forme di congedo in particolare quello parentale102.
Da ultimo sono gli uomini ad essere chiamati in causa per una ripartizione più equilibrata delle responsabilità genitoriali all’interno della coppia attraverso l’estensione anche ai padri del congedo parentale.
101 Scarponi S., “Il lavoro delle donne fra produzione e riproduzione: profili costituzionali e
citizenship” op. cit., p. 118
102 Riva E., “Le politiche di conciliazione: un sistema a rischio”, in Autonomie locali e servizi
Per certi versi la legge n. 53/2000 pare voler anticipare la trasformazione degli assetti socio-economici e occupazionali ben oltre la possibilità o volontà degli attori sociali di darvi effettivamente seguito103.
E’ una legge complessa che presenta problemi organizzativi e amministrativi per le imprese, per questo la sua approvazione è stata a lungo ostacolata dalle associazioni dei datori di lavoro104.
Le politiche aziendali in favore della conciliazione faticano ad imporsi quali elementi strutturali della vita organizzativa perché tendenzialmente vengono considerate come un costo più che come una forma di investimento sulle risorse umane, un benefit più che un elemento strutturale o l’espressione di un valore radicato nella cultura d’impresa105.
L’interesse dell’impresa al massimo profitto appare in contrapposizione con un modello di piena redistribuzione dei ruoli all’interno della famiglia che renda anche l’uomo, oltre alla donna, una risorsa instabile sul luogo di lavoro. Tuttavia la modifica della cultura dell’organizzazione interna all’impresa oltre ad un cambiamento di costume dei padri lavoratori è stata ritenuta necessaria e fondamentale.
Nel 2001 il Decreto Legislativo n. 151 ha riunito e coordinato le disposizioni legislative e regolamentari in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità disciplinando in modo organico coerente e sistematico l’intero settore dei congedi, dei riposi e dei permessi. Il decreto riproduce la serie di disposizioni preesistenti, ma ne introduce anche di nuove che prendono atto delle tendenze evolutive sulla materia emesse soprattutto grazie alla Corte Costituzionale.
Innanzitutto il decreto effettua un’operazione di modifica terminologica rispetto al passato, introducendo i concetti di congedo di maternità che sostituisce l’astensione obbligatoria dal lavoro della lavoratrice, il congedo di paternità a sua volta al posto
103 Riva E., “Le politiche di conciliazione: un sistema a rischio”op. cit., p. 114
104 Saraceno “La conciliazione di responsabilità familiari e attività lavorative in Italia:
paradossi ed equilibri imperfetti” op. cit., p. 217
105 Riva E, “Quel che resta della conciliazione. Lavoro, famiglia, vita privata tra resistenze di
dell’astensione dal lavoro del lavoratore, e il congedo parentale al posto dell’astensione facoltativa della lavoratrice e del lavoratore.
E se il congedo di maternità e di paternità hanno come fine la tutela della salute della madre e del neonato, il congedo parentale è rivolto più alla conciliazione della vita lavorativa con quella familiare, una conciliazione indirizzata ad entrambi i genitori. Quindi il congedo di maternità e il congedo parentale come strumenti complementari per realizzare un’equa condivisione delle responsabilità familiari.
Una rilevante novità del Testo Unico è quella secondo la quale il diritto di astenersi dal lavoro usufruendo del congedo parentale è riconosciuto anche nel caso in cui l’altro genitore non ne abbia diritto.
Si può fruire del congedo non più solo entro il primo anno di vita del bambino ma fino agli 8 anni con la possibilità di una compresenza nella cura, riconoscendo che i problemi di cura e di presenza riguardano un periodo più lungo del solo primo anno di vita.
Il limite massimo viene fissato a dieci mesi fino ad un massimo di sei mesi per genitore, con la previsione che qualora il padre lavoratore si astenga dalla prestazione per più di tre mesi, il limite di sei mesi di congedo sia per lui elevato a sette, con il prolungamento del limite massimo da dieci a undici. Tale previsione evidenzia la particolare attenzione del legislatore che cerca di incentivare la fruizione del congedo parentale da parte dei padri concedendo in questo caso un mese in più di congedo.
Tuttavia questo specifico incentivo non ha avuto effetti significativi sull’utilizzo da parte dei padri. L’esperienza infatti ha mostrato che l’incentivo funziona solo quando il congedo è ben compensato106 e in Italia, a fonte di un’indennità pari all’80% della retribuzione prevista per i congedi di maternità o di paternità, i periodi di congedo parentale danno diritto ad una indennità compensata solo con il 30% e nonostante il prolungamento del limite massimo da sei mesi a dieci o undici, l’indennità viene
106 Viale V., Zucaro R, “I congedi a tutela della genitorialità nell’Unione Europea. Un quadro
corrisposta per un periodo massimo complessivo di sei mesi tra i genitori e comunque fino al compimento del terzo anno di vita del bambino.
Quindi sono state rafforzate le tutele da un punto di vista di flessibilità dei periodi, ma superati alcuni limiti, la copertura economica è completamente assente.
Da precisare che alcuni contratti nazionali di lavoro, ad esempio quelli del pubblico impiego prevedono la retribuzione dei congedi di maternità e di paternità al 100% e il primo mese di congedo genitoriale è spesso pagato al 100%107, mentre rimangono confermati al 30% gli altri mesi di congedo parentale.
Superati questi limiti, il diritto alla protezione economica viene mantenuto solo in caso di basso livello di reddito della persona richiedente.
In sede di prima interpretazione giurisprudenziale delle norme dedicate al congedo parentale è stato riconosciuto un “diritto di scelta” del genitore nel senso che il titolare del diritto ai congedi parentali può scegliere quando fruirne, nell’ambito dei primi otto anni di vita del bambino, salvo ammettere che sull’esercizio di tale diritto grava un condizionamento talmente pesante da ridurre il potenziale impatto applicativo della disposizione, con effetti meno dirompenti sui consolidati assetti aziendali108.
E questo condizionamento è proprio la ridotta retribuzione che viene corrisposta al genitore che usufruisce del congedo.
La questione del pagamento del congedo è cruciale non solo per le madri ma per le coppie; poiché lo stipendio dell’uomo è di norma più elevato di quello della moglie, rinunciare al 70% di tale stipendio in nome di un principio di parità o anche di un desiderio di maggior coinvolgimento appare molte volte una scelta impossibile109.
107 Secondo l’Orientamento Applicativo dell’ARAN RAL 1909, a seguito della modifica
apportata alla normativa del TU sulla Maternità e Paternità ad opera del D.Lgs. n. 80/2015 per i dipendenti della Pubblica Amministrazione relativamente ai primi 30 giorni di congedo parentale fruiti dai genitori, la retribuzione piena spetta se fruiti entro il sesto anno di vita del bambino.
108 Calafà L., “Strumenti di conciliazione: un approccio giuridico. Il caso dei congedi” in atti
del Convegno Nazionale ed Europeo “Che genere di conciliazione Famiglia, Lavoro e
Genere equilibri e squilibri” cit.
109 Saraceno C., “La conciliazione di responsabilità familiari e attività lavorative in Italia:
Trattandosi infatti di congedi non assistiti da una completa indennità, il costo dell’assenza è minore per il reddito familiare nel caso che ad usufruirne sia la madre, a causa del fenomeno ancora prevalente di svolgimento di attività a minore contenuto110.
Nel 2015 il decreto legislativo 80 in attuazione della Legge delega 183/2014 cosiddetta “Jobs Act” ha introdotto alcune novità al Testo Unico in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità.
Innanzitutto, anche su spinta della giurisprudenza costituzionale, porta a compimento l’equiparazione tra genitori naturali e quelli adottivi o affidatari mediante l’estensione in favore di questi ultimi di una serie di tutele fino ad allora negate loro. Inoltre viene ampliato il campo di applicazione anche in favore dei lavoratori non dipendenti fino a quel momento esclusi, come i lavoratori autonomi o i parasubordinati.
Sono state introdotte novità anche relativamente alla fruizione dei congedi.
E’ stata prolungata da 8 a 12 anni la fascia di età del figlio che legittima il diritto alla fruizione del congedo parentale facoltativo, pur rimanendo invariata la durata complessiva del periodo di congedo, pari a 10 mesi, o 11 se il padre si astiene dal lavoro per un periodo continuativo o frazionato non inferiore a 3 mesi.
Corrispondentemente è stato anche esteso l’arco temporale entro cui questo stesso congedo è coperto da indennizzo pari al 30% della retribuzione: il periodo indennizzato è ora fino ai sei anni di vita del figlio, prima era fino ai tre.
Nonostante la positiva estensione del congedo, non si prevede una modifica per quanto riguarda l’aumento del periodo coperto da indennizzo che rimane fermo ai primi 6 mesi complessivi fra i genitori, né un incentivo che induca un utilizzo più equo tra i genitori.
Sono inoltre introdotte semplificazioni che oggettivamente facilitano l’utilizzo dello stesso congedo da parte dei genitori: esso diviene infatti fruibile su base oraria, anche
110 Scarponi S., Il lavoro delle donne fra produzione e riproduzione: profili costituzionali e
in assenza della contrattazione collettiva, grazie alla introduzione di una disciplina legale suppletiva, in misura pari alla metà dell’orario medio giornaliero, ed è, nel contempo, ridotto il termine di preavviso in favore del datore di lavoro, 5 giorni in caso di fruizione a giorni, 2 giorni in caso di fruizione a ore, prima fissato a 15 giorni111.
Il decreto prevedeva anche la destinazione di risorse alla promozione della conciliazione tra vita professionale e vita privata, tramite sgravi contributivi legati ad accordi di conciliazione in sede di contrattazione di secondo livello.
L’attuazione di questa previsione è avvenuta tramite il Decreto del Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali di concerto con il Ministro dell’Economia e delle Finanze del 12 settembre 2017.
Il Decreto prevede una nuova forma di agevolazione connessa all’implementazione, attraverso la contrattazione collettiva di livello aziendale, di forme di conciliazione vita-lavoro112. Ciò significa che i datori di lavoro possono beneficiare degli sgravi contributivi a condizione che abbiano sottoscritto contratti collettivi aziendali contenenti misure di conciliazione tra vita professionale e privata, che siano innovative e migliorative rispetto ai contratti collettivi nazionali di riferimento. Le misure di conciliazione nell’articolo 3 vengono suddivise in tre grandi aree: la genitorialità, la flessibilità organizzativa e il welfare aziendale.
Nell’area della genitorialità viene ricompresa l’estensione del congedo di paternità e di quello parentale, la previsione di nidi d’infanzia, di spazi ludico-ricreativi e di servizi di baby sitting oltre che percorsi formativi per favorire il rientro dal congedo di maternità.
L’area invece denominata di “flessibilità organizzativa” riguarda il lavoro agile, la flessibilità oraria, il part-time, la banca ore, e la solidarietà in occasione di cessione dei permessi.
111 Canal T. (a cura di), “L’Italia fra Jobs act ed Europa 2020: rapporto di monitoraggio del
mercato del lavoro 2015”, Roma, ISFOL, 2016 p. 48